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Autore: AvKeldur    04/08/2012    0 recensioni
Cosa mai potrà fare un bracciale per avere la mia vendetta su Amrin?
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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La cella era fredda più del giorno precedente ed umida per la neve che quella notte era scesa con molta timidezza. La terra all’interno sembrava bagnata e, non avendo posti su cui sedersi, Karil fu costretto a restare in piedi. La sua attenzione però era già da tempo attirata da Garel, nella cella accanto. Tremava dal freddo e Karil si chiese come fosse possibile. A quanto sapeva, Garel non aveva alcun malanno, e per di più portava indumenti ben più pesanti dei suoi.

Ad un tratto, le urla del pubblico si fecero più intense, frenando ogni suo pensiero. Finalmente Amrin aveva disarmato Neuhel che, con il gesto ormai consueto, si dichiarò sconfitto.

Non appena Karil ebbe finito di armarsi, Neuhel entrò nella sua cella. Una folata di vento s’insinuò nella stanza ma Karil non si scompose, al contrario di Garel quando Amrin entrò nella sua. Neuhel guardò Karil con un sorriso beffardo e andò a piazzarsi in un angolo a braccia conserte. Voltandogli le spalle, Karil si avvicinò alla guardia che lo attendeva con un braccio teso lungo la porta spalancata.

Una volta fuori s’incamminò al fianco di Garel verso il centro dell’Arena. Per un attimo lo guardò lungo il tragitto e dai suoi occhi capì il suo stato d’animo. Non soltanto appariva stanco ma addirittura intimorito, pauroso per la prova che di lì a poco avrebbe sostenuto. Fu lì che Karil, per la prima volta, provò davvero compassione. Decise però di non dare peso alla cosa, troppo deviato dalla voglia di vincere il Torneo.

Quando tutto fu pronto, il Prefetto dette il via.

Karil si voltò verso Garel, la lancia impugnata nella mano destra e lo scudo nella sinistra. Garel sembrò riscuotersi dall’alone di tristezza che per tutto il tempo lo aveva pervaso, mettendosi in guardia mentre Karil avanzava a passo pacato. Pacato al punto che sembrava passeggiare. Garel rimase spiazzato e cominciò a indietreggiare. Il passo di Karil si fece sempre più veloce finché poi si mise a correre, veloce e inaspettatamente. Garel si fermò saldando i piedi ben in terra, lo scudo a mezz’altezza e la spada sguainata. Karil ormai era vicinissimo, forse troppo affinché quello potesse difendersi. Quindi, saltò. Un timido raggio di sole si riflesse sulla spada, impugnata nella mano che poco prima reggeva la lancia.

E in un attimo, veloce come un lampo, lo scontro ebbe fine. Garel cadde in ginocchio mentre Karil atterrava leggiadro sul terriccio semi-bagnato. Lo scudo di Garel giaceva a terra così come la sua spada, entrambe portate via della furia fulminea e quasi invisibile di Karil.

Lo stadio ammutolì. Nessuno osava parlare. Persino il Prefetto. Sulla sua poltrona fissava con insistenza il giovane Karil. Nella sua mente si ripeteva la straordinaria mossa che aveva atterrato Garel. Aveva visto Karil coprirsi con lo scudo, usandolo poi per disarmare l’avversario della spada; quindi lo aveva visto colpire le fragili giunture dello scudo di Garel senza ferirlo, quasi che lo strumento fosse stato di carta invece che di rame e ferro. Fu lì che il dubbio che da tempo covava divenne quasi una certezza, investendo la sua mente ed il suo cuore di pensieri ed emozioni quasi proibiti.

Dopo un attimo di esitazione si alzò, quindi annunciò al pubblico la vittoria di Karil. Per un attimo fissò il giovane in un modo che Karil riuscì a cogliere nonostante la distanza. Era lo stesso sguardo che gli aveva lanciato il giorno precedente, appena prima che la porta dello studio venisse chiusa. Uno sguardo curioso e indagatore, inefficace però da quella distanza.

Karil si avviò alla sua cella ancora inneggiato dal pubblico. Non appena la guardia aprì la porta, subito scorse Cern nella penombra. I suoi lunghi capelli castani erano in ordine, gli occhi color ghiaccio resi ancor più chiari dalla luce dell’esterno. Indossava l’uniforme come tutti i Cadetti presenti allo Stadio e dal collo pendeva un laccio a cui era assicurato un anello in puro argento.

Con un cenno del capo, Karil lo salutò. L’altro ricambiò ed attese che Karil si disarmasse per potersi complimentare.

<< Nessuno lassù si sarebbe aspetto una vittoria tanto veloce >> disse Cern stringendogli la mano. << C’è chi addirittura aveva scommesso sulla tua sconfitta. Peccato non aver visto le loro facce… sarebbe stato un bello spettacolo. >>

<< In effetti neanche io l’avevo messo in conto. In realtà è stato proprio Garel ad aiutarmi, in un certo senso. Era davvero turbato… >>

<< Forse il padre lo ha pressato troppo. E’ l’unico figlio di un Veterano dell’esercito, uno tra gli uomini più ricchi del Regno. Per lo meno, è stato onesto a non chiederti di farlo vincere, come invece qualcun altro non ha esitato a fare… >>

<< Che ci vuoi fare... chi capra cresce, capra resta. >>

Alle sue risa seguirono quelle di Cern. Sembrava aver dimenticato la disfatta del giorno prima e la vittoria di Karil lo aveva rallegrato come se fosse sua.

<< Dimmi un po' >> disse Karil. << Quell’anello, non l’ho mai visto prima. E’ un regalo? >>

<< Non proprio. Sei il primo a venirne a conoscenza… e mi fa piacere che sia così. Più che un regalo è un ricordo e in effetti non si può dire che sia del tutto mio. No, non l’ho rubato. E’ l’ultima cosa che mi rimane di mio fratello. Alcuni anni fa un’orrenda malattia lo prese con sé, così come mia madre. Io scampai e fu Varin a prendermi con sé e farmi entrare in Accademia. E’ un grand’uomo e crede davvero in ciò che fa. Gli Dei hanno voluto che, quando ancora era in vita, lui e mio padre fossero cari amici, così… >>

<< Oh… mi dispiace >> disse Karil imbarazzato. << Davvero, scusami. Non sapevo nulla della tua famiglia, assolutamente, altrimenti… >>

<< Dai, Karil. Proprio perché non ne sapevi nulla non hai motivo di scusarti. Anch’io avrei fatto una domanda del genere. E poi, neanche io so molto di te. E perfino Varin sembra non sapere nulla. Sappi che con me, se vorrai, ogni tuo segreto sarà ben custodito, e… >>

Nella cella a fianco, la porta interna della cella venne spalancata, sbattendo rumorosamente al muro in pietra. Due guardie fecero ingresso ai lati di Amrin, sgargiante e tirato a lucido come se invece di lottare in un’arena fosse stato invitato ad una festa. L’uniforme gli era stata appositamente preparata su misura, gli stivali ben lucidati, e una spada luccicante e nuova di zecca gli pendeva dal fianco sinistro.

<< Salve, ragazzi >> disse sprezzante. << E così ce l’hai fatta Stuzzicadenti, complimenti. Sei arrivato dove nessuno avrebbe mai immaginato… ma io resto ugualmente della mia opinione: tu non vali niente. Ammirevoli i trucchi che hai usato in questi giorni, davvero originali, ma non sperare di cavartela quando mi avrai di fronte sulla sabbia. Te ne farò ingoiare così tanta da non farti più mangiare per tre giorni.

E tu, Cern… se non ricordo male sei stato eliminato proprio per mano sua. Che cosa ci fai in quella cella? Non potresti stare qui… e penso sia meglio che tu te ne vada. >>

<< Hai ragione, è meglio che vada >> rispose Cern. << Sappi però che non lo faccio per te, semmai per Karil. Non vorrei causargli una squalifica qualora mi andasse di spaccarti la faccia. O magari di alzare la voce e farci riprendere tutti e tre, un po’ come ieri. E se non sbaglio quello che rischia qua dentro non sono io… vero, Amrin? >>

Rivolto un cenno d’intesa e uno scaltro sorriso all’amico, Cern chiamò le guardie affinché gli aprissero la porta. Amrin non rispose, soltanto lo guardò mentre usciva dalla cella e scompariva alla sua vista. Poi si voltò e restò in silenzio.

Karil si avvicinò silenzioso alle sbarre della porta, intento a rilassarsi e a non far caso alle noie di Amrin. Vide migliaia di gente fra gli spalti, fremente per la grande finale ormai prossima a cominciare.

Chissà se c’è anche Sara. E chissà cosa penserebbe il Re se mi vedesse lottare. Anche oggi non sarà presente… chissà perché.  Magari il Prefetto gli avrà comunque fatto il mio nome... o quello di Amrin…

Fu proprio il Gran Prefetto a interrompere i suoi pensieri. Alzatosi dalla sua elegante sedia, cominciò a parlare a gran voce al pubblico in attesa. Le sue parole risuonavano fra le pareti circolari dello Stadio, echeggiando sino alle celle dei prossimi sfidanti, gli ultimi a contendersi ciò che per loro valeva più che un titolo di Campione.

 

La folla era in delirio. Il vento non accennava a diminuire, sibilando il suo lamento sottile e incessante. La neve era già quasi un ricordo nonostante il cielo fosse ancora bianchissimo. E il cielo era coperto, minacciando appena di scatenarsi.

Un uomo alto e robusto camminava fra la gente a passo sicuro. Un ampio mantello grigio chiaro lo copriva fino ad oltre le ginocchia, lasciando scoperti i lunghi stivali marroni. La testa china era coperta dal cappuccio del mantello sopra cui pendeva, a tracolla, una piccola sacca in pelle.

<< Ecco a voi allora, signore e signori, i due finalisti >> tuonò il Prefetto. << Che entrino Amrin di Astil e Karil Fìnharel! >>

Lo sguardo dell’uomo si concentrò sulle celle da cui uscirono due ragazzi. Uno era robusto e dall’aria fiera e superba, simile più ad un bambino viziato che ad un futuro soldato. Istintivamente, sperò con tutto se stesso che non fosse la persona che era stato mandato a cercare. Sarebbe stato a dir poco ridicolo. Alla vista dell’altro giovane, però, trasalì. Quei lineamenti, il suo incedere così placido e sicuro, la sua stessa corporatura, così insolita. E soprattutto, gli occhi…

<< Non posso crederci >> sibilò togliendosi il cappuccio. << E’ proprio lui! >>

 

Karil camminava fiero verso il centro dell’Arena. Il vento soffiava impetuoso eppure non lo turbava. Amrin gli camminava vicino, sorridendo verso quel pubblico che fino all’ultimo scontro aveva cercato di rendersi amico con grande senso di recitazione. Molte ragazze strillavano il suo nome, cosa che per un attimo infastidì Karil. Sapeva bene che non poteva lasciarsi distrarre da nulla, neanche dall’arroganza e dalla superbia del suo rivale. Quindi non ci fece già più caso e continuò a camminare.

Arrivati al centro del’Arena, il Prefetto li salutò in nome di tutto lo Stadio così come aveva fatto in ogni sconto precedente, quindi ripeté le regole del Torneo intimandoli a rispettarle. La folla non riusciva a contenersi e continuava ad urlare sulle sue parole. Piccoli e timidi fiocchi di neve iniziavano a scendere dal cielo silente, trasportati dal vento che intanto cresceva.

Per un solo istante, Karil e Amrin si scrutarono. Lo fecero a fondo, quasi che volessero intimorirsi a vicenda. Poi di scatto si scomposero, e all’urlo “combattete”, insieme caricarono.

La loro corsa fu breve ma veloce, le lance puntate in alto e gli scudi in avanti. Non un grido si levò dalle loro bocche, non un lamento, non un passo falso nel loro incedere sicuro. Quando finalmente furono vicini, la battaglia ebbe inizio.

Lo scudo di Amrin risuonò del colpo che Karil gli aveva assestato, accendendo l’entusiasmo della platea. Amrin contrattaccò ma Karil scartò di lato vanificando il suo colpo, poi attaccò a sua volta con veloci affondi ed una serie di finte a cui Amrin prontamente rispondeva. Più e più volte i due si scambiarono colpi che però non li scompose minimamente. E fu così per alcuni minuti. Nessuno dei due sembrava prevalere sull’altro, a dispetto dello spettacolo che decisamente prendeva piede un istante dopo l’altro.

Le cose cambiarono quando Karil, dopo essere indietreggiato di alcuni metri, gettò via la lancia e sguainò la spada. Il suono argentino della lama riecheggiò fra le voci concitate del pubblico mentre nuovi e più grandi fiocchi di neve scendevano a capofitto sul terriccio umido.

Amrin sorrise beffardo. A sua volta sguainò la spada e con uno scatto si fiondò selvaggiamente sull’avversario. Karil piegò le ginocchia, levò in alto la spada e brandì in avanti lo scudo, pronto a difendersi. L’impatto fu forte e il pubblico sussultò. In preda all’impeto, i due Cadetti ripresero a lottare con rinnovata frenesia. Karil scartava e parava ogni colpo che con forza e decisione Amrin sferrava senza quasi respirare. La sua tecnica era notevole ma Karil non era disposto a cedere. Attese pazientemente che Amrin si stancasse. E quando ciò avvenne, finalmente attaccò.

Era una furia. I suoi colpi erano violenti, più di quanto lui stesso si sarebbe aspettato. La sua spada sembrava fluttuare prima di scagliarsi con violenza sull’inerme avversario, ridotto ormai ad un semplice bersaglio. Quella furia era intrisa di ricordi, rancore, rabbia, delusione. E un vento impetuoso sembrava accompagnarli come per assistere Karil nella sua tenacia. Amrin faticava a difendersi e temeva che il suo scudo si sarebbe spezzato da un momento all’altro.

<< Questo è per Nemjir >> disse Karil rabbioso. << Questo è per Cern! E questo per tutte le volte che mi hai preso in giro! Prendi questo, questo, e questo! >>

La sua furia era incontrollabile ed Amrin era sfinito. Non avrebbe retto a lungo alla cieca rabbia che intrideva gli attacchi e gli stessi occhi di Karil, di un verde adesso così intenso che Amrin quasi credeva di perdercisi dentro. Nulla sembrava poterlo fermare, neanche la neve che ormai cadeva fitta sull’Arena e che rendeva lo spettacolo ancor più entusiasmante. Sentiva già la vittoria pervaderlo fino alle ossa, il suo sapore dolce ottenebrargli il gusto, la sua brezza inebriarlo, il suo calore confortarlo.

Ad un tratto, però, Karil si bloccò. Amrin, che già s’immaginava a terra sanguinante, lo guardò stupito. Il pubblico ammutolì mentre il vento aumentava d’intensità. La spada di Karil era ancora levata in alto per un ennesimo affondo. Il suo volto era come di pietra, gli occhi serrati e del tutto inespressivi. Sembrava che stesse sognando o che qualcosa da dentro lo trattenesse dal muoversi, respirare, perfino pensare.

Ma che cosa?... cosa mi succede?...

Una fitta allo stomaco lo costrinse a piegarsi per il dolore e la vista gli si annebbiò. Un colpo sordo alla spalla e poi alla mano lo fece sussultare, ma non poté vedere nulla. Si accorse soltanto di essere caduto e aver battuto la testa fra le urla insoddisfatte del pubblico. Il buio lo avvolse nel suo abbraccio silenzioso.

Una sagoma cominciò a formarsi nel caos che lo sovrastava. Fu allora che la vide. I suoi occhi viola erano circondati di lacrime. Una donna così bella da mozzargli il fiato. Poi sprofondò di nuovo nel buio con ancor più intensità, tremante per il freddo e per il vento gelido.

 

L’uomo incappucciato vide Karil steso a terra, immobile e privo di sensi. Lo guardava con sconcerto mentre immagini nella sua testa si mischiavano alla realtà e voci lontane e misteriose s’insinuavano fra i suoi pensieri. Sì sentì mancare complice anche una fitta che gli opprimeva lo stomaco.

Dopo un po’ tornò in sé, scuotendo il capo. D’istinto si ricoprì la testa ed in fretta si mosse verso le uscite. Si assicurò di non essere stato visto o seguito, quindi cominciò a correre, convinto finalmente di aver trovato ciò che stava cercando.

 

Karil si svegliò al caldo, la testa pesante e dolorante. Non sapeva dove si trovava, né cosa fosse successo. I ricordi erano confusi e la sua mente affaticata. Lo stomaco era in subbuglio e non riusciva a muoversi, bloccato com’era in quello che credeva fosse un letto.

Una mano si posò sulla sua fronte. Sussultò per la sorpresa.

<< Stai tranquillo, Karil >> disse una voce dolce e familiare. Era Merion. << Ti trovi in Accademia, in infermeria. Non ricordi niente? >>

Karil scosse la testa, incapace di parlare e gli occhi privi di sguardo.

<< Va bene, non è importante. Ciò che conta è che riesci a sentirmi. Cern starà con te per tutta la notte nel caso avessi bisogno di qualcosa. Fra poco arriverà ma ti consiglio di rimetterti subito a dormire. Sogni d’oro. E, mi raccomando, riposa. >>

Nonostante la vista fosse annebbiata, Karil per un attimo riconobbe il volto di Merion che gli sorrideva, gli occhi castani che lo guardavano con tenerezza ed amore.

D’un tratto si ricordò di Sara e del loro incontro in corridoio. Gli occhi Sara, tanto simili a quelli di Merion, tornarono nella sua mente e per un attimo lo fecero sorridere. Finché il sonno poi lo sopraffece, e strani muri sconosciuti cominciarono ad attorniarlo.

 

La cella era fredda. Neanche una finestra la illuminava all’infuori della blanda luce che giungeva dalla porta aperta. Un’enorme figura che la ragazza conosceva bene si ergeva ai suoi piedi, ammonendola col suo sguardo profondo.

<< Alzati, Scricciolo! Non perdere altro tempo, il Signore sta aspettando. E non sarà di nuovo cortese con te come tutte le altre volte. Alzati, ho detto! >>

<< Perché dovrei obbedirti, bestia? Ormai non potete farmi più male di quanto me ne avete fatto finora, ed io non temo altro dolore. Quindi non scaldarti tanto. >>

<< Lo vedremo, Mezz’elfo, lo vedremo! >>

La bestia la prese per un braccio e senza alcuna fatica l’alzò da terra. Il suo corpo robusto e muscoloso sovrastava quello della donna, palesemente ridotta ad un mucchio d’ossa ambulante. Una leggera cotta di maglia ricopriva il busto enorme lasciando scoperte soltanto le braccia, possenti e glabre.

<< Adesso verrai con me e non dirai una parola o sarà peggio per te. >>

I capelli della ragazza le coprivano il viso. Il loro biondo un tempo chiaro adesso era spento più che mai, quasi che la fame e la stanchezza si riflettessero in quel modo. I suoi occhi color del ghiaccio fissavano inermi il pavimento mentre la bestia la trascinava verso le scale al di là della cella. La rampa era lunga ma lui non l’alzò da terra, facendola sbattere di qua e di là ad ogni gradino.

Finito quel tragitto che per la donna era sempre parso infinito per mesi, la bestia la trascinò ancora lungo un corridoio.

La bestia lasciò la presa e aprì un’enorme porta alla fine del corridoio. Caricandosela poi su una delle enormi spalle, entrò a passo deciso in quella che ormai la ragazza conosceva come la Sala del Trono. Una luce oscura inondava la stanza senza spargere calore ed il freddo che lì dentro era insopportabile la fece tremare.

Devo resistere… a qualunque costo.

<< Finalmente, Kren >> disse una voce dal fondo della sala. << Se soltanto io potessi dormire adesso lo starei facendo, visto quanto hai impiegato ad arrivare. Dì un po’, ti sei forse rammollito? >>

<< Signore, la prigioniera si ostinava ancora a non eseguire gli ordini e sono stato costretto a trascinarla fin qua. Se fosse stato per me, io... >>

<< Cosa? >> urlò l'altro. << Tu… cosa? Sai bene quanto detesti i ritardi e chi non rispetta i miei ordini. Non hai adempiuto ai compiti nei termini che avevo stabilito. Come pensi che dovrei rimediare, adesso? >>

Un brivido di terrore colpì Kren che cominciò a tremare. << Ma Signore, io… >>

<< Tu, tu e ancora tu! Non hai il diritto di pensare, riflettere, agire senza che io lo abbia deciso per te! Ti torturerei se non mi servissi in questa guerra ormai prossima a cominciare. Vuoi forse sfidarmi, Kren? >>

<< No, mio Signore, non mi permetterei mai! Come potrei… >>

<< Adesso basta! E tu, Mezz’elfo, vedi di collaborare o rimpiangerai con amarezza tutto il dolore che hai passato finora. So cos’hai detto a Kren nella cella. Dunque non temi di soffrire e non sei tenuta ad obbedire a ciò che ti viene ordinato. Ebbene… da ora faremo sul serio, ragazzina. Portatemi dell’acqua… subito! >>

D’un tratto apparve un Goblin. Correva verso il trono reggendo un vassoio d’argento. Arrivato ai piedi del trono versò dell’acqua in un bicchiere da una piccola brocca, entrambi di vetro. La presa sul bicchiere gli mancò e il fragile utensile franò sul marmo nero del pavimento. Il terrore lo invase e cominciò a tremare, chiedendo scusa mentre in ginocchio raccoglieva i cocci sparsi per terra.

Un raggio rosso penetrò l’oscurità dal trono lo colpì in pieno, sbalzandolo lontano. Subito dopo, un altro raggio viola lo colpì. Un alone bianco lo rivestì da capo a piedi e ad un tratto cominciò a fluttuare. La ragazza non si scompose, ancora stretta nella morsa di Kren che con occhi sgranati attendeva l’inevitabile.

<< Che sia di monito a entrambi. I miei ordini devono essere eseguiti e chi non li rispetta sarà punito. In base al valore di chi trasgredisce, la pena sarà adeguata. Quindi, piccolo insetto… addio. >>

Silenzioso e letale, un nuovo raggio violaceo investì il Goblin. Il suo corpo fremette come se una forza dal suo interno rischiasse di uscir fuori da un momento all’altro. Pian piano cominciò a gonfiarsi, sempre di più e innaturalmente. Finché poi, con un botto tremendo, esplose. I suoi resti si dissolsero nel nulla come se il suo corpo non fosse mai esistito, e il silenzio tornò a regnare sovrano con la sua pesantezza.

Kren ebbe un fremito, poi si ricompose gonfiando il petto. La donna, troppo stanca per reagire, si lasciò andare sulla spalla della bestia che la stringeva ancor più forte, e nel giro di pochi secondi si addormentò esausta di un sonno inquieto e senza sogni.

 

Karil si svegliò, madido di sudore e ancora senza forze. Al suo fianco, Cern dormiva profondamente, la testa poggiata sul letto sotto le braccia robuste. La stanza era adombrata e appena baciata dai timidi raggi di una luna nascente.

Dopo un po’ di esitazione il giovane si rilassò. Troppo stanco e assonnato, non poté fare a meno di richiudere gli occhi. E in un attimo si riaddormentò.

  
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