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Autore: Dernier Orage    05/08/2012    1 recensioni
Seguito di No Human Can Drown.
Michelle richiedeva le coccole del padre quanto Louise tendeva ad esasperarlo. Forse era genetico oppure una questione di abitudini; Annik Alunir, la nonna delle bambine, trovava come spiegazione la massima “non si sa quale forma possa prendere un desiderio, può manifestarsi in un figlio concepito pensando involontariamente ad un’altra persona” – Stéphane era certo che la madre se la fosse inventata. Quando andava a prendere a scuola la figlia minore tendeva ad accontentare ogni sua richiesta di soste lungo i giardini, tazze di cioccolata calda alla ricerca di un café che le accompagnasse con un piattino di caldi churros.
Genere: Generale, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'No Human Can Drown '
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Your Smile and the Other Lies





La chaumière entrata quasi per caso tra i possedimenti dei Blanchard de la Roche riceveva almeno due volte all’anno la visita di un’impresa di pulizie del paese; i dipendenti controllavano inoltre le condizioni del tetto, delle cisterne e dell’impianto elettrico e, nel caso qualcosa andasse riparato, il capo si adoperava per contattare la domestica della signora Marguerite, o, almeno, fino alla morte di quest’ultima.
Il rustico casolare era stato più volte meta delle fughe romantiche delle zie di Ismaël e poi dimenticato con l’avanzare dell’età, con l’acquisto di un paio di appartamenti per le vacanze nei pressi di Sète, con la famiglia che via via si sgretolava, i cugini di Ismaël che si trasferivano all’estero, i figli che evitavano ogni contatto con i genitori, lo spopolamento delle campagne aveva condotto l’idea stessa del possesso di una chaumière in un angolo remoto della mente. In fondo, chi mai vorrebbe rimanere da solo in una casa isolata, dove l’aria è troppo calda d’estate e si congela in inverno?
Il tutto era in ottime condizioni e perfettamente funzionante; una discreta carta da parati dal perlato color avorio e beige leggermente smorzato con una puntina di bianco, un parquet chiaro e lucido di cera. La cucina non era particolarmente accessoriata e le guarnizioni tra le piastrelle erano scure, pentole e stampi da bavarese in rame brillante, i ripiani e il lavabo in marmo. Il soggiorno caratterizzato dai ruvidi tappeti ormai arrotolati ad un lato della stanza per non farli rovinare dalla polvere e dal tempo, un salottino coloniale: una poltroncina di vimini, una sedia a dondolo ed uno scomodo divano sparsi attorno al camino.
L’aria intrisa di polvere e trattenuta dalle imposte serrate rendeva difficile il respiro.
- Andate a comprare qualcosa di commestibile, tutta questa polvere non fa bene a Michelle.- Aveva borbottato Ismaël con la voce impastata dalle ore di sonno durante il viaggio. Avevano percorso l’A11 Paris – Nantes, Stephane non sapeva di preciso se era meglio quella o l’A10 Paris – Bordeaux, i chilometri erano più o meno gli stessi, si era affidato al nome più suggestivo; L’Océane invece che L’Aquitaine, e comunque il tratto fino a Le Mans lo conosceva bene dato che era quello percorso dalle quattro alle dieci volte all’anno destinazione Brest. Nel bagagliaio due zaini da escursionismo, quattro sacchi a pelo, due latte di frutta sciroppata, qualche vestito e biancheria di ricambio.
Stéphane non sapeva cosa pensare di quella casa, di quello che aveva ospitato dentro al ventre. Le interminabili estati dell’uomo che amava, quel poco che gli aveva raccontato sulle figlie dei vicini, le corse a cavallo, il calpestare le spighe di grano. Le prime sigarette, i filari di bandiere colorate alle feste di paese e ai balli dei vigili del fuoco del Quattordici Luglio. Poteva immaginare l’afa e la noia, il sollievo tra le pagine di un libro ed un bicchiere di limonata o di sciroppo di menta, magari i giochi con la canna dell’acqua di Neven.
Mura, campi ed alberi che avevano riportato, ai primi di settembre dei quattordici anni di Stéphane, un Ismaël capace catastroficamente di far battere il cuore a mille e girare la testa, mentre avanzava con un piede sul pedale della bicicletta, l’altro a scivolare sull’asfalto, una sigaretta sfrontata tra le labbra. La pelle chiara da sfondo alle lentiggini sui gomiti e sulle spalle, comparse a causa del sole.
Louise correva appresso a Michelle, cercando di afferrarla, di fare i turni - cento metri per una, sul monopattino trovato abbandonato nel pendio di un canale; Stéphane camminava distratto, le mani nelle tasche della giacca, la sciarpa allentata per l’aria tiepida sotto il sole pallido. Il paese era un agglomerato di case attorno alla piazza principale, si allungava per qualche isolato nei pressi dell’arteria stradale, in entrata ed in uscita.
C’erano le serrande abbassate di un ferramenta e idraulico, un parrucchiere e barbiere, una cartolibreria, e quelle aperte di un edicola, un bar ed una boulangerie - da Stéphane in Francia evitate, visto che non tollerava di dover ordinare il pane in chili, che senso aveva poi? Una persona mangia una pagnotta o un panino, mica cento grammi di pane.
Avevano visto le indicazioni per un supermarket, dans 50 mètres tournez à gauche. Sotto lo sguardo e l’accento slavo della proprietaria, mentre elencava ed indicava prodotti sugli scaffali sguarniti, e la lista della spesa tra le mani di Stéphane, le bambine aveva recuperato un pacco di farina di grano saraceno, un pacco di riso, lattuga, passata di pomodoro, una retina di patate ed una di arance, quel che bastava per quattro pasti. Erano tornati a casa affrettando il passo, distinguendo chiaramente le sagome curiose e diffidenti dietro le persiane.

Ismaël cucinava con accortezza, con precisione, con la concentrazione di un alchimista, seguendo le indicazioni e le quantità alla lettera; aveva imparato per necessità con dei libri di ricette. Con una tazzina di caffè misurava la farina di grano saraceno, quattro tazzine e la lasciava tostare, l’olio, una tazzina e mescolava accuratamente, l’acqua, dodici tazzine e continuava a mescolare fino a bollore. Aveva servito in delle ciotole una crema liscia e profumata dei grani rossi di pepe e delle foglioline di menta di cui era cosparsa.
- Che vino?- Domandò Stéphane finendo di apparecchiare sul marmo del muretto che divideva la cucina dal soggiorno. Quattro tovagliette di legno di bambù, le posate, le tazze con il the alla menta, due calici dallo stelo lungo e sottile e la coppa tonda.
- Un Gewürztraminer o un Bousquet-Sauvignon.- Ismaël aprì la finestra e si sporse per fumare una Dunhill International. La terra scura risultava divelta dalle forti piogge, declinava piano verso gli alberi da frutto e verso il bosco. Il primo pomeriggio era silenzioso e terso, la noia sulle fronde dei meli e dei peri.
- Pensa a come sarebbe aggiungendo un tappeto elastico sulla sinistra, magari una piscina dove non c’è molta pendenza. L’erba tosata, uno scivolo al limitare del bosco. So che certe cose non andrebbero date per scontate ma anche le ragazze prima o poi…- Ismaël inizialmente non si era reso conto della presenza di Stéphane alle proprie spalle, piano gli aveva circondato i fianchi con le braccia. Pensava ad altro, pensava a quello che aveva vissuto, la piccola stanza della domestica al piano superiore, incastonata tra la sua camera, quella del fratello ed un bagno. La leggera colla sulle etichette dei barattoli di marmellata, le riviste della madre.- Su un giornale spiegavano che la cassa con la sabbia, i giochi per i bambini piccoli, vanno posizionati vicino alla veranda, un giardino floreale e poi, confusi tra la boscaglia, i giochi per i più grandi, nel fermento dell’esplorazione. Statue, una casa sull’albero, un tempietto monoptero.-
- Parlane con mio fratello. Posso cederti la mia metà ma non verrò a vivere qui.- Aveva commentato gelido Ismaël.
- Era solo per parlare.- Stéphane si offese e cerco di non darlo a vedere. Fingere la leggerezza con una scrollata di spalle era semplice, molto meno se la pelle di Ismaël scottava e lo sguardo scrutava oltre gli intricati rami delle siepi invernali.
- Perché qui? Perché così grande? Se vuoi una casa delle vacanze potresti guardare gli annunci per Plougonvelin o Locmaria-Plouzané.- Ismaël aveva ammorbidito la voce e si era voltato a guardarlo, sorridendo amaro. La rabbia di Stéphane si sciolse quando l’altro gli sfilò gli occhiali per capire l’entità della tristezza.- Scusa. In ogni caso, scusa. Complico sempre ogni cosa.-
- Si raffredda, vieni.- Stéphane fece per accompagnarlo, per poi vederlo sfuggire, chinarsi verso il camino e smuovere la brace con l’attizzatoio. Complicava ogni cosa, negli ultimi periodi si contendeva con il libro in cantiere il primato come maggiore causa di nervosismo, sarebbe stato perfetto in una dimensione ultraterrena e al di là dei doveri, del lavoro. Chiunque vorrebbe bastare a se stesso e non avere la necessità dell’amore altrui, dell’aiuto. Stéphane nella rabbia passeggera, negli stati di agitazione, l’insonnia e lo stress, vedeva, nascosti in ogni piega, difetti e critiche, lati che in passato l’avrebbero fatto sorridere lo urtavano e snervavano.
Aveva provato ad andare da uno psicologo per un paio di mesi, principalmente per riprendere a scrivere, se non meccanicamente sulla tastiera del computer o con una mina a graffiare la carta, almeno per ritrovare la fluidità nel pensiero, una sorta di scrittura interiore.
Lo sguardo di quell'uomo cinquantenne, con pochi capelli e molti chili, era penetrante e indagatore, in contrasto con il sorriso sul volto. Poneva poche domande, ascoltava e prendeva appunti dall’altro lato della scrivania, Stéphane aveva raccontato le sue teorie sulla prima infanzia, le bugie dei nonni, la scoperta che fino ai sette anni era stato lontano dalla madre perché lei nel frattempo aveva portato al termine un’altra gravidanza e aveva sepolto una figlia per un caso di meningite batterica, aveva parlato dell’amore per la madre, di quanto fosse fiero di lei e di come lo aveva cresciuto, degli errori che stava facendo lui stesso nei confronti della figlia maggiore, di come anni prima aveva sentito le bambine parlare della madre come une mauvaise mère e lui aveva fatto vedere loro le foto, aveva cercato di ricordare qualche aneddoto, qualche cenno d’amore materno da raccontare, spiegare che non era malvagia, semplicemente non si era sentita di crescerle perché erano bimbe troppo speciali, invece di chiamarla madre cattiva era meglio non chiamarla madre ma col suo nome, Mojca.
Aveva parlato di Ismaël, di come accettasse il tradimento solo nei confronti di Marc e di come ogni promessa, ogni fedeltà, non era stata fatta alla coppia ma alla famiglia, della vita in comune, del far colazione allo stesso tavolo e poterlo baciare prima che andasse a lavoro. Aveva accennato al contratto firmato l’anno prima, di come fosse stato automatico e di come non gli avessero attribuito lo stesso valore di alcuni loro amici, alla stregua di un matrimonio con cerimonia ed invitati. Avevano semplicemente portato un dossier composto dai documenti richiesti, gli estratti di nascita, le dichiarazioni sugli stati civili, l’attestato di residenza, gli incartamenti del divorzio, una richiesta scritta al mairie du 14e, il municipio a cui facevano riferimento, avevano preso appuntamento e qualche settimana dopo, avevano firmato per il PACS. Due anni dopo avrebbero cominciato a pagare meno tasse.
Se litigavano, poteva pensare che fossero i postumi delle sedute dallo psicologo, o forse illudersi, nell’arduo compito del cernere le intenzioni reali dagli stati mentali e condizionamenti.

Ismaël non dormiva, immobile attendeva il sonno, inerte, nella luce calda le labbra si confondevano con la pelle, statico tra gli arredamenti coloniali nella casa rustica, inane e fuori dal tempo. E la cerniera premeva contro le caviglie di Stéphane infastidendolo; trovava conforto nell’accarezzare le gambe di Ismaël, lasciar scorrere le mani dalle ginocchia ai fianchi, lentamente, tranquillamente, tutta la notte.
Era piacevole non dormire, attendere qualcosa, insieme, anche se persi in altri mondi ed in altri pensieri; Stéphane aspettò che il respiro di Ismaël si facesse meno controllato, basso e rarefatto tra i rumori della notte, nel buio fremeva e tremava e viveva un sonno tormentato, dilaniato nella totale incoscienza.
Il crepitare del fuoco era una nenia sottile e confusa, il vento fuori dalle finestre scuoteva gli alberi e faceva scricchiolare la casa come un tamburo di ossa di una danza macabra. La tempesta infuriava, danzava attorno al fuoco, bellezza indiana, spettrale, di colera ed altre infezioni – non i suoi occhi ma le sue vertigini, i suoi incubi.
Stéphane aveva assistito al risveglio notturno di Louise, l’aveva consolata e osservata riempire bicchieri d’acqua da tenere vicino al cuscino. La sua bambina - detestava le sue scenate di gelosia ed invidia, le ripeteva sovente che le amava allo stesso modo ma che Michelle non l’aveva mai seguita altrettanto, mai considerata a quel livello, non le dedicava tutto il tempo che aveva dedicato a lei. Bastava che guardasse le decine di album di sue fotografie nei primi anni di vita in confronto al paio della sorella.
Una sua piccola vittoria, l’esser riuscito a farle conoscere la noia piacevole, i giochi autogestiti, il valore attribuito e quello reale degli oggetti nella prima infanzia e potersi permettere di viziarle un pochino mentre bambina si confondeva a ragazza, nella sua maniera buffa e bizzarra, qualcosa di simile agli occhiali rotti dello Stéphane undicenne, addormentato su un banco di scuola.










   
 
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