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Autore: wrjms    05/08/2012    5 recensioni
Bip. Bip. Bip.
Voci lontane, ovattate.
«Nome?»
«John Watson».
«Tasso alcolico?».
«Uno su mille».
«Cos’è successo?»
«Incidente stradale».
**
Freddo, di nuovo. Freddo nelle vene, freddo nella testa, freddo nel cuore.
«John».
In quel momento Sherlock mi prende la mano fra le sue, ne sfiora le falangi con improvvisa delicatezza, quasi temesse di vedermi sgretolare sotto un tocco troppo intenso. Assaporo il momento, senza muovere la mano.
«John, ho paura».
Le sue parole mi colpiscono il cuore, e ciò mi fa più male di quanto mai potrebbero fare le sue mani.
Sherlock ha paura.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I don't have friends. I've just got one.'
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Mentre Sherlock Holmes  saliva sul tetto del St Bartholomew's Hospital, non aveva rancore.
Non era mai stato il genere di persona solita a lasciarsi andare alle emozioni; tuttavia, dopo la morte di John, perfino ogni più minima traccia di sentimento rimasta in quel mutevole cuore era scomparsa del tutto.
John era morto.
Eccola lì, l’unica certezza a cui aggrapparsi e al contempo la più crudele al mondo. Sherlock era riuscito ad esternare tutto il suo dolore, sì, ma ciò non significava che il vuoto dentro il suo cuore fosse facile da sopportare.
Un passo, un altro. Sherlock era a metà del tetto, ormai, sentiva il vento gelido che sferzava sulle sue guance pallide.
Con muta desolazione, Sherlock Holmes si avvicinava al bordo del tetto.
Ogni oggetto intorno a lui, un ricordo. Ogni ricordo, una frustata al petto.

Pioggia.
La pioggia cadeva fitta, eppure Sherlock Holmes si dileguò dal 221B senza prendere l’ombrello.
«Dove vai?». L’urlo di John echeggiò per la stretta e angusta scalinata, una domanda piena di curiosità e incredulità che Sherlock non vedeva l’ora di sentirsi porre.
«Piove, non vedi?».
«… E?».
«Oh, John, i tuoi passatempi sono così noiosi! Come fai a non capire?».
Il dottore lo aveva osservato scomparire di nuovo sulla scalinata e, un po’ irritato ma ancora incuriosito, si era affacciato alla finestra per sbirciare il suo strano amico.
Lo aveva guardato passeggiare allegramente come non mai, ignorando un taxi e affondando le scarpe scure nelle pozzanghere, infangandosi come un bambino.
I suoi riccioli scuri erano ormai fradici quando, con totale nonchalance, aveva alzato il capo verso di lui. «Vuoi venire con me o preferisci rimanertene rinchiuso a  fissarmi  da quel buco di casa per il resto della serata?».
E John, divertito e stizzito al tempo stesso, non aveva potuto far altro che scendere per accompagnare il suo amico in quella buffa passeggiata sotto la pioggia.

La pioggia aveva iniziato a cadere anche in quel momento, mentre Sherlock ricordava con nostalgia l’euforia datagli dal temporale e la sensazione di avere lo sguardo di John addosso a sé.
Plink. Una goccia sul viso.
Plink. Un’altra goccia.
Quelle che seguirono la scia della pioggia sul viso, però, erano lacrime di vero dolore.

Uno scricchiolio.
«Lo segua, dannazione, lo segua!».
Mentre il taxi del consulente investigativo e del suo fidato dottore ripartiva sgommando via nel fracasso delle ruote sulla pioggia, il colpevole rideva clamorosamente.
«Dannazione, dannazione, dannazione!».
John Watson non si era mai lasciato prendere così tanto da un caso. Solitamente era Sherlock quello  dei due che aveva quel genere di reazioni, ma… Andiamo, quel bastardo dell’assassino era riuscito a svignarsela sotto i loro occhi dopo tutta la fatica che avevano fatto per smascherarlo attraverso i suoi trucchetti!
Sherlock aveva per un momento frenato la sua esaltazione, soffermandosi ad osservare qual John così esuberante. Era uno spettacolo per i suoi occhi vergini di reale divertimento e, a sorpresa, non riuscì a trattenersi dallo scoppiare in una fragorosa risata, facendo fermare il tassista.
John lo aveva fissato, incredulo. «Che…?».
«Sei così buffo, John!», rise, imbarazzando John come non mai. «Sei quasi più interessante del caso!».
Prima  che John avesse potuto ribattere, il criminale aveva fatto fermare il suo taxi e si era messo ad imprecare.
«Diamine, per una volta che mi divertivo...e voi decidete così di smettere di prestarmi attenzione? Andate tutti a farvi fottere, magari insultare le guardie carcerarie sarà più divertente, razza di fifoni!».
E i due, dopo le sconvolgenti parole dell’assassino, non avevano potuto fare altro che scoppiare a ridere insieme.

Mentre ascoltava con poca attenzione le imprecazioni del passante appena infradiciato dall’accelerare di una macchina, Sherlock faceva di tutto per continuare a ricordare. Ricordare, sì, perché per quanto potesse fare male, dimenticare rimaneva comunque l’ultima cosa che in quel momento avrebbe voluto fare.

Caffè.
L’odore di caffè appena fatto lo svegliò quella mattina dopo che, come John aveva predetto, si era addormentato alla scrivania mentre lavorava.
“Crollerai prima delle due”, lo aveva preavvisato il dottore, ignorando le frasi di diniego del consulente investigativo. “In tre giorni avrai dormito sì e no sei ore. Prima o poi non ce la farai più, vedrai”.
“Bazzecole!”, aveva mormorato, nonostante stesse faticando per tenere gli occhi aperti.
«Quanto ho dormito?», biascicò imbarazzato dal torto, alzando svogliatamente il capo dal legno freddo della scrivania.
Ogni suo muscolo implorava pietà, dolorante e acciaccato per la scomoda notte appena passata.
«Oh, non molto… una decina di ore o giù di lì».
Sherlock era balzato in piedi, in collera con sé stesso e senza osare buttare l’occhio all’orologio a muro. Si sentiva furente per aver sprecato così tante ore che avrebbe potuto impiegare per qualcosa di utile.
«Dannazione a me e ai miei bisogni umani!», esclamò. «Perché diamine dobbiamo dormire? Che senso ha, che utilità ne posso trarre? Dormire è così noioso, e…».
«Tieni qua, sommo genio furente».
«Cos… oh». Il detective, improvvisamente calmo, afferrò la tazza fumante di caffè dalle mani del dottore. John… gli aveva preparato… il caffè?
«Uh, grazie», mormorò mentre, colto dalla gentilezza racchiusa in quel gesto, sorrideva imbarazzato. La rabbia era già un minuscolo, lontano ricordo.

L’asfalto sembrava sorridergli dal basso quando Sherlock posò i piedi sul cornicione per completare la sua opera.
«Non avere fretta», mugolò al vento. «Sto arrivando».
Ma, mentre pronunciava quelle parole, i suoi pensieri erano tutti rivolti a John.
Sherlock non sapeva come funzionavano quelle cose.
Avrebbe dovuto pregare per la sua anima? Chiedere perdono a Dio? Lasciare un messaggio ai suoi cari?
Non conosceva preghiere e sapeva che ogni tentativo di redimere le sua anima sarebbe risultato vano, perciò si concentrò sull’ultima frase.
Con chi avrebbe dovuto parlare, a chi avrebbe dovuto mandare un messaggio?
Mycroft? Lestrade? Mrs. Hudson?
C’era una sola persona a cui avrebbe voluto mandare un messaggio, prima di morire.
«John, scusami», pigolò, vicino alle lacrime. «Scusami, perché non ho rispettato la promessa».
Una sola fugace occhiata al cielo, e Sherlock si lasciò cadere nel vuoto.

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Angolo Autrice
Buongiorno a tutti!
Eccoci qua. Siamo già alla fine della storia, già all’epilogo, già a quello che solitamente finisce con un “e vissero sempre felici e contenti”.
Mi piace lasciare ai miei lettori la possibilità di riflettere sul finale, e magari di idearne uno nuovo. Lascio alla vostra immaginazione il finale di questa storia: tragico, senza via di scampo, una morte inutile? Oppure John e Sherlock si ritroveranno in paradiso, sempre ammesso che ne esista uno? O Sherlock in qualche modo di salverà e si rifarà una vita?
A voi la scelta.
Mi è costato caro “ucciderli” entrambi, perché amo questi due personaggi da morire e io stessa ogni volta che mi riguardo Reichenbach sono sull’orlo delle lacrime, benché ogni volta io sappia che Sherlock sopravvivrà. Ma questa storia si è evoluta da sola nella mia mente senza che io potessi avere voce in capitolo, ed eccone qua il risultato.
Questo capitolo è lievemente più OOC dell’altro: ho inserito un po’ più di Johnlock nei ricordi. Però stavo pensando di trasformare ogni ricordo in una one shot un po’ più lunga, e magari di inserirle in una raccolta. Cosa ne pensate?
Passiamo ai “grazie”, che non devono mancare mai!
Grazie ad ogni persona che è passata di qua, grazie per chi ha recensito, per chi ha seguito/preferito la storia, per chi ha letto in silenzio e anche per chi vorrebbe insultarmi per ciò che ho scritto.
Grazie a amici che mi supportano sempre su EFP, grazie a quelli che si fanno leggere la mia storie durante le serate estive, grazie a quelli che con un sorriso mi danno più sostegno morale di quanto tanta altra gente faccia.
Grazie di sopportarmi, soprattutto.
Grazie di tutto. Non smetterò mai di ringraziarvi.
WaryJMS

 

   
 
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