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Autore: Black_Eyeliner    06/08/2012    3 recensioni
Il vento si sollevò ancora ma, insieme al sorriso di Mikoto, il profumo rimase ed ora, Itachi pensò, aveva anche lui un nome.
Sasuke, sillabò tre volte, sorridendo a sua volta.
[Uchihacest]
[One-shot]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Itachi, Sasuke Uchiha
Note: Lime, Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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#5 – Scent of a dead flower

 

Il sorriso di Sasuke era una delle cose che appartenevano a suo fratello che Itachi non avrebbe mai dimenticato. Radioso nella sua rarità e prezioso perchè lo sapeva che mai più gli sarebbe stato concesso il privilegio di rivederlo. Ma non perchè Sasuke non gli avrebbe mai più sorriso, ma perchè Sasuke non avrebbe mai più sorriso, a nessuno.

Se questo da una parte egoisticamente lo rincuorava, perchè si era ritenuto fino a quel momento l’unico in grado di meritarsi il sorriso di Sasuke, dall’altro una lacrima gli solcò silenziosamente il volto: Sasuke era implorante, ai suoi piedi.

Stava ansimando, stava piangendo e singhiozzando.

Inginocchiato fra i corpi senza vita di tutti, parenti, affini, amici e conoscenti, stava lottando strenuamente  per mantenere il grezzo Sharingan che si era appena sviluppato nei suoi occhi tumidi e traboccanti di lacrime. Di solito quando un bambino o un ragazzo riusciva ad attivare per la prima volta lo Sharingan era una gran festa: tutti lo acclamavano e gli porgevano le congratulazioni ed era un giorno di gioia, il primo passo verso la maturità. Invece Sasuke avrebbe per il resto della sua vita ricordato il giorno in cui aveva sviluppato lo Sharingan come il giorno più doloroso della sua esistenza.

Itachi guardò ancora Sasuke negli occhi; quell’unico tomoe gli ispirò un commisto di tenerezza e tenacia, la stessa combinazione di fragilità e determinazione che da sempre avevano reso ai suoi occhi Sasuke la perfezione in persona.

Se avesse saputo la verità, forse davvero Sasuke, con la sua purezza, sarebbe riuscito a far cambiare idea ai facinorosi del suo clan, a sua madre, a suo padre, a tutti. Ma Itachi, pur possedendo questa certezza, non aveva voluto, nè potuto riconoscerla come tale, preferendo privarsi per sempre dell’amore di suo fratello, piuttosto che mettere a repentaglio la sua vita.

E così una volta che Sasuke fu svenuto, esanime e ancora singhiozzante, Itachi si ricordò dell’usanza di festeggiare e congratularsi coi giovani rampolli Uchiha alla prima attivazione dello Sharingan. Si avvicinò al fratello con passo titubante, l’osservò con attenzione; illuminato dal fievole riverbero latteo della luna, gli sembrò ancora più pallido e ancora più bello, così come gli sembrò di esserne innamorato perdutamente, più che mai e da sempre. Si chinò adagio su di lui e cambiò un po’ l’usanza.

Gli accarezzò le guance e, coi pollici, asciugò le lacrime che continuavano a solcargli il viso seppure nell’incoscienza e alla fine lo baciò, appassionatamente, sulla bocca, ma senza violarla.

-Congratulazioni per il tuo Sharingan, Sasuke.

Gli sussurrò sulle labbra ed infine davvero insinuò la lingua fra di esse e lo baciò ancora, e ancora.

Lo baciò piangendo, in bocca, non come si fa con un fratello, ma come si fa con un amante; e più lo baciava, più stringeva fra le mani la terra per non toccarlo, per rimanere lì e non lasciarlo ancora.

Alla fine gli poggiò i polpastrelli del medio e dell’indice sulla fronte e lo lasciò per davvero, memorizzando la scia, più matura e finalmente completa, del suo profumo.

Perchè fino a quella notte, Itachi non aveva mai saputo che persino l’odore delle lacrime, della paura e del dolore di Sasuke erano dolci.

 

 

 

 

#6 – Scent of the pine, you know how I feel

 

Il ritorno, con tutta la malinconia e la disperazione che racchiude in sè, è lo scotto da pagare per chi una volta ha deciso di andarsene.

 

Itachi aveva previsto lo strazio che ritornare nel suo paese natale sotto la luce del sole gli avrebbe procurato, e per questa ragione si era messo in viaggio di notte, quando solo la pallida luce lunare avrebbe potuto rasserenare un poco il suo dolore.

 

Kisame si stiracchiò, sbadigliando sonoramente; poi, indolente, incrociò le braccia dietro la testa, seguendo il compagno.

-Non capisco perchè hai dovuto optare per quest’ora così infelice.

-Volevi che ci scoprissero subito, Kisame?

-Tanto ci scopriranno comunque.

Diplomaticamente, Itachi preferì il silenzio a una risposta superflua, che avrebbe fatto lo stesso rumore dei loro passi nella fitta nebbia del mattino: nessuno.

Oltrepassate le porte del villaggio, lui e Kisame si arrestarono, esitando sulla decisione di che strada prendere per destare il minor scalpore possibile.

In realtà era stato Itachi a fermarsi per primo, perchè se ritornare già di per sè non era semplice, ancora di più non lo era essere uno shinobi con non solo una vista, ma anche un naso sopraffino.

Konoha di mattina presto era un groviglio di odori, una matassa di essenze diverse che solo lui che ci aveva vissuto in quel posto era in grado di sbrogliare nelle sue componenti più semplici. Si sentiva l’odore familiare e rassicurante del pane appena sfornato, del riso tostato, della frutta matura raccolta dagli alberi. Più subdoli, ma parimenti percettibili, erano invece l’odore dell’erba madida di rugiada, della terra brulla di sole e dei ciliegi che disperdevano i loro petali, solo per sostituirli con altri nuovi, rigogliosi nel vigore della bella stagione.

La voglia di vivere era latente ma poderosa nella sua ottusa caparbia e Itachi, nel profumo familiare di Konoha, per la prima volta nella sua vita, urlò dentro di sè non voglio morire.

Più che dei sensi di colpa a tormentare ogni attimo della sua esistenza, l’atrocità peggiore sarebbe stata crepare così, senza la grazia di poter individuare nel gomitolo intricato di quegli odori il filo di seta dell’odore più bello e goderne, goderne per l’ultima volta.

-Se non ti conoscessi bene, direi che ti stai commuovendo.

-Sta per sorgere il sole. Sbrighiamoci, Kisame.

 

 

La superficie scura del tè si increspò appena quando Itachi fece ondeggiare il bicchiere per mescerne il liquido all’interno. Il sapore era buono, leggermente amaro, ma conciliante il breve attimo di rilassamento che lui e Kisame aveva deciso di concedersi.

Itachi attillò ancora una volta le labbra all’orlo del bicchiere, ma non bevve, attardandosi ad inspirare il vapore profumato del tè e a godere della sua fragranza di gelsomino e di ginseng.

-Ora capisco perchè sei voluto tornare qui a tutti i costi. Effettivamente si sta bene, è tranquillo.

-Ordini di Akatsuki. Se non fosse stato così, non ci sarei venuto.

-Mpf. Bugiardo.

Kisame non era stato certo il primo ad apostrofarlo così, ma non fece in tempo a riportare alla mente il viso e la voce di chi lo aveva già precedentemente chiamato bugiardo, che Itachi percepì il proprio corpo irrigidirsi, come se  avesse cessato all’improvviso di rispondere a qualsiasi impulso nervoso.

Sopra l’odore del tè, del tabacco dei sigari, del leggero odore di sudore dei vestiti, della carne, del pesce e delle uova sfrigolanti sulle braci, in tutta la sua prepotente bellezza gli giunse, inequivocabile, sfacciato e meraviglioso il suo profumo.

A Kisame non sfuggì il modo in cui le dita del compagno ebbero un fremito d’attorno al bicchiere che strinse con più forza nella mano, ma, per ovvietà di cose, gli sfuggì invece il modo in cui il cuore di Itachi cominciò a scalpitare furioso, il modo in cui si raggelò nonostante il caldo e, al contempo, s’infiammò laddove non gli era più capitato dall’ultima volta che, nelle lunghe notti solitarie trascorse nel covo di Akatsuki, si era toccato da solo, indulgendo al richiamo della carne.

-… E devo vedermi con Sasuke.

Riuscì a carpire solo quest’ultimo pezzo della conversazione che si stava tenendo fuori dalla locanda e bastò quel nome a farlo tremare.

-Andiamo.

Concluse solo Itachi con voce atona, lasciando dov’era stato seduto fino ad allora un bicchiere di tè finito a metà e una fogliolina a galleggiare sulla superficie dell’infuso.

 

La fortuna è un punto di vista.

L’avrebbe incontrato, ne era certo.

 

 

 

#7 – Smells like teen spirit

 

Il mobilio di quell’albergo fatiscente puzzava di stantio, di vecchio come se in quel luogo non ci avesse pernottato nessuno per secoli.

Un olezzo di muffa saliva dalla moquet malconcia e persino i muri emanavano un odore dolciastro, come d’umido e lercio liddove l’intonaco, col tempo, si era scrostato.

Poi tutto questo miasma si era d’un tratto affievolito e l’aria si era fatta satura di un profumo che, a chi non avesse già avuto la fortuna di annusarlo, avrebbe fatto girare la testa, perderla, impazzire, letteralmente.

Non si trattava di un profumo di facile interpretazione e persino lui, Itachi Uchiha, dovette fermarsi un istante per distinguere gli aromi che lo componevano: quello delle primule e del miele che da sempre avevano contraddistinto il suo odore personale di bambino si era addolcito, affievolendosi, mentre quello più pungente di una virilità ancora acerba, sbocciata nell’innocenza di una pubertà appena raggiunta, l’aveva sopraffatto, fondendosi deliziosamente ad esso. Il risultato era quello di una dolcezza disarmante e Itachi non dovette neppure voltarsi per sapere che era lo stesso che aveva percepito quella mattina alla locanda, che era lo stesso che aveva sentito anni prima e che aveva amato sconfinatamente, quasi quanto il suo possessore.

-E’ tanto tempo che non ci vediamo…

Non dovette neppure distogliere lo sguardo dal ragazzino biondo che lo guardava interrogativo e girarsi, per sapere che era davvero lui.

-… Sasuke.

L’amore della sua vita era lì, era lì e voleva ammazzarlo e quando finalmente Itachi si voltò non pensò nulla, perchè il tempo di “non ci lasceremo mai, t’amo come so che tu m’ami, che ce lo diciamo a fare” era finito e c’erano solo pugni e calci e gomitate invece del solletico e delle rotolate fra l’erba.

Tutto quello che accadde dopo, lo cancellò all’istante. Mai e poi mai Itachi avrebbe voluto ricordare la bellezza di suo fratello mortificata nella sua impudenza, il suo sguardo fiero e furibondo sfigurato dalla delusione e dal dolore.

In seguito e fino in punto di morte, avrebbe ricordato solo il gemito che sfuggì alle sue labbra macchiate di sangue quando sbattè Sasuke contro il muro. Avrebbe ricordato di averlo guardato davvero solo allora e di averlo trovato talmente bello d’aver pensato di nuovo, in meno di ventiquattro ore, non voglio morire.

Avrebbe ricordato il suo respiro spezzato e profumato di menta e innocenza, avrebbe ricordato il desiderio che provò di strappargli di dosso a forza quegli stupidi vestiti e annusarlo tutto, penetrarlo e dirgli ti amo, perché quella era la verità, che lo amava e basta.

Lo amava così tanto che alla fine Itachi resistette al suo impulso di possederlo e, dopo aver usato su di lui lo Tsukuyomi, premette il proprio contro il corpo inerme di Sasuke. La fronte contro la sua fronte, il petto contro il suo petto, la propria disperata erezione contro la sua pancia e infine, ma solo infine, le labbra contro le sue labbra.

Rimase così per poco, il tempo di far sì che, attillati a quel modo, il proprio corpo si impregnasse del profumo del corpo di Sasuke, almeno quel tanto da resistere finchè, sul finire del giorno, avesse fatto ritorno all’Akatsuki.

Lì si sarebbe tolto gli abiti e li avrebbe annusati e vi avrebbe scorto Sasuke, esorcizzando per un breve attimo la sua mancanza intollerabile.

E allora avrebbe sospirato contro la stoffa ciò che mai avrebbe avuto il coraggio di dirgli.

Ti amo, Sasuke, avrebbe sospirato, annegando nel suo profumo.

 

 

 

#8 – Scent of a boy

 

Il profilo della donna stesa sul letto disegnava una curva armoniosa, spezzata dal lenzuolo che, blandamente, le copriva i fianchi. Il riverbero palpitante e aranciato delle candele le accarezzava la pelle nuda e bianca, come se del miele la imbrattasse, ridefinendo il chiaroscuro venutosi così a creare.

 

Itachi si girò con insofferenza nel letto, poco abituato a condividerlo con qualcun altro.

Un altro colpo di tosse lo scosse e allora posò lo sguardo sulle ampolle di intrugli ed erbe medicali che teneva sul comodino.

Ebbe paura: una paura che non aveva mai più provato dalla volta in cui aveva rivisto Sasuke, bello e arrabbiato come non mai, e si rizzò a sedere sul materasso, trangugiando d’un fiato il contenuto amaro e ferroso di una delle boccette di medicinale, che poi scaraventò di malgarbo contro la parete opposta.

Il clangore del vetro infranto non bastò tuttavia a destare la donna al suo fianco, che mugugnò qualcosa nel sonno e si assestò meglio con la testa sul cuscino, continuando a dormire indisturbata.

Itachi si lasciò ricadere sul letto e chiuse gli occhi: l’acredine del sudore, dello sperma e di altri umori ormai secchi lo nauseò al punto che dovette premersi una mano contro il naso per non annusarla ancora.

Solo in quel momento si accorse di ricordare perfettamente l’odore che aveva sentito due anni prima in quello squallido albergo, la seconda volta che era stato abbastanza vigliacco da baciare Sasuke mentre lui era incosciente e non poteva opporgli la resistenza che sicuramente gli avrebbe opposto se si fosse visto e sentito baciare dal sangue del suo sangue.

Il pensiero di baciare la bocca di suo fratello minore bastò a procurargli da solo una nuova erezione e fu allora che scostò brutalmente le lenzuola, cinse un braccio attorno ai fianchi della ragazza che ancora dormiva dandogli le spalle e la prese da dietro, penetrandola nel sonno con così tanta foga che quella dapprima urlò e poi cominciò a gemere. Le dovette premere una mano sulla bocca per non sentirla e non provare così ancora una maggiore commiserazione di se stesso; la scopò con tutta la forza che possedeva e, nonostante vi si stesse opponendo con tutta l’anima, ogni spinta del bacino scandiva nella sua testa le tre sillabe del suo nome.

Sa-su-ke.

Venne con un gemito, roco e spezzato e ricominciò a tossire; e come anche la cera dell’ultima candela si sciolse, così si sciolse la divisione in sillabe e Sasuke fu di nuovo un unico nome, il nome del profumo che, di giorno in giorno, si avvicinava, facendosi sempre più intenso.

-Ti aspetto, Sasuke.

Pensò o forse lo disse per davvero, prima di piombare in un lungo sonno senza sogni, simile a quello della morte, ormai imminente.

 

 

# 9 - Stink of Death

 

 

 

E’ B E L L O  M O R I R E  C O L  P R O F U M O  D I  C H I  A M I

 

A D D O S S O

 

 

#10 -  Profumo

 

 

 

“Sai, sin da quando sei nato, il tuo profumo mi ha ispirato amore, aspettavo dormissi per venirti a guardare, mi affacciavo dentro la culla e sapevo d’amarti perchè tutto di te profumava d’amore… So che ti piace il blu scuro, i pomodori e che i dolci non li ami… dopotutto che te ne fai del loro odore se il tuo è più dolce dello zucchero e del miele stesso. Ti ho visto crescere e diventare ogni giorno più bello, odiarmi perchè non riuscivi a superarmi, però ancora ridevi e il tuo sorriso mi inebriava e no, non devi perdonarmi per forza se non sono riuscito a preservarlo. Ricordi quando ci rotolavamo nell’erba? A volte rimanevamo a guardarci negli occhi, tu sotto ed io sopra e allora smettevamo di ridere e tu arrossivi ed io mi alzavo perchè sapevo che se non l’avessi fatto ti avrei baciato. Non lo sai, ma l’ho fatto: ti ho baciato e dopo avrei voluto portarti con me e scappare, lontano da tutti. Avrei voluto fare l’amore con te e baciarti ancora e dirti -fa male, è normale, ma adesso ti passa- e stringerti finchè il tuo profumo non mi avesse soffocato e ancora avrei…”

 

L’Edo Tensei, bisognava scioglierlo in fretta e Itachi, di tutto ciò che avrebbe voluto dire, riuscì solo ad inspirare per l’ultima volta il profumo d’amore di suo fratello e a dirgli la cosa più importante.

 

-Ti amerò per sempre.

 

Perchè i tempi di “non ci lasceremo mai, t’amo come so che tu m’ami, che ce lo diciamo a fare” erano davvero finiti.

 

 

 

 

 

Owari

   
 
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