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Autore: EvgeniaPsyche Rox    06/08/2012    9 recensioni
«In breve io ho combinato un casino, e il preside, per punizione, mi ha ordinato di farti da tutor.Got it memorized?», accidenti, alla fine si era lasciato sfuggire il suo marchio di fabbrica.
Roxas assottigliò gli occhi, assai perplesso; un pò per la sua affermazione, e un pò per quella domanda finale in inglese.Decise di lasciare perdere, dedicandosi al vero argomento della conversazione.«Mi stai prendendo in giro?»
«No.»
«Non ho alcun problema a scuola, quindi ti risparmio la fatica di perdere tempo.», affermò schiettamente il biondino, spostando lo sguardo verso il suo interlocutore, il quale aveva sospirato.
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[Questa storia ho iniziato a scriverla quando avevo tredici anni e, contando che adesso ne ho quasi diciassette, è normale che io abbia cambiato modo di scrivere, anche perché mi sto dedicando a generi differenti. Da un lato preferirei eliminarla perché i capitoli, soprattutto i primi, non sono scritti esattamente bene (Almeno, per quanto riguarda la punteggiatura e la grammatica). Ma ragazzi, le recensioni sono tante; questa è la prima long che ho pubblicato e mi sono affezionata.]
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
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Tutor And Boyfriend.

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20. Eyes

                                                                                                                                                                                                          20 Maggio.
Caro Hayner,
immagino che tu abbia già intuito chi sono. Forse dalla scrittura, forse dall'indirizzo.
O forse non l'hai capito proprio, ma quello è un altro discorso che riguarda principalmente la tua stupidità illimitata.
O ancora, forse l'hai capito e quindi non hai neanche aperto questa busta. Magari l'hai bruciata direttamente, anche se, con questo caldo, non credo che ti converrebbe molto. Comunque, se davvero l'hai fatto, questa lettera sarebbe andata a vuoto. Anzi, no, sarebbe andata a fuoco. (Oggi sono in vena di battute. Io ti ho avvertito)
Però, non so perché, ho la vaga sensazione che tu non la butterai. Perciò ho deciso di scriverti in ogni caso.
Come stai? E' una domanda banale, molto banale, lo so... Però... Però io voglio sapere sul serio come stai.
A scuola tutto bene? La prof di scienze ti odia ancora? E con Xion? Ti piace ancora? Lei come sta? Olette l'hai più vista? Pence si è deciso a mettersi a dieta? Hai più pagato il negoziante vicino alla piazza per il vetro che gli hai rotto?
Sei scomparso di punto in bianco.
O meglio, io me ne sono andato e tu di conseguenza sei scomparso.
Hayner, perché? Lasciatelo dire, hai fatto una stronzata assurda. E senza senso, tra l'altro.
Perché, si può sapere? Diamine, io non ne ho colpa. Cosa avrei dovuto fare? Bucare le ruote dell'auto di mio padre? Avrei voluto, certo, ma, insomma, non siamo mica in un film. (Anche se non sarebbe una cosa così negativa, in fondo. Non credi?)
La prima settimana ho deciso di non contattarti semplicemente perché sapevo che eri arrabbiato, data la scenata che mi hai fatto prima che me ne andassi. Sembravi un ritardato, scusa se te lo dico (Ma perché mi scuso? E' la verità!). Anzi, uno sclerato. In quel momento, lo ammetto, ti ho odiato un po' (Un po' tanto). Mi hai fatto girare altamente le palle e hai reso tutto più complicato, come se già non lo fosse abbastanza.
Poi ho provato ad inviarti un messaggio.
Niente, non mi hai risposto.
Magari eri senza soldi, ho pensato logicamente. Dovresti smetterla di andare su Internet con il cellulare; i computer servono a qualcosa, sai?
Un altro messaggio il giorno dopo. Ancora niente. Forse eri in punizione e non ti avevano fatto la ricarica, mi sono detto (Che tentativi penosi di nascondere la verità, lo so).
Hayner, ti ho chiamato e non hai mai risposto. Io ci ho provato, giuro, ma tu sei una testa di cazzo (Magari per te è anche un complimento, quindi... Quindi sai cosa ti dico? Sei una persona fantastica e sexy. Ecco, adesso ti sei offeso, eh? Vai, vai a piangere dalla mamma!).
E così mi sono finalmente deciso a fare tutto alla vecchia maniera. Spedirti una lettera. No, non utilizzando un piccione viaggiatore, fortunatamente le poste esistono ancora (Anche se mio fratello dice che un giorno verranno sostituite da maghi che trasporteranno le lettere sulle loro scope volanti nelle notti di luna piena. Ma è un bel problema, eh; mica la luna c'è sempre, diamine! Comunque credo che Sora guardi troppo Harry Potter. E' più ritardato di te, pensa un po').
Io spero che tu ti sia dato una calmata perché ne è passato di tempo da quando me ne sono andato. E se non mi rispondi mi darai un'enorme delusione. Oltre a dimostrare che non hai mai tenuto veramente a me, ovvio.
Parlo come una ragazzina del diavolo, lo so, però credo sia ora chiarire e di essere schietti. Una volta ogni tanto, cavolo.
Insomma, sì, hai capito. Io sono uno sfigato e tu sei un imbecille. Questo era risaputo, quindi non c'è bisogno di sottolineare ripetutamente il concetto.
Qui è un mezzo schifo. Prima era uno schifo intero, poi è diventato mezzo e adesso è di nuovo intero. Cioè, è un periodo di alti e bassi.
Perché? Te lo spiego subito.
All'inizio era uno schifo intero perché... Beh, è ovvio. I trasferimenti fanno sempre schifo (Poi dipende dalle situazioni, certo. Magari per qualche idiota i trasferimenti sono uno spiraglio di speranza. Anzi, più che idioti sono degli sfigati che sono nati in un posto di merda e di conseguenza non vedono l'ora di andarsene. Peccato/fortunatamente questo non era il mio caso) e io sono stato malissimo; ho provato una nostalgia che non ti dico. Adesso non voglio entrare nei dettagli perché risulterei palloso e a quel punto so che tu butteresti davvero la lettera nel cesso (Anche se non te lo consiglio. Si intaserebbe, e poi sarebbe un bel problema. Saresti costretto a correre nel bar più vicino solo per andare in bagno), quindi, andiamo avanti.
Poi è diventato un mezzo schifo perché ho conosciuto un ragazzo che mi ha aiutato molto. E' successo di tutto e di più con lui. Ho anche scoperto che c'è una pizzeria migliore di quella di Tony. Dovresti provarla: è fenomenale! Se potessi, te ne avrei spedito una fetta per posta.
Ma credo che si sarebbe raffreddata e quindi non ne sarebbe valsa la pena, a meno che a te piaccia la pizza gelata.
Comunque adesso sono tornato allo schifo intero perché mia madre ha scoperto una cosa che non doveva sapere.
Io ho iniziato a lavorare in un locale. Ho iniziato e ho smesso, purtroppo. Però ho guadagnato un po' e... E io voglio tornare lì, Hayner. Voglio tornare da te, ed è questo il principale motivo per cui ti ho scritto questa lettera. Voglio tornare a casa, la mia vera casa.
'Fanculo a tutti. Non mi interessa.
Il problema è che non ho abbastanza soldi, accidenti. Devo comprare i biglietti per i due treni che dovrò prendere per raggiungerti, immagino tu l'abbia capito.
Prendimi per pazzo o per folle, ma io qui non ce l'ha faccio più. Stavo per rinunciare all'idea, ma dopo questa storia di mia madre mi sono deciso. Qui non posso più vivere. E sono schifosamente confuso. Se non mi fossi trasferito, tutto questo non sarebbe successo.
Rispondimi per favore.
Anche una breve risposta, una riga in cui mi mandi a cagare. Va bene lo stesso, basta che mi rispondi.
Per favore.
Il tuo migliore amico ha bisogno di te.
                                                                                                                                                                                                              Roxas K.
Ps. Lo sai che la mia professoressa di inglese è identica alla signora Scott? Diamine, io speravo che, trasferendomi, me la sarei tolta dai piedi per sempre!
Pss. Ho scoperto che esiste un cartone animato che parla di un formaggio. Aspetta, no, non era un formaggio: era una spugna. Roba da matti! Pensa che fa pure il cuoco in un ristorante e c'è un granchio che ha dato luce ad una balena.
E poi dicono che i cartoni non rincoglioniscono i bambini.
Ora capisco perché sei uscito così male.


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Attaccò il francobollo e infilò la busta nella cassetta rossa delle lettere, sospirando pesantemente prima di appoggiare la schiena contro il muro, socchiudendo gli occhi.
Era andata finalmente. Si era svegliato quasi all'alba e aveva buttato giù la lettera in fretta e furia, intenzionato a riallacciare i rapporti con il suo migliore amico; aveva iniziato a scrivere numerose righe per poi stropicciare la carta e buttarla via; aveva iniziato a scarabocchiare; aveva strappato diversi fogli; aveva disegnato linee senza alcun senso, ma, alla fine, nonostante tutto, era riuscito a tirare fuori qualcosa di accettabile. Non voleva risultare troppo sdolcinato; insomma, non era mica una ragazzina e non voleva sottolineare eccessivamente il fatto che gli mancava e che aveva sofferto soprattutto a causa sua. Però non voleva sembrare neanche troppo freddo o stronzo: non avrebbe avuto alcun senso. Tanto valeva non scrivergli nemmeno, no?
Dopo aver buttato nel cestino anche il quarto foglio, pensando con una certa angoscia al fatto che stava uccidendo indirettamente numerosi alberi, aveva sentito improvvisamente una mano toccargli la spalla sinistra e si era voltato di scatto con il cuore in gola a causa dello spavento.
Si era così ritrovato il volto leggermente assonnato di Axel; i suoi lunghi capelli fiammeggianti erano legati in una coda assai disordinata e parve reggersi con estrema fatica in piedi, dato che aveva appoggiato l'altra mano sulla parete.
«Che cosa stai facendo?», aveva chiesto borbottando il più grande, facendosi a malapena capire da Roxas che si era limitato a scuotere un poco la chioma bionda, stringendo la biro nera tra le mani. «Sto scrivendo una lettera d'amore.», aveva risposto così con evidente ironia, la quale però non venne afferrata dall'altro. «Mi auguro che sia per me.»
Dopo un battibecco durato quasi dieci minuti, nei quali Axel si era svegliato anche troppo, il biondo aveva sbattuto un pugno sul tavolo con una certa irritazione, sbuffando sonoramente. «Non so proprio da che parte iniziare.»
Il fulvo aveva sospirato, cercando di riprendere la calma persa già di prima mattina; poi si era sistemato in malo modo la coda e si era chinato verso il nuovo foglio bianco del compagno, appoggiando una mano sulla sua nuca con fare paterno. «Sii il più naturale possibile. Scrivi ciò che senti.»
«E questa frase idiota da film ti sembra un consiglio adeguato?», gli aveva chiesto aspramente il primino, lanciandogli un'occhiataccia; Axel era scoppiato così a ridere e gli aveva scompigliato scherzosamente i capelli, avviandosi verso la porta. «Vado a mangiarmi qualche biscotto visto che ormai sono sveglio.»
L'altro aveva risposto con grugnito scocciato; anche se Axel avesse voluto rimanere insieme a lui, lo avrebbe costretto a lasciarlo solo. Non voleva di certo che leggesse l'ultima parte della lettera dove parlava della sua fuga.
Non gli importava che lui lo sapesse.
Successivamente era tornato ad osservare il foglio con sguardo perso, ripensando nel frattempo al suddetto 'consiglio' di Axel; si era rigirato ripetutamente la penna tra le mani e poi aveva finalmente iniziato a scrivere, cercando semplicemente di trasferire i propri pensieri su un pezzo di carta.
Infatti poi quello fu l'unico foglio che non strappò né stropicciò.
«Ciao Roxas.», alzò di scatto le iridi e incrociò l'oceano degli occhi di una giovane ragazza bionda; Naminè indossava, come la maggior parte delle volte, un vestito bianco che le copriva le ginocchia e tra le mani stringeva delicatamente il suo amato album da disegno.
Da quando Axel gli aveva detto che provava una sorta di gelosia nei suoi confronti aveva iniziato a guardarla in modo diverso. Non nel senso che si comportava male o che cercava di ignorarla, no, non si sarebbe mai permesso di avere un simile atteggiamento. Semplicemente si sentiva un po' a disagio, quasi fosse ansioso di trovare Axel nei paraggi pronto a fargli una scenata da pagliaccio.
Nonostante tutto, abbozzò un flebile sorriso. «Ciao Naminè. Che cosa ci fai da queste parti?»
La giovane si sistemò una ciocca dorata di capelli dietro l'orecchio sinistro, stringendo con maggiore forza l'album, come timorosa che qualcuno glielo avesse potuto rubare da un momento all'altro. «Ho già terminato i compiti per domani e quindi desideravo rilassarmi un po' andando a disegnare.»
Roxas fece un cenno positivo con il capo. «Sì, capisco. Sarai sotto pressione per gli esami, immagino.»
«Abbastanza», ammise la ragazza, accennando un sorriso indecifrabile. «Ricordi quando ti avevo detto che avrei voluto disegnarti?»
Il quindicenne annuì nuovamente; certo che se lo ricordava, eccome. Soprattutto perché poi erano stati interrotti dalla fenomenale entrata in scena del suo tutor.
«Sai, mi piacerebbe ancora ritrarti.», la bionda abbassò un poco lo sguardo verso il marciapiede, intimidita dalla propria richiesta. «Sempre... Sempre se tu sia d'accordo, ovvio.»
Il primino sorrise allegramente, allontanando la schiena dalla parete color pesca. «Ne sarei lusingato, davvero.», e, dopo aver detto ciò, vide splendere un barlume intenso di luce negli occhi di Naminè, come se un faro avesse improvvisamente illuminato l'oceano in cui si era persa, permettendole di ritrovare la strada di casa.
Lo fece stare bene vederla così felice per una sua semplice risposta positiva.
«Possiamo andare nel parco qui vicino. Mi piace molto disegnare da quelle parti, mi rilassa assai.»
Roxas annuì nuovamente e la ragazza iniziò a camminare, facendogli strada.
Era una tipica giornata primaverile, forse addirittura un po' troppo calda; il sole picchiava forte sulle schiene dei passanti e nel cielo non galleggiava neanche l'ombra di una nuvola.
Erano circa le cinque del pomeriggio e lui, dopo scuola, aveva pregato Axel di lasciarlo un po' solo; quest'ultimo non sembrava averla presa molto bene, dato che aveva sollevato un soppraciglio con aria contrariata. «E perché mai vorresti stare un po' solo? Se è per la lettera, ti posso accompagnare io alla cassetta.»
Ma il più piccolo aveva scosso la testa, alzando poi la mano in cenno di saluto. «Preferisco così. Non farò tardi, a dopo!»
Sapeva comunque che non appena sarebbe tornato a casa sua Axel avrebbe iniziato a riempirlo di domande idiote e indiscrete; gli avrebbe chiesto perché ci aveva messo così tanto, con chi era, dov'era stato e bla, bla, bla...
Si scontrò improvvisamente con la spalla di una donna e per un attimo rischiò addirittura di perdere l'equilibrio; si voltò e fece un cenno di scuse, rimproverandosi mentalmente per il fatto che era troppo assorto nei propri pensieri.
Accelerò il passo per raggiungere la ragazza. «Naminè, ma tu quando hai iniziato a disegnare?»
Avrebbe voluto chiederglielo da un po' e quella era l'occasione perfetta, anche per rompere il breve silenzio che si era creato.
La giovane sembrò leggermente stupita dall'improvvisa domanda perché sgranò un poco le iridi prima di accennare il solito sorriso intriso di dolcezza. «Ho iniziato da piccola, come facevano tutti i bambini. E' normale amare il disegno a quell'età. Soltanto che io, già a quei tempi, quando lo facevo mi sentivo... Mi sentivo bene, molto bene. E' una sensazione indescrivibile.», si appoggiò una mano al petto e per un attimo socchiuse le palpebre, quasi avesse voluto catturare le emozioni di cui stava parlando. «Mi sono appassionata immediatamente al disegno.»
Roxas fece un cenno positivo con la testa. «Capisco.», si limitò a farfugliare, pensieroso. A quanto pare, quando si giungeva all'argomento riguardante i disegni e i pennelli, Naminè avrebbe potuto parlare per ore e ore. Era come se in quel momento il fiore dentro di lei si apriva del tutto, mostrando il suo prezioso contenuto.
Però nel frattempo il ragazzo si accorse di non sapere molto di lei, della sua vita in generale; era una compagna di Axel, frequentava la sua stessa scuola, amava disegnare... E poi?
«Hai sorelle o fratelli?», chiese nuovamente, incuriosito.
Naminè scosse lentamente la testa, spostandosi una fastidiosa ciocca dorata dalla fronte. «E tu?»
«Beh, ho quel tonto di mio fratello gemello.», mormorò in risposta il biondo, storcendo il naso in una smorfia disgustata; l'altra accennò una soave risata, mettendosi una mano sulle labbra rosee. «Giusto, mi ero scordata di lui.»
Successivamente lei si illuminò, indicando il cancello di legno di fronte a sé. «Eccoci, siamo arrivati.», annunciò poco dopo, entrando finalmente nel piccolo parco verdeggiante.
Roxas si guardò attorno con estrema attenzione; vi erano due altalene blu vicine tra di loro, un paio di scivoli colorati e altri giochi che non aveva mai visto in tutta la sua breve esistenza. Forse però si era già ritrovato una volta da quelle parti a causa di suo fratello che volevo a tutti i costi andare in ginocchio sull'altalena e tentare in ogni modo di salire lo scivolo al contrario nonostante avesse ormai quindici anni suonati.
«Potresti sederti lì?», chiese con una punta di imbarazzo la ragazza, interrompendo il silenzio; Roxas seguì il punto da lei indicato e notò solo in quel momento la presenza di una betulla in fondo al parco.
Si avviò così verso l'albero e si sedette sotto di esso, appoggiando la schiena contro il tronco. Successivamente alzò le iridi blu e vide che Naminè lo aveva già raggiunto, sedendosi a pochi metri di distanza da lui.
«Spero davvero che tu non ti annoi.», disse lei con una lieve timidezza, aprendo il proprio album da disegno e tirando fuori la matita. «E' che ci tengo davvero moltissimo, te lo assicuro.»
Roxas in risposta sorrise con le gote leggermente imporporate a causa dell'imbarazzo. «No, non preoccuparti, non mi annoierò, anzi. Ho proprio bisogno di stare un po' tranquillo e questo parco è perfetto.»
Questa volta fu lei a sorridere; non era però un sorriso pieno, illuminato e radioso come quelli di Axel, no, assolutamente no. Era un oceano tranquillo all'alba, una brezza leggera di prima mattina, una sensazione che ti sfiora appena, che senti soltanto in mezzo al silenzio.
Naminè sorrideva con dolcezza e con una serenità quasi malinconica, un timore di vedere le nuvole dietro l'orizzonte e a Roxas ricordava sempre Xion.
«Ti piace leggere, Naminè?», chiese lui, sperando in una risposta positiva che però non arrivò.
La giovane artista, che aveva già iniziato a muovere la mano, tracciando linee leggere con la matita, fece un cenno quasi impercettibile con la testa, estremamente concentrata sul proprio lavoro. «Io le storie le disegno, non le leggo. Ognuno ha la propria passione.»
Roxas annuì, completamente d'accordo, anche se un po' dispiaciuto. Ecco qual'era la verità, l'amara verità. Desiderava soltanto trovare dei punti in comune con la sua vecchia vita, quella tranquilla, il cielo sereno in mezzo a volti familiari. Desiderava convincersi che non si era mai trasferito, che non era successo niente, che quello era solo un incubo, un orribile incubo.
Ma non era così.
«Puoi muovere la testa, non preoccuparti.», disse improvvisamente la ragazza, soffocando una risata divertita alla vista del giovane perfettamente rigido contro il tronco dell'albero.
«Oh, meno male. E' che di solito nei film gli artisti impongono sempre di rimanere fermi come delle statue, anche nelle posizioni più assurde.», osservò con una punta di ironia il biondo, facendo ridere nuovamente la ragazza che riprese a disegnare con aria assorta.
Roxas si voltò alla sua sinistra, osservando di sfuggita le piccole figure dei bambini che si dondolavano sull'altalena con aria allegra e spensierata. Il cielo dell'infanzia era quasi sempre soleggiato, sereno, senza nuvole. E le notti erano piene di stelle, le più luminose e splendenti accanto alla luna.
«Posso farti una domanda?»
Lei annuì, senza però distaccare lo sguardo dal foglio su cui si potevano già vedere i primi lineamenti della betulla. «Certo.»
«Perché proprio io? Cioè, sì, ricordo che mi avevi parlato del fatto che non sei mai riuscita a ritrarmi, ma... Ma non credo di capire bene.», tornò ad osservare la giovane artista che sembrò smettere improvvisamente di disegnare.
La vide assorta, quasi triste. «Non devi rispondere per forza.», si affrettò poi ad aggiungere, sentendosi terribilmente a disagio per aver oscurato il suo volto chiaro con quella domanda inaspettata.
Naminè alzò lo sguardo e incrociò il blu degli occhi di lui, mentre sul suo volto si dipinse un sorriso che aveva una traccia sottile di grigiore. «Non preoccuparti, hai tutto il diritto di chiedermelo.», successivamente impugnò con più forza la matita, riprendendo a creare la sua storia sul foglio. «Vedi Roxas, tu mi hai subito colpito. I tuoi lineamenti, i tuoi occhi, tutto. Mi sei sembrato molto triste, un ragazzo complesso. Ho provato immediatamente l'impulso di disegnarti, davvero.», spiegò lentamente e la sua voce parve galleggiare nell'aria; sembrò quasi appartenere ad un suono della natura, al vento che sussurrava tra le foglie degli alberi.
«Sei molto particolare, Roxas, e penso che tu già lo sappia. Se riuscissi a ritrarti, credo che sarebbe il mio disegno più espressivo. I tuoi occhi dicono tutto.»
Una breve pausa e Roxas non parlò, sorpreso e abbagliato da quelle parole.
«I tuoi occhi attirano molto e infatti hanno attirato perfino il fuoco», proseguì poco dopo lei, finendo di disegnare i capelli dorati del giovane di fronte a sé che si irrigidì improvvisamente. «io l'ho capito, Roxas. Ti ha già bruciato.»
Il biondo si strinse le spalle e si accorse di avere il battito cardiaco inspiegabilmente accelerato; successivamente si guardò le mani che non mostravano alcuna cicatrice o bruciatura e finalmente capì.
Questa volta capì, ma rimase comunque in silenzio.
Naminè prese un profondo respiro e iniziò a disegnare i grandi occhi del giovane. «Però tu puoi raffreddare il fuoco. Sono sicura che puoi. Sei particolare, ricorda.», lanciò poi una fugace occhiata di fronte a sé e sorrise appena alla vista delle gote tinte di rosa di lui.
Aveva capito immediatamente che per loro era giunta una nuova alba piena di colori.
«Grazie.», bisbigliò il ragazzo, udendo le lontane risate dei bambini che stavano salendo sullo scivolo.
Naminè non lo sentì, ma riuscì comunque a capire ciò che aveva detto leggendo il movimento delle sue labbra; terminò finalmente di disegnare e appoggiò accuratamente la matita sul prato, aprendo la scatola dei pastelli.
Una lieve brezza si divertì a scompigliare i capelli dei due giovani e Roxas riprese nuovamente la parola. «Hai già in mente quale università frequentare? Qualcosa legato all'arte, immagino.»
La parola 'università' gli sembrava così lontana, inafferrabile, e non riusciva ancora a sfiorarla, fortunatamente. Andare all'università equivaleva ad un altro cambiamento e ormai aveva già compreso che i cambiamenti non facevano altro che rovinargli la vita.
La ragazza fece un cenno positivo con il capo, impugnando il pastello marrone per poi iniziare a colorare. «Ho già mandato l'iscrizione e mi hanno accettata; frequenterò un'ottima università in una città ad una ventina di chilometri da qui.»
Roxas sentì un tonfo al cuore e incastrò il volto tra le spalle, sentendo una tremenda angoscia trascinarlo via.
Lontananza. Trasferimenti. Cambiamenti. «E non ti mancheranno le tue amiche?», chiese con un filo di voce, a disagio.
Naminè alzò lo sguardo per catturare il colore degli indumenti che indossava, quando notò che i suoi occhi blu si erano improvvisamente fatti più scuri e nascondevano un'enorme voragine di nostalgia. «Probabilmente sì, ma ognuno deve seguire la propria scia di colori, non credi?»
Il ragazzo non rispose e lei proseguì. «Kairi invece frequenterà una scuola di estetica.», quel pensiero sembrò divertirla perché sorrise appena. «Fortunatamente la sua università non sarà molto lontana dalla mia, quindi, chissà, magari riusciremo anche vederci.»
«Lo spero per te.», mormorò il ragazzo con la voce quasi spezzata, pensando al suo allontanamento obbligatorio che aveva avuto con Hayner.
«Scommetto che Demyx frequenterà qualche corso di musica.», continuò a parlare poco dopo, cercando di spostare i propri pensieri altrove; la bionda annuì, continuando a colorare con estrema cura e attenzione. «Sì, è molto bravo a suonare la chitarra.»
«Spero che l'amicizia tra lui e Axel non finisca.», commentò poi il quindicenne, ottenendo la completa attenzione della ragazza che alzò lentamente lo sguardo verso i lui; Naminè scrutò i suoi occhi blu cobalto che mostravano il terrore che provava nei confronti della lontananza e, al tempo stesso, il luccichio al pensiero del diavolo dai capelli scarlatti.
In effetti, adesso che ci pensava, non sapeva neanche che scuola aveva intenzione di frequentare Axel. Forse non aveva ancora deciso; sì, molto probabilmente era così. A malapena si preoccupava degli esami, figurarsi poi se pensava all'università.
Però un brivido gli percorse la schiena, un lampo gli squarciò la mente e sul suo volto si dipinse improvvisamente un'espressione preoccupata: e se anche lui se ne sarebbe andato? E se avesse scelto una scuola lontana, come quella di Naminè? Si sarebbe trasferito e lo avrebbe lasciato solo?
Quel pensiero lo fece stare male e Roxas strinse con forza la stoffa della propria maglia, corrugando la fronte. No, non voleva soffrire di nuovo. Non sarebbe stato giusto, non dopo tutto quello che aveva passato. Eppure non poteva certo impedirgli di fare ciò che voleva; in fondo si parlava pur sempre del suo futuro, il che non era una cosa da poco.
Scosse la testa tra sé e sé. Non gli avrebbe impedito di scegliere, ma non voleva di certo soffrire. Forse l'unica soluzione era davvero scappare; tornare a casa, la sua vera casa, da Hayner, e riprendere in mano la vecchia vita. Cancellare tutto ciò che aveva passato, in modo da non soffrire per un futuro trasferimento di Axel.
Appoggiò la testa sul tronco e socchiuse gli occhi; Naminè lesse in lui una profonda stanchezza. «Tu che cosa faresti se... Insomma, se senti di fare una cosa che però in un certo senso è sbagliata... Come dire, avresti il coraggio di dirlo ad una persona a te importante?»
A quella domanda piuttosto confusa la ragazza assunse un'espressione leggermente perplessa, iniziando poi a colorare i capelli del ragazzo. «Glielo direi se la scelta avesse a che fare in qualche modo con il nostro rapporto.»
Roxas annuì, pensando che fosse ragionevole. Quindi, però, questo significava che avrebbe dovuto dire ad Axel della sua futura fuga, nonostante non fosse ancora certo di essa, dato che non aveva abbastanza soldi.
Sospirò pesantemente e tornò ad osservare i bambini dall'altra parte con aria assorta; e come l'avrebbe presa? Lo avrebbe capito? Improbabile. Piuttosto si sarebbe infuriato e lo avrebbe legato ad una sedia per impedirgli di fuggire.
Ma doveva rischiare. In fondo aveva tutto il diritto di sapere.
«Stai passando un periodo molto complicato, non è vero?», questa volta fu la giovane artista a chiedere e Roxas fece un cenno positivo con il capo, lasciandosi investire da un violento tornado di emozioni.
E aprì gli occhi sulla cruda e triste realtà. Finalmente li aprì, dopo aver passato due giorni con le palpebre serrate, ignorando la situazione.
Prese un respiro più profondo degli altri e gli sembrò di sentire una fitta al petto. «Soprattutto a causa di mia madre.», non fu esattamente sicuro di essere riuscito a parlare in maniera comprensibile, perché la voce parve spezzarsi nella sua gola.
Pensò che forse sarebbe stato meglio tenere gli occhi chiusi e infatti così fece.
Non voleva più riaprirli. No, non voleva più.
Naminè continuò a disegnare e lui capì che era tutto inutile perché la sua mente aveva già cominciato a ricostruire ciò che era successo; vide nuovamente il volto scioccato di sua madre sulla soglia della porta e la paura nel suo stesso sguardo, l'orrore negli occhi di Axel che aveva deglutito rumorosamente.
Lei non si era arrabbiata e non aveva gridato. Era semplicemente scoppiata in lacrime, chiedendosi dove aveva sbagliato: e proprio a quel punto lui sentì il mondo crollargli addosso, sotterrandolo completamente.
Sua madre lo considerava un errore, uno sbaglio e questo lo aveva praticamente fatto a pezzi.
E non aveva più udito nulla. Non aveva sentito Axel che cercava di spiegare, non aveva sentito la disperazione di sua madre e non si era nemmeno accorto del tutor che poi lo aveva preso in braccio, portandolo via da quell'inferno.
Lo aveva sistemato a casa sua e gli aveva detto di stare tranquillo, gli aveva detto che non era successo niente di grave, che lui non avrebbe smesso di proteggerlo.
Il giorno dopo suo padre lo aveva chiamato e aveva cercato di consolarlo, dicendogli che tutto si sarebbe presto sistemato, ma lui non gli aveva creduto. Non aveva risposto e aveva chiuso la cornetta, rimanendo in silenzio. Non voleva più tornare a casa, non voleva più rivedere sua madre.
Dopo aveva deciso di chiudere gli occhi, una volta per tutte. Di fare finta di niente, di ingoiare e di non pensarci più, mai più.
Ma aveva già infranto la sua stessa promessa e ormai era troppo tardi perché aveva vissuto nuovamente tutto ciò che era successo.
Naminè amava disegnare e Roxas lo sapeva, ma lei non gli aveva detto che in realtà adorava anche leggere. Soltanto che non leggeva le pagine profumate dei libri; lei leggeva lo sguardo della gente, mentre dipingeva.
Roxas aprì gli occhi e si accorse di avere la vista improvvisamente appannata; sbatté le palpebre e la figura della ragazza gli parve stranamente confusa, quasi lontana. Gli sembrò addirittura di annegare.
Naminè temperò la matita blu e iniziò a colorare i suoi occhi, aggiungendo poi delle lacrime lungo le sue morbide guance, udendo in lontananza le gaie risate dei bambini.




Avanti, non stava mica andando ad annunciargli la morte di suo fratello.
Prese un profondo respiro e cercò di autoconvincersi, senza ottenere però grandi risultati; strinse il libro tra le mani e fece per aprire la porta della sua classe, quando essa venne improvvisamente spalancata, mostrando un radioso sorriso a trentadue denti.
«Roxas, eccoti qui! Sempre chiuso a leggere, eh?», Axel si mise le mani sui fianchi, sollevando istintivamente il soppraciglio sinistro con un'espressione alquanto divertita. «Non immagini che noia è stata la lezione di matematica. Anzi, a dire il vero sono sempre tutte estremamente noiose», iniziò immediatamente a parlare, andando a sedersi sul banco del quindicenne, appoggiando le gambe sulla sedia di fronte a sé. «diamine, i professori non fanno altro che rompere i coglioni parlando degli esami. Insomma, lo sappiamo che ormai sono alle porte; non c'è mica bisogno di ripeterlo ogni santa volta!»
Il biondo deglutì rumorosamente, avvicinandosi timidamente all'altro che proseguì con le sue lamentele. «Appena faccio qualcosa di sbagliato mi sbattono in faccia una frase tipo ''Signorino Turks, lo sa che se continua così all'esame non verrà neanche ammesso?'' e bla, bla, bla... Ma vaffanculo! Cazzo, io mi sto impegnando, cioè, sto cercando di farlo...»
«Axel», cercò di farsi coraggio Roxas, venendo però ignorato dal compagno che non smetteva di muovere le labbra. «Anche Demyx non riesce più a reggere la situazione; stavo seriamente pensando di andare a protestare contro gli esami, credo sarebbe un'ottima idea»
«Axel», si sforzò di chiamarlo nuovamente il primino.
«magari si decideranno finalmente ad abolire questi cazzo di esami e io non dovrò fare la fatica immensa di aprire i lib-»
«Axel!», tuonò il giovane, interrompendo il discorso del tutor che si voltò di scatto, perplesso. «Uh? Cosa?»
Roxas incrociò le braccia al petto con un'espressione accigliata, sbuffando sonoramente con il naso; a quel gesto il fulvo sembrò preoccuparsi immediatamente perché si precipitò verso il biondo, prendendolo velocemente per le ascelle prima di farlo sedere delicatamente sul banco. «Oh, Roxas, mi dispiace veramente tanto. Non ho fatto altro che parlare a raffica e non ti ho nemmeno lasciato dire una parola.», sospirò pesantemente per poi tornare a sorridere con premura. «Allora, come stai? Hai avuto qualche interrogazione?»
Il quindicenne si strinse le spalle, spaesato di fronte alle attenzioni del più grande. «Sì, ho... Ho avuto l'interrogazione di inglese.», mormorò poi, gonfiando infantilmente le guance; Axel si avvicinò ulteriormente al volto niveo del ragazzo, appoggiando la propria fronte sulla sua. «E com'è andata?»
«Bene», farfugliò impacciatamente il primino, voltando istintivamente lo sguardo altrove. «non mi sono fatto prendere molto dall'ansia; ho cercato di sembrare il più tranquillo possibile.»
Gli occhi verdi del diciottenne si illuminarono di una radiosa luce e Axel avvolse il giovane in un caloroso abbraccio, appoggiando una mano sulla sua nuca bionda per poterlo stringere maggiormente a sé. «Questa è una notizia magnifica! Hai visto? Te lo dicevo io che saresti riuscito a superare il tuo problema!»
E fu a quel punto che Roxas sentì qualcosa spezzarsi dentro; un suono impercettibile, dei frammenti sparsi sul pavimento della sua anima e la sua espressione improvvisamente amareggiata, macchiata di tristezza.
Alzò lentamente lo sguardo e si tuffò nello smeraldo degli occhi di lui; si tuffò in quelle iridi splendenti e nel suo sorriso dipinto sulle labbra.
Come poteva avere il coraggio di dirgli che voleva andarsene? Dove lo doveva attingere questo suddetto 'coraggio'? Perché lui l'aveva già perso ancora prima di utilizzarlo.
«Roxas?», lo chiamò improvvisamente Axel, inclinando il volto su un lato. «Tutto bene?»
Il quindicenne annuì.
Non aveva abbastanza coraggio. Non ancora, almeno.
«Sì, sto benissimo», disse poi, «comunque, che cosa mi stavi dicendo riguardo i tuoi esami?»

 

 

Era proprio un idiota.
E non era il massimo dirselo da solo, si ritrovò poi a pensare durante la corsa.
Cercò di aumentare la velocità e finalmente arrivò a destinazione; si fermò di fronte al cancello di legno e si voltò verso la piccola cassetta grigia.
Si era scordato di scrivere ad Hayner l'indirizzo della casa di Axel e quindi, nel caso avesse risposto, la sua lettera sarebbe finita a casa sua. E chissà cosa sarebbe successo se i suoi l'avessero letta.
Da qualche giorno, così, non faceva altro che correre avanti e indietro per controllare la posta. E ogni volta che trovava la cassetta vuota era terrorizzato al pensiero che suo padre avesse già ritirato la posta.
Prese un profondo respiro dopo essersi guardato ripetutamente attorno e tirò fuori le sue chiavi di scorta dalla tasca dei jeans, facendo scattare immediatamente la serratura della cassetta che si aprì all'istante.
Con il cuore in gola infilò la mano per afferrare le quattro buste presenti; le strinse furiosamente tra le dita e iniziò a farle scorrere sotto gli occhi.
Bolletta della luce. Bolletta dell'acqua. Pausa. Respiro irregolare e battito accelerato. Lettera di suo zio per suo padre. Trattenne il respiro e scrutò l'ultima lettera; il suo volto si illuminò e dentro sé sentì un tornado di emozioni contemporaneamente.
Soffocò a fatica un grido di gioia e sistemò disordinatamente le altre tre buste nella cassetta, chiudendola a chiave prima di voltarsi alla sua sinistra e iniziare a correre il più velocemente possibile.
Superò diversi passanti, rischiando addirittura di investire una donna con il passeggino, e alla fine imboccò una strada a sinistra, raggiungendo un'automobile parcheggiata; aprì lo sportello e prese posto sul sedile posteriore.
«Dalla tua espressione si direbbe che finalmente ti ha risposto.», Axel si voltò e accennò un sorriso sghembo verso il biondo che continuava a stringere la busta tra le mani come se fosse un tesoro dal valore inestimabile.
Roxas non disse nulla, limitandosi ad osservare l'oggetto tra le mani con gli occhi illuminati; l'altro rise e scosse la folta chioma fiammeggiante con aria divertita, mettendo in moto l'auto.
Era davvero emozionato. Anzi, emozionato e agitato, ecco.
Emozionato perché gli aveva risposto; agitato perché temeva ciò che gli aveva scritto. E se si era limitato ad insultarlo? E se gli aveva dato del pazzo per la storia della fuga? E se gli aveva semplicemente scritto di lasciarlo in pace? E se...
Cercò di mantenere la calma e prese un profondo respiro, aprendo lentamente la busta con le mani tremanti e il battito cardiaco ancora irregolare; socchiuse gli occhi per un attimo e finalmente si tuffò nella lettura.

 




Vai a cagare.
Aspetta, no, le lettere non si iniziano così.
Caro Roxas,
vai a cagare.
Ecco, così è più stiloso.
Non sono antico come te, bello mio: io uso la potente tecnologia del computer {Così ti ho anche dimostrato che non serve soltanto ad andare su Internet. A proposito, la parentesi graffa è fighissima, vero? Anche se mi ricorda quelle orribili espressioni di matematica. Brr, roba da film dell'orrore} per scrivere. Così mi segnala anche gli errori e non devo sudare per prendere il dizionario nella speranza di evitare di fare figure di merda con te. Poi mi basterà premere sul tasto 'stampa' e il gioco è fatto. Rinnovati, ragazzuolo! Non so perché mio nonno ha sempre avuto la fissa di dire ''ragazzuolo'' invece di ''ragazzo''. Il suo cervello funzionava in modo un po' strano.
Che voglia di scrivere che hai. Io sarei collassato alla terza riga se va bene. Pensa che mi sto già stancando di schiacciare questi tasti neri che mi fanno venire il mal di testa.
Quindi cercherò di essere veloce e di riassumere il più possibile.
Avevo già capito chi eri. Dalla scrittura, perché all'indirizzo non ci avevo fatto caso. E perché sei l'unico idiota che inizia ancora le lettere con ''Caro e bla, bla, bla...''
Rinnovati, ragazzuolo!
Non ho pensato a bruciarla né altro, dico davvero. Cazzo, resti pur sempre il mio migliore amico.
Anche se in questo periodo ho cercato di negarlo.
Ragazzuolo mio, io non ti ho risposto non perché ero incacchiato con te, ma perché ho cercato di dimenticarti. {Fa tanto film romantico, cazzo, che schifo}
Il tuo trasferimento mi ha provocato uno shock emotivo. Roba da sotterrarsi, te lo assicuro. Hai presente quando la prof di francese ha rischiato un infarto perché credeva che suo figlio fosse crepato? Ecco, stessa cosa.
Cioè, woh, no, cazzo. Io, il grande Hayner, non potevo cadere in depressione soltanto perché quello svitato {Scusa vecchio mio, ma tu hai insultato me, e io insulto te. E' il regolamento} di Roxas si è trasferito in una città più grande e figa di questa che è inculata al mondo.
Che poi avrei anche potuto fare l'amico leccaculo di turno e dirti roba tipo ''Divertiti e fai nuove conoscenze; non pensare a me! Non ti dimenticherò mai e bla, bla, bla...'' Insomma, dai, non è nel mio stile. E' naturale che io mi sia incazzato, cerca di capirmi. La mia prima parolaccia l'ho detta a te: questa sì che è vera amicizia, cazzo!
Questa lettera si sta dilungando troppo. Troppo.
Ho cercato di trovare un tuo sostituto, un nuovo migliore amico, insomma. Un buco nel culo {O forse si dice un buco nell'acqua?}, niente. Roxas, credo che mi ricovereranno in terapia intensiva dopo quello che ti sto per dire, ma... Porca miseria, sei unico.
Mi manchi, e che cazzo.
Ho fatto a schifo a non risponderti, quindi scusami. Proprio in questi giorni stavo pensando di lasciarti un messaggio in segreteria, giuro. Non potevo rompere così i nostri rapporti.
Qui gira bene, vecchio mio. Quella di scienze l'ho sistemata e ho preso un sei e mezzo {Credo che quel giorno si sia aperto il Cielo. Una sorta di miracolo, hai presente?}. Xion? Ragazzuolo, le manchi parecchio. Ci siamo avvicinati proprio perché abbiamo provato entrambi una grande nostalgia per te {Che merda di motivo per fare amicizia}. Quindi adesso la vedo un casino come un'amica e credo che va' bene così, per ora. Ha ancora un libro che le avevi prestato.
Olette si è fidanzata e Pence se n'è uscito con la storia che da grande vuole diventare pasticcere. Negoziante? Eh? Ma stai scherzando? Me n'ero completamente dimenticato; alla fine si è arreso e si è arrangiato, quel vecchio rompipalle.
Io ti ammazzo, mi stai facendo scrivere troppo. E' la prima volta che scrivo più di dieci righe senza avere l'impulso di vomitare.
Io la pizza l'ho appena mangiata e ho fatto un rutto che credo l'abbiano sentito perfino in Alaska.
Maghi? Oh, bello mio, tuo fratello è più suonato di mio nonno.
Sì, mi sono offeso per la storia dell'essere fantastico e sexy perché io sono molto di più. Io sono un Dio!
Adesso però andiamo alle cose serie, eh. Stai nella merda, Rox, lasciatelo dire. Da come descrivi la tua situazione sembra davvero che tu sia morto, resuscitato, e poi morto di nuovo. Comunque mi spiegherai tutto quando verrai, no?
Guarda bene dentro la busta, perché troverai anche dei soldi. Eh, sì, ho iniziato a lavorare pure io.
Volevo cercare di riempire il mio tempo il più possibile per evitare di pensare a te. Faccio delle consegne per un negozio e si guadagna davvero bene. Ho messo tutti i soldi da parte per quando ne avrei avuto bisogno e... Ecco, il momento è arrivato. Accettali e usali per tornare qui, razza di idiota. Giuro che se me li rimandi indietro verrò io lì e ti staccherò la testa a morsi. E non iniziare con i discorsi tipo ''Ma no, non li merito, e gnè, gnè, gnè'' perché mi fanno solo venire la nausea.
Te li ho mandati e voglio che li usi per pagarti i biglietti.
Lì stai di merda tanto, no? Quindi torna qua e basta. Ti stiamo aspettando tutti.
Ti sto aspettando io.
Adesso stacco che devo andare in bagno. Non sembra un buon motivo per smettere di scrivere, lo so, ma per me ti assicuro che lo è.
A presto, Roxas.
Ps. Che sfiga di merda!
Pss. Si chiama 'Spongebob', babbuino. Ehi, aspetta, ma che intendevi dire con il fatto che sono uscito male? La tua è tutta invidia per me, ammettilo!
Psss. Quando ho ricevuto la tua lettera ho iniziato a saltellare per tutta la stanza come una scimmia e a gridare come tuo fratello quando vince una partita contro Riku alla Play Station.

Il tuo vecchio amico Hayner.

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«Eccoci arrivati.»
Roxas alzò di scatto lo sguardo dal foglio, guardandosi attorno, spaesato e confuso di fronte all'improvviso scontro con la realtà. Le mani ancora tremanti e le lacrime che bussavano ai suoi occhi, chiedendo il permesso di poter uscire per liberarsi di quel peso enorme; ricacciò tutto dentro e chiuse le palpebre per qualche secondo nella speranza di riprendere il controllo di sé.
Quando riaprì gli occhi sussultò appena, accorgendosi che Axel lo stava osservando intensamente con un'espressione indecifrabile. «Ehi, tutto bene?»
Il biondo annuì meccanicamente. «Sono solo un po' emozionato per la lettera, scusa.», si mise di scatto una mano alla gola, accorgendosi di avere la voce spezzata e quasi incastrata a causa dei singhiozzi; Axel sembrò trovare la cosa divertente perché accennò un sorriso e apri lo sportello dell'auto, uscendo in mezzo alla brezza notturna.
Il quindicenne si affrettò a sistemare la lettera nella busta, sentendo poi uno scroscio al suo interno; questo significava che Hayner gli aveva davvero dato dei soldi. Un profondo senso di colpa mescolato alla gioia di tornare a casa lo investì e chiuse la busta, infilandola nel suo zainetto.
Udì lo sportello dei sedili posteriori aprirsi e vide il volto sorridente di Axel mentre si sedeva accanto a lui, mettendogli una mano sulla spalla. «Allora? Ti piace?»
«Cosa?», chiese il biondo, ancora scosso per l'eccessiva quantità di emozioni che aveva provato.
Il fulvo accennò una soave risata e indicò il cielo stellato che si vedeva dal vetro dell'auto, insieme al mare che sembrava essere risucchiato dall'oscurità della notte. «Ci tenevo a fermarmi un po' qui.»
Roxas sbattè più volte le palpebre, assai confuso e perplesso; era convinto che sarebbe tornato a casa di Axel. Era piuttosto stanco e il giorno successivo avrebbe avuto una verifica scritta di storia.
«Sì, è molto bello.», si sforzò poi di dire, ottenendo in risposta un'acuta risata da parte del più grande. «Non sembri convinto.»
«Sono solo un po' confuso; oggi è stata una giornata pesante per me.», cercò successivamente di spiegare il quindicenne, appoggiando la testa sullo schienale; sentì Axel ridacchiare nuovamente e si accorse che aveva allungato la mano per potergli accarezzare delicatamente il collo con aria ambigua. «Sì, immagino.», disse poi con un sospiro strano.
Forse quello era il momento adatto per parlargli della sua fuga. In fondo ormai essa era sicura, dato che aveva addirittura i soldi necessari.
Sì, lui aveva tutto il diritto di sapere.
«Axel, senti...», fece per iniziare il proprio discorso quando l'altro lo interruppe immediatamente con un sorriso dipinto sul volto, facendo scorrere l'indice sulla sua guancia. «Sai, ieri ho ascoltato una canzone molto bella.», disse improvvisamente, sfregando il proprio naso contro quello del giovane che si irrigidì contro lo schienale. «Il testo mi è piaciuto molto. C'era una parte che diceva una cosa tipo ''la prima volta che ti ho visto ho pensato che il sole sorgesse nei tuoi occhi''», un'altra pausa e un altro sospiro; Axel lasciò un fugace bacio sulle labbra del giovane prima di proseguire. «e ho pensato immediatamente a te, davvero. E' una frase perfetta per descrivere le mie emozioni.», rise nervosamente e afferrò la soffice mano del ragazzo per poterla stringere a sé mentre lo faceva sdraiare lentamente sui sedili, continuando a sorridere. «Sì, è una frase perfetta.»
Roxas tremò e gli parve di aver perso improvvisamente la cognizione del tempo; gli sembrò quasi di galleggiare nel vuoto, tra le proprie emozioni, in quella notte stellata e nel cielo eterno.
Non riuscì a parlare. Ogni cosa si bloccò nella sua gola, tutte le parole, le frasi, tutto. Ingoiò la propria anima e deglutì, sforzandosi però di schiudere le labbra scosse da un forte brivido; volle forse emettere un suono, uno qualsiasi, per dimostrare a se stesso di esistere ancora, di essere lì, presente, vivo e vegeto, quando Axel si coricò su di lui, prendendo possesso della sua bocca con dolcezza e desiderio.
Cos'è che doveva dirgli? Non se lo ricordava più. Era tutto confuso, offuscato, come in un sogno lontano e irraggiungibile.
Inclinò la testa all'indietro e sospirò quando Axel gli lasciò una lunga scia di soffici baci sul collo.
Ricordò solo vagamente che doveva dirgli una cosa importante, molto importante. Ma cosa? Forse il fatto è che non gli interessava più e, di conseguenza, la sua mente aveva rimosso tutto.
Riuscì soltanto a vedere i movimenti del tutor mentre si toglieva la maglia per poi tornare a riempirlo di calde attenzioni che gli annebbiarono completamente il cervello; socchiuse gli occhi e si lasciò privare dei jeans.
«E sai cosa diceva poi la canzone?»
Il biondo scosse la testa; l'espressione persa a contemplare gli occhi verdi di lui, i suoi lineamenti perfetti e il suo sguardo pieno di amore e passione.
Cos'è che doveva dirgli? Qualcosa legato ad una fuga? Ma quale fuga? Fuggire, dove? Quando? Non se lo ricordava, non voleva ricordare; come poteva farlo? Come poteva dirglielo?
Non in quel momento. E dopo? Come avrebbe fatto dopo, dopo la passione infuocata, dopo la notte e le stelle. Come poteva essere così crudele da spezzare la luce e l'amore di quegli occhi verdi come il prato abbellito dalla rugiada di prima mattina?
Si strinse le spalle quando Axel lo spogliò anche della maglia, avvicinandosi poi al suo orecchio. «''E che la luna e le stelle fossero dei doni che tu avevi fatto al cielo oscuro e vuoto''»
Tremò ancora, questa volta più forte di prima e si alzò sui gomiti, porgendo il volto in avanti per poter ricevere un altro bacio che non tardò ad arrivare.
Non poteva dirglielo. Non poteva, non voleva, non ora, non dopo.
Lo chiamò, lo chiamò una seconda e una terza volta con la voce spezzata in gola in un sussurro impercettibile; sospirò e avvolse la sua calda schiena per stargli il più vicino possibile.
Il suo ultimo pensiero andò a Naminè. Pensò a quanto fosse stupida a credere che i suoi occhi blu fossero bellissimi e pieni di emozioni. Pensò che sicuramente lei non aveva mai visto quelli di Axel in quel momento, traboccanti di amore e desiderio. Pensò che, anche se li avesse visti, non avrebbe mai potuto disegnarli. Sarebbe stato impossibile.
Poi chiuse le palpebre e si lasciò investire dalla notte.
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*Note di Ev'*
''E fu così che dopo ben un'ora e mezza Evgenia Psyché Rox riuscì finalmente a sconfiggere la dura battaglia contro l'HTML, uscendone gloriosa, nonostante i gravi danni riportati al cervello. -Parte la canzone ''Now we are free'' del Gladiatore-
La sua vita non fu mai più la stessa, ma ormai aveva finalmente capito che il vero senso della vita era la serenità interiore e...''


Un'ora e mezza veramente, eh.
No, parliamole, perché è stata una faticaccia. Il capitolo in realtà l'ho terminato ieri pomeriggio e volevo pubblicarlo immediatamente, ma dopo trenta minuti ho mandato tutto a quel paese e ho rimandato alla sera. Sì, dopo un'ora ce l'ho fatta e ho finito alle 23.49 -Come sono precisa, eh-, però non ne valeva la pena di pubblicare così tardi ed eccomi qui.
Il fatto è che ho utilizzato appunto tre scritture diverse e ho dovuto addirittura usare due siti HTML differenti, ma lasciamo perdere.

Salve a tutti.
Il ventesimo capitolo, un bel traguardo, devo ammetterlo.
''Occhi.'' Il titolo credo sia azzeccato. E' perfetto così. Insomma, si parla di occhi per tutto il tempo (?); prima Naminè con il disegno e poi Roxas alla fine. Inoltre, in un certo senso, si può considerarli anche nelle lettere; in fondo, sia Hayner che Roxas, non vedono l'ora di rivedersi.
Probabilmente non vi aspettavate per nulla un inizio del genere e il mio intento era proprio quello; in un primo momento, ovviamente, avevo pensato a continuare da dove avevo interrotto nel capitolo precedente. Ovvero: chi è quel/la coglione/a che ha osato interrompere i nostri due protagonisti?
Però poi, ripensando a numerosi libri che avevo letto, nei quali appunto viene terminato un capitolo nella scena piena di tensione, ho notato che nella pagina successiva non viene ripreso l'ultimo avvenimento e questo lascia una sorta di 'ansia '-O almeno, io provavo codesti sentimenti.- al lettore. Perciò ho deciso anch'io di usare questa 'tattica'.
Quindi, sì, il capitolo inizia con una lettera. Per l'esattezza, una lettera di Roxas per Hayner dove gli racconta un po' ciò che ha vissuto e del fatto che desidera fuggire. Successivamente il biondo incontra Naminè, con la quale ha un lungo diagolo e si scopre, attraverso i suoi pensieri, che cosa è realmente successo due notti fa; la cogliona era appunto la madre [ E complimenti per chi è riuscito ad indovinare subito la sua presenza è_é ] che poi ne ha fatto una sorta di dramma. [Tra parentesi, mi auguro vivamente che voi non pensiate che sia un'esagerazione cacciare il figlio di casa dopo aver scoperto una sua storia omosessuale; purtroppo, ho letto storie del genere e quindi fa anche parte della triste realtà.]
Anche se poi, comunque, la donna non ha propriamente cacciato Roxas di casa. E' Axel che lo ha portato via [Awwh, il Superman della situazione. <3] per evitare altre scenate e quindi adesso il nostro biondino vive a casa sua, anche per aspettare che la situazione si calmi un po'.
Nella parte centrale, piuttosto breve, voglio semplicemente mostrare il fatto che Roxas comunque ha provato a parlare della propria fuga al rosso; probabilmente, dopo l'esperienza della discoteca, egli ha deciso di aprirsi maggiormente con il tutor.
Però non riesce a dire nulla [Che sfigato di merda] a causa dell'estrema gentilezza di Axel che gli impedisce di trovare il coraggio.
Passiamo poi alla scena successiva; Roxas che corre appunto a vedere la cassetta delle lettere di casa sua e... Olà! Trova la busta di Hayner che tanto aspettava [Andiamo, è sempre così sfigato, un po' di culo se lo meritava, no?].
E inizia così a leggere la lettera -Estremamente raffinata, vorrei aggiungere-, scoprendo di avere finalmente la possibilità di poter tornare nella sua vecchia e cara città.
Ma ovviamente le cose si devono complicare; proprio quando Roxas si decide a rivelare l'amara verità al nostro Axey, a lui viene la fenomenale idea di... Di... Di fare quella cosa in auto, impedendo così al primino di dire ciò che si teneva dentro da così tanto.
Inizialmente l'ultima scena non volevo metterla in questo capitolo, perché altrimenti si sarebbe dilungato troppo; però poi mi sono accorta che così stava meglio, anche perché nel capitolo successivo Roxas inizierà una sorta di maturazione interiore (?).
Okay, poi è ovvio che scrivere l'ultima parte è stato estremamente imbarazzante per me, ma lasciamo perdere.

Mmmh... Boh... Spero che il capitolo sia stato nel complesso di vostro gradimento e vi prego di commentare, porco pinguino. Insomma, dopo tutto il culo che mi sono fatta per scrivere, io ESIGO delle recensioni, e che cavolo.
Ps. Le parole terribilmente romantiche che Axel dedica a Roxas fanno parte della canzone ''The First Time Ever I Saw Your Face''.
Pss. Dimenticavo, vorrei ringraziarvi di cuore per le recensioni lasciate nel capitolo precedente. Io spero di rispondere ad esse il prima possibile, ma vi assicuro che sono state incantevoli perché mi hanno quasi commossa.
Alla prossima, gente.
E.P.R.

 

   
 
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