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Autore: Firelight_    06/08/2012    10 recensioni
Due popoli e una sanguinaria lotta per il potere che sembra non avere mai fine; quando i loro occhi s'incrociano, Niall e Zayn capiscono all'istante che c'è fra loro qualcosa che è impossibile ignorare, ma che è altrettanto impossibile realizzare.
Potrà un infimo raggio di sole abbattere secoli di astio radicato nei loro animi?
[Zayn/Niall, alternative universe; mini-long]
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Niall Horan, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atto secondo.

 
 



La tua cintura di nebbia vedo intorno a me
e il tuo silenzio insegue le mie ore in fuga,
e sei tu con le braccia di pietra trasparente
quella dove si ancorano i miei baci e la mia
umida ansia s’annida.

(Pablo Neruda)

 
 
 





Niall odiava tutto di quel castello.
Ogni pietra incastonata nelle mura, ogni torcia nei corridoi, ogni clangore d’armatura gli gridava: nemici! Dentro di lui si rimescolava ancora la rabbia repressa per quello che considerava, se non un tradimento, una grande slealtà da parte di Zayn.
Non aveva rispettato i patti e, dopo averlo catturato e aver inspiegabilmente passato una notte al suo fianco, stretto a lui in una grotta gelida, l’aveva condotto al maniero di Fiender.
Lì, il tenente non si era di certo aspettato di esser trattato con riguardo, ma le maniere brusche e sbrigative delle guardie l’avevano stupito.
Non appena avevano varcato il cancello, sul viso ambrato di Zayn sembrava essersi nuovamente instaurata una maschera impassibile e, senza congedarsi in alcun modo, l’aveva semplicemente abbandonato in mano dei soldati, cominciando a salir su per i gradini.
Il castello era bianco come quella che si narrava essere la dimora della Morte nell’oltretomba, di marmo candido e liscio, privo di qualsiasi venatura. L’inverno nelle terre di Fiender era ancor più rigido di quello di Naimhde e Niall, rinchiuso nelle prigioni sotterranee, si sentiva gelare.
Di tanto in tanto, qualche soldato avversario passava davanti alla porta della sua cella, e alcuni gli gridavano contro qualche insulto in gergo di Fiender che il biondo, naturalmente, non poteva capire. A volte s’azzardava a rispondere con un’ingiuria nella propria lingua e, a quel punto, la maggior parte degli interlocutori esclamavano un meccanico: “Cane di Naimhde!” e si allontanavano lungo la galleria.
 Niall si trovava lì da più di un giorno e, durante tutto quel tempo, aveva avuto a disposizione solamente una rustica scodella di terracotta ricolma d’acqua. Si sentiva senza forze, avrebbe davvero gradito qualcosa da mettere sotto i denti, anche un po’ di pane raffermo, e aveva freddo. I sotterranei erano umidi, e sentiva che l’odore della muffa cominciava a penetrargli nei vestiti.
Quando aveva chiesto la possibilità di fare una doccia, il secondino di turno aveva riso e, poco dopo, gli aveva gettato una secchiata d’acqua gelida addosso. In seguito a quell’episodio, aveva deciso di rinunciare a qualsiasi contatto con le guardie, e ora era in attesa del proprio destino.
Non riusciva a fare a meno di pensare, tra le imprecazioni contro i propri nemici, a Zayn, che aveva scoperto essere il figlio del comandante Malik.
Probabilmente, si diceva Niall, egli era chiuso nelle sue stanze, con un bicchiere di vino raffinato, riscaldato da un camino ardente e, forse, anche da una buona compagnia.
L’idea del moro insieme a una donna lo infastidì terribilmente, anche se non sapeva perché, e prese a giocherellare nervosamente con il ciondolo argenteo che aveva al collo, rappresentante lo stemma della propria patria.
La porta delle prigioni di ferro battuto si aprì di colpo con un cigolio sinistro, e quello che doveva essere uno dei marescialli dell’esercito entrò, facendo scattare sull’attenti i suoi sottoposti.
“Dove si trova il prigioniero di Naimhde?”
Niall alzò il capo di scatto, allertandosi e seguendo ogni mossa dell’uomo, che iniziava a scorrere le celle poste l’una accanto all’altra.
“Nella cella numero 18, signore” rispose una delle guardie.
Seguendo l’indicazione, il maresciallo andò a pararsi di fronte all’occhiata ferma e gelida di Niall, che lo fissava senza alcuna traccia di timore.
“Dunque, la missione del generale Malik ha portato i suoi frutti” commentò, squadrandolo con aria di superiorità.
“Non otterrete alcun risultato da me” lo sfidò il tenente, ostinato e coraggioso.
“Sappiamo essere convincenti”.
Ci fu uno svelto giro di sogghigni e sorrisetti laidi e per un attimo Niall, al pensiero delle torture che avrebbe dovuto subire, sentì il suo cuore tremare incerto.
“Scoprirete la tempra degli uomini di Naimhde, allora” proseguì imperterrito, ben deciso a non dar nessun segno di cedimento.
Detestava gli individui che, come il maresciallo Mills, pensavano di tenere chiunque in proprio potere. Quell’uomo era convinto che, riusciva a leggerglielo negli occhi, lui avrebbe presto ceduto sotto la sadica persuasione di braci ardenti o lance affilate, ma non era intenzionato a dargliela vinta. Era il momento che i nemici imparassero cos’era il vero eroismo e, se fosse stato lui a dover cadere vittima di quel martirio, l’avrebbe accettato.
Il maresciallo fece cenno a uno dei suoi uomini di aprire la grata e, in un batter d’occhio, Niall venne agguantato per le spalle e trattenuto violentemente contro il muro. A quel punto, Mills indossò un guanto di maglia di ferro e, così svelto che il tenente fece fatica a scorgerlo, lo colpì al volto.
Niall sentì il naso spaccarsi sotto il colpo secco, e il sangue gli inondò il viso, solleticandolo appena con i suoi rivoli scarlatti, insinuandosi fra le sue labbra e aspergendole di sangue.
“Fa’ attenzione a quel che dici, ragazzo” ringhiò il maresciallo, serrando il pugno attorno al suo collo in una morsa incontrastabile, mozzandogli il respiro.
“Non riuscirete… a s-sconfiggermi...” biascicò questi, la gola stretta e il dolore che si pervadeva lungo tutto il corpo.
Vide l’altro prepararsi a vibrare un nuovo colpo, di certo un calcio che, con gli scarponi ferrati, gli avrebbe incrinato le ossa, ma qualcosa lo interruppe.
Qualcuno, alle sue spalle, si schiarì la voce e Niall, come un miraggio, un sogno irraggiungibile e irreale, scorse Zayn uscire fuori dalla penombra, in uniforme militare, senza dubbio reduce da una sessione di addestramento.
“Può bastare” disse, con il tono deciso di chi è abituato a comandare.
Niall venne immediatamente liberato e crollò a terra fra i massi aguzzi, sentendosi cedere le gambe, troppo stanco di fronte a quello che era solo l’inizio della sua prigionia.
Sollevò il viso in direzione di Zayn, incontrando i suoi occhi di bronzo scuro e immergendovisi dentro, anestetizzato per un breve secondo da tutto il male che lo circondava.
“Alzati, prigioniero” ordinò il generale, freddo e perentorio. Niall eseguì perché, glielo suggeriva una voce dentro di sé, sarebbe stato meglio affidarsi a Zayn piuttosto che a quelle guardie tanto brute “Voi, legategli i polsi” ingiunse poi ai suoi soldati.
Quelli obbedirono all’istante e, un attimo dopo, il biondo si ritrovò fuori da quei tetri sotterranei, le mani costrette dietro la schiena da una ruvida corda che gli tagliava la pelle e Zayn al suo fianco che camminava a ritmo serrato.
Niall sapeva che cercare di fuggire non avrebbe avuto senso – era disarmato, mentre una spada affilata pendeva al fianco di Malik – perciò seguì il generale senza dire una parola, attraversando muti i corridoi del castello.
Giunti oltre le tre rampe di scale, Zayn rivolse al tenente un cenno brusco e, spalancata una porta di legno massiccio, gli fece capire che voleva che lo precedesse.
Mentre lui entrava nelle sue stanze, il moro si sentiva dilaniato in due, come se artigli di rapace lo stessero squarciando dolorosamente, straziandolo.
Non riusciva a sopportare di vedere Niall in quello stato: era malconcio, stanco e affamato, il viso smunto e i segni delle percosse evidenti sulla pelle candida.
Eppure, nonostante tutto, continuava a trovarlo bellissimo, mentre si consumava nella compassione e nella voglia, l’acido che gli corrodeva piano le vene.
Zayn richiuse la porta con un tonfo, poi si diresse verso Niall a passi decisi, agganciando i loro occhi e non riuscendo più ad allontanarsi da quello sguardo sempre incredibilmente determinato.
Si sentiva come se ogni pagliuzza più chiara che inframmezzava quelle iridi lo riportasse in vita.
“Mi dispiace” disse, il tono basso e misurato, il respiro che gli attraversava tremolante il petto.
Niall lo guardò, sorpreso e con una traccia di speranza, confuso dai suoi atteggiamenti ogni volta contrastanti.
“Perché?” domandò soltanto, gelido.
“Non volevo che ti facessero del male” gli rispose Zayn di getto, ugualmente impenetrabile.
A quelle parole, il tenente sobbalzò. Che cosa significava? Che cosa stava succedendo? Era forse da parte del moro un segnale di… interessamento nei suoi confronti?
No, era decisamente impossibile.
“Non ha senso, Zayn” lo rimbeccò di getto, impaurito da quel caldo qualcosa che gli riempiva morbidamente il petto.
“Lo so che non ha senso!” sbottò questi in risposta, spazientito da quella reazione che si andava a sommare allo scompiglio che aveva dentro
Rimasero in silenzio per lunghi minuti, imbarazzati, la notte stellata che ondeggiava oltre le finestre, penetrando lenta dagli spifferi.
Zayn rimase a osservare Niall per un po’, desiderando in qualche modo alleviare i suoi tormenti, senza però sapere come fare. Era dopotutto stato lui a condurlo a Fiender: perché adesso se ne pentiva, sentendosi fondamentalmente una persona spregevole?
“Stai… stai bene?” domandò sottovoce, facendo incrociare i loro occhi e beandosi della profondità di quelli azzurri dell’altro.
“Ti sembra che stia bene?”
Niall avrebbe voluto suonare altezzoso, ma la nota spaventata nella sua voce balenò chiara sotto la mente attenta del moro, che sospirò.
“Avanti, vieni con me” gli disse, autorevole senza risultare autoritario, facendogli un cenno con il capo e avviandosi verso una porta.
Il tenente lo seguì con una certa riluttanza, ancora a ragione sospettoso, e rimase profondamente sorpreso quando si vide davanti un bagno raffinato, dai decori elaborati, con una grande vasca da bagno lucente.
“Credo che potrebbe farti piacere ripulirti, dopo quel che hai passato” commentò Zayn, a disagio per quella propria gentilezza “Non ci sono armi, qui dentro, a meno che non ti venga in mente di assalirmi con un pettine per capelli” entrambi accennarono un sorriso “Ti aspetto nell’altra stanza, poi potremo parlare”.
Niall era profondamente sconcertato dalla natura di quel gesto, così stranamente cortese e umano per un guerriero di quelle lande desolate, ma infine si voltò a guardare colui che sarebbe dovuto essere suo nemico, fremendo sotto il suo sguardo ardente.
“Non capisco la ragione di tutto ciò” ammise, scuotendo i polsi per fargli capire che necessitava di essere liberato.
Zayn si pose dietro di lui e, frugando nelle tasche della propria giubba, ne estrasse un taglierino, con il quale cominciò a recidere le corde.
Era così vicino al suo corpo che Niall poteva percepire il suo respiro contro la propria nuca, il che lo fece percorrere da un lungo brivido, che gli lasciò addosso una sensazione fin troppo piacevole.
I legacci si sciolsero e Zayn li infilò all’interno della propria giacca, mentre Niall si massaggiava i polsi, che recavano gli evidenti segni della detenzione.
In più, sul suo viso c’erano ancora le tracce del sangue ormai secco, e sentiva fitte di dolore pervaderlo di tanto in tanto. I nemici non avevano avuto pietà di lui, e Zayn sembrava essere l’unica – seppur lunatica e incoerente – eccezione a quella malvagità.
“Dunque…”
Il generale si sentiva terribilmente fuori posto, e quella non era una sensazione che solitamente gli si confaceva. Avrebbe voluto scomparire dalla visuale di quel bellissimo giovane e, insieme, avrebbe desiderato tenerlo per sempre con sé, privando egoisticamente il mondo di quella inestimabile meraviglia.
Niall, di contro, era combattuto, spezzato tra quelle nuove emozioni che sbocciavano inesorabili dentro di lui e tra quelli che, comunemente, erano i suoi doveri.
Perché provava quei sentimenti talmente confusi per Zayn? Con che logica osava far vacillare il suo cuore di fronte ai suoi occhi scuri e caldissimi?
“Non andartene”.
Parlò prima di potervi riflettere sopra e il moro, senza parole, spalancò gli occhi, mentre Niall si voltava di scatto e faceva infrangere i loro occhi sempre in cerca gli uni degli altri.
“Che intendi dire?”
Il biondo tenente sorrise, un sorrisetto astuto e malizioso che gli fece contorcere le viscere.
“Siamo due uomini, non credo che potrei farti alcun effetto, giusto?”
Ha capito tutto, riuscì a balbettare internamente Zayn, il cuore che compiva una violenta e improvvisa accelerata all’interno del suo petto.
Ma, nonostante la chiara sfida, non aveva intenzione di abbandonare la partita, né di lasciarlo vincere a tavolino. Avrebbe giocato al suo stesso gioco.
“Fa’ pure” accordò. E poi, per buona misura, aggiunse: “Non sono io quello dalle preferenze discutibili”.
Niall gli rispose con una smorfia infastidita, girando la manovella d’acciaio del rubinetto e lasciando che l’acqua calda iniziasse a riempire la vasca, pregustando il momento in cui si sarebbe abbandonato fra la sua massa accogliente.
Certo, adesso avrebbe necessariamente dovuto superare l’imbarazzo di spogliarsi davanti a Zayn, però, avendo dato lui inizio a quella sorta di assurda competizione, era costretto a proseguire.
Il moro si accovacciò contro il bordo dello specchio, sperando intensamente che lo spettacolo offertogli non gli provocasse reazioni troppo visibili, gli occhi puntati su Niall che, con lentezza esasperante, si stava togliendo il gilet di cuoio impolverato.
Non appena si sbottonò la camicia e la abbandonò a terra senza alcuna cura, Zayn iniziò a sentire caldo, imputando la colpa all’acqua bollente che intanto scorreva.
Niall si girò a guardarlo, sorprendendolo mentre lo fissava avidamente, con desiderio inscritto palesemente nelle sue iridi brucianti.
Facendo mentalmente mostra di tutto il proprio repertorio di imprecazioni in lingua di Naimhde, il tenente si spogliò in fretta di tutti gli indumenti, dando le spalle al suo avversario e permettendogli di ammirare la sua figura diafana e perfetta.
Alla vista di quella pelle bianca come la luna nonostante stenti e privazioni, al soffermarsi sulle natiche pallide e invitanti, che parevano supplicarlo d’esser strette fra le dita mentre lo violava, Zayn avvertì qualcosa di pressante nascere nel cavallo dei suoi pantaloni.
Nel frattempo Niall, del tutto ignaro di ciò che stava accadendo in lui, si decise a immergersi nell’acqua, lavando finalmente via la sporcizia e sorridendo al pensiero delle proprie raffinate abitudini da gentiluomo.
Si immerse sotto la superficie per bagnare la chioma bionda e scompigliata e, non appena riemerse, sobbalzò visibilmente.
Zayn era seduto sul bordo della vasca, sulla penisola di marmo che stava nell’angolo, le gambe portate contro il petto, che tentava di concentrarsi sull’accendere una sigaretta artigianale, di quelle di contrabbando che comprava giù ai mercati dei quartieri bassi.
Aspirò presto la prima boccata, rivolgendogli un sorriso sghembo, e a quel punto Niall si sentì mancare. Perché lui era completamente nudo, Zayn era il ragazzo più dannatamente attraente che avesse mai incontrato, e perché quel sorriso che gli stava rivolgendo gli dava alla testa.
Il moro si sporse verso di lui reggendo la sigaretta fra le dita e, rassicurato dall’odore familiare e dolcemente acre del fumo, la appoggiò contro le labbra sottili e rosse dell’altro, invitandolo a prendere un tiro.
 Niall non se lo fece ripetere due volte e, innamorandosi del contatto con quelle dita e con il filtro leggermente umido, incavò le guance e aspirò la nicotina, facendola scendere nei polmoni.
Quando soffiò di nuovo fuori, la nuvoletta grigia veleggiò quieta in direzione di Zayn, strappandogli un altro sorriso, sempre più a proprio agio.
“Sei bellissimo” gli mormorò, tornando ad appropriarsi della propria sigaretta e accogliendola come un’amante fedele.
Nel momento in cui Niall si rese conto di quelle parole, una scarica elettrica lo attraversò da capo a piedi e, velocemente, si strofinò con energia i capelli folti e poi si alzò in piedi per uscire fuori dalla vasca.
Zayn, persa la soggezione precedente, lo osservava sfacciatamente e, quando il biondo lo vide indugiare sulle sue parti basse, arrossì furiosamente, agguantando un asciugamano e stringendoselo in vita per coprirsi.
Il generale, resosi conto di quella reazione tempestiva, scoppiò a ridere.
“Non c’è necessità che tu ti nasconda” gli consigliò, sogghignando impudente, nuovamente padrone di sé.
“E sarei io ad avere delle preferenze discutibili?” lo rimbeccò Niall, lanciandogli un’occhiataccia.
“Mmh” Zayn fece una smorfia “Datti una mossa e rivestiti”.
Il biondo, soddisfatto, capì di aver colto nel segno, e fece un paio di passi nella sua direzione, gocciolando distrattamente sul pavimento, l’acqua che si perdeva nelle pieghe della sua pelle chiara.
“Forse sarebbe meglio lavare anche i miei abiti” osservò “Non sono in ottime condizioni”.
Zayn, diventando impaziente, il controllo della situazione che continuava a cambiare possessore, saltò a terra con la sigaretta fra le labbra e fece cadere i vestiti di Niall nell’acqua della vasca, lasciandoli galleggiare e roteare lenti.
“Mi sembra sufficiente”.
“E, per inciso, neanche tu sei poi così male” lo sorprese ancora il tenente, stavolta con un sorriso sincero e, per certi versi, timido.
Era inevitabile: anche a Zayn venne da sorridere, perché non poteva non ricambiare quel raggio di sole che gli era stato donato.
Spense la sigaretta contro il lavandino, per poi gettarla sui tappeti pregiati con estrema noncuranza.
A quel punto, temendo che o prima o poi non sarebbe più riuscito a nascondere quel che gli provocava la visione di Niall, il moro si incamminò in direzione dei propri armadi e, di scatto, tirò fuori una camicia e dei pantaloni puliti, non particolarmente diversi da quelli che si usavano portare a Naimhde.
L’altro si rivestì con la stessa insopportabile mollezza con cui aveva avuto cura di spogliarsi, facendolo pian piano macerare nella sua brama, senza staccare gli occhi dai suoi.
E la cosa più paradossale era che fuori c’era la guerra, e loro erano nelle loro rispettive prigioni – che fossero concrete o meno – a desiderarsi follemente a vicenda, senza poter mai aversi. I loro popoli si scagliavano gli uni contro gli altri, inumane belve, distruggendo ogni traccia di comprensione negli animi, ma il veleno non riusciva a contaminare Niall e Zayn.
Perché, chissà?, forse erano diversi. O, più semplicemente, possedevano dentro una capacità di rimanere fedeli a se stessi fuori dal comune.
“Sai che sei qui per essere interrogato, non è vero?” esordì Zayn, poggiandosi contro il bordo della scrivania e scrutandolo con attenzione.
“Non dirò nulla che possa tradire il mio popolo” affermò l’altro con risolutezza, guardandolo fisso in segno di sfida.
Il moro sospirò: aveva imparato a capire che il tenente aveva un coraggio fuori dal comune, dal quale lui doveva riuscire a proteggerlo.
“Cercheranno di costringerti a parlare” lo mise in guardia, stando ben attento a non includersi in quella spaventosa entità senza nome “Non si fanno scrupoli nel torturare i nemici, soprattutto se si tratta di gente di Naimhde”.
“Resisterò”.
La sua ostinazione, fu costretto a pensare Zayn, era davvero ammirevole, anche se l’avrebbe soltanto portato all’autodistruzione.
“Ragiona” lo invitò “Si potrebbe arrivare a un compromesso vantaggioso per ambo le parti. Se collaborassi, verresti senza dubbio rilasciato”.
“Non lo farò”.
Il generale iniziava ad arrivare al suo limite di pazienza, perché non poteva sopportare l’idea della fine di quel giovane e valoroso soldato.
“Stai decretando la tua fine!”sbottò, battendo un pugno serrato contro il tavolo, carico di frustrazione.
“Credi che non lo sappia?” ribatté prontamente Niall “Sono un essere umano anch’io, Zayn, e come tutti ho paura del dolore e della morte. Ma, nonostante ciò, non cederò e mai scenderò a compromessi. È la mia ultima parola”.
Zayn si prese il capo fra le mani, sospirando profondamente e cercando una soluzione che potesse salvare la vita del suo nemico, ma era inutile. Non c’erano scappatoie.
“Non posso permetterti di firmare la tua condanna in questo modo” sussurrò affranto, perdendo il proprio abituale controllo e sporgendosi verso di lui, stringendo una delle mani bianche e affusolate del biondo fra le proprie.
Niall sussultò: non si era aspettato una tale dimostrazione di – come definire in modo appropriato ciò che Zayn gli mostrava? – trasporto nei propri confronti.
Perché il suo avversario sembrava a tutti i costi volerlo aiutare? Era una trappola?
E perché lui avvertiva dentro di sé una sconcertante tendenza ad assecondare quello stesso avversario in ogni cosa che diceva? Perché, quando gli sembrava che si preoccupasse per lui, era costretto a nascondere un sorriso?
Cos’era dunque quel sentimento che, sfidando le avversità come un bucaneve che si erge delicato oltre la coltre bianca, sbocciava in lui con la stessa dolcezza e fragilità di quel fiore?
Niall gli accarezzò piano i palmi delle mani, gli occhi persi in ogni sfumatura diversa che si fondeva in quella pelle e il cuore rigenerato dal lieve contatto.
“Se non fossimo nemici sarebbe tutto più facile” si ritrovò a bisbigliare, il tono basso e scoraggiato.
“Ma lo siamo” fu la triste risposta di Zayn, che teneva lo sguardo puntato sul pavimento, un’espressione profondamente infelice dipinta sul viso.
“Sì, lo siamo”.
Sapevano che niente, niente!, avrebbe mai potuto cancellare i secoli di lotte sanguinarie e disprezzo che univano e distruggevano le loro terre; quello in cui vivevano era ed era sempre stato un mondo privo di possibilità di scelta e, soprattutto, nel quale non era contemplata la felicità.
“Ho una promessa sposa” disse improvvisamente il moro, come inghiottendo un boccone amaro.
“Davvero?”
Niall non voleva sbilanciarsi troppo, preferiva prima capire appieno quale fosse il suo parere al riguardo.
“Ricca, nobile, bella e di famiglia facoltosa, proprio come si conviene a uno del mio rango. Proprio come si conviene a Zayn Malik”.
“Ne sarai lieto” azzardò il tenente, sentendo il cuore incrinarsi nel petto.
“A dir la verità, la sola idea di andare con una donna mi disgusta. Per quanto esse siano limpide e meravigliose, non riesco ad abituarmi al pensiero di essere costretto a fingere di amarle”.
L’anima di Niall venne animata da un’improvvisa vampa di speranza e voglie taciute, che riuscì a esprimere soltanto intrecciando le loro dita.
“Potresti rifiutarti di sposarla” suggerì sottovoce.
“Potrei” convenne Zayn, rivolgendogli un sorriso malinconico “E dopo? Mille altre potrebbero prendere il suo posto. Se, succedendo a mio padre, erediterò il comando militare del paese, è tradizione che mi sposi entro il compimento dei venticinque anni”.
“Non… non farlo”.
La pelle pallida del viso del biondo si colorò all’istante di rosso, tuttavia lui sostenne comunque lo sguardo penetrante e vigile di Zayn, che pareva leggergli dentro.
“Perché non dovrei?” esclamò, con inaspettata energia “Non posso, Niall, non posso!”
Sentiva il sangue pulsare forte e disperato nelle vene, infiammandogli le membra e la mente, anche se sapeva che il suo ardore sarebbe stato inutile contro un universo che o prima o poi sarebbe riuscito a piegarlo al proprio volere.
Non riusciva a capacitarsi di quello che, come una inattesa valanga, l’aveva sommerso da capo a piedi, portandogli via il respiro e facendolo inchinare al cospetto di quell’instancabile tenente venuto da lontano.
Come poteva amare un nemico, quando sapeva che non gli sarebbe neppure stato concesso di scegliere la donna che preferiva tra quelle proposte da suo padre?
Zayn era sempre vissuto all’ombra di quell’uomo spietato, giudicato come la più potente arma offensiva di Fiender, e tutti si aspettavano che lui non fosse diverso.
Si aspettavano che, quando Yaser Malik fosse diventato troppo vecchio per dirigere le operazioni di guerra, il figlio avrebbe preso il suo posto e le avrebbe condotte con eguale successo e ferocia.
Ma la verità era che lui non era come suo padre; in realtà, Zayn aveva dentro emozioni troppo profonde e giuste perché la battaglia potesse sormontarle, e ne temeva l’influenza.
“Dovrei odiarti” intervenne Niall, distogliendolo da quei pensieri “È per colpa tua e del tuo popolo se, quando avevo appena tre anni di età, i miei genitori sono stati uccisi in un conflitto, lasciandomi orfano. E dovrei odiare specialmente te, che porterai avanti ciò che tuo padre e la stirpe dei Malik hanno iniziato e perpetrato nel tempo. Dovrei, eppure…”
“Eppure?” lo incalzò il generale, facendo un passo verso di lui e frugando nelle sue iridi per trovarvi bagliori di emotività.
“Non ci riesco” affermò infine Niall, riducendo ancora la distanza fra loro e, essendo più basso del moro, appoggiando la fronte contro il suo petto che si alzava e si riabbassava svelto.
In un gesto a cui gli sembrava di agognare da tutta la sua esistenza, Zayn lo cinse gentilmente con le braccia e lo avvicinò appena di più a sé, ritrovandosi con le proprie labbra sui suoi capelli dorati.
“Tu soffri, Niall”.
Questi si strinse nelle spalle, beandosi di quel nuovo istante che sorprendeva entrambi e li rendeva cera nelle mani del destino.
“Tutti soffriamo, ogni giorno” fece una pausa, socchiudendo gli occhi e fremendo al tocco della bocca dell’altro contro la sua fronte “Credevo di essere immune a tutto questo. Pensavo che, essendo tanto temprato, non sarei mai e poi mai caduto in un inganno così banale, incatenato dalle mie stesse passioni” impreparato di fronte a quella sincerità, Zayn trattenne il fiato “Ho sempre cercato di controllare me stesso e di cavarmela da solo, anche a partire dal fatto che in passato nessuno si è occupato di me se non per addestrarmi e istruirmi. Ho vinto contro un’infanzia solitaria, contro un’adolescenza insicura e traumatica, contro il vuoto della mia esistenza e il ribrezzo degli altri per ciò che sono e per quel che provo. Ho lottato e trionfato contro tutto e tutti, ma ora… ora, che ne è di me?”
“Mi sei mancato” gli rispose Malik, spostando le labbra e facendole scivolare lungo il profilo del suo volto di marmo “Da sempre aspettavo che qualcuno come te arrivasse, ma temevo anche quel momento, perché sapevo che saresti stato capace di uccidermi. E adesso fa male, perché ciò che sta accadendo sta sgretolando quello per cui ho lavorato tutta la vita, recidendo le mie fondamenta e le mie radici. Non sono mai stato autentico – non so se la colpa sia da imputare alle continue pressioni che mi opprimono a causa della mia posizione sociale e dinastica – il che mi ha sempre, in un certo senso, confortato. Meglio rimaner cieco alla realtà, se essa è troppo difficile da tollerare.
Però, e non so perché, ora sto aprendo gli occhi e, sebbene sia abbagliato, finalmente vedo la luce”.
Le parole di entrambi – affrettate, avventate e troppo reali per esser pronunciate a voce alta come avevano fatto – veleggiarono spumose fra le pareti di granito, riempiendo i loro pensieri fino a ridurli al punto di rottura.
Sì, alfine gli argini stavano per spezzarsi, e il fiume avrebbe inondato le valli circostanti con la sua piena impetuosa e purificatrice.
“Cosa stiamo facendo, Zayn?” soffiò Niall, alzando il capo verso di lui e puntandolo con i suoi occhi lucidi e non più di ghiaccio insensibile, divenuti marea incontenibile.
“Non lo so”.
Il respiro delle sue parole colpì bruciante ogni centimetro del corpo del biondo, mentre il cuore accelerava e prendeva il volo verso cieli infiniti, svanendo fra le costellazioni degli amanti.
E poi, tutto precipitò. Tutto nacque, si ricompose e trovò il proprio posto nel mondo, ricongiungendosi e percorrendo un cerchio senza limiti che univa anime e impeti in un nastro di seta vermiglia.
Ogni cosa – la luna che occhieggiava dal firmamento, il vento che spiava fra i rami degli abeti con sguardo curioso, le luci opache e lontane che li osservavano dall’alto delle torri, le loro palpebre che si chiudevano e lo scontro dolcissimo dei due corpi – nacque e perì quando le loro labbra si toccarono.
E non capivano più chi stesse baciando chi, non capivano né perché né quando, ma sapevano soltanto che: , era giusto.
Forse era la lingua di Zayn nella bocca di Niall, o forse era al contrario; forse erano i denti di Niall che mordicchiavano avidi Zayn, o forse viceversa; forse erano i loro respiri insieme che, affannosi, celeri e per la prima volta completi, formavano una sola cosa.
Ma non importava. Niente importava, perché tutto era loro.
E, in quei secondi che sapeva che mai avrebbe potuto dimenticare, Niall ritrovava se stesso nel sapore irresistibile di Zayn, nelle loro salive mischiate e nelle proprie mani che gli tiravano i capelli neri, allacciandosi poi dietro al suo collo come a non volerlo mai più lasciare andare.
Zayn, dal canto suo, aveva perso ogni riflessione razionale e logica nello stesso momento in cui le vellutate labbra del biondino avevano cominciato a saggiare le sue, appianando ogni insicurezza e paura e lasciando spazio solamente a una verità che non voleva più negare.
Sapevano che era sbagliato, ma ciò aveva per loro davvero un significato? Come poteva essere sbagliato quell’amore che, sfidando temerario le aspre difficoltà, era esploso con la forza di una supernova, trascinandoli in buco nero di meraviglioso oblio al quale mai avrebbero voluto sottrarsi? Come poteva essere sbagliato riuscire a scorgere nel buio una traccia di luminescenza?
Però, nonostante tutto, non potevano. Non potevano lasciar spazio a quel che provavano perché, ed era una realtà che non avrebbero in alcun modo potuto influenzare, i loro popoli erano rivali nella più cruenta guerra che avesse vessato l’isola negli ultimi tre secoli, e l’amore non era considerato un’eccezione all’odio.
Fu Zayn, il suo spirito che si scuoteva veemente, a interrompere quel bacio che era riuscito momentaneamente a salvarli dalla concretezza della società. Si staccò di colpo, respingendo Niall quasi con violenza, allontanandolo da sé e puntandogli addosso due occhi sconvolti.
Ogni traccia di bronzo era scomparsa dalle sue iridi, lasciando il posto a una terra bruciata che sembrava non poter più essere ferace.
“Va’ via”.
“Zayn, aspetta soltanto…”
Questi non gli concesse neppure il tempo di parlare perché, ansimando piano, si rassettò la camicia, spalancò la porta dei propri appartamenti e, affacciatosi in corridoio, chiamò a gran voce le guardie.
“Riportate questo prigioniero nei sotterranei” ordinò in fretta, il cuore che martellava come mai aveva fatto prima.
Quello sguardo azzurro, artico di nevischio e grandine, lo tenne ancorato al suolo finché Niall non fu trascinato a forza fuori di lì e, non appena la porta si chiuse con un gran tonfo, Zayn si accasciò su se stesso, le carni squarciate dalla sofferenza.
Soltanto quando si rese conto di essere prostrato a terra e di avere un gran senso di nausea, il moro si accorse anche di star piangendo silenziosamente, le lacrime bollenti che gli scivolavano lungo le guance, il gusto di Niall ancora sulla propria lingua.
Si odiava con tutte le proprie forze per averlo scacciato in quel modo così brusco, ma non aveva avuto altra scelta pur di salvare se stesso.
Lui era Zayn Malik, era il figlio del comandante Malik, era il generale dell’esercito di Fiender, e presto avrebbe condotto le sue truppe sul campo, contro un’orda di nemici.
Come poteva starsi innamorando di Niall Horan, originario delle lontane e fertili terre di Naimhde, che con un semplice sguardo era stato capace di fargli perdere la bussola?
 
 

Ormai da settimane Niall si trovava nelle celle del maniero di Fiender, in attesa che qualcosa – qualunque cosa – accadesse. I secondini continuavano a passare fra le gallerie, anche se erano diventati silenziosi e non gli rivolgevano la parola neppure per un'ingiuria.
Il tenente era convinto che, se la situazione avesse continuato ad esser tale, presto avrebbe cominciato a parlare con se stesso per spezzare il silenzio gelido di quelle carceri.
Inoltre, quella sospetta assenza di movimento nei confronti di un prigioniero speciale come lui gli dava la possibilità di rimanere a rimuginare per ore, il che riusciva unicamente a fargli del male.
Perché, per quanto cercasse di impedirsi di ripensarci, la sua mente correva costantemente a quell’angolo di gioia nel deserto che era stato il bacio con Zayn; quantomeno, lo era stato prima che questi lo fermasse con tanta fredda decisione, lasciandolo diviso in mille parti differenti e contrastanti.
Provava ancora la sensazione delle loro lingue intrecciate e indivisibili, quella delle grandi mani di Zayn che gli accarezzavano il viso e poi le spalle, protettive e affezionate insieme.
Però, si disse imperterrito, non aveva senso continuare a centellinare ogni brano di quei minuti che avevano passato l’uno fra le braccia dell’altro, perché erano ora perduti e vagavano senza padroni nel vento indomito.
Ogni parvenza di vita – perché, anche solo per poco, gli era sembrato di comprendere appieno il significato di quella breve e cruciale parola – si era dissolto nel momento in cui Zayn l’aveva respinto, però Niall di una cosa era certo: anche lui aveva provato dolore nel farlo.
L’aveva avvertito chiaramente, l’aveva scorto nell’espressione afflitta del generale mentre lo rispediva indietro fra spintoni rudi di grezzi soldati, rifiutato senza ricevere ragioni.
E la cosa peggiore era che, ora come ora, non poteva più mentire a se stesso, dicendosi che quella questione era dopotutto di scarsa importanza, poiché mai amore più sconveniente e duraturo di quello era sorto in un’eclissi di inverno.
Zayn e Niall avevano cercato di liberarsi dal giogo della crudeltà, ma in quel momento il biondo sentiva solamente di aver fallito in modo eclatante.
“Tenente Horan! Diamine, bastardo Naimhde, il generale Malik vuole vederti!”
L’interpellato balzò in piedi, il cuore che gli risaliva in gola e batteva a singhiozzo, sconcertato e privo di punti di riferimento.
“Che cosa?”
“Sei per caso sordo, o hai perso la ragione?” la guardia sputò a terra con esagerato sdegno “Il generale Malik ha chiesto che tu venga condotto nei suoi alloggi; fossi in te, direi le tue estreme preghiere in questa gabbia sotterranea”.
Niall abbozzò un sorrisetto, facendo sgranare gli occhi a quell’uomo tanto più ignorante della vita rispetto a un biondo gentiluomo di poco più di vent’anni.
“Credo che implorazioni e suppliche aspetteranno. Conducimi da lui”.

 
 
 










Angolo autrice:
 

salve a tutti!
Prima di iniziare uno dei miei soliti sproloqui a caso, vorrei ringraziare i miei lettori – specialmente chi mi recensisce – per l’accoglienza splendida che avete riservato al prologo di questa piccola Ziall senza tante pretese c:
detto ciò, mi scuso per il ritardo, ma al momento non sono in città e sto riuscendo a postare solo per un momento di generosità di mia sorella, che mi ha prestato il suo cellulare, che ha la connessione internet (io ho un Motorola risalente al dopoguerra, ehm ehm).
Scusate gli eventuali errori, ma essendo dal telefonino non posso rileggere.
Comunque sia, la storia fra i due personaggi ha avuto inizio, e nel modo più tormentato possibile. Ho cercato anche di rendere l’idea di un certo tipo di mentalità del tempo, che non è quella che potrebbe essere quella odierna – sebbene spesso abbia dei dubbi al riguardo…
Dato che in molti me l’hanno chiesto, questa mini-long non ha né una collocazione né un periodo definiti.
È, come ho già detto, inserita in una cornice storia: cornice, appunto, perché non reca dati precisi. I luoghi sono evidentemente immaginari, così come le vicende, e l’epoca equivale più o meno al diciassettesimo secolo, anche se non è del tutto corrispondente. Insomma, è semplicemente di fantasia.
Spero che questo secondo atto vi sia piaciuto; ad esser sincera, io sto iniziando ad affezionarmi parecchio ai personaggi, il che mi fa riconsiderare alcuni avvenimenti che avevo intenzione di inserire… ma non dico altro (:
siete sempre gentilissimi a seguirmi con tanta assiduità, davvero, non so che dire!
Spero che lascerete un parere anche a questo capitolo, e spero inoltre di poter postare con puntualità, anche se non sarà facile.

A presto,
 
firelight_
 
 
ps. la poesia iniziale è sempre di Neruda, una parte di ‘Ah vastedad de pinos’. Consiglio random: leggete le sue raccolte, sono meravigliose!
 
Ah, come sempre, sul mio account ci sono storie che attendono solo che un lettore le scopra.
   
 
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