8
Il viaggio verso sud
divenne più difficoltoso, quando il bosco lasciò il posto a vaste e sconfinate distese
di terreni coltivati.
Questo ci rese quasi
impossibile nasconderci, impedendoci di proseguire la nostra marcia durante il
giorno.
Di comune accordo, quindi,
variammo la nostra strategia decidendo di procedere solo di notte.
Avremmo sfruttato le carreggiate
utilizzate dai contadini, per godere di un tracciato più agevole di quello
offerto dai campi a maggese, o ricoperti di grano saraceno pronto per la
mietitura.
La luna divenne il sole,
per noi e, durante il giorno, increspature nel terreno, ruscelli e piccoli
anfratti tra le rocce divennero i nostri nascondigli.
Il ricordo di ciò che mi
aveva preoccupato nelle prime ore di quel viaggio venne presto a sparire,
sostituito dalla necessità di concentrare tutte le mie forze in quello che
stavo facendo.
Gordon, Mary B, Elspeth,
Nancy, Maggie, ... tutti vennero messi in secondo piano per lasciare spazio a
quel viaggio che, ormai, riempiva ogni attimo della mia giornata.
Mentre la nostra discesa
verso Matlock proseguiva, la consapevolezza che qualcosa, dentro di me, fosse
mutato per sempre, si fece sempre più forte.
Sapere di essere una wicca non solo mi aveva scombussolato, ma
aveva cambiato il mio modo di vedere le cose.
Compresi molti piccoli
particolari di me stessa che, in precedenza, mi erano risultati oscuri solo
perché non ero stata a conoscenza della mia vera natura.
Mentre percorrevo, spesso
senza parlare, quei lunghi tratti di campagna assieme a Duncan, mi chiesi più
volte il perché dei silenzi da parte di mia madre e di mia nonna.
Loro, sicuramente, erano
state a conoscenza di quest'eredità – bella o brutta, dovevo ancora deciderlo.
Di una cosa, però, ero
sicura; il motivo per cui ci eravamo allontanati dall'Inghilterra era dipeso da
questo.
Aver saputo cosa
aspettarmi, specialmente dopo ciò che era successo, mi sarebbe davvero
piaciuto.
Avrei evitato degli inutili
mal di testa, oltre ad attacchi di panico del tutto fuori luogo.
Forse, avrei potuto reagire
diversamente a quegli eventi davvero fuori dal comune.
Invece, come un bambino
appena nato e strappato alle cure della madre, mi ero ritrovata sperduta in una
landa sconosciuta, come unica guida una creatura che mai prima di allora avrei
immaginato potesse esistere.
Con la sua semplice
presenza, Duncan aveva rivoltato la mia vita come un calzino,
stravolgendola completamente.
***
La notte era ormai nostra
compagna da giorni quando, attraversando le campagne nei pressi della riserva
di Glengavel, riemersi dal mio stato di pensieroso silenzio per chiedere a
Duncan: "Quando scopristi di essere il futuro Fenrir, come ti sentisti?
Eri confuso?"
I suoi tratti si fecero
tesi per un momento, prima di tornare a rilassarsi forzatamente.
Sentii vibrare il suo
potere sotto pelle, come se i suoi pensieri fossero troppi, e troppo potenti,
per essere ammansiti con il semplice autocontrollo e, turbata, me ne chiesi il
motivo.
Senza voltarsi, mormorò
roco: "Ne avevo paura, anche se immaginavo già da tempo che sarei stato
... beh,... il prescelto."
"E perché?" gli
chiesi, forse ingenuamente.
"Provengo da una linea
ininterrotta di licantropi dal sangue puro... una cosa estremamente rara, oggigiorno.
E' quasi scontato che un Fenrir nasca in una famiglia con un patrimonio
genetico simile" si limitò a dire, la voce piana e forzatamente neutra.
Il suo tono conteneva molto
di più di quanto non avesse in realtà detto.
La sua postura rigida, e il
modo in cui le sue sopracciglia scure si erano arricciate sugli occhi
socchiusi, mi spinsero però a tacitare le mie domande per rivolgere i miei
interessi altrove.
In lontananza, nella
semioscurità di quella placida notte, si intravedevano i riflessi dell'acqua di
un lago.
Affiancato Duncan,
proseguii in silenzio senza più disturbarlo, i nostri respiri gli unici rumori
udibili in quel vasto territorio collinare dai bassi declivi.
Lì, lontani dalla civiltà e
da tutto ciò che ricordava la presenza dell'uomo, sembravamo le due uniche
creature ancora in vita, anche se sapevo bene che non era così.
La foresta poco lontana
brulicava di vita, e i primi agglomerati urbani non erano poi così distanti.
L'apparenza, però, era
tutto, in certi casi.
Un fresco venticello
spirava da sud, solleticandomi il collo umido di sudore per il lungo camminare.
Me lo tersi con un
fazzoletto prima di saltellare qualche passo più avanti rispetto a Duncan che,
dal primo giorno di viaggio, aveva recuperato le forze con una velocità quasi
disumana.
Guardandolo con un sorriso
da sopra una spalla, gli domandai sorniona: "Fai a gara con me a chi
arriva prima al lago?"
Lui accennò un sorriso, che
però non raggiunse gli occhi ma io, testardamente, lo presi per le mani,
insistendo. "Dai... scommetto che ti batto. Sai che sono bravissima, nella
corsa?"
"Ti farai male. Non
vedi le asperità del terreno come me" brontolò per contro, lasciando che
le sue mani dondolassero molli tra le mie.
"Non fare lo
scocciatore, Duncan. Voglio solo sgranchirmi le gambe" cercai di
ironizzare, scrollando quelle mani inerti.
Non sembrava propenso
ad abbandonare la strana apatia che lo aveva avvolto tra le sue spire, dopo la
mia apparentemente innocua domanda.
"Non mi va"
replicò cocciuto, ritirando le mani con un gesto nervoso.
"E va bene. Me ne
starò qui ad annoiarmi a morte con te" sbuffai con eccessiva enfasi,
rimettendomi al suo fianco e chiedendomi, silenziosamente, perché fosse
diventato così ombroso nell'arco di pochi attimi.
Non erano le donne a essere
lunatiche? O forse, i licantropi, in quanto sudditi della luna, ne subivano gli
influssi anche dal punto di vista umorale?
Lui mi fissò malissimo per
alcuni istanti, istanti in cui pensai seriamente mi avesse letto nel
pensiero - e forse era davvero così!
Temetti che mi avrebbe
mandata a quel paese quando all'improvviso, con un lampo negli occhi e un
sorriso birichino stampato sul volto, mi afferrò proditoriamente per la vita,
spaventandomi.
Senza fatica, mi issò su
una spalla e si mise a correre sul prato che stavamo percorrendo, ignorando di
fatto la sua ferita e il carico che aveva su di sé.
Mi tappai la bocca per non
urlare – ormai ero diventata paranoica e trasalivo a qualsiasi rumore, anche
solo accennato – e sibilai tra i denti: "Smettila di fare lo scemo! Ti
farai male!"
"Eri tu che volevi
correre!" ghignò Duncan per contro, accelerando il passo.
Non sembrava minimamente
risentire della mia presenza come se, a conti fatti, io non pesassi nulla.
Era fluido come il vento e
dalla falcata potente, come un lupo lanciato nella corsa durante la caccia.
Tutto in lui lasciava
intravedere la bestia che era sopita sotto la sua pelle di uomo, come se essa
non attendesse altro che di uscire allo scoperto.
Raggiungemmo il lago in
pochi minuti, quando avremmo impiegato almeno venti minuti, a
un'andatura normale.
Sopraffatta dall'ansia per
le sue condizioni di salute, esclamai: "Ti prego, basta, Duncan... ho
paura per la tua spalla!"
"Sto bene, Brianna,
non temere" replicò con candore, sollevando il viso per lanciarmi un breve
sorriso.
"E allora perché prima
facevi il muso, se ora ti senti così bene?" sbuffai a quel punto,
fissandolo bieca.
"Lascia perdere"
borbottò, prima di farmi scendere e chiedermi: "Ti va un tuffo nel
lago?"
"Neanche morta!
L'acqua è gelata!"
Rabbrividii al solo
pensiero.
Lui mi lanciò un'occhiata
carica di ironia, a cui risposi con una linguaccia.
Senza badare a me, cominciò
a slacciarsi i pantaloni della tuta e io, a quel punto, mi voltai a velocità
record esalando sconvolta: "Ma che fai?!"
"Mi lavo... e darò una
ripassatina anche ai pantaloni, già che ci sono" mi spiegò, come se fosse
la cosa più naturale del mondo. "Sono stanco di sentirmi sudicio."
Preferii non appurare di
persona quel che stava realmente facendo ma, quando sentii lo sciabordio delle
acque del lago, mi fu chiaro che non scherzava affatto.
Gettai un'occhiata timida
oltre la spalla e, come guidata da fili invisibili, mi volsi a osservare Duncan
immerso nell'acqua fino alla cintola, la pelle scintillante e pallida sotto la
luce dello spicchio di luna alto in cielo.
Con un gesto lento delle
mani, sfiorò la superficie cupa del lago come se stesse toccando del morbido
velluto.
Affondò in acqua un attimo
dopo e, con fluidità di movimenti, si mise a nuotare.
Non indossava più la tuta,
lasciata a riposare - interamente bagnata - su un masso vicino alla riva.
Sospirai, distogliendo
inutilmente lo sguardo per concedergli un po' di privacy.
Non che servisse a molto,
comunque.
Ogni centimetro del suo
corpo – o quasi – era ben sedimentato nella mia mente, dal giorno in cui lo
avevo scorto nel garage di casa.
Il fatto di saperlo nudo
nel lago, squisitamente affascinante e misteriosamente intrigante come lui
sapeva essere, non mi aiutò di certo a mantenere saldo il controllo sul mio
cuore iperattivo.
Sempre a testa bassa e
rivolta verso il bosco, lo sentii uscire dalle acque e, tremando di
sorpresa, gli sentii dire: "Brianna... vorrei provare a
trasformarmi."
Mi morsi un labbro, indecisa
su cosa dirgli, indecisa se essere pronta o meno per un simile spettacolo
contro natura, indecisa se il mio cuore e la mia testa fossero in grado di
resistere anche a quello.
Alla fine,
però, annuii e sussurrai: "Prova, se te la senti."
"Brianna..."
"Sì?" alitai,
sempre mostrandogli le spalle.
"Vorrei che mi
guardassi" mi pregò lui, con voce appena sussurrata.
"E' davvero
necessario? Non potremmo rimandare gli esami a un altro giorno?" cercai di
ironizzare, sentendo il cuore martellarmi dolorosamente nel petto.
"Più rimando, meno
sarai convinta. Lo stress causato da questo viaggio ti sta deteriorando i
nervi, non credere che non lo sappia per cui, prima agiamo, meglio sarà per
tutti" replicò, con una logica ferrea.
"Ho paura" ammisi
a quel punto, in un sussurro.
Il vento spirò nuovamente,
portandomi il suo profumo muschiato e umido.
Tremando maggiormente, mi
strinsi le braccia al petto e aggiunsi: "Ho paura di non essere
capace di..."
"... di guardarmi
senza scappare?" finì lui per me.
Annuii, giocherellando
nervosamente con le mani, afflitta dalla mia stessa codardia.
Duncan, però, replicò:
"Brianna, molti di
noi si spaventano, la
prima volta che vedono un licantropo mutare. E' una cosa davvero anomala a
vedersi. Non credere che mi stupirebbe vederti scappare a gambe levate, ma devi
essere preparata a ciò cui stai andando incontro."
"E cioè?" riuscii
a chiedere, accucciandomi su una pietra levigata e ricoperta di licheni.
Era fredda come il peccato,
ma sarebbe andata bene per sostenermi, visto che le gambe avevano iniziato a
tremare come budini molli.
Lui mi si avvicinò e, dopo
essersi inginocchiato al mio fianco, posò una mano sul mio ginocchio e
sussurrò: "A un mondo popolato di lupi. Non voglio che tu ti spaventi,
voglio che tu sia pronta."
"Voglio, voglio... e
quello che voglio io non conta?" replicai piccata, ignorando la sua mano
sulla mia pelle nuda, lo sguardo testardamente fisso dinanzi a me.
"Certo che conta, ma
quello che sto cercando di fare è solo aiutarti. Non si assiste a un'autopsia,
come primo esame di medicina, per rendersi conto se si è in grado di vedere un
corpo morto e, soprattutto, le sue interiora stese su un tavolo
operatorio?" cercò di ironizzare lui.
"Spero tu non voglia
sventrarti per far piacere a me!" sbottai, voltandomi di scatto per
fissarlo negli occhi.
Se ne stava ancora
accucciato vicino a me, e io ero concentrata unicamente sul suo viso,
illuminato dai raggi candidi dello spicchio di luna che ci sovrastava.
La sua mano strinse
maggiormente il mio ginocchio, nel sussurrarmi: "Voglio... desidero solo che tu mi veda mutare. Se
avessi qui con me qualcun altro, sarebbe più facile, ma così non è."
"Quindi, dovrei tirare
fuori le unghie, per non dire qualcos'altro, e affrontare la cosa di
petto?" esalai con voce tremante.
"Sì."
Solo sì. Non una
spiegazione interminabile e sibillina, a tratti machiavellica. Solo sì.
E forse fu la semplicità di
quella risposta a darmi il coraggio di accettare la sua offerta.
Annuii e lo vidi sorridere
orgoglioso, gli occhi scintillanti e l'aria di chi avrebbe potuto ballare per
la gioia, se non si fosse trattato di una persona controllata come Duncan.
Fissai la sua figura
allontanarsi di qualche metro da me mentre la sua voce, con tono suadente e
calmo, mormorava: "Niente di quello che vedrai mi farà male, Brianna,
quindi non essere in ansia per me, d'accordo?"
"Vedrò di non
strillare, promesso" promisi, deglutendo mentre lo osservavo poggiare un
ginocchio a terra.
La sua nudità, in quel
momento, non mi turbò.
Ero troppo sconvolta
all'idea di quel che stava per fare, per pensare al gioco dei suoi muscoli
sotto la luce della luna. Il che era tutto dire.
Lui accennò un sorriso da
sopra la spalla, prima di concentrarsi e chiudere gli occhi.
Un pugno puntato a terra,
ripiegò il capo verso il basso nascondendolo in parte dietro la curva muscolosa
della spalla e, a quel punto, avvenne l'imprevedibile.
Vidi la sua schiena
arcuarsi e le sue costole prendere pieghe impossibili prima di ... sì, prima di
spezzarsi con un sonoro crack
.
Quel suono mi fece accapponare
la pelle, e mi fece portare le mani alla bocca per frenare l'impulso di urlare
e lanciarmi su di lui per fermare quell'atrocità.
Altre parti del suo corpo
cominciarono quel balletto di ossa e carne mentre i suoi capelli, da neri che
erano, divennero bianchi come il latte e presero a ricoprire ogni lembo
visibile di pelle.
Un liquido denso fuoriuscì
assieme al pelo niveo, come se si fosse trattato di una sorta di olio
ammorbidente per la pelle, o di un lubrificante per facilitare la mutazione.
Paralizzata, continuai a
osservare le sue membra mutare, allungarsi, prendere connotati totalmente
animali, mentre una lunga coda bianca dondolava tra le sue gambe, no, zampe
posteriori, come dando il tempo a una danza che io non potevo udire.
Il suo volto perfetto e
bellissimo si allungò, si ricoprì di peluria sottile e lucida e, con un
movimento sinuoso, Duncan piegò all'indietro il collo ricoperto da una gorgiera
quasi argentea alla luce della luna, e ululò.
Quel suono mi fece crollare
a terra in ginocchio, gli occhi sempre spalancati e fissi su di lui che, di
umano, non conservava più nulla, solo un'intelligenza fuori dal comune negli
occhi ambrati.
Quegli occhi ambrati che mi
avevano fissata con astio, la prima volta che ci eravamo incontrati.
Gli occhi del lupo continuarono
a tenermi avvinghiata a sé mentre, con gesti lenti e calcolati, si sdraiava a
terra, dondolando la coda sul terreno soffice che circondava il lago.
Piano, un passo alla volta,
si avvicinò a me, standosene acquattato sul terreno, il muso basso e gli occhi
sempre fissi su di me, forse timoroso di vedermi fuggire da un momento
all'altro.
E non aveva tutti i torti.
Solo i miei arti
intorpiditi mi impedirono di scappare a gambe levate.
Eppure, di quegli occhi, io
non avevo paura.
Furono loro a impedirmi di
scegliere la via più facile e dettata dall'istinto.
Quegli occhi mi dissero che
Duncan era ancora lì; sotto quel folto pelo chiaro e quelle sembianze
apparentemente selvagge, c'era ancora lui.
La sua fiera e indomita
bellezza animale riuscì a scardinare anche l'ultimo brandello di paura e, senza
muovermi, lasciai che si avvicinasse a me quel tanto da permettermi di posare
una mano sul suo capo.
Tremante, affondai le dita
nel suo pelo, solleticando le orecchie candide per poi scendere più in basso e
accarezzare la peluria foltissima della gorgiera.
Duncan-lupo restò immobile.
I nostri occhi non si erano
mai lasciati, così simili tra loro eppure appartenenti a due razze tanto
diverse.
La mano continuò la sua
perlustrazione raggiungendo il naso, che risultò umido e freddo sotto le mie
dita dubbiose.
Lui lo storse appena,
infastidito e io, sorpresa da quel gesto così umano, scoppiai in una bassa e
nervosa risata di gola.
Quel suono così assurdo,
vista la situazione che stavo vivendo, mi portò a riprendermi dal leggero
stordimento in cui ero caduta da quando avevo visto Duncan iniziare la
mutazione.
Lentamente quanto
inesorabilmente, mi piegai su me stessa per avvolgere il capo del lupo con le
mie braccia.
Piangendo senza neppure
essermene accorta, poggiai la guancia sul suo muso e sussurrai:
"Duncan...oh, Dio, Duncan..."
Lui uggiolò e, come
un'ondata di cioccolato liquido e caldo, il suo potere fluì in me con ancora
più forza del solito.
Inondò ogni cellula del mio
corpo, permettendomi di accettare con più facilità quel che i miei occhi
avevano visto, ma la mia mente ancora stentava a credere.
Lentamente, quasi senza
farmi notare le sue mosse, spostò il muso per avermi a portata di lingua e, con
un unico, umido gesto, mi lasciò sulla faccia il chiaro segno della sua gioia.
A quel punto, risi e lo
allontanai da me con un cenno della mano, mentre la sua lingua penzolava in
mezzo a fauci che avrebbero dovuto terrorizzarmi a morte ma che, su di lui,
erano solo splendide e perfette.
Sempre continuando a
ridere, gli scompigliai la gorgiera con le mani, che era ruvida
all'esterno, ma morbidissima e calda, vicino al suo corpo vibrante di
muscoli.
Duncan-lupo socchiuse gli
occhi ambrati ed emise un basso ringhio di gola, portandomi ad ampliare il
sorriso ebete che avevo sul viso.
Proseguii nelle carezze,
del tutto incurante del fatto che mi trovavo a portata di fauci di quell'enorme
predatore, grande come un puledro.
Il suo potere, il suo
sguardo, la sua immobilità, tutto parlava per lui, dicendo a chiare lettere
quanto poco fosse pericoloso per me.
Neppure se fossi stata
ferita e in punto di morte, lui mi avrebbe torto un capello.
Non si sarebbe mai cibato
di me. Ero la sua wicca,
dopotutto.
Lentamente si alzò,
tirandomi in piedi con sé e, quando me lo ritrovai dinanzi in tutta la sua
eccezionale altezza, gli carezzai la schiena e dissi: "Più che un pony,
sembri un piccolo cavallo."
Lui scrollò la testa e io
ridacchiai di nuovo, asciugandomi il viso dalle lacrime e dalla sua saliva,
aggiungendo: "Bene, direi di aver... superato l'esame. Non sono morta
stecchita per un infarto."
Duncan si abbassò appena e
puntò il naso sul mio stomaco, sospingendomi appena e facendomi crollare a
terra, dandomi così la riprova che le mie gambe non la pensavano allo stesso
modo.
Dopo averlo fatto, snudò le
zanne e tremò leggermente, come se stesse sogghignando.
Trovandolo più assurdo di
qualsiasi altra cosa avessi mai visto, ghignai in risposta.
"D'accordo, non riesco a stare ancora in piedi, ma almeno non sono
scappata."
Lui annuì con il muso e
tornò a sdraiarsi in terra, poggiando l'enorme testa sulle mie ginocchia e
guardandomi con espressione interrogativa.
Lo carezzai meditabonda per
diretta conseguenza, e gli chiesi: "Ti stai domandando perché non
sono scappata a gambe levate, magari strillando come un'aquila?"
La coda scodinzolò allegra.
Era un sì.
Scrollando le spalle,
mormorai pensierosa: "I tuoi occhi. Ti vedevo, o meglio, vedevo che eri
ancora lì, da qualche parte, mentre il tuo corpo si ricomponeva. Non sono
scappata per questo. Eri lì. Eri tu."
Il suo corpo parve quasi
sgonfiarsi e i suoi occhi si chiusero rilassati, cosa davvero inusuale per un
animale selvatico.
Nessun predatore si sarebbe
mai permesso di perdere di vista il proprio campo d'azione, permettendo a
chicchessia di prenderlo di sorpresa.
Ma lì non c'erano nemici, e
c'ero io a vigilare su di lui.
Nessun altro gesto avrebbe
potuto rendermi più onore di quello. S
i fidava così ciecamente di
me da permettere al suo corpo di rilassarsi e chiudere addirittura gli occhi,
lasciando che fossi io a prendermi cura di lui.
Le mie labbra tremarono e,
nuovamente, le lacrime salirono agli occhi, stavolta non per il nervosismo ma
per un'emozione più profonda e subdola.
Continuai ad accarezzarlo
per minuti interi, mentre la notte ci faceva scudo contro gli sguardi dei
curiosi.
Le mie mani percorsero il
suo muso e il suo corpo decine e decine di volte mentre una piccola, debole
fiammella si accendeva nel mio animo stranamente in pace con se stesso.
***
Procedevo nel fitto bosco,
tenendo una mano sulla schiena ampia di Duncan - dopo essermi strenuamente
rifiutata di montargli in groppa -, ben decisa a permettergli di riabituarsi
alla sua forma animale, e scoprire se il suo fisico fosse in grado di reggere
sforzi maggiori.
Era stato difficile capire
un lupo mugolante e brontolone ma, alla fine, mi ero chiarita con lui e, dopo
essermi caricata sullo zaino i suoi abiti, avevamo ripreso il cammino verso
sud.
Se tutto fosse andato come
Duncan sperava, da quel momento in poi il viaggio sarebbe stato più veloce e
agevole, vista la sua rinnovata capacità di mutare in lupo.
Cinque giorni. Erano
passati cinque giorni da quando eravamo fuggiti dalla cantina di Patrick, ed
era davvero successo di tutto.
La mia mente aveva
fagocitato decine, centinaia di notizie tra le più sconcertanti che mi fossero
mai state dette in vita mia, eppure non ero impazzita, il che mi faceva ben
sperare per il futuro.
Se avevo resistito a tutte
quelle sollecitazioni, ormai più nulla poteva turbarmi.
Ma non avevo osato
proferire ad alta voce quella mia convinzione, perché ero sempre più certa che
qualcuno fosse in ascolto e non vedesse l'ora di smentirmi.
Non si poteva mai dire, con
la iattura.
Duncan-lupo, al mio fianco,
sembrava più sereno e tranquillo che mai – forse, il fatto di essere di nuovo
in forma animale, lo rendeva felice.
Dopo l'iniziale confusione,
non potevo certo dire di trovare la situazione spiacevole.
Averlo al mio fianco in
quella forma, in qualche modo, mi tranquillizzava, il che era di per sé una
contraddizione in termini, ma era effettivamente ciò che sentivo in quel
momento.
Pur sapendo che, come lupo,
i suoi istinti animali erano decisamente predominanti sul resto, e io potevo
essere vista come carne da macello, non mi sentivo né intimidita, né in
pericolo.
Il punto era un altro. Non
volevo ammettere con me stessa i motivi di quella tranquillità tanto assurda.
Non volevo neppure aver a
che fare con quella risposta che, come una zanzara, mi stava ronzando attorno
all'orecchio nella speranza che prima o poi, per la noia di sentirla
sussurrare, l'avrei ascoltata con attenzione.
Speranza vana. Ero decisa a
ignorarla con tutta me stessa. Quella risposta non aveva davvero capito con chi
aveva a che fare.
La lasciai ronzare
inutilmente e, con un sorriso, mi dedicai al mio compagno a quattro zampe che,
tutto contento, camminava nel bosco come se ogni pensiero negativo si
fosse cancellato dalla sua mente.
Non era facile capire le
sue espressioni, ma il potere caldo e vibrante che percepivo sulla pelle
parlava per lui e diceva a chiare lettere quanto fosse allegro e soddisfatto.
Forse, non era stato
convinto fino alla fine del buon esito della mutazione e, solo quando si era
ritrovato a poggiare le zampe sul terreno soffice, si era sentito al sicuro
dalla sconfitta.
In ogni caso, ero lieta di
vederlo così, soprattutto con il ricordo ancora fresco nella mente della sua
improvvisa reticenza a parlarmi, avvenuta solo poche ore prima.
Non avevo voluto chiedergli
altro, ma era evidente che qualcosa, molti
qualcosa per la verità,
nel suo passato, lo turbavano più di quanto fosse possibile comprendere, almeno
per me, e questo mi preoccupava.
Sentivo di volerlo aiutare,
ma c'erano momenti in cui Duncan diventava ermetico come una camera stagna e,
quelle volte, era impossibile tirar fuori anche un solo ragno dal buco.
Avrei dovuto attendere un
momento più propizio e tornare sull'argomento con più gentilezza e, forse,
avrei ottenuto maggiore fortuna.
Forse.
Per il momento, il nostro
compito più importante – e l'unico che potessimo svolgere, a dir la verità –
era raggiungere Matlock il prima possibile e scoprire a che punto fossero le
ricerche della polizia.
Se qualcuno avesse
collegato Duncan al branco che lui guidava, portando quindi i Cacciatori troppo
vicini al clan, sarebbero stati davvero guai.
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N.d.A: eccomi di ritorno! Pensavo fosse ormai giunto il momento di presentarvi l'altra faccia di Duncan. Spero che la trasformazione sia stata di vostro gradimento :))