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Autore: Mary P_Stark    07/08/2012    6 recensioni
Un incubo. O una premonizione. La giovane Brianna, studentessa modello di Glasgow, si sveglia di soprassalto, nel sangue un obbligo insopprimibile. E, nel modo più impensabile, si scontra con una realtà che non avrebbe mai pensato di scoprire. Né di vivere sulla propria pelle. Per Duncan, fiero licantropo e Alfa del suo branco, avviene la stessa cosa e, dal loro incontro, si scateneranno forze che neppure loro immaginano. Il mito di Fenrir, di ancestrale memoria, tornerà per avvolgere nelle sue spire Brianna, facendole comprendere che neppure lei, contrariamente a quanto pensa, è una comune umana. PRIMA PARTE DELLA TRILOGIA DELLA LUNA.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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8

 

Il viaggio verso sud divenne più difficoltoso, quando il bosco lasciò il posto a vaste e sconfinate distese di terreni coltivati.

Questo ci rese quasi impossibile nasconderci, impedendoci di proseguire la nostra marcia durante il giorno.

Di comune accordo, quindi, variammo la nostra strategia decidendo di procedere solo di notte.

Avremmo sfruttato le carreggiate utilizzate dai contadini, per godere di un tracciato più agevole di quello offerto dai campi a maggese, o ricoperti di grano saraceno pronto per la mietitura.

La luna divenne il sole, per noi e, durante il giorno, increspature nel terreno, ruscelli e piccoli anfratti tra le rocce divennero i nostri nascondigli.

Il ricordo di ciò che mi aveva preoccupato nelle prime ore di quel viaggio venne presto a sparire, sostituito dalla necessità di concentrare tutte le mie forze in quello che stavo facendo.

Gordon, Mary B, Elspeth, Nancy, Maggie, ... tutti vennero messi in secondo piano per lasciare spazio a quel viaggio che, ormai, riempiva ogni attimo della mia giornata.

Mentre la nostra discesa verso Matlock proseguiva, la consapevolezza che qualcosa, dentro di me, fosse mutato per sempre, si fece sempre più forte.

Sapere di essere una wicca non solo mi aveva scombussolato, ma aveva cambiato il mio modo di vedere le cose.

Compresi molti piccoli particolari di me stessa che, in precedenza, mi erano risultati oscuri solo perché non ero stata a conoscenza della mia vera natura.

Mentre percorrevo, spesso senza parlare, quei lunghi tratti di campagna assieme a Duncan, mi chiesi più volte il perché dei silenzi da parte di mia madre e di mia nonna.

Loro, sicuramente, erano state a conoscenza di quest'eredità – bella o brutta, dovevo ancora deciderlo.

Di una cosa, però, ero sicura; il motivo per cui ci eravamo allontanati dall'Inghilterra era dipeso da questo.

Aver saputo cosa aspettarmi, specialmente dopo ciò che era successo, mi sarebbe davvero piaciuto.

Avrei evitato degli inutili mal di testa, oltre ad attacchi di panico del tutto fuori luogo.

Forse, avrei potuto reagire diversamente a quegli eventi davvero fuori dal comune.

Invece, come un bambino appena nato e strappato alle cure della madre, mi ero ritrovata sperduta in una landa sconosciuta, come unica guida una creatura che mai prima di allora avrei immaginato potesse esistere.

Con la sua semplice presenza, Duncan aveva rivoltato la mia vita come un calzino, stravolgendola completamente.

***

La notte era ormai nostra compagna da giorni quando, attraversando le campagne nei pressi della riserva di Glengavel, riemersi dal mio stato di pensieroso silenzio per chiedere a Duncan: "Quando scopristi di essere il futuro Fenrir, come ti sentisti? Eri confuso?"

I suoi tratti si fecero tesi per un momento, prima di tornare a rilassarsi forzatamente.

Sentii vibrare il suo potere sotto pelle, come se i suoi pensieri fossero troppi, e troppo potenti, per essere ammansiti con il semplice autocontrollo e, turbata, me ne chiesi il motivo.

Senza voltarsi, mormorò roco: "Ne avevo paura, anche se immaginavo già da tempo che sarei stato ... beh,... il prescelto."

"E perché?" gli chiesi, forse ingenuamente.

"Provengo da una linea ininterrotta di licantropi dal sangue puro... una cosa estremamente rara, oggigiorno. E' quasi scontato che un Fenrir nasca in una famiglia con un patrimonio genetico simile" si limitò a dire, la voce piana e forzatamente neutra.

Il suo tono conteneva molto di più di quanto non avesse in realtà detto.

La sua postura rigida, e il modo in cui le sue sopracciglia scure si erano arricciate sugli occhi socchiusi, mi spinsero però a tacitare le mie domande per rivolgere i miei interessi altrove.

In lontananza, nella semioscurità di quella placida notte, si intravedevano i riflessi dell'acqua di un lago.

Affiancato Duncan, proseguii in silenzio senza più disturbarlo, i nostri respiri gli unici rumori udibili in quel vasto territorio collinare dai bassi declivi.

Lì, lontani dalla civiltà e da tutto ciò che ricordava la presenza dell'uomo, sembravamo le due uniche creature ancora in vita, anche se sapevo bene che non era così.

La foresta poco lontana brulicava di vita, e i primi agglomerati urbani non erano poi così distanti.

L'apparenza, però, era tutto, in certi casi.

Un fresco venticello spirava da sud, solleticandomi il collo umido di sudore per il lungo camminare.

Me lo tersi con un fazzoletto prima di saltellare qualche passo più avanti rispetto a Duncan che, dal primo giorno di viaggio, aveva recuperato le forze con una velocità quasi disumana.

Guardandolo con un sorriso da sopra una spalla, gli domandai sorniona: "Fai a gara con me a chi arriva prima al lago?"

Lui accennò un sorriso, che però non raggiunse gli occhi ma io, testardamente, lo presi per le mani, insistendo. "Dai... scommetto che ti batto. Sai che sono bravissima, nella corsa?"

"Ti farai male. Non vedi le asperità del terreno come me" brontolò per contro, lasciando che le sue mani dondolassero molli tra le mie.

"Non fare lo scocciatore, Duncan. Voglio solo sgranchirmi le gambe" cercai di ironizzare, scrollando quelle mani inerti.

Non sembrava propenso ad abbandonare la strana apatia che lo aveva avvolto tra le sue spire, dopo la mia apparentemente innocua domanda.

"Non mi va" replicò cocciuto, ritirando le mani con un gesto nervoso.

"E va bene. Me ne starò qui ad annoiarmi a morte con te" sbuffai con eccessiva enfasi, rimettendomi al suo fianco e chiedendomi, silenziosamente, perché fosse diventato così ombroso nell'arco di pochi attimi.

Non erano le donne a essere lunatiche? O forse, i licantropi, in quanto sudditi della luna, ne subivano gli influssi anche dal punto di vista umorale?

Lui mi fissò malissimo per alcuni istanti, istanti in cui pensai seriamente mi avesse letto nel pensiero - e forse era davvero così!

Temetti che mi avrebbe mandata a quel paese quando all'improvviso, con un lampo negli occhi e un sorriso birichino stampato sul volto, mi afferrò proditoriamente per la vita, spaventandomi.

Senza fatica, mi issò su una spalla e si mise a correre sul prato che stavamo percorrendo, ignorando di fatto la sua ferita e il carico che aveva su di sé.

Mi tappai la bocca per non urlare – ormai ero diventata paranoica e trasalivo a qualsiasi rumore, anche solo accennato – e sibilai tra i denti: "Smettila di fare lo scemo! Ti farai male!"

"Eri tu che volevi correre!" ghignò Duncan per contro, accelerando il passo.

Non sembrava minimamente risentire della mia presenza come se, a conti fatti, io non pesassi nulla.

Era fluido come il vento e dalla falcata potente, come un lupo lanciato nella corsa durante la caccia.

Tutto in lui lasciava intravedere la bestia che era sopita sotto la sua pelle di uomo, come se essa non attendesse altro che di uscire allo scoperto.

Raggiungemmo il lago in pochi minuti, quando avremmo impiegato almeno venti minuti, a un'andatura normale.

Sopraffatta dall'ansia per le sue condizioni di salute, esclamai: "Ti prego, basta, Duncan... ho paura per la tua spalla!"

"Sto bene, Brianna, non temere" replicò con candore, sollevando il viso per lanciarmi un breve sorriso.

"E allora perché prima facevi il muso, se ora ti senti così bene?" sbuffai a quel punto, fissandolo bieca.

"Lascia perdere" borbottò, prima di farmi scendere e chiedermi: "Ti va un tuffo nel lago?"

"Neanche morta! L'acqua è gelata!"

Rabbrividii al solo pensiero.

Lui mi lanciò un'occhiata carica di ironia, a cui risposi con una linguaccia.

Senza badare a me, cominciò a slacciarsi i pantaloni della tuta e io, a quel punto, mi voltai a velocità record esalando sconvolta: "Ma che fai?!"

"Mi lavo... e darò una ripassatina anche ai pantaloni, già che ci sono" mi spiegò, come se fosse la cosa più naturale del mondo. "Sono stanco di sentirmi sudicio."

Preferii non appurare di persona quel che stava realmente facendo ma, quando sentii lo sciabordio delle acque del lago, mi fu chiaro che non scherzava affatto.

Gettai un'occhiata timida oltre la spalla e, come guidata da fili invisibili, mi volsi a osservare Duncan immerso nell'acqua fino alla cintola, la pelle scintillante e pallida sotto la luce dello spicchio di luna alto in cielo.

Con un gesto lento delle mani, sfiorò la superficie cupa del lago come se stesse toccando del morbido velluto.

Affondò in acqua un attimo dopo e, con fluidità di movimenti, si mise a nuotare.

Non indossava più la tuta, lasciata a riposare - interamente bagnata - su un masso vicino alla riva.

Sospirai, distogliendo inutilmente lo sguardo per concedergli un po' di privacy.

Non che servisse a molto, comunque.

Ogni centimetro del suo corpo – o quasi – era ben sedimentato nella mia mente, dal giorno in cui lo avevo scorto nel garage di casa.

Il fatto di saperlo nudo nel lago, squisitamente affascinante e misteriosamente intrigante come lui sapeva essere, non mi aiutò di certo a mantenere saldo il controllo sul mio cuore iperattivo.

Sempre a testa bassa e rivolta verso il bosco, lo sentii uscire dalle acque e, tremando di sorpresa, gli sentii dire: "Brianna... vorrei provare a trasformarmi."

Mi morsi un labbro, indecisa su cosa dirgli, indecisa se essere pronta o meno per un simile spettacolo contro natura, indecisa se il mio cuore e la mia testa fossero in grado di resistere anche a quello.

Alla fine, però, annuii e sussurrai: "Prova, se te la senti."

"Brianna..."

"Sì?" alitai, sempre mostrandogli le spalle.

"Vorrei che mi guardassi" mi pregò lui, con voce appena sussurrata.

"E' davvero necessario? Non potremmo rimandare gli esami a un altro giorno?" cercai di ironizzare, sentendo il cuore martellarmi dolorosamente nel petto.

"Più rimando, meno sarai convinta. Lo stress causato da questo viaggio ti sta deteriorando i nervi, non credere che non lo sappia per cui, prima agiamo, meglio sarà per tutti" replicò, con una logica ferrea.

"Ho paura" ammisi a quel punto, in un sussurro.

Il vento spirò nuovamente, portandomi il suo profumo muschiato e umido.

Tremando maggiormente, mi strinsi le braccia al petto e aggiunsi: "Ho paura di non essere capace di..."

"... di guardarmi senza scappare?" finì lui per me.

Annuii, giocherellando nervosamente con le mani, afflitta dalla mia stessa codardia.

Duncan, però, replicò: "Brianna, molti di noi si spaventano, la prima volta che vedono un licantropo mutare. E' una cosa davvero anomala a vedersi. Non credere che mi stupirebbe vederti scappare a gambe levate, ma devi essere preparata a ciò cui stai andando incontro."

"E cioè?" riuscii a chiedere, accucciandomi su una pietra levigata e ricoperta di licheni.

Era fredda come il peccato, ma sarebbe andata bene per sostenermi, visto che le gambe avevano iniziato a tremare come budini molli.

Lui mi si avvicinò e, dopo essersi inginocchiato al mio fianco, posò una mano sul mio ginocchio e sussurrò: "A un mondo popolato di lupi. Non voglio che tu ti spaventi, voglio che tu sia pronta."

"Voglio, voglio... e quello che voglio io non conta?" replicai piccata, ignorando la sua mano sulla mia pelle nuda, lo sguardo testardamente fisso dinanzi a me.

"Certo che conta, ma quello che sto cercando di fare è solo aiutarti. Non si assiste a un'autopsia, come primo esame di medicina, per rendersi conto se si è in grado di vedere un corpo morto e, soprattutto, le sue interiora stese su un tavolo operatorio?" cercò di ironizzare lui.

"Spero tu non voglia sventrarti per far piacere a me!" sbottai, voltandomi di scatto per fissarlo negli occhi.

Se ne stava ancora accucciato vicino a me, e io ero concentrata unicamente sul suo viso, illuminato dai raggi candidi dello spicchio di luna che ci sovrastava.

La sua mano strinse maggiormente il mio ginocchio, nel sussurrarmi: "Voglio... desidero solo che tu mi veda mutare. Se avessi qui con me qualcun altro, sarebbe più facile, ma così non è."

"Quindi, dovrei tirare fuori le unghie, per non dire qualcos'altro, e affrontare la cosa di petto?" esalai con voce tremante.

"Sì."

Solo sì. Non una spiegazione interminabile e sibillina, a tratti machiavellica. Solo sì.

E forse fu la semplicità di quella risposta a darmi il coraggio di accettare la sua offerta.

Annuii e lo vidi sorridere orgoglioso, gli occhi scintillanti e l'aria di chi avrebbe potuto ballare per la gioia, se non si fosse trattato di una persona controllata come Duncan.

Fissai la sua figura allontanarsi di qualche metro da me mentre la sua voce, con tono suadente e calmo, mormorava: "Niente di quello che vedrai mi farà male, Brianna, quindi non essere in ansia per me, d'accordo?"

"Vedrò di non strillare, promesso" promisi, deglutendo mentre lo osservavo poggiare un ginocchio a terra.

La sua nudità, in quel momento, non mi turbò.

Ero troppo sconvolta all'idea di quel che stava per fare, per pensare al gioco dei suoi muscoli sotto la luce della luna. Il che era tutto dire.

Lui accennò un sorriso da sopra la spalla, prima di concentrarsi e chiudere gli occhi.

Un pugno puntato a terra, ripiegò il capo verso il basso nascondendolo in parte dietro la curva muscolosa della spalla e, a quel punto, avvenne l'imprevedibile.

Vidi la sua schiena arcuarsi e le sue costole prendere pieghe impossibili prima di ... sì, prima di spezzarsi con un sonoro crack .

Quel suono mi fece accapponare la pelle, e mi fece portare le mani alla bocca per frenare l'impulso di urlare e lanciarmi su di lui per fermare quell'atrocità.

Altre parti del suo corpo cominciarono quel balletto di ossa e carne mentre i suoi capelli, da neri che erano, divennero bianchi come il latte e presero a ricoprire ogni lembo visibile di pelle.

Un liquido denso fuoriuscì assieme al pelo niveo, come se si fosse trattato di una sorta di olio ammorbidente per la pelle, o di un lubrificante per facilitare la mutazione.

Paralizzata, continuai a osservare le sue membra mutare, allungarsi, prendere connotati totalmente animali, mentre una lunga coda bianca dondolava tra le sue gambe, no, zampe posteriori, come dando il tempo a una danza che io non potevo udire.

Il suo volto perfetto e bellissimo si allungò, si ricoprì di peluria sottile e lucida e, con un movimento sinuoso, Duncan piegò all'indietro il collo ricoperto da una gorgiera quasi argentea alla luce della luna, e ululò.

Quel suono mi fece crollare a terra in ginocchio, gli occhi sempre spalancati e fissi su di lui che, di umano, non conservava più nulla, solo un'intelligenza fuori dal comune negli occhi ambrati.

Quegli occhi ambrati che mi avevano fissata con astio, la prima volta che ci eravamo incontrati.

Gli occhi del lupo continuarono a tenermi avvinghiata a sé mentre, con gesti lenti e calcolati, si sdraiava a terra, dondolando la coda sul terreno soffice che circondava il lago.

Piano, un passo alla volta, si avvicinò a me, standosene acquattato sul terreno, il muso basso e gli occhi sempre fissi su di me, forse timoroso di vedermi fuggire da un momento all'altro.

E non aveva tutti i torti.

Solo i miei arti intorpiditi mi impedirono di scappare a gambe levate.

Eppure, di quegli occhi, io non avevo paura.

Furono loro a impedirmi di scegliere la via più facile e dettata dall'istinto.

Quegli occhi mi dissero che Duncan era ancora lì; sotto quel folto pelo chiaro e quelle sembianze apparentemente selvagge, c'era ancora lui.

La sua fiera e indomita bellezza animale riuscì a scardinare anche l'ultimo brandello di paura e, senza muovermi, lasciai che si avvicinasse a me quel tanto da permettermi di posare una mano sul suo capo.

Tremante, affondai le dita nel suo pelo, solleticando le orecchie candide per poi scendere più in basso e accarezzare la peluria foltissima della gorgiera.

Duncan-lupo restò immobile.

I nostri occhi non si erano mai lasciati, così simili tra loro eppure appartenenti a due razze tanto diverse.

La mano continuò la sua perlustrazione raggiungendo il naso, che risultò umido e freddo sotto le mie dita dubbiose.

Lui lo storse appena, infastidito e io, sorpresa da quel gesto così umano, scoppiai in una bassa e nervosa risata di gola.

Quel suono così assurdo, vista la situazione che stavo vivendo, mi portò a riprendermi dal leggero stordimento in cui ero caduta da quando avevo visto Duncan iniziare la mutazione.

Lentamente quanto inesorabilmente, mi piegai su me stessa per avvolgere il capo del lupo con le mie braccia.

Piangendo senza neppure essermene accorta, poggiai la guancia sul suo muso e sussurrai: "Duncan...oh, Dio, Duncan..."

Lui uggiolò e, come un'ondata di cioccolato liquido e caldo, il suo potere fluì in me con ancora più forza del solito.

Inondò ogni cellula del mio corpo, permettendomi di accettare con più facilità quel che i miei occhi avevano visto, ma la mia mente ancora stentava a credere.

Lentamente, quasi senza farmi notare le sue mosse, spostò il muso per avermi a portata di lingua e, con un unico, umido gesto, mi lasciò sulla faccia il chiaro segno della sua gioia.

A quel punto, risi e lo allontanai da me con un cenno della mano, mentre la sua lingua penzolava in mezzo a fauci che avrebbero dovuto terrorizzarmi a morte ma che, su di lui, erano solo splendide e perfette.

Sempre continuando a ridere, gli scompigliai la gorgiera con le mani, che era ruvida all'esterno, ma morbidissima e calda, vicino al suo corpo vibrante di muscoli.

Duncan-lupo socchiuse gli occhi ambrati ed emise un basso ringhio di gola, portandomi ad ampliare il sorriso ebete che avevo sul viso.

Proseguii nelle carezze, del tutto incurante del fatto che mi trovavo a portata di fauci di quell'enorme predatore, grande come un puledro.

Il suo potere, il suo sguardo, la sua immobilità, tutto parlava per lui, dicendo a chiare lettere quanto poco fosse pericoloso per me.

Neppure se fossi stata ferita e in punto di morte, lui mi avrebbe torto un capello.

Non si sarebbe mai cibato di me. Ero la sua wicca, dopotutto.

Lentamente si alzò, tirandomi in piedi con sé e, quando me lo ritrovai dinanzi in tutta la sua eccezionale altezza, gli carezzai la schiena e dissi: "Più che un pony, sembri un piccolo cavallo."

Lui scrollò la testa e io ridacchiai di nuovo, asciugandomi il viso dalle lacrime e dalla sua saliva, aggiungendo: "Bene, direi di aver... superato l'esame. Non sono morta stecchita per un infarto."

Duncan si abbassò appena e puntò il naso sul mio stomaco, sospingendomi appena e facendomi crollare a terra, dandomi così la riprova che le mie gambe non la pensavano allo stesso modo.

Dopo averlo fatto, snudò le zanne e tremò leggermente, come se stesse sogghignando.

Trovandolo più assurdo di qualsiasi altra cosa avessi mai visto, ghignai in risposta. "D'accordo, non riesco a stare ancora in piedi, ma almeno non sono scappata."

Lui annuì con il muso e tornò a sdraiarsi in terra, poggiando l'enorme testa sulle mie ginocchia e guardandomi con espressione interrogativa.

Lo carezzai meditabonda per diretta conseguenza, e gli chiesi: "Ti stai domandando perché non sono scappata a gambe levate, magari strillando come un'aquila?"

La coda scodinzolò allegra. Era un sì.

Scrollando le spalle, mormorai pensierosa: "I tuoi occhi. Ti vedevo, o meglio, vedevo che eri ancora lì, da qualche parte, mentre il tuo corpo si ricomponeva. Non sono scappata per questo. Eri lì. Eri tu."

Il suo corpo parve quasi sgonfiarsi e i suoi occhi si chiusero rilassati, cosa davvero inusuale per un animale selvatico.

Nessun predatore si sarebbe mai permesso di perdere di vista il proprio campo d'azione, permettendo a chicchessia di prenderlo di sorpresa.

Ma lì non c'erano nemici, e c'ero io a vigilare su di lui.

Nessun altro gesto avrebbe potuto rendermi più onore di quello. S

i fidava così ciecamente di me da permettere al suo corpo di rilassarsi e chiudere addirittura gli occhi, lasciando che fossi io a prendermi cura di lui.

Le mie labbra tremarono e, nuovamente, le lacrime salirono agli occhi, stavolta non per il nervosismo ma per un'emozione più profonda e subdola.

Continuai ad accarezzarlo per minuti interi, mentre la notte ci faceva scudo contro gli sguardi dei curiosi.

Le mie mani percorsero il suo muso e il suo corpo decine e decine di volte mentre una piccola, debole fiammella si accendeva nel mio animo stranamente in pace con se stesso.

***

Procedevo nel fitto bosco, tenendo una mano sulla schiena ampia di Duncan - dopo essermi strenuamente rifiutata di montargli in groppa -, ben decisa a permettergli di riabituarsi alla sua forma animale, e scoprire se il suo fisico fosse in grado di reggere sforzi maggiori.

Era stato difficile capire un lupo mugolante e brontolone ma, alla fine, mi ero chiarita con lui e, dopo essermi caricata sullo zaino i suoi abiti, avevamo ripreso il cammino verso sud.

Se tutto fosse andato come Duncan sperava, da quel momento in poi il viaggio sarebbe stato più veloce e agevole, vista la sua rinnovata capacità di mutare in lupo.

Cinque giorni. Erano passati cinque giorni da quando eravamo fuggiti dalla cantina di Patrick, ed era davvero successo di tutto.

La mia mente aveva fagocitato decine, centinaia di notizie tra le più sconcertanti che mi fossero mai state dette in vita mia, eppure non ero impazzita, il che mi faceva ben sperare per il futuro.

Se avevo resistito a tutte quelle sollecitazioni, ormai più nulla poteva turbarmi.

Ma non avevo osato proferire ad alta voce quella mia convinzione, perché ero sempre più certa che qualcuno fosse in ascolto e non vedesse l'ora di smentirmi.

Non si poteva mai dire, con la iattura.

Duncan-lupo, al mio fianco, sembrava più sereno e tranquillo che mai – forse, il fatto di essere di nuovo in forma animale, lo rendeva felice.

Dopo l'iniziale confusione, non potevo certo dire di trovare la situazione spiacevole.

Averlo al mio fianco in quella forma, in qualche modo, mi tranquillizzava, il che era di per sé una contraddizione in termini, ma era effettivamente ciò che sentivo in quel momento.

Pur sapendo che, come lupo, i suoi istinti animali erano decisamente predominanti sul resto, e io potevo essere vista come carne da macello, non mi sentivo né intimidita, né in pericolo.

Il punto era un altro. Non volevo ammettere con me stessa i motivi di quella tranquillità tanto assurda.

Non volevo neppure aver a che fare con quella risposta che, come una zanzara, mi stava ronzando attorno all'orecchio nella speranza che prima o poi, per la noia di sentirla sussurrare, l'avrei ascoltata con attenzione.

Speranza vana. Ero decisa a ignorarla con tutta me stessa. Quella risposta non aveva davvero capito con chi aveva a che fare.

La lasciai ronzare inutilmente e, con un sorriso, mi dedicai al mio compagno a quattro zampe che, tutto contento, camminava nel bosco come se ogni pensiero negativo si fosse cancellato dalla sua mente.

Non era facile capire le sue espressioni, ma il potere caldo e vibrante che percepivo sulla pelle parlava per lui e diceva a chiare lettere quanto fosse allegro e soddisfatto.

Forse, non era stato convinto fino alla fine del buon esito della mutazione e, solo quando si era ritrovato a poggiare le zampe sul terreno soffice, si era sentito al sicuro dalla sconfitta.

In ogni caso, ero lieta di vederlo così, soprattutto con il ricordo ancora fresco nella mente della sua improvvisa reticenza a parlarmi, avvenuta solo poche ore prima.

Non avevo voluto chiedergli altro, ma era evidente che qualcosa, molti qualcosa per la verità, nel suo passato, lo turbavano più di quanto fosse possibile comprendere, almeno per me, e questo mi preoccupava.

Sentivo di volerlo aiutare, ma c'erano momenti in cui Duncan diventava ermetico come una camera stagna e, quelle volte, era impossibile tirar fuori anche un solo ragno dal buco.

Avrei dovuto attendere un momento più propizio e tornare sull'argomento con più gentilezza e, forse, avrei ottenuto maggiore fortuna.

Forse.

Per il momento, il nostro compito più importante – e l'unico che potessimo svolgere, a dir la verità – era raggiungere Matlock il prima possibile e scoprire a che punto fossero le ricerche della polizia.

Se qualcuno avesse collegato Duncan al branco che lui guidava, portando quindi i Cacciatori troppo vicini al clan, sarebbero stati davvero guai.



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N.d.A: eccomi di ritorno! Pensavo fosse ormai giunto il momento di presentarvi l'altra faccia di Duncan. Spero che la trasformazione sia stata di vostro gradimento :))

  
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