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Autore: Beads and Flowers    09/08/2012    2 recensioni
Non andava in Chiesa. Alcuni dicevano che fosse atea, altri pagana, altri ancora che non sapesse cosa fosse la religione. Mallaidh sarebbe andata all’Inferno. Avrebbe camminato per sempre in un limbo di torture e dolore. Bambini, non vi avvicinate alla Folle Mallaidh. Vi tenterà con i suoi occhi verdi, vi strapperà via il cuore dal petto, vi condurrà all’Inferno.
Non vi avvicinate a Mallaidh.
E’ pericolosa.
E’ una strega.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Storico
Capitoli:
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7- Maretak

And yn that bed ther lythe a knyght,
His wowndes bledyng day and nyght.



Emma sfiorò appena il pizzo che decorava l’esterno della culla, e sussultò. Si guardò attorno con circospezione, terrorizzata all’idea di essere scoperta. Non doveva trovarsi lì, in quella stanza, con quel bambino. Se Mallaidh fosse entrata, per controllare le condizioni di Arlen, nessuno avrebbe potuto prevedere la reazione della strega nel vedere la Figlia dei Traditori accanto a suo figlio.
Un figlio.
Emma non riusciva davvero a capire come un fatto simile fosse accaduto. Newlin si era dunque unito davvero alla ragazza selvaggia, senza dubbio sotto l’influenza di qualche maleficio. Tutti avevano creduto che Mallaidh, avendo una così gracile costituzione, avrebbe avuto un travaglio molto difficile e pericoloso. Quante ore aveva trascorso Emma, pregando il Signore affinché la sua padrona morisse nel dare alla luce il bambino? Evidentemente erano state tutte insufficienti. Non solo la folle selvaggia aveva partorito con successo e senza troppe complicazioni, ma non aveva neanche urlato una volta, rimanendo in piedi durante tutto il travaglio.
E così, era nato quell’essere. Un essere che veniva lodato incessantemente dal padre, e soffocato dalle attenzioni della madre. Mallaidh non permetteva a nessuno di rimanere da solo con il piccolo Arlen. La ragazza si era praticamente rinchiusa nelle sue stanze, lì ricevendo ospiti, consumando pasti ed allattando il figlio. Era un miracolo che Emma avesse trovato la stanza vuota. Non avrebbe mai più avuto un’occasione come quella.
Voleva vedere il bambino, sfiorarlo, toccarlo, prenderlo in braccio senza dover prima chiedere il permesso a Mallaidh. Ed Arlen era lì, che dormiva tranquillamente nella culla, forse sognando il volto di sua madre. Era davvero un bel bambino. I pochi capelli rossi ricordavano quelli di Newlin e, sotto le palpebre chiuse, i suoi occhi erano verdi come quelli della ragazza selvaggia. Emma sfiorò il suo morbido viso, e sorrise.
In fondo, era proprio un bel bambino.
Lo sollevò dalla culla e lo prese in braccio. Fissò quel volto sereno ed ignaro di ogni pericolo, affascinata da tanta innocenza. Poteva quel bimbo essere il figlio di un demone? Strinse a sé l’infante, tremando. Se soltanto quel bambino fosse stato suo, Newlin le avrebbe rivolto tutte le attenzioni che meritava. Le avrebbe donato ricche vesti e preziosi gioielli, le avrebbe sorriso come sorrideva a Mallaidh. L’avrebbe chiamata ‘moglie’, rivolgendosi a lei come la donna che amava sopra ogni altra cosa al mondo.
Se soltanto quel bambino fosse stato suo.
“Lascialo.”
Emma si girò di scatto verso la porta, lanciando un piccolo grido di sorpresa. Mallaidh era lì, gli occhi fissi sul bambino, il volto contratto dall’ira. Emma non sapeva cosa fare, come comportarsi in quella situazione. La padrona si avvicinò lentamente alla serva, intimandola con un gesto della mano a riporre Arlen nella sua culla. Emma si affrettò ad obbedire, per poi dirigersi a capo chino verso l’uscita. Tremava di vergogna e timore. Non voleva assolutamente restare da sola con Mallaidh, non ora che era stata sorpresa nel disubbidire alla sua padrona.
“Dove credi di andare?”
Mallaidh afferrò il braccio di Emma, costringendola a fermarsi. La stretta provocava molto dolore alla ragazza, la quale poteva avvertire le unghie della strega conficcate nella propria pelle. Chiuse gli occhi, sforzandosi di ignorare il fastidio e la paura.
“Se oserai avvicinarti ancora al mio bambino, io ti farò spellare viva.”
Emma non riuscì a rispondere. Distolse lo sguardo dalla sua padrona, e fuggì via dalla stanza. Mallaidh attese pazientemente che l’eco dei suoi veloci passi svanisse nella fretta della fuga, maledicendo in cuor suo la Seabhag na, la figlia di Seabhag. Quando non riuscì a percepire altro suono che il respiro di suo figlio, si diresse lentamente verso la culla del bimbo. Prese in braccio il piccolo Arlen, sedendosi sul letto a baldacchino.
Med mab, sualli Arlen, quella sporca traditrice non ti toccherà mai più. Te lo prometto, dovrà prima passare sul mio cadavere. Ricordati, figlio mio, noi siamo prigionieri in un palazzo di sangue, costruito sulle ossa dei nostri antenati. E qui non vi è nessuno che ti ami, al di fuori di tua madre. Ne’ la Seabhag na, ne’ la sorella di tuo padre, ne’ i servi o i nobili ospiti. Tutti odiano ciò che sei. E che cosa sei, se non il frutto del grembo di una strega, ai loro occhi? Persino tuo padre, illuso dall’amore che mi lega a lui, non riesce a comprendere cosa sia veramente importante per i figli di Maretak. Oh, figlio mio, nel tuo sangue scorre il nostro destino: crescendo nell’odio verso tuo padre, ignorando l’amore che lui ci dona ogni giorno, uccidendo lui e tutti gli altri Seabhag mab. Solo in questo modo potrai riportare Maretak al suo antico splendore. Ed io per questo perderò il mio amato sposo, ma rimarrò fedele al mio Arlen, al mio antico giuramento.”
La ragazza baciò con passione la fronte del bambino, stringendolo a sé. Da molto tempo ella ripeteva quelle parole al figlio, in modo che il suo destino gli fosse chiaro dal primo giorno di vita. In quel modo, entrambi avrebbero sofferto di meno, il giorno in cui la vendetta avrebbe portato via la vita di Newlin.

Emma corse a perdifiato giù per quell’infinita rampa di scale, attraverso stanze umide ed abbandonate, lungo corridori bui e deserti. Correva, gli occhi dilatati dal terrore e la rabbia. Era furiosa con se stessa per quello che stava facendo.
Stava fuggendo.
Fuggire?
Fuggire dove?
Dove vai, piccola Emma?
Dove corri? Da chi stai fuggendo?
Dalla strega.
Emma cadde a terra, tremante e piangente sotto il peso delle minacce di Mallaidh. Perché? Perché era stata così codarda? Avrebbe potuto fare qualcosa, qualsiasi cosa per far capire alla sua padrona che lei non la temeva, che era superiore alle sue idee primitive.
Di questo passo, non riuscirai mai a farla fuori. Che cosa ne penserà Newlin di te, sciocca ragazza?’
Emma scosse la testa, cercando di allontanare quegli orribili pensieri dalla mente. Eppure, in cuor suo sapeva che il suo più grande desiderio era proprio eliminare Mallaidh, spargere il suo sangue impuro, mostrarle la sua vera forza. Forse, in quel modo, Newlin sarebbe stato finalmente liberato dal suo maleficio. Il suo Signore avrebbe riconosciuto il suo vero valore, l’avrebbe apprezzata.
Amata.
Emma si rannicchiò su se stessa, tremando e carezzandosi da sola i capelli biondi. Come poteva lei, una semplice ragazza innocente, uccidere una sua coetanea? A dire il vero, sarebbe stato difficile, ma non impossibile. In fondo, Dio era dalla sua parte, l’avrebbe protetta. Mallaidh era un’infedele, il solo fatto che esistesse era un errore di Natura.
Sì, doveva ucciderla.
Doveva farlo.
Si alzò in piedi, tremando, e congiunse le mani in una preghiera. Subito dopo, si diresse verso le cucine. Se doveva veramente eliminare Mallaidh, avrebbe dovuto farlo subito. Un coltello, o una qualsiasi altra lama sarebbero state sufficienti al suo scopo.
Una lama da conficcare nel cuore della strega. Bagnare le pietre del castello con il suo sporco sangue, farla urlare come un maiale dalla pancia squartata. Sì. Era questo che doveva fare.
Era così tremendamente semplice.

Newlin stava salendo a passi veloci le scale che portavano alla stanza di Mallaidh. Finalmente, dopo quella durissima giornata di lavoro nell’amministrazione del proprio feudo, avrebbe potuto riabbracciare la sua amata compagna ed il loro legittimo erede. Il solo pensiero gli riempiva il cuore di gioia. Affrettò il passo, un sorriso raggiante dipinto sul volto.
Mallaidh, Mallaidh!
I suoi splendidi occhi verdi, che prima vagavano per le stanze del palazzo con straziante malinconia, dalla nascita del bambino si erano accesi di una forte determinazione e sicurezza. Come un animale che protegge i suoi cuccioli, la ragazza selvaggia non permetteva a nessuno di toccare il figlio primogenito senza il suo preciso consenso. Mentre qualsiasi altra nobildonna avrebbe certamente affidato il bambino ad una nutrice, per godersi la lussuosa vita destinata alle mogli dei feudatari e dei ricchi proprietari terrieri, Mallaidh sembrava vivere unicamente per la sua creatura, occupandosi di lui per tutto l’arco delle sue giornate. A volte, Newlin si sorprendeva nell’essere leggermente geloso nei confronti di Arlen, il quale riceveva incessanti attenzioni da parte di Mallaidh, più di quante Newlin avrebbe mai potuto sognare. Ma, al pensiero che quello fosse effettivamente il suo… il loro bambino, nulla riusciva più a turbarlo o a rattristarlo. Era padre, e marito devoto. Nulla poteva renderlo più felice.
Si fermò all’improvviso, allarmato da uno strano rumore alle sue spalle. Si girò di scatto, giusto in tempo per vedere la figura scarna e tremante di Emma Blacksmith che, il capo chino e le mani dietro la schiena, cercava di ridiscendere la rampa di scale senza farsi notare dal suo padrone. Probabilmente si stava recando da Mallaidh per assisterla in qualche cosa, ma vedendo che il marito della sua padrona si stava recando nella stanza della ragazza selvaggia, non aveva voluto interferire.
Sorridendo, Newlin si rivolse alla sua serva:
“Madama Blacksmith! Vi prego, non fuggite in questo modo alla mia presenza. Voi sapete bene che non vi sarò mai ostile. Ditemi, mia cara, come state?”
La ragazza si strinse nelle spalle, non osando alzare lo sguardo verso il suo padrone.
“Sto bene. Vi ringrazio, mio Signore.”
“Mi stavo giusto recando dalla mia amata consorte, avete per caso qualche messaggio che posso recapitarle a nome vostro?”
“No… nulla.”
“… D’accordo.”
Il silenzio calò tra i due giovani. Il disagio era evidente. Newlin si rese conto che c’era qualcosa che la serva gli stava nascondendo. Qualcosa che era dipinto nella sua espressione, qualcosa di percepibile e contemporaneamente invisibile. Qualcosa di terribile.
Newlin sospirò, abbassando lo sguardo. Era notevolmente imbarazzato, si vergognava della sciocca azione che aveva compiuto tanti mesi addietro. Nonostante fosse a conoscenza del profondo amore che Emma nutriva nei suoi confronti, non solo l’aveva respinta con disprezzo, ma l’aveva persino assunta come dama di compagnia di sua moglie. Un gesto ignobile, e senz’altro crudele, che fino a poco tempo prima il ragazzo aveva attribuito all’improvvisa morte del padre. Ma ora sapeva che il suo unico intento era deridere Emma per l’amore sciocco ed immaturo che provava nei suoi confronti, ponendola in maniera brusca di fronte alla dolorosa realtà. Certamente, si trattava di un’azione necessaria. Una serva non si sarebbe mai potuta unire ad un signore feudale, era qualcosa d’impensabile.
Eppure, Mallaidh era ancor meno di una serva.
Mallaidh era… diversa. La sua vita non era legata alle rigide regole della società, non aveva una famiglia il cui onore poteva essere messo in discussione dalle decisioni della ragazza. E Newlin era veramente innamorato di lei. Non avrebbe rinunciato alla sua amata per nulla al mondo.
Ciò non giustificava comunque il comportamento spregevole che Newlin aveva utilizzato nei confronti di Emma. Il giovane era consapevole del suo sbaglio, ed era pronto a rimediare come poteva, chiedendo perdono alla ragazza.
“Mia Signora,” disse, scendendo lentamente i gradini verso la serva “Io… io vi devo le mie scuse. Non avrei mai dovuto assumervi a palazzo, quel giorno. Per lo meno, non avrei dovuto ordinare in maniera categorica la vostra presenza. Voi avevate accennato esplicitamente al vostro terrore nei confronti della mia sposa, qualche settima prima del mio matrimonio. Ed io, non tenendo per nulla di conto i vostri sentimenti, vi ho incoscientemente ordinato di servire la mia Signora al castello. Vi dissi che la mia decisione era dettata dal timore per la mia sposa, sola in una casa di sconosciuti, e che, essendo a conoscenza di un vostro precedente incontro, vi giudicavo la fanciulla adatta ad essere assunta come sua dama di compagnia.”
“Siete un marito responsabile, mio Signore.”
Newlin si fermò di fronte alla ragazza, guardandola con più attenzione. La giovane dai capelli biondi teneva ancora le mani dietro la schiena, contro il muro. Il ragazzo non si era mai accorto di quanto fosse pallida. Il suo sguardo era evasivo, il suo silenzio tombale. Sembrava combattere contro il forte desiderio di fuggire via, lontano da Newlin. Sfogare la propria sofferenza, urlando e piangendo contro il suo Signore. Newlin le sfiorò con fare pensoso una guancia, scuotendo lentamente la testa.
“Eppure, ho commesso un grave torto nei vostri confronti. Ero a conoscenza del vostro timore verso la mia sposa, ma ho deciso di ignorarlo. Forse, voi potreste considerare questo mio spregevole atto come una reazione alla morte di mio padre, ma non è così. So bene quanto voi mi amiate, mia Signora. Sono a conoscenza del vostro affetto, e ve ne sono grato. Ma non posso accettarlo.”
“Basta! Basta, vi prego… tacete…”
“No. Ascoltatemi. Dovete capire che non sono irato con voi. Posso comprendere che il vostro cuore vi sussurri incessantemente il mio nome. Siete accecata dalla passione e non riuscite a comprendere quanto la nostra unione sia impossibile da realizzare. La distanza che vi è tra noi è troppo grande, e le somiglianze che ci accomunano sono troppo numerose. Vi prego di perdonarmi, mia Signora, ma il vostro desiderio è destinato a divenire l’effimero ricordo di una fantasia. Non c’è nulla che voi possiate fare al riguardo.”
“Voi… voi non capite!”
“E invece capisco fin troppo bene, poiché anch’io sono stato innamorato. Lo sono tuttora. Sono caduto in un amore eterno che per sempre mi legherà a Mallaidh. Spero davvero che voi possiate comprenderlo. Io non posso amarvi, ma sarò sempre legato a voi da un affetto profondo, come quello che lega un fratello ad una sorella. Mia cara Emma, riuscite a capire ciò che provo?”
“Io… io…”
“Riuscite a comprendere?”
“Voi… voi non…”
“Io non vi amo.”
Il ragazzo cercò di sorridere, mentre si chinava con dolcezza sulla serva e l’avvolgeva in un abbraccio consolatorio. Cercò d’ignorare i suoi singhiozzi, le lacrime che ora scendevano copiose dal pallido volto. Newlin avvertì il corpo della ragazza sussultare, le mani muoversi tremanti da dietro la schiena ed aggrapparsi, in un gesto disperato, alle spalle del padrone. Il ragazzo capì che Emma voleva confessare qualcosa, ma che era troppo scossa o spaventata per farlo. Le carezzò teneramente i capelli, sussurrandole con dolcezza:
“Cosa volete dirmi? Parlatemi, mia Signora, vi prometto che non sarò irato con voi.”
“Mio Signore… io…”
“Sì?”
“… Mi dispiace.”
“Cosa dite? Non avete ragione di vergognarvi per un sogno.”
“Oh, Dio maledica il giorno in cui io sognai la vostra mano! Ma non è stata la mia ingenuità ad esser la causa della mia sofferenza. Se davvero non mi volete, e così sia. Ma che voi possiate morire, prima che io vi lasci nelle mani di quella strega!”
Prima che Newlin potesse comprendere le parole della ragazza, un acuto dolore lo colpì alla schiena. Un dolore che ricordava vagamente il freddo del ghiaccio o del ferro. La lama di un coltello. Il giovane non riusciva a capire, era confuso. Il dolore si stava facendo atroce, e le gambe del ragazzo non riuscirono più a sostenerlo. Cadde a terra, in una pozza oscura e vagamente familiare. Newlin non capì subito di che cosa si trattasse, ma quando vide il colore vermiglio che tingeva rapidamente i suoi abiti, riconobbe il suo stesso sangue.
Cercò di urlare, di chiamare aiuto. Aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Si agitò, colto dal panico, ed altro sangue uscì dalla sua ferita. Una nuova fitta di dolore lo costrinse a fermarsi, per cercare di prendere fiato.
Non riusciva a respirare.
Alzò debolmente lo sguardo. Emma Blacksmith sedeva accanto al suo corpo sanguinante. La pallida mano della ragazza carezzava delicatamente quella pozza oscura, le sue fragili dita erano macchiate di sangue. Sorrideva.
“E così sia. Voi non mi amate, non mi avete mai amato. Va bene così”
La ragazza scosse lentamente la testa, i suoi occhi azzurri fissi sul corpo ferito di Newlin. Si chinò su di lui, baciandogli con dolcezza i capelli, per poi premere con forza la lama del coltello nella ferita. Il giovane sussultò. Il dolore era così forte da annebbiarli la vista. Presto non fu in grado di vedere nulla, se non il volto delicato di Emma, deformato da una folle risata.
‘Perché? Era una ragazza così dolce…’
Il ragazzo avvertì il suo corpo tremare. Il dolore era veramente insopportabile, atroce. Non riusciva più a vedere nulla, fuorché le tenebre. La morte lo stava portando via, Newlin riusciva a percepirlo. Lo trovava ingiusto. Terribilmente ingiusto. Avrebbe voluto vedere il volto di Mallaidh un’ultima volta. Ma ormai il suo tempo era finito.
Chiuse gli occhi.

“Newlin! Nage… Newlin, Newlin, no, ti prego! Nage, nage!”
Emma alzò gli occhi verso l’alto delle scale, sorridendo. Mallaidh, gli occhi sgranati dall’orrore e le mani tra i capelli castani, fissava sconvolta il cadavere di suo marito. La serva scoppiò a ridere, battendo le mani come una bambina felice. Afferrò con mano tremante i capelli di Newlin e mostrò a Mallaidh il suo volto cadaverico e sporco di sangue.
“Sorpresa!” urlò allegra.
“Tu… cosa hai… cosa hai fatto…”
“Vi amava davvero, sapete? Lui vi amava sopra ogni altra cosa al mondo.”
“L’hai… l’hai ucciso…”
“Oh, sì, mia cara. L’ho ucciso. L’ho ucciso con questo.”
La ragazza estrasse il coltello dalla schiena di Newlin. La lama era bagnata, gocciolava sul cadavere del morto.
“Era destinata a voi, sapete? Avreste avuto un trattamento davvero molto speciale, mia Signora. Ma se voi due siete davvero così innamorati, allora che possiate raggiungere l’Inferno insieme!”
Lanciò il coltello contro Mallaidh. La ragazza selvaggia ebbe bisogno di qualche istante per riprendersi dalla sorpresa, e non riuscì a muoversi in tempo per schivare la lama. Il coltello la colpì ad un braccio. Mallaidh urlò di dolore, anche se sapeva di essere stata molto fortunata. L’arma cadde ai suoi piedi, lasciando un taglio largo, ma non profondo.
Si girò di scatto verso Emma, i verdi occhi accecati dall’ira.
Orgeta, Deiouona na! Assassina, figlia del Male, come hai osato? Tu, bastarda, hai avuto il coraggio di ferire Mallaidh! Ma la figlia di Carey non morirà oggi! Sarò io a toglierti la vita, Seabhag na!”
Raccolse il coltello ai suoi piedi e, dall’alto delle scale, si slanciò contro Emma. Anni vissuti in continuo movimento tra gli alberi di Seabhag le garantivano un sicuro vantaggio contro la sua avversaria. Afferrò con decisione i capelli della serva, portandole indietro la testa e cercando di ferirla al collo. La fanciulla cristiana aveva però le mani libere e riuscì a bloccare in tempo il gesto di Mallaidh, conficcandole le unghie nella pallida carne. Mallaidh fu così costretta a lasciare la presa, distratta dal dolore. Emma si liberò definitivamente della sua avversaria, assestandole un poderoso calcio sul viso ed approfittando della reazione di Mallaidh per alzarsi e cercare di fuggire. Scese velocemente i gradini delle scale, dirigendosi verso le stalle del palazzo. Se fosse riuscita a raggiungere suo fratello, avrebbe potuto facilmente ottenere un cavallo per allontanarsi in tempo da Seabhag, senza essere catturata dalle guardie. Conosceva le terre del feudo meglio di chiunque altro.
Aveva una piccola possibilità di salvezza.
E voleva aggrapparsi ad essa, con tutta la sua forza. Voleva avere fede nella vita, come l’aveva avuta nell’amore. Fino all’ultimo istante, aveva amato Newlin, aveva creduto nel suo dolce sguardo. E, quando le parole del ragazzo avevano distrutto il suo sogno, avevano anche cancellato tutto ciò a cui ella credeva. Se voleva continuare a vivere, Emma doveva rinascere.
Emma aveva fede in se stessa. Sarebbe sopravissuta.
Avrebbe dimenticato tutto ciò che era, tutto ciò in cui aveva creduto, tutto ciò che l’aveva fatta soffrire. Sì, avrebbe smesso di soffrire. Non avrebbe provato più alcun dolore. Ne’ al cuore, ne’ alla testa. Già, la testa. Perché le faceva così male? Provava un grande dolore… alla testa…
Il sangue uscì lentamente dal cranio di Emma, macchiando i suoi bei capelli biondi. Cadde a terra, il coltello che aveva utilizzato per uccidere Newlin conficcato nella testa. Non ebbe il tempo di pensare, ne’ di provare terrore per il buio che l’avvolgeva.
Capì solo di essere morta.
Mallaidh guardò il cadavere della Seabhag na afflosciarsi a terra e cadere per le scale di pietra. Quella stupida era scappata senza cercare di rimpossessarsi del coltello. Era stata fortunata. Se l’avesse presa viva, le avrebbe fatto passare le pene dell’Inferno pur di ucciderla nella maniera più disumana possibile. Al quel pensiero, abbassò mestamente lo sguardo sul cadavere di Newlin. In quell’istante, riuscì a vedere tutti i suoi piani andare improvvisamente in fumo. Senza la protezione del suo Signore, che cos’era? Una folle selvaggia dal passato oscuro, priva di fascino, ricchezza o virtù. Le avrebbero concesso di tenere il piccolo Arlen, o sarebbe stata costretta a lasciare il palazzo e le terre di Seabhag? Che cosa sarebbe stato di lei?
Cadde in ginocchio, accanto al cadavere di Newlin. Gli sfiorò con delicatezza le labbra esangui, il pallido viso dai tratti ancora immaturi. Gli occhi erano chiusi, come se in un ultimo, sciocco desiderio il ragazzo avesse voluto nascondere la sua fine allo sguardo della moglie. Mallaidh sorrise, scuotendo debolmente la testa. Si chinò sul corpo del marito, baciandogli con tenerezza la fronte.
“Perché? Perché sei andato via così presto, mon donios? Non era questo il momento, non era questo il modo.”
Strinse tra le mani il viso del ragazzo, baciando le sue pallide labbra. Lacrime trasparenti, silenziose come le stelle nel cielo, rigarono il volto della Folle Mallaidh. Era sola, ora ne era consapevole. Non aveva mai avvertito la solitudine nella foresta di Seabhag, dove gli spiriti dei suoi antenati sembravano guidarla e proteggerla dalle fronde della Grande Quercia. Ma ora, ora che aveva conosciuto l’amore sincero ed incondizionato di qualcuno, ora che tutto ciò in cui aveva creduto era stato portato via da lei, ora Mallaidh capiva di amare Newlin sopra ogni altra cosa al mondo.
“… Avrei imparato… avrei imparato ad amare il nostro caro bambino più del Seabhag mab. Io… io ci sarei riuscita. Anche se il mio amore verso Newlin era così perfetto, anche se mi rendeva così felice. Io avrei fatto qualsiasi cosa, pur di portare a termine il mio sogno. Ci riuscirò, adesso? Sarò in grado di continuare a vivere, senza la forza che quest’uomo mi dava? Come posso continuare a vivere senza di lui, Mama Carey? Come? Per questo la Profezia del Falco mi è stata tramandata come una leggenda? Perché nessuna antenata avrebbe mai potuto credere che una figlia di Maretak sarebbe stata così stupida da innamorarsi di un Seabhag mab? Oh, come posso essermi innamorata di lui, perché sto piangendo sul suo cadavere? Perché? Perché le sue fredde labbra non mi ricordano la Morte, ma solo le lunghe notti di passione trascorse insieme? Mama Carey, dimmi perché sto piangendo sul cadavere del mio nemico. Il nemico che mi ha illusa con la nascita di un amore pallido e morente, come la dea Atenoux, la Luna nel cielo. Ed io che credevo che tutto sarebbe andato bene… Povera illusa. Tutto è perduto. Il mio amore è morto, e non tornerà mai più da me.”
Appoggiò il capo sul freddo corpo del giovane, e chiuse gli occhi. Era esausta. Il braccio ferito stava incominciando a farle davvero male. Doveva fermare l’emorragia in qualche modo, ma in quel momento era troppo stanca persino per alzare lo sguardo. Avvertì, dal fondo delle scale, alcune serve urlare e chiamare aiuto alla vista del cadavere di Emma. Presto qualcuno sarebbe venuto, ed avrebbe portato via Newlin da lei. Per sempre.
Ecco. Già poteva udire i passi veloci degli uomini chiamati dalle schiave. L’urlo di un ragazzo alla vista del cadavere di Emma. Doveva trattarsi di suo fratello, quello che lavorava nelle stalle.
“Mia Signora! Mia Signora, che cosa è accaduto?”
Era la voce agitata di un uomo. Mallaidh sospirò, ed alzò lo sguardo verso il gruppo di uomini appena arrivato. Cinque guardie, alcune ancelle spaventate ed il fratello di Emma. Il ragazzo piangeva come un bambino, ma i suoi occhi erano accesi con l’ira che provava nei confronti di Mallaidh. La ragazza distolse lo sguardo da lui, rivolgendosi invece verso la guardia che le aveva rivolto la parola.
“… Andatevene via, an uelor weid nepos. Non voglio vedere nessuno.”
“Mia Signora, il padrone Newlin e la giovane Emma Blacksmith sono morti. Dovete dirci che cosa è accaduto.”
Ite, Borrach! Siete sordi? Vi ho detto di andarvene! Non voglio vedere nessuno, figli di Seabhag, nessuno! Siete forse così crudeli da non permettere neanche ad una povera vedova di piangere per la morte del proprio marito?”
“Piccola strega, come osi chiedere una cosa del genere, quando sei stata tu ad uccidere Newlin ed Emma! Bastarda, figlia di Satana, meriti di morire torturata per ciò che hai fatto!”
Mallaidh si girò di scatto verso il fratello di Emma, sorridendo.
“Parli in difesa di tua sorella, forse? E’ stata lei ad uccidere il mio sposo. So bene quanto la figlia di Seabhag fosse gelosa del mio matrimonio con il suo amato Signore.”
“Sta mentendo! Sta mentendo, vi dico! Uccidetela! Mandatela al rogo!”
Il ragazzo si slanciò contro Mallaidh, ma una delle guardie riuscì a trattenerlo.
“Sai bene che non possiamo accusarla della morte di tua sorella e del padrone senza avere delle prove. Non c’erano testimoni quando gli omicidi sono avvenuti.”
Essi exopos, catus? Sei forse cieco, soldato? La verità è di fronte ai tuoi occhi. E’ stata Emma ad uccidere Newlin. Io ho soltanto cercato di difendere la mia vita e quella di mio figlio. Sono stata io ad uccidere la Seabhag na.”
Il capo delle guardie spostò il suo sguardo sulla ragazza, non credendo ad una così spontanea confessione. Ma al fratello di Emma non bastava.
“La strega continua a mentire! Perché mai mia sorella avrebbe dovuto uccidere il signore di Seabhag? Era una ragazza dolcissima, devota alla famiglia e piena di virtù. Quale demone l’avrebbe posseduta per farle compiere un omicidio? Non ne sarebbe stata in grado, vi dico! Non ne sarebbe stata in grado.”
“Contempli i tuoi ricordi, Seabhag mab, non il cadavere tra le mie braccia. Emma ha ucciso il vostro Signore, ed io ho ucciso la vostra preziosa assassina. Sono pronta a sopportare le sciocche regole di Seabhag, che non concedono ad una vedova la propria vendetta. Ma che tutto il vostro villaggio sia maledetto, quando il mio nome sarà infangato con la falsa accusa di un delitto mai commesso.”
La più anziana delle guardie chinò il capo, per poi mormorare:
“Poiché la moglie del nostro Signore ha confessato, sarà punita per la morte della povera Emma. Ma, fino a che non avremo le prove contro di lei per l’assassinio del padrone Newlin, che sia rinchiusa nelle sue stanze, con suo figlio, nell’attesa di un verdetto. In ogni caso, la folle strega di Seabhag sarà punita per l’omicidio di Emma Blacksmith. Quando e come, ciò verrà deciso da Madama Iseut, la quale sarà avvertita al più presto di quanto è accaduto. Portate questa donna nelle sue stanze.”
Due guardie si avvicinarono a Mallaidh, l’aiutarono ad alzarsi e la scortarono fino alla sua camera. Prima di entrare, la ragazza si voltò un’ultima volta verso il suo sposo, per poi entrare a capo chino nella sua stanza. Alle sue spalle, la porta venne chiusa a chiave.
Mallaidh si avvicinò lentamente alla culla di suo figlio. Arlen dormiva serenamente nel suo lettino, le paffute manine che stringevano le coperte ricamate molti anni addietro. La madre si chinò per carezzare i capelli del bambino, così simili a quelli di suo padre. La ragazza scosse violentemente la testa a quel pensiero, come per cancellare i ricordi che la legavano a Newlin. Doveva dimenticarlo, doveva guardare al futuro. Che cosa sarebbe accaduto a lei e a suo figlio? In che modo sarebbe stata punita?
Non aveva più la protezione di Newlin, in quel momento. Sarebbe riuscita a portare a termine la sua vendetta? Aveva abbandonato la sua casa, la protezione dei suoi antenati, si era addentrata in un mondo ostile e sconosciuto, aveva perso l’unica persona che avesse mai amato, ucciso la colpevole di quell’omicidio. E tutto questo, per che cosa? Per essere esiliata o torturata, e vedere il suo bambino ucciso di fronte ai suoi occhi?
In quel momento, le vennero in mente le parole di sua madre Carey:
Se l’uomo che entrerà nella Quercia sarà un discendente della famiglia Faucon, tu non dovrai per alcuna ragione darti a lui. Tutti gli sforzi delle nostre antenate sarebbero stati vani. Dalla vostra unione non nascerebbe un bambino degno di riportare alla gloria il nostro clan, e la benedizione degli antenati ci abbandonerebbe. La memoria del nostro popolo svanirebbe con la tua morte, e la gloriosa vendetta che ci spetta ci sarebbe negata per sempre.
Mallaidh scosse la testa, gli occhi verdi sgranati di fronte a quel terribile presentimento.
“No… no, mama Carey, tu… tu credevi che si trattasse di una semplice leggenda… mi hai sempre detto che la Profezia del Falco non era altro che una storia, una leggenda, un racconto di fantasia per esprimere il nostro odio contro il popolo di Seabhag! Il mio piano era perfetto, non avrei mai e poi mai potuto prevedere la morte di mio marito. Se solo quella sporca assassina fosse rimasta al suo posto, nulla di tutto questo sarebbe successo. Il mio piano era perfetto, perfetto… la Profezia del Falco non è altro che una leggenda… una stupida leggenda… non può essere vero!”

I giorni passarono lentamente, in attesa dell’arrivo di Iseut. Tutti, al villaggio di Seabhag, si chiedevano quale punizione avrebbe dovuto soffrire la strega, e se la ragazza selvaggia sarebbe stata giudicata come colpevole di entrambe gli omicidi avvenuti al castello. Mallaidh passava le sue giornate chiusa nella sua stanza, assieme al piccolo Arlen. Non le era permesso uscire, ne’ le fu concesso di partecipare al funerale di suo marito.
E venne il giorno in cui Iseut raggiunse le terre di Seabhag. Visitò la tomba del fratello, discusse animatamente della sua morte con alcuni consiglieri e saggi del villaggio. Chi era la vera colpevole di quell’omicidio? La folle e sanguinaria strega che aveva sempre vissuto nelle foreste, oppure la dolce e solare fanciulla di Seabhag, il cui innocente sorriso era noto a tutti gli abitanti del villaggio?
Alla ragazza selvaggia non fu permesso di presenziare al suo processo. Fu costretta ad attendere nelle sue stanze, dove avrebbe incontrato per la prima volta la sua cognata, dalla cui labbra sarebbe stato pronunciato il verdetto.
L’ora della verità giunse prima del previsto. Mallaidh stava giocando con Arlen, muovendo sopra la sua culla un piccolo pupazzo d’argilla, riempito di sassolini per imitare il suon di un sonaglio, quando udì il rumore di una chiave che veniva girata nella porta della sua stanza. Si girò, ed i suoi occhi incontrarono quelli di Iseut Seabhag.
La giovane sorella di Newlin vestiva dell’abito monacale, nero come il lutto che caratterizzava i giorni di Mallaidh. L’espressione di Iseut era addolorata, ma allo stesso tempo trasmetteva tutto l’odio che la giovane provava per la moglie di suo fratello. La ragazza selvaggia tremò di paura, consapevole che il suo destino era racchiuso nelle mani di quella donna. La porta si richiuse alle spalle di Iseut, e lo scontro cominciò.
La giovane monaca esitò un poco, prima di avvicinarsi lentamente alla cognata. Si fermò a pochi passi da lei, fissando a lungo tutto ciò che la ragazza era: i poco curati capelli castani, le mani pallide e ossute, le labbra screpolate, le guance scavate. I suoi grandi occhi verdi erano fissi nei suoi, colmi di terrore e di curiosità per ciò che sarebbe accaduto. Questo era il demone della lussuria che aveva incantato Newlin?
“Voi, dunque, siete la fanciulla di cui mio fratello si è infatuato.”
“Sì, Signora.”
“Ammetto che il vostro aspetto è peculiare, ma per certi versi v’immaginavo… diversa.”
“… Mi dispiace non essere all’altezza delle tue aspettative, swesor.”
“Come avete detto?”
“… E’ una parola della mia gente. Vuol dire ‘sorella’.”
“Io non sono tua sorella.”
“Ma condividete il mio dolore per la scomparsa di Newlin. In questo lutto, e nell’amore che ci legava al mio sposo, eravamo come sorelle.”
“… Queste non sono le parole di un’assassina. Eppure, sei stata tu ad uccidere mio fratello e la giovane serva che era con lui.”
“No, Signora. L’omicidio di Emma fu, come dite voi, opera mia. Ero sconvolta per la morte di Newlin. Ma il sangue del mio sposo non è stato versato per mano mia.”
Iseut abbassò lo sguardo, per poi scuotere debolmente la testa.
“A che servono le tue menzogne, strega? Hai già causato abbastanza dolore in questa casa. Non puoi scampare al tuo destino. Anche se la tua unica colpa fosse l’omicidio di Emma, la tua pena sarebbe la morte.”
Mallaidh sussultò. Avvertì le energie abbandonarla in pochi istanti, lo sconforto lapidarle lo spirito fino a farlo sanguinare. Cadde in ginocchio, unendo le mani in simbolo di preghiera.
“Vi prego, mia Signora!” urlò “Farò qualsiasi cosa, ma non toglietemi la vita! Ho agito senza sapere, la mia morale non mi ha vietato la vendetta. Ho ucciso colei che mi ha sottratto l’uomo amato, l’ho fatto per vendicare mio figlio, l’onore della nostra famiglia! Vi prego, per gli dèi che ci proteggono, io…”
“Non bestemmiare invocando le tue divinità pagane, lurida strega! Continui ad infangare il nome di mio fratello mentendo su ciò che è accaduto. Oh, ma pagherai, pagherai con la tua stessa vita e la sofferenza con cui essa ti verrà sottratta! Per i tuoi peccati di omicidio a danno di Emma Blacksmith e Lord Newlin Seabhag, per aver indotto un giovane innocente nella tentazione della lussuria, per aver praticato la stregoneria e riti legati a religioni fasulle e blasfeme, tu morirai oggi stesso, purificata dal dolore. Verrai bruciata viva, Folle Mallaidh! Il tuo sepolcro non sarà segnato da alcuna lapide, il tuo nome sarà dimenticato e le tue ossa divorate dai vermi.”
Mallaidh urlò di terrore, e si precipitò alla culla di Arlen. Il bambino si era svegliato e, sentendo la madre gridare, scoppiò in un pianto disperato. La madre lo sollevò dalla culla e lo strinse a sé, le mani tremanti ed il viso rigato di lacrime trasparenti.
“Donne e uomini di Seabhag, che siate maledetti! Come… come potete essere così crudeli? Uccidere una madre assieme al suo bambino, accusandola di una colpa che non ha mai commesso. Arlen non ha fatto nulla di male. Volete privargli della sua vita, dopo avergli sottratto quelle dei suoi genitori? Come osate fare questo ad un bambino? Un bambino!”
Iseut parve sorpresa.
“Certamente il bambino non verrà ucciso! Lurida strega, osi anche accusare un infante di una colpa che solo tu hai commesso? Vergognati! Ad Arlen non sarà fatto alcun male, ma crescerà sotto la protezione di un signore feudale qui vicino, per divenire il giusto governatore di Seabhag. Gli verranno insegnati tutti i precetti della cavalleria e del Cristianesimo, così che il suo cammino sarà illuminato dalla grazia del Signore.”
Mallaidh impallidì vistosamente. Nei suoi occhi la rabbia ed il diniego erano evidenti.
“La grazia del Signore… voi… voi lo farete diventare un cavaliere? Non gli verrà insegnato alcunché sulle usanze della mia gente, sulle tradizioni del mio popolo?”
“A che cosa gli servirebbe una tale perdita di tempo? Ciò che chiedi confonderebbe soltanto le idee al figlio di mio fratello. Non sono altro che sciocchezze.”
“Sciocchezze! Quelle ‘sciocchezze’ scorrono nel suo sangue! E’ il suo destino! Non potete mutare il suo destino, assassini che non siete altro! Non potete! Per lui sarebbe una punizione peggiore della morte stessa!”
“Smettila di protestare, sciocca ragazza! Una pira sta venendo preparata sulle colline vicino al castello. Ti saranno cocessi venti minuti per dire addio a tuo figlio e per affrontare il pensiero della morte. Allo scadere del tempo, alcune guardie ti scorteranno al luogo dell’esecuzione. Preparati. E non cercare di fuggire, ci sono guardie ad ogni porta del castello. L’unica via di fuga è la tua finestra, ma dove potresti andare? Non ci sono appigli alle pareti, e la tua stanza è posta così in alto che, precipitando dalla finestra, moriresti. Fatti coraggio, ora. Questa è la tua ultima ora.”
Iseut uscì dalla stanza, senza guardare negli occhi la ragazza selvaggia. Mallaidh non sapeva che cosa fare, era presa dal panico più totale. Stringendo al petto il proprio bambino, invocò a gran voce il nome della madre:
“Madre! Madre, ti prego, aiutami! Ci deve essere qualcosa che posso fare! Qualsiasi cosa, per salvare il mio popolo, per portare a termine il mio destino! Ti prego, qualsiasi cosa! Una via d’uscita da questo incubo, un miracolo degli dèi… ti prego… ti prego, io… non può finire in questo modo… non può…”
Mallaidh si avvicinò lentamente alla finestra, ignorando il pianto del figlio. La ragazza si affacciò fuori dalla finestra, per vedere alcuni uomini riuniti su una collina poco lontana dal castello. Stavano preparando una pira, trasportando la legna dalla foresta di Seabhag e cospargendola di olio. Quello non era un miraggio, ma la cruda e spietata realtà.
Mallaidh sarebbe stata bruciata su quella pira. Le sue urla avrebbero risuonato per quelle colline, attraverso le foreste e le montagne d’Inghilterra. E con lei, il suo popolo sarebbe svanito per sempre. Maretak avrebbe cessato di esistere.
“Arlen. Arlen porterà avanti le tradizioni, il nome di Maretak. Lui può farlo, lui… Ma che cosa dico? Mio figlio è solo un bambino, e mai potrebbe ricordarsi delle parole di sua madre. Oh, Mallaidh, non tentare di illuderti con le tue stesse bugie. Probabilmente, Arlen crescerà senza sapere che il nome di sua madre era Mallaidh, figlia di Carey, discendente dalla nobile Liath di Maretak. Ignorerà il suo destino, la vendetta di cui solo io sono a conoscenza. Non sarà il figlio della mia gente, ma solo un’ombra ignara del suo passato.”
La ragazza spostò lo sguardo da quegli uomini al suo bambino. Si morse le labbra fino a farle sanguinare, ignorando il dolore. Non sapeva che cosa fare. Era terrorizzata. Avrebbe voluto fuggire via da quel luogo, tornare nella foresta, dove nessuno avrebbe mai potuto farle del male. Non voleva morire in quel modo orribile, sarebbe stato fin troppo doloroso.
Non puoi fuggire, Mallaidh.
Non puoi sfuggire alla morte.
Puoi solo salvarti dalle fiamme.
Coraggio, Mallaidh.
Sai cosa devi fare.
Salva te stessa.
Salva tuo figlio.
La ragazza strinse a sé il corpicino avvolto dalle candide coperte. Arlen continuava ad urlare, inquieto, avvertendo il terrore della madre. Mallaidh scosse violentemente la testa, e scoppiò a piangere. No, non poteva farlo, non ne aveva le forze. Quale madre sarebbe potuta andare contro l’amore verso il proprio bambino? Nessuno era così insensibile.
Se non lo salverai, Mallaidh, quello che stringi ora tra le tue braccia non crescerà mai per divenire tuo figlio. Non sarà altro che l’ombra effimera del tuo amore. Un’ombra priva di passato. Priva di ciò che è veramente. Hai già rovinato tutto con l’amore che provavi per il Seabhag mab, Mallaidh. Vuoi gettare altro fango sul sogno dei tuoi antenati, privando tuo figlio dell’onore che spetta al figlio di Maretak?
Mallaidh sussultò a quel pensiero. L’orrore di ciò che sarebbe accaduto l’aveva forse resa cieca? Solo ora capiva che, in fondo, non vi era altra soluzione. La sola idea la terrorizzava, ma in quale altro modo avrebbe potuto evitare il rogo ed il nuovo destino di suo figlio, al quale persino la morte era preferibile?
No.
Non c’era altra via di uscita.
Mallaidh sapeva che cosa doveva fare.
Era pronta.
Strinse Arlen a sé, cullandolo dolcemente. Il bambino non aveva ancora cessato di piangere. Mallaidh sorrise, e baciò il figlio sulla fronte, parlandogli con voce calma e carica di affetto. Non doveva avere paura. Non tra le braccia della sua mamma.
Sualli Arlen, figlio mio. Io tengo a te più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non permetterò che siano i figli di Seabhag a crescerti, vedrai. Io e te, bambino mio, scamperemo insieme alle fiamme del nemico. Ti prego, Arlen, non piangere. Va tutto bene. La mamma è qui.”
Mentre gli parlava, la ragazza prese ad arrampicarsi sul davanzale della sua finestra. Stringeva il bambino tra le braccia, per allontanare la paura. Era con lui. Era con suo figlio. Lo stava salvando.
Si alzò in piedi sul davanzale, il vuoto ad un passo dai suoi piedi. Le vertigini scuotevano il corpo della ragazza, facendola tremare senza controllo. Davanti ai suoi occhi, Mallaidh riusciva a vedere le imponenti torri del palazzo, le alte mura che lo circondavano, il sentiero che tagliava attraverso le colline e conduceva al villaggio. La pira, sulla collina, era pronta, e molti erano i curiosi che si avvicinavano al luogo della futura esecuzione. Mallaidh distolse in fretta lo sguardo. Ignorò qualsiasi cosa che le ricordasse i figli di Seabhag, qualunque casa, qualsiasi persona.
Chiuse gli occhi.
Sparire, tutto doveva sparire nel nulla. Il castello, il rogo, il villaggio. Non esistevano più. C’erano solo le verdi colline, circondate da catene di antiche montagne. La grotta di Akaunon sorvegliava i segreti di Maretak, protetta dalle piante di vischio. La Grande Quercia, ad ovest della foresta di Seabhag, dominava sugli altri alberi del bosco. Lì gli antenati di Mallaidh avevano pregato e vissuto per migliaia di anni. In quella selva, su quelle montagne, attraverso le colline e le pianure della vallata, il canto della sua gente risuonava ancora nel vento.

Maretak, Maretak: magu, maion et bodach,
Dith dagovassa, anation ambicatassa.
Essi capta et caranta. Andedia thirona tarinca
Orgeta deuxtonion, teutates anation.

“Ma… ma! Mama!”
Mallaidh aprì gli occhi, e guardò dove la manina di suo figlio indicava. All’orizzonte, sopra tutti gli altri alberi della foresta, la chioma della Grande Quercia era appena visibile. Ma Mallaidh avrebbe riconosciuto ovunque la sua casa. Sapeva che al suo interno gli arazzi erano ancora appesi alle pareti, e che le ceneri delle sue antenate erano custodite nel loro vaso di ferro battuto. Mille pietre preziose erano ancora legate ai rami dell’albero, rilucenti alla luce del Sole.
Tutto era come doveva essere.
Mallaidh sorrise, e si lanciò nel vuoto.
Lontano, all’orizzonte, la minuscola figura di un falco sorvolava la foresta di Seabhag. Un piccolo punto nel cielo grigio, l’inevitabile fine di un sogno.
 

Lulley, lully, lulley, lully
The Faucon hath bourne my mak away














Angolo dell' Autrice:

OK, perfetto, siete autorizzati ad uccidermi. Dopo un finale del genere, poi… ma sappiate che è sempre stato il finale che mi ero imposta. Certo, uccidere sia Newlin, Emma, Arlen e la mia adorata Mallaidh è stato difficile, ma… Il finale era già programmato. Infatti, si può dire che la storia sia nata proprio da questo finale e da questa canzone:

http://www.youtube.com/watch?v=nPO79hhskkM

 La riconoscete? Sì, è proprio di ‘Corpus Christi Carol’, le cui strofe erano poste all’inizio di ogni capitolo (in ordine sparso, secondo il contenuto dei capitoli). Si tratta, come ho già detto, di una canzone popolare Inglese risalente al 1504. La versione che ha ispirato questa storia è quella di Cécile Corbel, la mia cantante preferita, che forse riconoscerete come la voce nella musica del film 'Arietty', dello studio Ghibli. Tuttavia, il video che ho proposto è quello che ascoltavo ogni volta che scrivevo 'La Profezia del Falco'. Ho scelto questa anche perché la versione di Cécile è praticamente introvabile su You Tube.

Alcune note e curiosità:

La famiglia Maretak prende il suo nome dalla parola celtica per ‘Vischio’, una pianta oggi considerata velenosa e nociva, ma sacra e portatrice di fortuna per i Celti. ‘Seabhag’ e ‘Faucon’, invece, vogliono entrambi dire ‘Falco’.
Il nome ‘Mallaidh’ è di origine irlandese e significa ‘Tristezza’. Si pronuncia ‘Mahlli’ ed è il nome da cui proviene l’ormai comune ‘Molly’. Mallaidh è un nome tuttora utilizzato in America ed in alcune parti dell’Irlanda, seppure sia piuttosto inusuale.
‘Newlin’, invece, è un nome proveniente dal Galles il cui significato è ‘Nuova Sorgente’. Il nome di Emma vuol dire ‘Universale’ ed ha origine germanica. ‘Arlen’, il figlio di Mallaidh e Newlin, è un nome di origine celtica che vuol dire ‘Giuramento’. Anche per questo Mallaidh dice “Rimarrò fedele al mio Arlen, al mio antico giuramento.” E’ una specie di gioco di parole… sottospecie.
Alcuni di voi avranno notato che ho precisato all’inizio del capitolo come Mallaidh rimanga in piedi durante tutto il travaglio. Non si tratta di un errore di distrazione. Infatti, le donne del Medioevo partorivano in piedi o sedute. Partorire nel proprio letto, sdraiate, è una moda partita nel Quattordicesimo secolo, per iniziativa delle nobili che non volevano partorire come le serve o le contadine più povere.
Il pupazzo d’argilla che Mallaidh agita davanti alla culla di Newlin esisteva veramente, e svolgeva il ruolo di un moderno sonaglio. Era d’argilla per conservarlo meglio e per tramandarlo di generazione in generazione senza doverne fabbricare uno nuovo.
Probabilmente il mio racconto è pieno di errori, anche gravi, riguardo la Storia medievale e celtica. Mi sono presa moltissime libertà, soprattutto per quanto riguarda la civiltà di Mallaidh. Chiaramente, mi sono informata il più possibile sull’argomento, e spesso alcune mie scelte che si allontanavano dalla realtà erano scusabili per il semplice fatto che si trattava di tradizioni della gente di Maretak, non dei Celti in generale. Cose come il matrimonio sono, dunque, in parte vere, in parte di mia fantasia. In genere, i matrimoni dei Celti richiedevano un druido. La tradizione di mangiare le ossa dei propri cari alla loro morte è, invece, un’usanza tipica delle civiltà antiche del Sud America, che ho adottato per il popolo di Mallaidh unicamente per rendere il racconto un po’ più interessante. I Celti non mangiavano veramente le ossa dei propri defunti, ma cremavano davvero i loro corpi. Potete trovare altre informazioni sul magiare le ossa dei defunti nelle antiche civiltà del Sud America nel libro ‘La Terra degli Invisibili’ di Franco Perlotto.

Grazie per tutti coloro che mi hanno seguito e che sono stati al mio fianco!
Un bacio a tutti,

Beads.

   
 
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