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Autore: aniasolary    14/08/2012    8 recensioni
Un anno dopo Breaking Dawn, Emily e Sam danno l'annuncio del loro matrimonio. Leah scappa, non ce la fa, non stavolta.
Ma niente è davvero perduto, perché la vita può farci inciampare in qualcosa, qualcuno, che può aiutarci a vivere di nuovo.
"Leah Clearwater è una fenice.
E rinascerà dalle sue stesse ceneri."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Leah Clearweater, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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soul's wind 4

Soul's Wind

Capitolo 4

Settecento dollari è fin troppo per me, che praticamente ho dovuto presentare dei documenti fasulli per l’assunzione che Joshua, un amico di Brian, è riuscito a procurarmi.

Io… non sopportavo i bambini; me ne ero convinta qualche mese dopo che le mie speranze erano state nuovamente infrante, quando saltò il mio ennesimo ciclo.

I bambini sono fastidiosi, piangono, urlano, hanno sempre bisogno di qualcuno che stia sempre con loro… non fa per me.

Sono riuscita a convincermi in modo soddisfacente, fino a quando non mi sono ritrovata ad avere un impiego a che fare proprio con loro.

La piccola Milly, le treccine rosse e le lentiggini, viene ogni giorno dopo i prelievi di suo nonno, a giocare con le barbie rovinate che a casa non ha; poi c’è il piccolo Strause, un bellissimo cinesino, che guarda le macchinine come se fossero i primi giocattoli che vede in vita sua. E poi c’è Valerie, Mirko, Sally, Jackson, Monique, Kendra, Titty…

Sono tutti bambini che vivono in condizioni disagiate, spesso i genitori li portano con loro per fare dei controlli molto frequenti, per delle malattie molto gravi, altri invece vengono lasciati qui quando i genitori, di solito molto giovani, si recano al consultorio del terzo piano per dei colloqui.

Adesso non penso più che i bambini non mi piacciono: quando la piccola Mary si stringe a me, dicendo che quando mi abbraccia si riscalda… be’, io… non so… davvero ho pensato una cosa così brutta? Non mi sembra possibile neanche minimante.

E poi… poi arriva di nuovo il vuoto, il buio, la consapevolezza di non poter abbracciare un mio bambino, o una mia bambina… come se io potessi… potessi davvero…

Avere un bambino?

Già, proprio io che non riesco a parlare con un ragazzo senza aggredirlo, proprio io che aiuto Julia freneticamente in casa per non fermarmi a pensare.

       «Lee, la calamella!la calamella! »

Jackson, di due anni e mezzo, i riccioli biondi che gli incorniciano il bel viso illuminato dai suoi vispi occhi blu, si avvicina a me.

       «Ehi, Jack, vuoi una caramella alla frutta? » gli chiedo, cercando di scacciare via i miei pensieri dalla testa. La stanza è completamente invasa da tavolini bassi, sedioline colorate, cartoncini, colori e giochi.

Lui annuisce convinto.

      «Come si dice? » gli dico, sorridendogli - è un privilegio che possono avere solo loro, naturalmente.

       «Pel favole… »

Dalla bustina che ho in tasca, predo una caramella gommosa a forma di orsetto. Apre il palmo ed io gliela poso delicatamente per non farla cadere.

Eppure se… se non fosse successo, io forse adesso potrei… potrei stare con lui.

«Che cosa significa? »

Sulla spiaggia, di fronte al mare color del ferro, il cielo nuvoloso e il tramonto che dipinge il cielo, siamo nello stesso punto in cui, all’incirca due anni fa, ci siamo detti ti amo per la prima volta.

«Mi dispiace, Leah… »

« Non mi interessa! Non mi interessa se ti dispiace o no! Voglio che mi spieghi, hai capito? Non puoi mollarmi così, dicendomi che dobbiamo rompere perché tu non puoi stare con me! Che… che cosa ti prende, me lo dici? Solo due settimane fa… prima che tu “sparissi”, mi hai chiesto di venire a vivere con te subito dopo la fine dell’Università… e adesso? Hai perso il cervello per strada, Sam? » gli urlo. Non è colpa mia, non sono mai stata così arrabbiata, non gli ho mai parlato in questo modo.. ma quello che sta succedendo è qualcosa di così incredibile che io… io non posso pensare che stia davvero succedendo. Mi stringo nel giubbotto, guardando l’aria fredda che si condensa davanti alla mia bocca, creando piccole nuvole di fumo gelato. Lui invece è a maniche corte, ed è come se la temperatura bassa non esistesse. Sono io quella che trema, sono io quella che urla, sono io quella che ha freddo.

« Forse... forse ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio… » comincio a mormorare. Io lo amo, è qualcosa di vero, di puro, non può finire tutto così, lui è quello che mi fa ridere, è quello che mi abbraccia, mi protegge, mi ascolta, mi prende in giro… lui è quello che si è innamorato di me…

«Non è colpa tua, Lee-lee. Non è mai stata colpa tua. Tu… tu sei perfetta così come sei… »

Mi accarezza il viso con la mano. Le sue dita lasciano una scia bollente sul mio viso freddo, imbrattato di umidità e espressioni incredule, arrabbiate.

       «Allora perché mi stai dicendo questo? Lo so… non dovevo arrabbiarmi con te per il fatto che sei stato via per più di tre giorni, è che… sei cambiato, Sam. Ma non importa, noi stiamo insieme, ci vogliamo bene… noi… noi… »

       «Leah, c’è un’altra. »

Il cielo grigio diventa bianco, illuminato da un tuono improvviso che lo spacca in due strati ben distinti. Ho l’impressione che il fulmine abbia colpito me, facendomi bruciare. Facendomi scomparire.

  «Co-cosa? »

 «Io non volevo… »

       «Sam! »

       «Lee-lee.»

       «Non chiamarmi mai più così! Mai più! »

       «Ti prego… non fare così… tu sei importante… »

       «Vattene! Vattene! Non toccarmi! »

E lui invece si avvicina, mi prende per il braccio mentre io mi allontano, mentre vedo il mondo sbiadire, mentre il vento invernale mi pizzica la faccia e fa accasciare il castello di sogni che credevo resistente ad ogni tipo di tempesta.

E’ forte, troppo forte, di una forza che non ricordavo e mi costringe a guardarlo, a voltare il viso verso di lui.

      «Ti prego, Leah, non fare sciocchezze. »

Sciocchezze? Stupidaggini? Follie? Il ragazzo che amo mi ha lasciato per un’altra. C’è un’altra più importante di me, c’è un’altra che è riuscita portarmelo via, c’è un'altra che è migliore… migliore di me. E lui mi ha tradito, ha tradito tutti i miei desideri.

Passa poco, troppo poco tempo perché io veda il suo viso voltato, senza batter ciglio, con un segno rosso sulla sua guancia, l’espressione… di dolore in viso. Gli ho dato uno schiaffo. E passa soltanto un secondo perché mi venga il desiderio di dargliene un altro e un altro ancora, di farlo risentire, di fargli provare anche solo per poco quello che sto provando, di farlo sentire sbagliato come mi sento io adesso… di farlo sentire solo…

«Ti odio.»

Le parole scorrono via come un’emorragia che parte da dentro e che invade il corpo. Credo di non aver mai mentito così bene, in un modo più convincente, anche se adesso tutto questo dolore rende l’odio un emozione vera, qualcosa che potrebbe farmi sentire meglio. Che in realtà non c’è.

      «No… Leah, non voglio che tu… »

      «Smettila! Abbiamo chiuso? Lasciami in pace, in pace! Non voglio vederti mai più, non farti più vedere dalle parti di casa mia se non vuoi che ti odi ancora di più. Vai a divertirti con la sciacquetta che ti sei trovato, non voglio avere niente a che fare con te. »

       «Non è stata colpa sua. »

      «Non è stata colpa tua, non è stata colpa mia, non è stata colpa sua… Dimmi, lei sapeva che stavi con un’altra quando si è divertita con te? Che schifo, Sam! Schifosi entrambi, tu, lei, chiunque sia, e adesso basta, me ne vado. Ti credevo diverso. Per tutti questi anni, io ho amato un’altra persona. Non eri tu. Tu non sei nessuno. »

       «Lo so… so che non mi perdonerai mai; ma non farle un torto, ti prego. Se davvero vuoi arrabbiarti, se davvero vuoi odiare qualcuno, preditela con me. Emily non ha colpe. »

La voce riecheggia nelle mie orecchie, mentre corro via, verso la strada, verso la mia casa, mentre lui mi richiama indietro, mentre lui mi dice che gli dispiace ancora e ancora, mentre mi dice che se fosse stato per lui non sarebbe mai successo niente. Mentre io vedo tutto male e sbiadito, e le lacrime mi cadono sulle guancie, abbondanti, sulla pelle che lui ha bruciato toccandomi.

Lui… lui mi ha bruciato, e adesso non rimane più niente, più niente di me. E’ finito tutto. Mi ha distrutto.

Il mio Sam.

Cerco di scacciare via le lacrime, invano.

Lee-lee non esiste più.

 

       «Ehi, tutto bene? »

Ritorno alla realtà da quel sogno doloroso. Non mi succede quasi mai da un mese, ma è difficile… è difficile dimenticare davvero. Nonostante tutto, non ci riuscirò mai.

      «Sì, benissimo. »

Già, adesso è davvero così. I bambini giocano tranquilli, mentre io sono seduta a gambe incrociate sul pavimento. E Brian mi guarda appoggiato al muro, i capelli castani un po’ spettinati e gli occhi verdi contro il sole invernale. Sorride, ma riscontro la stanchezza sul suo volto. Oggi doveva essere stato il suo turno, all’alba, a controllare i confini, oppure ha passato la notte insonne; nonostante tutto, quando è con gli altri ha sempre quella bella espressione tranquilla che gli rilassa il viso, con la risata calda e quasi un po’ suggestiva.

      «Sembrava che fossi… in un altro mondo. »

       «Io? No… stavo pensando. »

     «Guarda che io sono responsabile della tua salute. Se hai bisogno di uno psicologo basta che me lo dici, no problem. »

«Ah-ah, molto, ma molto divertente. »

   «Dai, non fare la musona. Il figlio dell’infermiere ti fissava prima mentre ridevi con me, in corridoio. »

«Ma se sarà un bamboccio di sedici anni… »

Cerco di trattenere una risata troppo rumorosa, che sembra qualcosa di strano, persino a me.

  «Be’, ha sempre dei buoni gusti, come dargli torto. »

Ma quanto è stupido? E menomale che ha finito le superiori a diciassette anni per andare direttamente all’università e laurearsi cinque anni dopo per le sue “doti intellettive”.

   «Sì, sì, come no… »

Mi alzo dalla mia postazione velocemente e apro  l’armadietto grigio per prendere un fermaglio e alzarmi i capelli. E’ l’ora di disegnare. Mirko ha già sistemato i colori e i fogli sul tavolino e ora sta contando tutti i doppioni che ha.

      «Ricordati, Leah, che posso sempre corromperti. »

    «Mi cacci di casa, dottorino? Non fai che farmi un piacere.» dico, snervandomi. E’ qualcosa che devo ancora superare. Quando si parla di aspetto fisico io vorrei soltanto svanire. Emily è sempre stata più bella di me, ha sempre avuto dei capelli più lunghi, degli occhi più espressivi, il sorriso più dolce. Ed è una delle cose che Sam deve aver amato per prima.

       «Tu in casa mia ci rimani. Mi hai infilato quattrocento dollari in tasca contro la mia volontà come affitto »

     «Perché è così che deve essere »

      «E l’hai fatto davanti a tutti »

       «Perché a casa ti chiudi in camera tua o nel tuo studio a chiave oppure non ci sei, qui almeno… »

Dovevo assolutamente dargli dei soldi, io non sono e non sarò mai una mantenuta. Mai. Anche se la persona che mi ospita è Brian Ewell.

         «La gente chiacchera »

        «Le infermiere? »

      «I dottori, i pazienti »

       «I bambini? »

       «Non immagini quanto possono immaginare.» ammicca.

Sbuffo; ed è qualcosa di più forte e più cattivo di quello che credevo che ne sarebbe venuto fuori. La mia espressione sembra che lo riporti indietro, lontano di tanto, tanto tempo, anche se mi rimane vicino. Il suo sguardo si spegne.

Devo dirgli qualcosa, una battuta, cretina quanto quelle che dice lui. Per farlo ridere. Il problema è che ho imparato a ridere di nuovo soltanto grazie a lui, perché non lo facevo da quando Lee-lee era morta sulla spiaggia, sotterrata dalle parole di Sam come con una pala e della terra bagnata.

E lui, Brian, non il dottore, non il ragazzo che mi ha salvato, non quello che ho qui, davanti a me, viene risucchiato via da qualcosa che non vedo, un tornado invisibile che lo scaraventa via, immobilizzandolo.

Si tratta solo di un istante, i suoi occhi verdi si accendono e mi guardano diversamente, in un modo così veloce che è impossibile da cogliere.

      «Già, a volte i bambini… »

       «Ci vediamo a casa, Leah. Ho il terzo turno delle visite »

Esce dalla ludoteca con un' espressione che non gli ho mai visto. Lo seguo con la coda dell’occhio, con la scusa di prendere in braccio la piccola Milly mi avvicino alla porta. Mirko mi si avvicina, con in mano un disegno. Le infermiere guardano Brian come se fosse chissà chi, come se fosse bello chissà quanto. E poco prima, quando mi ha guardato con quello sguardo da farmi tremare, ho scoperto quanto lo sia davvero. Con il tono distaccato e formale, senza la sua risata.

Quando si è allontanato.

Quando mi ha liquidato.

Quando mi ha trattato come hanno sempre fatto tutti.

Che idiota.

La gente chicchera mi ha detto Brian, sorridendo. Lui sorrideva; ma pensare alla vita vera con quelle voci è come mettere insieme il principe e la contadinella. Lui la guarderebbe disgustato, e lei si sentirebbe fuori luogo.

Quando torno a casa sua lo trovo in cucina a sorseggiare una lattina di non so cosa, con indosso solo dei jeans, la maglietta e il camice bianco poggiato sulla sedia del tavolo.

Mi sorride all’istante; niente lo risucchia via.

Il cuore galoppa, salta in gola.

Deglutisco, con calma.

Sento che dovrei farmi delle domande.

*

*

*

*

Ciao, belli! Ecco a voi un nuovo capitolo. Aggiorno oggi perché domani mi sarà davvero impossibile. Buon Ferragosto a tutti voi, vi auguro di passarlo al meglio! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, sarebbe stupendo sapere che cosa ne pensate :) Ringrazio tutti voi lettori, quelli che hanno scoperto questa storia quest'anno e quelli che la stanno rileggendo *.*

Grazie mille, davvero

Un bacione

Ania

   
 
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