Capitolo
due: rinascita.
Erano
passati nove giorni dal temporale memorabile e dalla caduta della
Stella
Morente. In quei nove giorni, non vi era abitante a Winscott che non
invocasse
per lei una morta rapida e indolore, pietosa nei confronti della povera
creatura. Quei pochi che erano riusciti a vederla mentre Haiduc
l’Albeis la
portava fuori dal cratere, stringendosela al petto quasi fosse un pezzo
di
vetro, narravano che la ragazza fosse senza il primo strato di pelle, i
suoi
occhi bruciati, il suo naso sparito, il suo corpo ustionato. Di lei non
vi era
più niente di salvabile, così aveva detto ad un
oste un medico di corte,
bevendo del vino speziato per darsi un tono e raccontare quegli
agghiaccianti
dettagli. Si diceva che, nella tenda allestita accanto al cratere, la
ragazza
non avesse pace, e quelli che abitavano vicino alle mura giuravano e
spergiuravano che, almeno un paio di volte a notte, delle urla
terribili si
alzavano proprio da quella tenda, gelando il sangue di chi le udiva.
Tutto
lasciava immaginare che fosse la ragazza a soffrire gli Dei sanno che
mali, col
corpo coperto di pustole purulente e piaghe infette. L’immagine
della Stella Morente rimase per
lungo tempo proprio quella: una ragazza piagata e sanguinante, scuoiata
dal
fuoco, urlante di dolore. Uno spauracchio buono per i bambini
capricciosi.
Eppure, la ragazza era tenace: dopo nove giorni, era ancora attaccata
alla vita
con le unghie e con i denti, senza dar segno di voler mollare.
Anche
i medici erano dello stesso parere del popolo:
andavano a visitarla nella tenda della quarantena, fuori dalle mura, il
viso
coperto da mascherine e l’aria resa pura dalla citronella
balsamica; osservavano
le sue piaghe infettarsi nonostante la continua pulizia e il cambio
incessante
di bende, mentre il corpo deforme si contraeva in spasmi di dolore
atroce. I
dottori stavano al capezzale della ragazza qualche ora, per poi andare,
sconsolati, a riferire al Re Scott X e alla Regina Marghery quello che
vedevano: una creatura disgraziata, che avrebbe fatto bene a morire,
piuttosto
che lottare per la vita. Ovviamente, non lo dicevano solo alle loro
Maestà, ma
anche ad ogni oste che fosse disposto ad offrire vino speziato e birra
scura
per qualche informazione.
Si
arrivò addirittura al punto che la Regina
Marghery, pia donna, invitò tutta la corte a pregare per la
Stella Morente in
una solenne veglia presso la Casa Maggiore, tempio delle
divinità di Winscott,
veglia a cui mancarono due eminenze, facendo scalpore: Haiduc
l’Albeis, Duca di
Albeisine, Principe della sua gente, e Nicolai di
Langued’Och, Cavaliere della
Lingua. Suscitarono parecchie chiacchiere con la loro assenza, ma la
Regina era
di cuore buono e sapeva per quale motivo essi mancassero: stavano
compiendo la
missione impartitagli dal suo signore il Re, Scott X di casa Scott.
Loro compito
era vegliare la Stella Morente, portando direttamente alle orecchie del
sovrano
notizie sulle sue condizioni. Purtroppo, i racconti di Haiduc e Nicolai
non
divergevano di molto da quelli dei medici, ma erano quelli di cui il Re
si
fidava maggiormente. Il loro compito era lugubre, la Regina ne era
consapevole,
ma comunque di gran lunga migliore di pregare Dei
che lei credeva sordi, se non inesistenti. La
Regina lo sapeva benissimo che quella era tutta una farsa, eppure non
poteva
che sottomettersi al suo ruolo: quello della pia donna timorata degli
Dei,
anche se sapeva benissimo che gli Dei erano ormai morti.
Sbirciò il Re al suo fianco,
mentre intonava una preghiera alla Dea della Guarigione, e si costrinse
a sua
volta a recitare con lui, tornando con la mente alla tenda in
quarantena fuori
dalle mura.
Haiduc
ascoltava con attenzione i canti che si levavano
dalle Case Maggiori e Minori, sparse per la città, e che
giungevano sino a lì,
fuori dalle mura. Erano canti di guarigione, intonati per guarire,
qualcosa che
la gente credeva potesse funzionare per la Stella Morente. Si accese
una
sigaretta, l’ennesima, ed aspirò una profonda
boccata di fumo alla menta,
restando perplesso: il tabacco di Winscott era sempre aromatizzato dai
Frati
Tabaccai, per quanto essi giurassero e spergiurassero che quello fosse
il vero,
autentico tabacco delle Isole Sudali, importato da esse e trattato
dalle loro
graziose mani per i graziosi gentiluomini di Winscott. Ma Haiduc sapeva
che il
tabacco, quello vero, aveva un sapore ben diverso, acre e amarognolo,
che
lasciava del giallo in bocca e sui denti. Quanto avrebbe dato per una
sigaretta
di Albeisine… inevitabilmente, la mente fu di nuovo
là, nella sua terra, nella
sua città. Era arroccata su un’isola, Albeisine,
ma era capitale del regno
degli Albeis, la sua razza. Sorrise, pensando a quanto poco
differissero dagli
Uomini: fisicamente, gli Albeis erano come loro, avevano gli stessi
pregi e gli
stessi difetti, ma il loro Dio aveva voluto che la loro pelle fosse
più chiara
e sottile per poter meglio scrutare nei loro cuori, che i loro capelli
fossero
candidi perché candidi dovevano essere i loro pensieri e che
gli occhi rossi
fossero rossi perché… ah! quello, Haiduc non se
lo rammentava più. Quello che
li differenziava dagli umani era la lunga, lunghissima vita, che si
protraeva
per secoli ma che, prima o poi, finiva nel sonno mortale. Ma lui era
l’ultimo
Albeis, l’unico superstite della sua specie: Albeisine era un
cumulo di macerie
e lui se ne era andato da tempo, da oltre un secolo, giungendo a
Winscott
attraverso il mare e venendo accolto da Re Scott VI, trisavolo
dell’attuale Re
Scott X, dapprima come amico e poi come consigliere. Questo aveva
favorito a
far fiorire in Haiduc un sentimento di riconoscenza e amore per
Winscott e i
suoi abitanti, un sentimento così forte da far eleggere
Winscott sua patria
adottiva.
Con
un frusciare di seta, Nicolai fece capolino
dalla tenda e si accese con fare non curante la pipa di spuma marina.
<<
Credo che le preghiere non facciano altro che disturbarla.
>> Disse,
puntando gli occhi verso la città. <<
… E sollevaci dalle nostre ansie,
o Dea, e sollevaci dalle nostre pene!
Fa che la Morte giunga su rapide ali, per alleviare il nostro dolore!
>>
Si fece improvvisamente serio, aspirando più volte per far
bruciare il tabacco.
<< Come
è possibile che si possa
invocare la Morte? >>
<<
Quando non si ha altro da fare, amico,
quella è l’ultima spiaggia. >>
Haiduc guardò Nicolai, avvolto in una nube
di tabacco alla violetta << Ma non è roba per
donne quella? >>
Sfotté, perplesso: il suo amico, l’unico che
avesse nelle mura del Palazzo di
Winscott, era stranamente attirato da tutte le cose che piacevano alle
dame,
broccati e tabacco alla violetta compresi. << Sempre
meglio di
quell’orribile tabacco che fumi tu, in quella maniera barbara
poi! >>
Ribadì Nicola, creando anelli di fumo. <<
Almeno il mio lascia l’alito profumato.
>>
<<
Si, certo, per l’amore che porti a tutte le
dame del Palazzo, nevvero? >> Haiduc gli diede una
gomitata fra le
costole, ridacchiando. << Sei proprio una vecchia volpe,
tu! >>
Nicolai
si strinse nelle spalle. << Mi godo
solo la vita, tutto qua. >>
Rimasero
per un po’ in silenzio, entrambi
contemplando la città punteggiata dalle luci delle fiaccole,
mentre le bianche
mura riflettevano la luce lunare. Un mugolio proveniente
dall’interno della
tenda li fece distrarre. << Non si è ancora
svegliata. >> Disse
Nicolai a voce bassa, come a non voler turbare il sonno della ragazza.
<<
Prega i tuoi Dei affinché non lo faccia. >>
Ribadì Haiduc, a voce
altrettanto bassa. << Se mai dovesse vedere in che
condizioni è ridotta,
credo impazzirebbe di dolore. >> Nicolai annuì
in silenzio. << Come
credi che sia giunta qui, Haiduc? Cioè… quando la
tua città è stata distrutta,
tu… >>
<<
Io non ho visto niente di tutto ciò.
>> Concluse bruscamente Haiduc, così
bruscamente da far trasalire
Nicolai. Fu quello a farlo proseguire in maniera più
delicata. << Te l’ho
detto come andò: io ero fuori città, vidi tutto
dalla barca su cui ero a
pescare da solo. Questo e nient’altro mi ha salvato la vita.
>> Era vero:
con ogni probabilità, se quel giorno non fosse uscito a
pescare pesce spada per
diletto, anche lui sarebbe un cumulo di ossa- ma cos’era
meglio? Essere vivo e
solo, ultimo rimasto della sua nobile casata, o essere morto, ma unito
a tutti
i membri della sua stirpe? Gli ci erano voluti cinquanta anni buoni,
per
risolvere quel dilemma e tornare a dormire sonni tranquilli la notte.
<<
Magari, se si sveglia, potrebbe raccontarci qualcosa. >>
Suggerì Nicolai,
espirando il fumo dalle narici. << Qualcosa?
>> Chiese Haiduc,
interdetto, non capendo. << Si, qualcosa su cosa
è successo la. >>
Il biondo indicò il cratere. << E su cosa
è successo alla tua città,
Haiduc… in fondo, lei è arrivata qui attraverso
gli stessi fulmini viola che
hanno abbattuto Albeisine. Forse, viene dallo stesso posto.
>>
<<
Forse. >> Ammise Haiduc << O
forse no. Io preferirei non saperlo. >> Lanciò
uno sguardo dentro la
tenda: oltre la zanzariera, nel profumo disinfettante della citronella
e
dell’incenso, la ragazza riposava piano, più morta
che viva. << Io spero
che non si svegli. >> Concluse Haiduc, vagliando comunque
l’idea di
Nicolai: se la ragazza veniva davvero dallo stesso mondo dei fulmini
viola,
forse avrebbe saputo rispondere alla sue domande, forse gli avrebbe
raccontato
il perché della caduta della sua città,
forse… un mugolio più forte lo colse di
sorpresa, facendogli perdere il filo dei pensieri. <<
Vado io. >>
Disse Nicolai, piazzandogli la pipa in mano. Haiduc annuì,
lanciando in uno dei
bracieri alla citronella la cicca della sigaretta. Stava per provare a
prendere
una boccata dalla pipa quando la voce di Nicolai, stranamente tremula
ed
emozionata, lo richiamò all’interno della tenda.
<< Albeis, >>
Disse. << Qui c’è una cosa che non
puoi assolutamente perderti. >>
Haiduc
svuotò il fornelletto della pipa ed entrò,
incuriosito dallo strano tono di voce di Nicolai. Vi era solo il
pallore lunare
che filtrava attraverso la seta, nient’altro, ma fu
sufficiente per permettere
ad Haiduc di vedere il corpo della ragazza fluttuare a qualche spanna
sopra il
letto, le braccia e le gambe aperte, come se fosse immersa
nell’acqua. <<
Buon Dio… >> Si lasciò sfuggire
l’Albeis dopo un lungo silenzio carico di
stupore, girando attorno al letto della ragazza, mentre Nicolai se ne
stava in
un angolo, completamente in soggezione davanti a quello spettacolo.
Haiduc lo
guardò, indicando poi la ragazza con pollice, in una muta
richiesta di
spiegazione.
<<
Non lo so, non chiedermelo. >>
Rispose Nicolai, alzando le mani come a volersi difendere. Nonostante
la luce
tenue, Haiduc lo vide impallidire. << E non hai ancora
visto tutto.
>> Fece un cenno ai piedi della ragazza, avvicinandosi a
sua volta.
<< Guarda. >> Haiduc si
concentrò sui piedi martoriati: le ferite
giallognole e gonfie trasudavano siero, e nemmeno la citronella
riusciva ad attenuare
l’odore di morte che emanava il corpo della giovane;
addirittura, sulla
caviglia, era visibile l’osso del malleolo. Haiduc represse
la voglia di
storcere il naso e si stava per girare verso Nicolai quando,
d’un tratto, vide
il miracolo: delle unghie, piccole e rosate, stavano ricominciando a
crescere
mentre la pelle delle piante dei piedi si era completamente
ricostruita. Si concentrò
sulle unghie, sbalordito: era solo una sua impressione
oppure… << Vedi
bene. >> Lo rassicurò Nicolai, fissando lo
spettacolo. << Si sta
rigenerando a vista d’occhio. >>
<<
Ma questa è una cosa impossibile! >>
Esclamò Haiduc, sconcertato. << Le ferite
guariscono, Nicolai, ma non a
vista d’occhio! Come se parlassimo di ferite comuni,
poi… >> Scosse il
capo, incredulo. << Questa cosa è contro
natura. >>
<<
Come è contro natura arrivare a Winscott
avvolti da un fulmine e restare per nove giorni aggrappati alla vita.
>>
Ribadì tranquillo Nicolai, senza distogliere lo sguardo
dall’alluce aggraziato
della ragazza. << Mi chiedo solo cosa l’abbia
spinta a rigenerarsi
adesso. Prima soffriva terribilmente, non credi? Perché
proprio ora, a quasi
dieci giorni dalla caduta, il suo corpo ha iniziato a reagire?
>>
Haiduc
fece spallucce, senza trovare una risposta
convincente. << Forse aveva bisogno di recuperare le
energie. >>
Tentò. << O forse si è accorta che
è meglio vivere che morire. >>
Rimasero
in muta contemplazione del corpo che si
rigenerava, uno spettacolo di raccapricciante bellezza: dapprima, si
creavano i
muscoli, che si allungavano fibrosi per pochi centimetri e, subito
sopra si
ricostruivano gli strati inferiori dell’epidermide, il grasso
sotto cutaneo e
la pelle stessa, pallidissima al chiaro della luna- così
pallida, che Haiduc
credette che ella fosse un Albeis. << Quanto
durerà? >> Sussurrò
Nicolai, più a se stesso che al compagno. <<
Lo scopriremo stando qui.
>> Rispose Haiduc, lasciandosi cadere su una delle sedie
imbottite poste
a fianco del letto e facendo cenno a Nicolai di prendere posto accanto
a lui.
Si
erano promessi di vegliare affinché, di buon ora,
uno dei due andasse ad avvertire le loro Maestà
sull’improvviso complicarsi
degli eventi. Avevano anche promesso di fare dei turni di guardia per
non
perdere mai d’occhio la ragazza: il primo sarebbe toccato
all’Albeis, ma con
suo grande stupore Haiduc si svegliò per dare il cambio a
Nicolai quando era
mattino inoltrato, il sole filtrava nella tenda e la citronella e
l’incenso si
erano esauriti nei bracieri. Circondato da tutta quella luce, Haiduc
non poté
fare a meno di sobbalzare sulla sedia, rischiando di cadere per lo
stupore.
Nicolai dormiva ancora, la testa reclinata all’indietro,
russando in maniera
tenue, l’espressione serena… ma un’altra
rumore aleggiava per la sala, e Haiduc
si stupì che esso provenisse dalla creatura che ora giaceva
sul letto. Si alzò
piano, quasi temesse di svegliarla, e le si avvicinò
guardandola come se fosse
la cosa più bella del mondo.
La
ragazza che giaceva nel letto era l’esatto
opposto della creatura disgraziata e martoriata dei nove giorni
precedenti. Per
qualche magia a lui ignota, la ragazza si era rigenerata completamente
nel corso
della notte, in una maniera che Haiduc non aveva mai considerato in
quanto troppo
oltre le sue facoltà: guarire era comprensibile, ma
rigenerarsi? Impossibile. Eppure
era possibile, e lei ne era la prova. E che prova! Haiduc non aveva mai
visto
Donna così bella, simile ad un bocciolo in fiore: i lunghi
capelli biondi le
avvolgevano il corpo fino al pube, riccio e folto di un biondo
più scuro,
mentre il viso riposava sereno, le sopracciglia distese, gli occhi
dalle lunghe
ciglia chiusi e il naso deliziosamente all’insù,
la bocca piccola e piena
appena aperta per emettere quel lieve russare tutto femminile, il
simbolo di un
ritorno alla vita.
Rimase
a fissarla a lungo, perdendo la cognizione
del tempo, pensando solo a quanto fosse impossibile il corso degli
eventi: la
creatura disgraziata che la mattina prima giaceva su quello stesso
letto,
piagata e dolorante, non aveva niente in comune con quella ragazza
delicata,
dalla pelle pallida e i capelli biondi, bella come il sole.
<< Ellis. >>
La chiamò, spontaneo, l’antica parola con cui era
noto il sole. Non seppe
perché la pronunciò, ma l’atmosfera
cristallizzata dentro la tenda si ruppe a
quel suono meno forte di un sussurro: la ragazza serrò le
labbra, deglutendo e
voltandosi sul fianco, assumendo una posizione fetale per dare le
spalle al
sole e dormire ancora un poco. Haiduc si scostò da lei,
accorgendosi di essere
troppo vicino e indietreggiò fino a pestare il piede a
Nicolai, che si svegliò
di colpo. << Non pensavo che il tuo turno di guardia
sarebbe durato così
a lungo. >> Borbottò, la voce roca dal sonno,
guardandosi attorno. Quando
si accorse della novità della stanza, non poté
fare a meno di avere la stessa
reazione di Haiduc: stupore e sgomento si impadronirono del cavaliere
che non
riusciva a mettere in relazione la Stella Morente con quella giovane
ragazza
sana. << Ma cosa è successo? >>
<<
Ti riferisci alla guarigione miracolosa o
al fatto che ci siamo addormentati come due bambini? >>
Chiese Haiduc,
stizzito: sopportava male quelle situazioni, in quanto lo sgomento lo
lasciava
sempre impreparato. Nicolai ebbe a sua volta un moto di stizza:
rotò gli occhi
verdi e allargò le braccia. << Ma ad entrambi,
no? Come è possibile che
due soldati esperti come noi- tu vecchio di secoli, io un po’
meno- siano stati
sorpresi da un sonno così profondo e pesante da farci
svegliare solo la mattina
dopo? E che dire di lei, eh? >> Haiduc gli fece cenno di
abbassare la
voce, per poi fare spallucce. << Dobbiamo avvertire il
Re. >>
Ribadì semplicemente, sfilandosi una sigaretta dal taschino
e puntandola contro
Nicolai << E controllare gli annali e i testi antichi:
dobbiamo capire se
questo evento è il primo mai capitato a Winscott o se
è consuetudine di altri
popoli guarire in questo modo; se è la testa di una profezia
e se si a cosa
porta; ci sono un sacco di cose da fare, caro Nicolai, e in cima alla
lista hai
andare a palazzo e avvertire il Re e la Regina. >> Haiduc
si alzò in
piedi, la sigaretta fra le labbra, l’aria soddisfatta di chi
ha nuovamente
tutto sotto controllo. << Hai capito, caro?
>>
Nicolai
mise il broncio. << Non sono il tuo
galoppino! >> Sbottò, incrociando le braccia
sul petto in segno si
diniego, ma un indice sulle labbra di Haiduc lo riportò ad
osservare la
ragazza, che iniziava ad agitarsi nel letto, con una lieve apprensione.
<< Che dici, si sveglia? >>
Sussurrò Nicolai, curioso. Haiduc l’Albeis,
una volta ogni tanto, non sapeva cosa dire: scosse la testa e fece
cenno a
Nicolai di andare, che sarebbe rimasto lui con la ragazza.
L’Uomo, contrariato,
si avviò a grandi passi fuori dalla tenda, verso la
città, per farsi dare un
cavallo e andare a tutta velocità a palazzo.
Haiduc
uscì nella tiepida aria del mattino estivo,
restando all’ombra della tenda per evitare di scottarsi la
pelle chiara. Alzò
le braccia e stiracchiò i muscoli, facendo scrocchiare la
schiena così forte
che l’eco risuonò a lungo per la piana davanti a
Winscott. Muovendo le spalle
all’indietro per sciogliere il trapezio, si accese la
sigaretta con un cerino
ed aspirò una boccata così intensa da consumarne
metà in un colpo solo. Espirò
piano, lasciando fluire nella testa tutti gli avvenimenti della notte:
la
chiacchierata con Nicolai, il miracolo, la speranza e la
curiosità, il sonno
improvviso, il risveglio di soprassalto, il vistoso cambiamento della
giovane…
tutte queste cose Haiduc le lasciava girare nella sua mente mentre
fissava un
punto imprecisato sulle bianche mura- ma un’altra cosa gli si
gonfiava nella
mente, lasciandogli il cuore pieno di angoscia e speranza: se lei si
svegliava…sospirò,
tremando a confessare quel pensiero persino a se stesso. Se
lei si svegliava… poteva parlare. E, aggiunse
esitante, se lei
parlava, forse avrebbe scoperto qualcosa in più su quanto
accaduto un secolo
prima, sulla rovina di Albeisine, sulla fine del suo
mondo…il solo pensiero lo
sollevava e angosciava, contraendogli la bocca dello stomaco e
mandandogli la bile
in bocca. Haiduc sputò a terra, facendo un’ultima
boccata nervosa e gettando la
cicca nel braciere ormai morto. Rientrò che la ragazza aveva
cambiato
nuovamente posizione e un seno acerbo sbucava tra i capelli biondi
scomposti,
mentre il respiro si era notevolmente alleggerito, presagendo un
risveglio
immediato.
Haiduc
si sedette nuovamente sulla sedia accanto al
letto, stropicciandosi gli occhi stanchi: nonostante avesse dormito
tutta la
notte, le ore di veglia nei giorni precedenti l’avevano
distrutto. Sbadigliò
sonoramente e troppo tardi si accorse di avere la testa a ciondoloni e
gli
occhi pesanti. Pensò che dormire non gli avrebbe fatto male
e lasciò che quel
flusso di stanchezza si concentrasse tutto dietro le palpebre. Non ci
volle
molto prima di giungere nel mondo dei sogni e ci volle ancora meno
perché gli
incubi tornassero a tormentarlo, come accadeva da quasi un secolo.
Erano sempre
gli stessi: riviveva tutto in terza persona, da spettatore; vedeva se
stesso da
giovane, seduto sulla barchetta regalatagli dal padre, a torso nudo e
con i
piedi in ammollo nell’acqua fresca e cristallina; vedeva le
nuvole addensarsi
sopra la sua testa, il mare diventare caldo e ribollire, mentre i pesci
affioravano sulla superfice, morti per il troppo calore; si alzava di
scatto,
l’Haiduc giovane, imprecando per la paura; solo allora si
voltava verso
Albeisine e la vedeva, lontana, arroccata sulla sua roccia, avvolta in nubi viola e
sconvolta dai
fulmini; Haiduc allora prendeva il remo e lo immergeva
nell’acqua per
raggiungere la sua città, la sua famiglia, i suoi amici, e
gridava mentre
cercava di combattere contro la corrente che lo portava via, lontano,
verso
coste sconosciute e a lui ignote. Albeisine si faceva sempre
più piccola e il
suo cuore si stringeva sempre di più, sanguinando di dolore
e angoscia per la
propria gente; poi, nel sogno, gli giungeva l’imponente voce
di suo padre,
autoritaria e fredda come mai era stata: << Un Re non
deve mai
abbandonare il suo popolo. >> Diceva, e le nubi sopra la
sua testa
assumevano i contorni del viso di suo padre, gli occhi gravi, il naso
adunco,
l’espressione scontenta che si chinava sempre di
più su di lui, sempre più
sempre più… Come al solito, il sogno si
interrompeva lì, quando lui veniva sommerso
dai flutti, dal peso della colpa di essere sopravvissuto, e Haiduc si
svegliava
con la sensazione schiacciante che fosse tutto sbagliato, che tutto
quello che
lui avesse fatto dal momento in cui era sopravvissuto fosse errato
perché, in
fondo, sarebbe dovuto morire con gli altri. Era così da
tanto tempo, si aspettava
che il sogno si sarebbe concluso così pure stavolta. Ma non
si svegliò, Haiduc
l’Albeis, perché nelle acque del sogno era
intervenuto qualcosa a lui
sconosciuto: un essere anomalo, dai lunghi capelli biondi e verdastri,
fluttuanti nell’acqua, che lo guardava con occhi a mandorla
di un incredibile
color grano. Sembrava chiamarlo. Incuriosito, Haiduc nuotò
nelle acque del suo
sogno, avvicinandosi fin quasi a toccare la sirena. Fu allora che
spalancò gli
occhi, finalmente sveglio e lucido, e vide chiaramente ciò
che aveva sognato:
la Stella Morente, ora viva e sveglia, lo stava fissando con quegli
stessi
occhi.