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Autore: nini superga    13/08/2012    3 recensioni
Winscott, Regno degli Scott, Terre di Narba.
A Winscott, capitale dai mille portici, è piena stagione del sole. In questo periodo, le precipitazioni sono scarse per non dire nulle. E’ per questo che un temporale dalle dimensioni esagerate si preannuncia essere uno spettacolo che passerà agli annali e alle cronache. Ma questo temporale non è comune, oh no: dietro di esso, si nasconde l’arrivo di una creatura malinconica, disgraziata, disperata e disperante, nonché l’annuncio di una probabile Fine del Mondo che solo un Principe senza popolo e un Cavaliere Sbruffone possono sventare.
Una storia che mischia tante altre, una storia che io avrei sempre voluto leggere. Aspetto recensioni, sia positive che negative.
Nini.
Genere: Fantasy, Guerra, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo uno: il lamento della stella morente.

    Un temporale di quella portata non si era mai visto. Tutti, compresi i vecchi, non serbavano memoria di un avvenimento così immenso e nessuno era rimasto nelle case; persino le balie coi neonati al seno erano uscite per ammirare le imponenti nuvole nere che si riversavano sulla città, i cirri e i cumuli enormi farsi avanti ed  oscurare il sole, i lampi fluorescenti e i fulmini che andavano a infrangersi a terra nei campi esterni a Winscott. Le bianche mura della città risplendevano agli ultimi raggi del caldo sole, soffocato da quel nero che scendeva dal cielo e giungeva all’improvviso, rapido, portando folate di aria umida e calda nella città invasa dalla canicola della stagione del sole. I soldati, di guardia sulle mura, rabbrividirono nel vedere infrangersi al suolo un fulmine, mentre il rombo del tuono scuoteva i vetri delle Case Maggiori e Minori, in cui i simulacri degli Dei dormivano sonni odoranti incenso, e dei palazzi signorili. I bambini urlarono e le madri se li strinsero al petto, correndo sotto i vasti portici che ombreggiavano le strade cittadine, vanto e bellezza di Winscott, capitale del regno di Scott. I vecchi, fermi sulle soglie delle case, il naso per aria, si guardavano l’un l’altro e scuotevano la testa, increduli: chi se lo ricordava un temporale di tale entità? Accarezzavano i loro cani bastardi e rognosi e si sedevano sulle sedie appena fuori dagli usci, certi che se fossero morti colpiti da un fulmine almeno sarebbero morti per qualcosa di straordinario.

 

Anche a Palazzo Scott il maestro astrologo guardava il cielo dalla torre più alta, fissando le nuvole attraverso  l’Occhio Grande , un tubo che per un gioco di lenti era in grado di ingrandire gli oggetti posti a grandi distanze, ammirando i fulmini azzurrini che si creavano da una scintilla e saettavano verso il basso, più veloci di un batter di ciglia, schiantandosi al suolo un battito di ciglia dopo. La stagione calda era appena iniziata e i temporali sarebbero dovuti arrivare dopo, molto dopo, a metà della stagione delle piogge, pensava l’astrologo che, preoccupato, frugava con la mente antiche pagine di antichi manoscritti, frutto di antichi maestri vissuti in antichi tempi: si ricordò di un passo di cinque secoli prima, in cui un maestro, vissuto sotto il primo Re Scott ,  parlava di una stagione estiva particolarmente piovosa… un fulmine si scagliò a terra e il tuono fu così forte che l’astrologo sentì tutto il suo vecchio essere vibrare di paura. Si, poteva esserci stato qualche precedente, ma quello che stava per accadere quel giorno sarebbe stato unico e lui non poteva lasciarselo sfuggire perché aveva semplicemente paura. Con un fremito di impazienza ed eccitazione, l’astrologo ripose l’Occhio Grande nella sua custodia e rientrò nel suo studiolo, prendendo pergamena e penna e attendendo, trepidante, l’arrivo del temporale su Winscott dalle bianche mura.

 

Parecchi metri sotto la torre dell’astrologo, nella corte secondaria del palazzo di Winscott, sotto i portici imbiancati a calce, un uomo si muoveva nell’ombra cupa. Era un uomo alto dalla carnagione diafana, i capelli pallidi come neve e gli occhi rossi e penetranti come rubini, vestito completamente di nero tranne per una fascia rossa legata attorno alla vita ben delineata, un pugnale cerimoniale infilato fra le pieghe. Passeggiava tranquillo, Haiduc di Albeis, quando si appoggiò alla colonna, il naso puntato verso l’alto, pronto ad inspirare l’odore buono della pioggia. Gli erano sempre piaciuti i temporali, anche quando era un marmocchio, e quello era il primo che vedeva a Winscott dopo tutti quegli anni di permanenza nella città. Un tuono si abbatté rombante sulla città, così forte da lasciarlo piacevolmente stupito e da convincerlo ad osservare con maggiore attenzione il cielo: un manto nero, perfettamente omogeneo, rischiarato qua e la dai lampi e dai fulmini che, come strali divini, cadevano a terra. Ad ogni lampo, urla si alzavano dalla città, stupita e spaventata. La bocca di Haiduc si piegò in un ghigno: se gli abitanti di Winscott avessero mai visto una delle tempeste che si abbattevano su Albeisine avrebbero definito quanto stava per rovesciarsi sulle loro teste un acquazzone di fine estate. Un altro tuono proruppe, facendo vibrare i mattoni della colonna a cui Haiduc era appoggiato, e l’Albeis si lasciò andare alla piacevole sensazione di vibrare assieme alla natura furiosa, mentre antiche memorie gli invadevano la mente. << Non avevo mai visto niente di simile. >> Disse una voce piatta alle sue spalle, interrompendo il flusso di pensieri. << E’ perché tu non sei mai stato ad Albeisine, Nicolai. >> Rispose Haiduc senza voltarsi, riconoscendo la voce del suo interlocutore. Poco dopo, un uomo biondo ed alto, dal viso sbarbato, vestito di camicia bianca e pantaloni neri, entrò nel suo campo visivo. Nicolai sogghignava, guardando l’Albeis con quei suoi penetranti occhi verdi. Un lampo gli fece puntare gli occhi al cielo. << In ogni caso, questo evento ha dello straordinario. >>  Adocchiò la torre di astrologia. << Di sicuro, il maestro astrologo starà annerendo pagine e pagine di pergamena, su questo avvenimento: non si era mai visto un temporale di questa portata nella stagione delle piogge, figuriamoci all’inizio di quella del sole! >>

<< Preferisce starsene chiuso in quello studiolo misero e polveroso, piuttosto che mettere fuori il suo lungo naso e godersi lo spettacolo. >> Haiduc ridacchiò. << E questo spettacolo sembra davvero interessante… >>

Il biondo inarcò un sopracciglio << Ma non hai appena detto che i temporali di Albeisine erano i migliori di tutti? Ti rimangi così la parola, Albeis? >>

Haiduc evitò accuratamente di rispondere alla stoccata, mentre la memoria vagava lontano, nei ricordi di quando era un ragazzino e guardava le tempeste abbattersi su Albeisine, la città degli Albeis, la città a lui destinata. Guardava i lampi riflettersi sulle case lucide di pioggia, vedeva il mare intero alzarsi attorno alla città e andare a cozzare contro l’alta scogliera su cui Albeisine era arroccata, lo vedeva dall’alto della sua camera e quello spettacolo aveva la magia di incantarlo anche allora, a distanza di anni, di secoli… la voce di Nicolai tornò a distrarlo nuovamente, riportandolo bruscamente alla realtà. << Quanti temporali hai visto come questo, Haiduc? >> 

<< Molti. >> Rispose l’Albeis con un malinconico sospiro. << Perché? >>

Un fulmine di un insolito colore viola si abbatté molto vicino alla città, forse addirittura dentro le mura, tanto che lo spostamento d’aria provocò lo scoppio di alcuni vetri sopra di loro e numerose grida proruppero dalle stanze del palazzo. Haiduc e Nicolai rimasero immobili, mentre un vetro sopra la loro testa si sfracellò in mille pezzi sui ciottoli della corte. << Che mi dici di questi? >> La voce di Nicolai era tesa, mentre l’uomo si ritirava nell’ombra del portico per correre via. L’Albeis seguì Nicolai lentamente, irrigidito dalla sensazione che gli era passata nelle viscere, facendole contorcere. Si accorse di non aver risposto alla domanda dell’uomo, mentre un altro fulmine viola si abbatteva sulla città e lampi rosati illuminavano il cielo nero e i tuoni si confondevano con le urla del popolo. I fulmini apparivano stranamente materici e dove colpivano abbattevano case, provocavano incendi e crateri; i pennacchi di fumo iniziavano ad essere visibili anche dalle corti del Palazzo attraverso cui Haiduc e Nicolai camminavano veloci, per giungere alla Corte Magna, l’ingresso al Palazzo. Li, vi trovarono un’unità della Guardia Cittadina pronta ad uscire per andare a salvare i civili e spegnere incendi. << Dobbiamo assolutamente uscire. >> Disse Nicolai, camminando a passo spedito accanto alla colonna di fanti, diretto alle stalle, con Haiduc che lo seguiva per inerzia, il cuore e lo stomaco stretti in una sola morsa con gli intestini: temeva gli sarebbe tremata la voce nel dirgli che, il giorno in cui Albeisine venne rasa al suolo, era stato a causa di un temporale come quello che si stava abbattendo su Winscott… << Haiduc! >> Lo scrollò Nicolai, mettendogli fra le mani le briglie di un cavallo preso dalle stalle. << La Guardia Cittadina uscirà tra poco e su ordine del Re porterà il popolo nelle catacombe, nella speranza che la tempesta si plachi. Io e te dobbiamo andare a vedere sulle mura, per conto di sua Maestà. >> L’Albeis annuì, vacuo, osservando l’amico montare in sella: era eccitato, ma la durezza della mascella squadrata dimostrava che la paura di Nicolai era davvero molta, anche se cercava di nasconderla sotto la maschera dello sbruffone. Haiduc deglutì piano, cercando di calmare i battiti del proprio cuore: ciò che era successo ad Albeisine lui l’aveva visto da lontano, ma non era sicuro che la stessa cosa sarebbe capitata a Winscott- sperava, in cuor suo, di non dover perdere nuovamente la propria casa, il proprio posto. Pregò il suo Dio che nulla di male accadesse alla sua città adottiva e montò in sella, scacciando pensieri infelici. Cavalcarono a fianco della fanteria facendosi strada tra la folla impaurita, spronata dai fanti a dirigersi verso le catacombe, dove sarebbe stata sicuramente più al sicuro che all’esterno.

 

Dalla torre di astrologia, l’astrologo non poteva credere ai suoi occhi: palle di fuoco violaceo si formavano da scintille nelle nuvole nere e schizzavano a terra come dardi infuocati, cadendo ed emettendo boati una volta giunti al suolo. Era pericoloso restare li, lo sapeva bene, ma il mondo doveva sapere quello che stava accadendo, doveva essere coraggioso e fare il proprio dovere, come il maestro esploratore di Re Wulf della terza era, che era andato a banchettare negli abissi marini pur di riportare al suo re la conferma che nel mare vi era un mondo simile al nostro, semplicemente subacqueo. Trasse un profondo sospiro e intinse il pennino nel calamaio:

… i lampi si fanno da bianchi a rosati, mentre palle di luce viola si formano come masse infuocate e si scagliano a terra, come strali lanciati da divinità infuriate. Che Dei a noi sconosciuti si siano adirati con noi? Io vedo queste palle, e mi chiedo se esse siano della stessa consistenza delle stelle lontane, che ardono nella notte. Di certo, le stelle che cadono nelle sere della stagione calda non fanno tutti questi danni. Ecco, ora gli strali divini si abbattono su Winscott, distruggendo case e palaz- Un tuono di incredibile portata gli strappò un grido, mentre i vetri della torre andavano in mille pezzi a causa della pressione dell’aria, ferendolo in volto e facendolo cadere dallo sgabello, il calamaio che cadeva sulla pergamena e imbrattava ogni cosa. Anziano come era, il maestro astrologo fece fatica a riaversi dal tremendo spavento ma nulla, nulla, lo terrorizzò e stupì più di quanto vide quando riuscì a rialzarsi: una luce aleggiava sopra la città, simile ad un velo, appena sotto il manto di nubi. L’astrologo era abbastanza in alto per vedere che la luce si muoveva ad un ritmo proprio, come se coordinata da una musica, ed appariva leggera e benigna nel suo rosa pallido. Senza badare al pericolo, l’astrologo uscì sul piccolo davanzale della torre, la bocca spalancata dallo stupore, gli occhi fissi su qualcosa che andava oltre le sue capacità. Fu allora che la vide.

 

 

Fu allora che la videro. Haiduc e Nicolai erano sul bastione della porta nord, e guardavano un punto preciso sopra le loro teste: una figura si muoveva nel velo di luce che si era srotolato sopra la città di Winscott. Più che muoversi, la figura galleggiava nell’aria, sospesa nel colore, quasi fosse un liquido uterino e materno, protettivo. I fulmini si erano fermati, e Winscott alle loro spalle mostrava qua e la i segni della loro furia in pinnacoli di fumo nero. Da sotto lo spesso strato di nubi, il sole era tornato a filtrare, dando a Winscott i suoi bianchi bastioni e al velo un’iridescenza ipnotica.  << Nicolai… >> Mormorò Haiduc con fatica, senza distogliere lo sguardo dal cielo. << Devi sapere che mentivo, quando ti dicevo che non avevo mai visto un temporale di simile portata. >> Nicolai rimase in ascolto, senza guardarlo, attendendo che Haiduc proseguisse. << Albeisine… è stata distrutta da un temporale come questo. >> Concluse l’Albeis, senza vergognarsi della nota tremula che la sua voce aveva acquisito nel dire la verità. Che vergona c’era nel dimostrarsi spaventato? Quei fulmini viola avevano portato la fine del suo mondo, e Nicolai doveva saperlo.

<< Dei misericordiosi. >> Si lasciò scappare Nicolai dopo un lunghissimo silenzio, distogliendo lo sguardo dal cielo e puntandolo sull’amico. Si girò per vedere la sua città, la sua Winscott, per pensare al luogo in cui era nato, cresciuto, vissuto fino ad allora. Guardò al Palazzo, alla sua mole nella Città Alta, guardò il piccolo puntino che si muoveva sulla torre di astrologia, gli uccelli che si muovevano sinuosi nel vento tempestoso…non si stupì di avere gli occhi lucidi, quando riportò lo sguardo al cielo, e non si vergognò di invocare gli Dei perché la loro punizione fosse rapida e indolore.

Ma quello non era il momento di Winscott, e nemmeno di Nicolai o di Haiduc; non era il momento nemmeno dell’astrologo, che guardava dall’alto i due puntini che si trovavano sul bastione nord. Quello era il momento della figura avvolta nel colore, piccola e nuda. Era suo, e di nessun altro.

 

 

Accadde tutto così velocemente che nessuno credette mai alle loro parole: il velo di colore inziò a farsi più spesso e a vibrare con maggiore forza, mentre le nubi andavano ritirandosi a ammassandosi attorno alla figura. Il colore del cielo si faceva sempre più intenso, mentre il velo iniziava a ritirarsi verso la figurina e ad avvolgerla in una palla rosa, vorticosa ed instabile. Man mano, le nubi nere ripiegavano e  prendevano forma di spirale sopra la palla, muovendosi dapprima lentamente e poi vorticosamente una volta che il velo ebbe finito di avvolgersi attorno alla figura. La palla ora girava e scariche elettriche di fulmini violacei mostravano tutta la sua potenza distruttrice, mentre le nubi sopra di essa vorticavano e andavano assottigliandosi sempre di più, quasi fossero esse il motore che spingeva lentamente la palla a terra. Poi, ci fu un rumore sordo, una vibrazione dell’aria, una pulsazione e la palla iniziò a scendere verso il terreno, lenta, quasi dolce, simile ad una foglia nel vento. Nicolai e Haiduc non potevano credere ai loro occhi, mentre dall’alto della torre il maestro ammirava le nubi tempestose assottigliarsi e contrastare, con la loro forza irruenta, con la dolcezza del movimento della palla. La vibrazione nell’aria si ripeté di nuovo, più forte, e tutti nella città, anche gli abitanti nelle catacombe, anche il Re sul suo trono, anche Haiduc e Nicolai, anche il maestro astrologo la percepirono, restandone terrorizzati. La vibrazione si ripeté per ben due volte, prima che la palla si fermasse a qualche metro da terra. Allora, un vento forte iniziò a soffiare, convergendo nello spazio tra la palla di luce e la terra, come se volesse risucchiare il mondo. << Dobbiamo andarcene! >> Gridò Nicolai, ma Haiduc sembrava come ipnotizzato da quella palla: non riusciva a distogliere lo sguardo da essa, morbosamente curioso di vedere cosa sarebbe successo. << Haiduc! >> Lo chiamò ancora Nicolai, ma ormai era tardi: la palla era entrata in contatto con la terra e tutto era inutile.

Una luce accecante abbagliò la città. La vibrazione che emanò il contatto fu così potente che quando investì la città, parecchie case pericolanti crollarono, mentre le catacombe ressero per miracolo. A qualche vecchio il cuore cedette e qualche cane impazzì di paura ma, a parte questo, Winscott dai mille portici sopravvisse senza problemi. Sul bastione della porta nord, Haiduc e Nicolai caddero, perdendo l’equilibrio, ma immediatamente si rialzarono, consci che quell’avvenimento sarebbe entrato nelle cronache e nelle leggende. I due si sorpresero a piangere, mentre la palla di luce entrava in contatto con la terra, a pochi metri da loro. Nella sua caduta, la palla scavava un cratere via via sempre più grande e profondo, lanciando vibrazioni sempre più deboli ed emettendo qualcosa di nuovo: un lamento di agonia, un grido che partiva del basso per diventare sempre più acuto, coincidendo con la fine della caduta. Haiduc e Nicolai si tapparono le orecchie, continuando a guardare: la palla ora era per metà nel cratere e per metà fuori di esso e, lenta, iniziava a spegnersi, esaurendo il suo potere distruttivo e la sua carica elettrica. Si ritraeva, lasciando dietro sé una scia di fumo rosato.  Finito il lamento, Haiduc e Nicolai si guardarono, asciugandosi le lacrime. << L’hai sentito anche tu? >> Chiese Nicolai, tirando su col naso, mentre l’adrenalina scorreva ancora nelle sue vene. Haiduc annuì appena, gli occhi rossi fissi sul cratere. << Un lamento. >> Disse Nicolai. << Anzi: il lamento di una stella che muore, ecco cosa abbiamo udito. >>

Haiduc lo guardò. << Hai colto nel segno. >> Ammise. << Vieni, usciamo. >>

 

Il maestro astrologo riprese fra le mani l’Occhio Grande, tremando per l’emozione: che ne era della figura al centro della palla, questo si chiedeva. Ma il fumo era troppo fitto e denso, non ci vedeva. Non poté far altro che concentrare l’attenzione sui due cavalieri che uscivano proprio in quel momento dalla porta nord.

 

 

Haiduc e Nicolai si avvicinarono cautamente al bordo del cratere, coprendosi con le maniche delle camice naso e bocca per non respirare il fumo acre che esalava dalla terra. << Per i miei Dei e per il tuo Dio! >> Proruppe Nicolai, asciugandosi gli occhi mentre guardava il pinnacolo di fumo rosa. << Credi che sia caduta assieme alla palla? >> Haiduc arrivò all’orlo del cratere, cercando con lo sguardo un segno qualsiasi di vita. << Io… credo che si sia sciolta, Nicolai. >>

Nicolai annuì. << Già… ma che cos’era? >>

Hiaduc scosse la testa: quando la Fine del Mondo si era abbattuta su Albeisine non vi era stato alcun velo, alcuna figura, alcuna palla di luce. Solo fuoco viola, morte e distruzione per mano dei fulmini di quel fottutissimo temporale. Ma lui era lontano, non aveva visto bene… << Non ne ho la più pallida idea. >> Ammise l’Albeis, scrutando ancora dentro il cratere: il fumo non accennava a diradarsi e la curiosità era grande… << Procurami una corda >> Disse all’amico, fissandolo con uno dei suoi ghigni. << Mi calo. >>

 

Attraverso l’occhio grande, l’astrologo riuscì a vedere che un folto gruppo di persone erano uscite per riunirsi attorno al cratere: popolani, nobili… erano tenuti a debita distanza da un cordone di fanti della Guardia Cittadina, su ordine di Haiduc d’Albeis- lui era riconoscibilissimo nella sua pelle adamantina, tanto invidiata dalle dame di corte- e Nicolai Cavaliere della Lingua, sempre in mezzo ai guai. L’astrologo sorrise, grattandosi il naso adunco e gibboso, continuando ad osservare, curioso come una comare nel voler svelare il mistero attorno la palla di luce.

 

Haiduc d’ Albeis si era sempre fatto vanto di non temere nulla, ma stavolta, la corda legata attorno alla vita, il pugnale tra i denti e gli occhi di mezza Winscott puntati addosso lo facevano sudare freddo- o era il cratere a creargli quella brutta sensazione? Si appuntò di andare alla Casa e di accendere per ogni Dio cinque candele, per ringraziarlo di aver avuto misericordia di Winscott. Nicolai gli batté una mano sul sedere, mettendolo in serio imbarazzo davanti alla folla. << Allora, sei pronto o devo darti una spintarella? >> Ridacchiò il cavaliere, ricevendo un’occhiata stizzita dall’altro che, per tutta risposta, gli diede il capo libero della fune. << Renditi utile. >> Gli disse solo, prima di iniziare a calarsi nel fumo.

Il cratere era profondo tre metri abbondanti, ed era illuminato dai riverberi che il sole proiettava  sul fumo ancora spesso. Vi era il più totale silenzio e Haiduc si muoveva con fare circospetto sul fondo della conca, cercando di vedere qualcosa nella nebbia rosata. Fece pochi passi, prima di urtare qualcosa col piede. Si sentì gelare il sangue mentre, guardando in basso, riconosceva nel grumo sporco e sanguinante che aveva urtato una mano semi aperta. Rapido, Haiduc si chinò e la vide: una larva umana, ustionata, bruciata, sanguinante, butterata era ai suoi piedi, nel centro del cratere, e i piccoli movimenti del corpo la rivelavano viva. Nella sua vita non aveva mai visto niente di simile, e si chiese come gli Dei potessero tollerare una simile sofferenza.              << Hei. >> Chiamò l’Albeis, toccando con la punta delle dita la creatura disgraziata. Questa si ritirò immediatamente, mugolando di dolore al contatto con l’altro. La voce di Nicolai giunse da lontano              << Trovato niente? >>

Haiduc non aveva tempo per rispondere: si tolse la camicia e la fusciacca, mostrando il petto pallido e liscio, e avvolse la creatura miracolosamente viva in essi, facendo piano e sussurrandole parole di conforto. La osservò bene: era piccola, la creatura, senza il primo strato dell’epidermide; i capelli spuntavano a ciocche insanguinate sul capo, mentre delle orecchie e del naso non era rimasto nulla, se non i fori; gli occhi erano grandi e gonfi, chiusi come quelli dei neonati e tutto era connotato da un’innaturale magrezza, dovuta con ogni probabilità al prosciugamento di muscoli e liquidi. Mentre avvolgeva le gambe della creatura nella sua lunga fusciacca, vide che era femmina. Lei aprì la bocca, lasciandosi sfuggire un lamento quando Haiduc la prese fra le braccia, stringendosela al petto. << Ti porto fuori. >> Le disse, dando un forte strattone alla corda << Nicolai! >> Chiamò << Tirami su! C’è un ferito qui! >>

 

 

Fu così che a Winscott nacque la leggenda della ragazza caduta dal cielo, la Stella Morente.

  
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