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Autore: nini superga    14/08/2012    1 recensioni
Winscott, Regno degli Scott, Terre di Narba.
A Winscott, capitale dai mille portici, è piena stagione del sole. In questo periodo, le precipitazioni sono scarse per non dire nulle. E’ per questo che un temporale dalle dimensioni esagerate si preannuncia essere uno spettacolo che passerà agli annali e alle cronache. Ma questo temporale non è comune, oh no: dietro di esso, si nasconde l’arrivo di una creatura malinconica, disgraziata, disperata e disperante, nonché l’annuncio di una probabile Fine del Mondo che solo un Principe senza popolo e un Cavaliere Sbruffone possono sventare.
Una storia che mischia tante altre, una storia che io avrei sempre voluto leggere. Aspetto recensioni, sia positive che negative.
Nini.
Genere: Fantasy, Guerra, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo due: rinascita.

 

     Erano passati nove giorni dal temporale memorabile e dalla caduta della Stella Morente. In quei nove giorni, non vi era abitante a Winscott che non invocasse per lei una morta rapida e indolore, pietosa nei confronti della povera creatura. Quei pochi che erano riusciti a vederla mentre Haiduc l’Albeis la portava fuori dal cratere, stringendosela al petto quasi fosse un pezzo di vetro, narravano che la ragazza fosse senza il primo strato di pelle, i suoi occhi bruciati, il suo naso sparito, il suo corpo ustionato. Di lei non vi era più niente di salvabile, così aveva detto ad un oste un medico di corte, bevendo del vino speziato per darsi un tono e raccontare quegli agghiaccianti dettagli. Si diceva che, nella tenda allestita accanto al cratere, la ragazza non avesse pace, e quelli che abitavano vicino alle mura giuravano e spergiuravano che, almeno un paio di volte a notte, delle urla terribili si alzavano proprio da quella tenda, gelando il sangue di chi le udiva. Tutto lasciava immaginare che fosse la ragazza a soffrire gli Dei sanno che mali, col corpo coperto di pustole purulente e piaghe infette.  L’immagine della Stella Morente rimase per lungo tempo proprio quella: una ragazza piagata e sanguinante, scuoiata dal fuoco, urlante di dolore. Uno spauracchio buono per i bambini capricciosi. Eppure, la ragazza era tenace: dopo nove giorni, era ancora attaccata alla vita con le unghie e con i denti, senza dar segno di voler mollare.

Anche i medici erano dello stesso parere del popolo: andavano a visitarla nella tenda della quarantena, fuori dalle mura, il viso coperto da mascherine e l’aria resa pura dalla citronella balsamica; osservavano le sue piaghe infettarsi nonostante la continua pulizia e il cambio incessante di bende, mentre il corpo deforme si contraeva in spasmi di dolore atroce. I dottori stavano al capezzale della ragazza qualche ora, per poi andare, sconsolati, a riferire al Re Scott X e alla Regina Marghery quello che vedevano: una creatura disgraziata, che avrebbe fatto bene a morire, piuttosto che lottare per la vita. Ovviamente, non lo dicevano solo alle loro Maestà, ma anche ad ogni oste che fosse disposto ad offrire vino speziato e birra scura per qualche informazione.

Si arrivò addirittura al punto che la Regina Marghery, pia donna, invitò tutta la corte a pregare per la Stella Morente in una solenne veglia presso la Casa Maggiore, tempio delle divinità di Winscott, veglia a cui mancarono due eminenze, facendo scalpore: Haiduc l’Albeis, Duca di Albeisine, Principe della sua gente, e Nicolai di Langued’Och, Cavaliere della Lingua. Suscitarono parecchie chiacchiere con la loro assenza, ma la Regina era di cuore buono e sapeva per quale motivo essi mancassero: stavano compiendo la missione impartitagli dal suo signore il Re, Scott X di casa Scott. Loro compito era vegliare la Stella Morente, portando direttamente alle orecchie del sovrano notizie sulle sue condizioni. Purtroppo, i racconti di Haiduc e Nicolai non divergevano di molto da quelli dei medici, ma erano quelli di cui il Re si fidava maggiormente. Il loro compito era lugubre, la Regina ne era consapevole, ma comunque di gran lunga migliore di pregare Dei  che lei credeva sordi, se non inesistenti. La Regina lo sapeva benissimo che quella era tutta una farsa, eppure non poteva che sottomettersi al suo ruolo: quello della pia donna timorata degli Dei, anche se sapeva benissimo che gli Dei erano ormai morti. Sbirciò il Re al suo fianco, mentre intonava una preghiera alla Dea della Guarigione, e si costrinse a sua volta a recitare con lui, tornando con la mente alla tenda in quarantena fuori dalle mura.

 

 

Haiduc ascoltava con attenzione i canti che si levavano dalle Case Maggiori e Minori, sparse per la città, e che giungevano sino a lì, fuori dalle mura. Erano canti di guarigione, intonati per guarire, qualcosa che la gente credeva potesse funzionare per la Stella Morente. Si accese una sigaretta, l’ennesima, ed aspirò una profonda boccata di fumo alla menta, restando perplesso: il tabacco di Winscott era sempre aromatizzato dai Frati Tabaccai, per quanto essi giurassero e spergiurassero che quello fosse il vero, autentico tabacco delle Isole Sudali, importato da esse e trattato dalle loro graziose mani per i graziosi gentiluomini di Winscott. Ma Haiduc sapeva che il tabacco, quello vero, aveva un sapore ben diverso, acre e amarognolo, che lasciava del giallo in bocca e sui denti. Quanto avrebbe dato per una sigaretta di Albeisine… inevitabilmente, la mente fu di nuovo là, nella sua terra, nella sua città. Era arroccata su un’isola, Albeisine, ma era capitale del regno degli Albeis, la sua razza. Sorrise, pensando a quanto poco differissero dagli Uomini: fisicamente, gli Albeis erano come loro, avevano gli stessi pregi e gli stessi difetti, ma il loro Dio aveva voluto che la loro pelle fosse più chiara e sottile per poter meglio scrutare nei loro cuori, che i loro capelli fossero candidi perché candidi dovevano essere i loro pensieri e che gli occhi rossi fossero rossi perché… ah! quello, Haiduc non se lo rammentava più. Quello che li differenziava dagli umani era la lunga, lunghissima vita, che si protraeva per secoli ma che, prima o poi, finiva nel sonno mortale. Ma lui era l’ultimo Albeis, l’unico superstite della sua specie: Albeisine era un cumulo di macerie e lui se ne era andato da tempo, da oltre un secolo, giungendo a Winscott attraverso il mare e venendo accolto da Re Scott VI, trisavolo dell’attuale Re Scott X, dapprima come amico e poi come consigliere. Questo aveva favorito a far fiorire in Haiduc un sentimento di riconoscenza e amore per Winscott e i suoi abitanti, un sentimento così forte da far eleggere Winscott sua patria adottiva.

Con un frusciare di seta, Nicolai fece capolino dalla tenda e si accese con fare non curante la pipa di spuma marina. << Credo che le preghiere non facciano altro che disturbarla. >> Disse, puntando gli occhi verso la città. << … E sollevaci dalle nostre ansie, o Dea, e sollevaci dalle nostre pene! Fa che la Morte giunga su rapide ali, per alleviare il nostro dolore! >> Si fece improvvisamente serio, aspirando più volte per far bruciare il tabacco. <<  Come è possibile che si possa invocare la Morte? >>

<< Quando non si ha altro da fare, amico, quella è l’ultima spiaggia. >> Haiduc guardò Nicolai, avvolto in una nube di tabacco alla violetta << Ma non è roba per donne quella? >> Sfotté, perplesso: il suo amico, l’unico che avesse nelle mura del Palazzo di Winscott, era stranamente attirato da tutte le cose che piacevano alle dame, broccati e tabacco alla violetta compresi. << Sempre meglio di quell’orribile tabacco che fumi tu, in quella maniera barbara poi! >> Ribadì Nicola, creando anelli di fumo. << Almeno il mio lascia l’alito profumato. >>

<< Si, certo, per l’amore che porti a tutte le dame del Palazzo, nevvero? >> Haiduc gli diede una gomitata fra le costole, ridacchiando. << Sei proprio una vecchia volpe, tu! >>

Nicolai si strinse nelle spalle. << Mi godo solo la vita, tutto qua. >>

Rimasero per un po’ in silenzio, entrambi contemplando la città punteggiata dalle luci delle fiaccole, mentre le bianche mura riflettevano la luce lunare. Un mugolio proveniente dall’interno della tenda li fece distrarre. << Non si è ancora svegliata. >> Disse Nicolai a voce bassa, come a non voler turbare il sonno della ragazza. << Prega i tuoi Dei affinché non lo faccia. >> Ribadì Haiduc, a voce altrettanto bassa. << Se mai dovesse vedere in che condizioni è ridotta, credo impazzirebbe di dolore. >> Nicolai annuì in silenzio. << Come credi che sia giunta qui, Haiduc? Cioè… quando la tua città è stata distrutta, tu… >>

<< Io non ho visto niente di tutto ciò. >> Concluse bruscamente Haiduc, così bruscamente da far trasalire Nicolai. Fu quello a farlo proseguire in maniera più delicata. << Te l’ho detto come andò: io ero fuori città, vidi tutto dalla barca su cui ero a pescare da solo. Questo e nient’altro mi ha salvato la vita. >> Era vero: con ogni probabilità, se quel giorno non fosse uscito a pescare pesce spada per diletto, anche lui sarebbe un cumulo di ossa- ma cos’era meglio? Essere vivo e solo, ultimo rimasto della sua nobile casata, o essere morto, ma unito a tutti i membri della sua stirpe? Gli ci erano voluti cinquanta anni buoni, per risolvere quel dilemma e tornare a dormire sonni tranquilli la notte. << Magari, se si sveglia, potrebbe raccontarci qualcosa. >> Suggerì Nicolai, espirando il fumo dalle narici. << Qualcosa? >> Chiese Haiduc, interdetto, non capendo. << Si, qualcosa su cosa è successo la. >> Il biondo indicò il cratere. << E su cosa è successo alla tua città, Haiduc… in fondo, lei è arrivata qui attraverso gli stessi fulmini viola che hanno abbattuto Albeisine. Forse, viene dallo stesso posto. >>

<< Forse. >> Ammise Haiduc << O forse no. Io preferirei non saperlo. >> Lanciò uno sguardo dentro la tenda: oltre la zanzariera, nel profumo disinfettante della citronella e dell’incenso, la ragazza riposava piano, più morta che viva. << Io spero che non si svegli. >> Concluse Haiduc, vagliando comunque l’idea di Nicolai: se la ragazza veniva davvero dallo stesso mondo dei fulmini viola, forse avrebbe saputo rispondere alla sue domande, forse gli avrebbe raccontato il perché della caduta della sua città, forse… un mugolio più forte lo colse di sorpresa, facendogli perdere il filo dei pensieri. << Vado io. >> Disse Nicolai, piazzandogli la pipa in mano. Haiduc annuì, lanciando in uno dei bracieri alla citronella la cicca della sigaretta. Stava per provare a prendere una boccata dalla pipa quando la voce di Nicolai, stranamente tremula ed emozionata, lo richiamò all’interno della tenda. << Albeis, >> Disse. << Qui c’è una cosa che non puoi assolutamente perderti. >>

Haiduc svuotò il fornelletto della pipa ed entrò, incuriosito dallo strano tono di voce di Nicolai. Vi era solo il pallore lunare che filtrava attraverso la seta, nient’altro, ma fu sufficiente per permettere ad Haiduc di vedere il corpo della ragazza fluttuare a qualche spanna sopra il letto, le braccia e le gambe aperte, come se fosse immersa nell’acqua. << Buon Dio… >> Si lasciò sfuggire l’Albeis dopo un lungo silenzio carico di stupore, girando attorno al letto della ragazza, mentre Nicolai se ne stava in un angolo, completamente in soggezione davanti a quello spettacolo. Haiduc lo guardò, indicando poi la ragazza con pollice, in una muta richiesta di spiegazione.

<< Non lo so, non chiedermelo. >> Rispose Nicolai, alzando le mani come a volersi difendere. Nonostante la luce tenue, Haiduc lo vide impallidire. << E non hai ancora visto tutto. >> Fece un cenno ai piedi della ragazza, avvicinandosi a sua volta. << Guarda. >> Haiduc si concentrò sui piedi martoriati: le ferite giallognole e gonfie trasudavano siero, e nemmeno la citronella riusciva ad attenuare l’odore di morte che emanava il corpo della giovane; addirittura, sulla caviglia, era visibile l’osso del malleolo. Haiduc represse la voglia di storcere il naso e si stava per girare verso Nicolai quando, d’un tratto, vide il miracolo: delle unghie, piccole e rosate, stavano ricominciando a crescere mentre la pelle delle piante dei piedi si era completamente ricostruita. Si concentrò sulle unghie, sbalordito: era solo una sua impressione oppure… << Vedi bene. >> Lo rassicurò Nicolai, fissando lo spettacolo. << Si sta rigenerando a vista d’occhio. >>

<< Ma questa è una cosa impossibile! >> Esclamò Haiduc, sconcertato. << Le ferite guariscono, Nicolai, ma non a vista d’occhio! Come se parlassimo di ferite comuni, poi… >> Scosse il capo, incredulo. << Questa cosa è contro natura. >>

<< Come è contro natura arrivare a Winscott avvolti da un fulmine e restare per nove giorni aggrappati alla vita. >> Ribadì tranquillo Nicolai, senza distogliere lo sguardo dall’alluce aggraziato della ragazza. << Mi chiedo solo cosa l’abbia spinta a rigenerarsi adesso. Prima soffriva terribilmente, non credi? Perché proprio ora, a quasi dieci giorni dalla caduta, il suo corpo ha iniziato a reagire? >>

Haiduc fece spallucce, senza trovare una risposta convincente. << Forse aveva bisogno di recuperare le energie. >> Tentò. << O forse si è accorta che è meglio vivere che morire. >>

Rimasero in muta contemplazione del corpo che si rigenerava, uno spettacolo di raccapricciante bellezza: dapprima, si creavano i muscoli, che si allungavano fibrosi per pochi centimetri e, subito sopra si ricostruivano gli strati inferiori dell’epidermide, il grasso sotto cutaneo e la pelle stessa, pallidissima al chiaro della luna- così pallida, che Haiduc credette che ella fosse un Albeis. << Quanto durerà? >> Sussurrò Nicolai, più a se stesso che al compagno. << Lo scopriremo stando qui. >> Rispose Haiduc, lasciandosi cadere su una delle sedie imbottite poste a fianco del letto e facendo cenno a Nicolai di prendere posto accanto a lui.

 

Si erano promessi di vegliare affinché, di buon ora, uno dei due andasse ad avvertire le loro Maestà sull’improvviso complicarsi degli eventi. Avevano anche promesso di fare dei turni di guardia per non perdere mai d’occhio la ragazza: il primo sarebbe toccato all’Albeis, ma con suo grande stupore Haiduc si svegliò per dare il cambio a Nicolai quando era mattino inoltrato, il sole filtrava nella tenda e la citronella e l’incenso si erano esauriti nei bracieri. Circondato da tutta quella luce, Haiduc non poté fare a meno di sobbalzare sulla sedia, rischiando di cadere per lo stupore. Nicolai dormiva ancora, la testa reclinata all’indietro, russando in maniera tenue, l’espressione serena… ma un’altra rumore aleggiava per la sala, e Haiduc si stupì che esso provenisse dalla creatura che ora giaceva sul letto. Si alzò piano, quasi temesse di svegliarla, e le si avvicinò guardandola come se fosse la cosa più bella del mondo.

La ragazza che giaceva nel letto era l’esatto opposto della creatura disgraziata e martoriata dei nove giorni precedenti. Per qualche magia a lui ignota, la ragazza si era rigenerata completamente nel corso della notte, in una maniera che Haiduc non aveva mai considerato in quanto troppo oltre le sue facoltà: guarire era comprensibile, ma rigenerarsi? Impossibile. Eppure era possibile, e lei ne era la prova. E che prova! Haiduc non aveva mai visto Donna così bella, simile ad un bocciolo in fiore: i lunghi capelli biondi le avvolgevano il corpo fino al pube, riccio e folto di un biondo più scuro, mentre il viso riposava sereno, le sopracciglia distese, gli occhi dalle lunghe ciglia chiusi e il naso deliziosamente all’insù, la bocca piccola e piena appena aperta per emettere quel lieve russare tutto femminile, il simbolo di un ritorno alla vita.

Rimase a fissarla a lungo, perdendo la cognizione del tempo, pensando solo a quanto fosse impossibile il corso degli eventi: la creatura disgraziata che la mattina prima giaceva su quello stesso letto, piagata e dolorante, non aveva niente in comune con quella ragazza delicata, dalla pelle pallida e i capelli biondi, bella come il sole. << Ellis. >> La chiamò, spontaneo, l’antica parola con cui era noto il sole. Non seppe perché la pronunciò, ma l’atmosfera cristallizzata dentro la tenda si ruppe a quel suono meno forte di un sussurro: la ragazza serrò le labbra, deglutendo e voltandosi sul fianco, assumendo una posizione fetale per dare le spalle al sole e dormire ancora un poco. Haiduc si scostò da lei, accorgendosi di essere troppo vicino e indietreggiò fino a pestare il piede a Nicolai, che si svegliò di colpo. << Non pensavo che il tuo turno di guardia sarebbe durato così a lungo. >> Borbottò, la voce roca dal sonno, guardandosi attorno. Quando si accorse della novità della stanza, non poté fare a meno di avere la stessa reazione di Haiduc: stupore e sgomento si impadronirono del cavaliere che non riusciva a mettere in relazione la Stella Morente con quella giovane ragazza sana. << Ma cosa è successo? >>

<< Ti riferisci alla guarigione miracolosa o al fatto che ci siamo addormentati come due bambini? >> Chiese Haiduc, stizzito: sopportava male quelle situazioni, in quanto lo sgomento lo lasciava sempre impreparato. Nicolai ebbe a sua volta un moto di stizza: rotò gli occhi verdi e allargò le braccia. << Ma ad entrambi, no? Come è possibile che due soldati esperti come noi- tu vecchio di secoli, io un po’ meno- siano stati sorpresi da un sonno così profondo e pesante da farci svegliare solo la mattina dopo? E che dire di lei, eh? >> Haiduc gli fece cenno di abbassare la voce, per poi fare spallucce. << Dobbiamo avvertire il Re. >> Ribadì semplicemente, sfilandosi una sigaretta dal taschino e puntandola contro Nicolai << E controllare gli annali e i testi antichi: dobbiamo capire se questo evento è il primo mai capitato a Winscott o se è consuetudine di altri popoli guarire in questo modo; se è la testa di una profezia e se si a cosa porta; ci sono un sacco di cose da fare, caro Nicolai, e in cima alla lista hai andare a palazzo e avvertire il Re e la Regina. >> Haiduc si alzò in piedi, la sigaretta fra le labbra, l’aria soddisfatta di chi ha nuovamente tutto sotto controllo. << Hai capito, caro? >>

Nicolai mise il broncio. << Non sono il tuo galoppino! >> Sbottò, incrociando le braccia sul petto in segno si diniego, ma un indice sulle labbra di Haiduc lo riportò ad osservare la ragazza, che iniziava ad agitarsi nel letto, con una lieve apprensione. << Che dici, si sveglia? >> Sussurrò Nicolai, curioso. Haiduc l’Albeis, una volta ogni tanto, non sapeva cosa dire: scosse la testa e fece cenno a Nicolai di andare, che sarebbe rimasto lui con la ragazza. L’Uomo, contrariato, si avviò a grandi passi fuori dalla tenda, verso la città, per farsi dare un cavallo e andare a tutta velocità a palazzo.

Haiduc uscì nella tiepida aria del mattino estivo, restando all’ombra della tenda per evitare di scottarsi la pelle chiara. Alzò le braccia e stiracchiò i muscoli, facendo scrocchiare la schiena così forte che l’eco risuonò a lungo per la piana davanti a Winscott. Muovendo le spalle all’indietro per sciogliere il trapezio, si accese la sigaretta con un cerino ed aspirò una boccata così intensa da consumarne metà in un colpo solo. Espirò piano, lasciando fluire nella testa tutti gli avvenimenti della notte: la chiacchierata con Nicolai, il miracolo, la speranza e la curiosità, il sonno improvviso, il risveglio di soprassalto, il vistoso cambiamento della giovane… tutte queste cose Haiduc le lasciava girare nella sua mente mentre fissava un punto imprecisato sulle bianche mura- ma un’altra cosa gli si gonfiava nella mente, lasciandogli il cuore pieno di angoscia e speranza: se lei si svegliava…sospirò, tremando a confessare quel pensiero persino a se stesso. Se lei si svegliava… poteva parlare. E, aggiunse esitante, se lei parlava, forse avrebbe scoperto qualcosa in più su quanto accaduto un secolo prima, sulla rovina di Albeisine, sulla fine del suo mondo…il solo pensiero lo sollevava e angosciava, contraendogli la bocca dello stomaco e mandandogli la bile in bocca. Haiduc sputò a terra, facendo un’ultima boccata nervosa e gettando la cicca nel braciere ormai morto. Rientrò che la ragazza aveva cambiato nuovamente posizione e un seno acerbo sbucava tra i capelli biondi scomposti, mentre il respiro si era notevolmente alleggerito, presagendo un risveglio immediato.

Haiduc si sedette nuovamente sulla sedia accanto al letto, stropicciandosi gli occhi stanchi: nonostante avesse dormito tutta la notte, le ore di veglia nei giorni precedenti l’avevano distrutto. Sbadigliò sonoramente e troppo tardi si accorse di avere la testa a ciondoloni e gli occhi pesanti. Pensò che dormire non gli avrebbe fatto male e lasciò che quel flusso di stanchezza si concentrasse tutto dietro le palpebre. Non ci volle molto prima di giungere nel mondo dei sogni e ci volle ancora meno perché gli incubi tornassero a tormentarlo, come accadeva da quasi un secolo. Erano sempre gli stessi: riviveva tutto in terza persona, da spettatore; vedeva se stesso da giovane, seduto sulla barchetta regalatagli dal padre, a torso nudo e con i piedi in ammollo nell’acqua fresca e cristallina; vedeva le nuvole addensarsi sopra la sua testa, il mare diventare caldo e ribollire, mentre i pesci affioravano sulla superfice, morti per il troppo calore; si alzava di scatto, l’Haiduc giovane, imprecando per la paura; solo allora si voltava verso Albeisine e la vedeva, lontana, arroccata sulla sua roccia,  avvolta in nubi viola e sconvolta dai fulmini; Haiduc allora prendeva il remo e lo immergeva nell’acqua per raggiungere la sua città, la sua famiglia, i suoi amici, e gridava mentre cercava di combattere contro la corrente che lo portava via, lontano, verso coste sconosciute e a lui ignote. Albeisine si faceva sempre più piccola e il suo cuore si stringeva sempre di più, sanguinando di dolore e angoscia per la propria gente; poi, nel sogno, gli giungeva l’imponente voce di suo padre, autoritaria e fredda come mai era stata: << Un Re non deve mai abbandonare il suo popolo. >> Diceva, e le nubi sopra la sua testa assumevano i contorni del viso di suo padre, gli occhi gravi, il naso adunco, l’espressione scontenta che si chinava sempre di più su di lui, sempre più sempre più… Come al solito, il sogno si interrompeva lì, quando lui veniva sommerso dai flutti, dal peso della colpa di essere sopravvissuto, e Haiduc si svegliava con la sensazione schiacciante che fosse tutto sbagliato, che tutto quello che lui avesse fatto dal momento in cui era sopravvissuto fosse errato perché, in fondo, sarebbe dovuto morire con gli altri. Era così da tanto tempo, si aspettava che il sogno si sarebbe concluso così pure stavolta. Ma non si svegliò, Haiduc l’Albeis, perché nelle acque del sogno era intervenuto qualcosa a lui sconosciuto: un essere anomalo, dai lunghi capelli biondi e verdastri, fluttuanti nell’acqua, che lo guardava con occhi a mandorla di un incredibile color grano. Sembrava chiamarlo. Incuriosito, Haiduc nuotò nelle acque del suo sogno, avvicinandosi fin quasi a toccare la sirena. Fu allora che spalancò gli occhi, finalmente sveglio e lucido, e vide chiaramente ciò che aveva sognato: la Stella Morente, ora viva e sveglia, lo stava fissando con quegli stessi occhi.

  
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