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Autore: ermete    15/08/2012    12 recensioni
"Le nuove matricole erano sedute davanti al palco allestito dal college universitario, alzandosi in piedi solo alla conclusione del discorso del Magnifico Rettore che annunciava l’inizio dei corsi auspicando ai nuovi e ai vecchi studenti un sincero augurio per la loro carriera accademica.
In piedi davanti al palco, i tutores didattici davano le spalle al spalle al Rettore, rivolti verso le matricole in primis, e agli studenti più grandi nelle file più indietro: c’era un vuoto tra le sedie dei nuovi iscritti, un nome spiccava sul foglietto di carta poggiato sullo schienale della seduta, ed era quello di Sherlock Holmes.
Mike Stamford, un giovane sorridente con piccoli occhiali poggiati sul naso a patata, sgomitò il collega tutor che aveva affianco a sè, indicandogli con un gesto secco del capo il posto vacante “E’ uno dei tuoi. Manca all’appello già dal primo giorno, non sei contento?”
“Cominciamo bene.” rispose il giovane a denti stretti, sbuffando un po’ dell’aria che aveva inspirato poco prima: sul badge appuntato alla camicia bianca era segnato il suo nome, John Hamish Watson."

Note: AU!School, con John!tutor e Sherlock!matricola all'Università
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***Ok! Annunciaziò annunciaziò! Mi scuso in tutte le lingue che conosco (itaGliano, genovese e inglese, dunque XD) per il ritardo! Ma in questi giorni ero molto stanca e siccome sono molto affezionata a questa storia ho aspettato di ritrovare la lucidità giusta per scriverla :) insomma, non voglio deludere voi e non voglio litigare troppo con me stessa eheheh XD questa long mi ha preso e coinvolto tantissimo, quindi è più difficilotta da scrivere :D vi avverto, OOC alla grande eh! Come dall'inizio insomma, segue tutta la scia, ma insomma, volevo ricordarvelo eheheh! E vi avviso, quindi, che proprio perchè questi capitoli sono più difficili da scrivere, per staccare tra uno e l'altro scriverò una oneshot che ho in mente da ieri e che DEVO assolutamente scrivere perchè voglio il vostro parere uahahah XD ussignur sarà malatissima! Ma tornando al Trif, in questo capitolo ci sarà tanto Mycroft, infatti il titolo è dedicato a lui *_* scusate l'attesa, spero ne sia valsa la pena! Rigrazio Jess e MrsTeller per il betaggio! BACIO!!!***

Amore fraterno
La giovane coppia visse i mesi precedenti la laurea di John in modo intenso e per lo più spensierato, dedicandosi l’uno all’altro in modo pressochè totalizzante, in vista del lungo periodo di separazione che avrebbero dovuto trascorrere. Decisero di comune accordo di non parlare più della partenza di John, preferendo di gran lunga godersi ogni attimo e pianificare il loro futuro, prossimo ed immediato, partendo dal programmare una breve vacanza post laurea fino ad immaginare in quale quartiere avrebbero preferito vivere una volta ricongiunti dopo il congedo militare.

L’idea che John si arruolasse per garantire un futuro ad entrambi, aveva colpito Sherlock in modo così travolgente da renderlo ancor più felice intimamente ed affabile con il resto della realtà sociale che lo circondava. Grazie a quell’incredibile dimostrazione d’amore di John, infatti, acquisì una maggiore sicurezza in se stesso per quanto riguardava le proprie emozioni, la capacità di saperle gestire interiormente, ed infine la predisposizione nel condividerle con altre persone.
John cercò di non prendere altri impegni oltre a quelli necessari per il conseguimento della laurea, in modo da potersi dedicare a Sherlock con tutta la dedizione e l’amore possibili. Provò, inoltre, a nascondere il barlume di disagio e tristezza che provava a sua volta all’idea di separarsi da Sherlock: non si pentì neanche per un istante dell’importante decisione che aveva preso, ma questo non implicava certamente che non avrebbe sentito a sua volta la mancanza del suo compagno. Prima di conoscere Sherlock non lo spaventava l’idea di arruolarsi, ma da quando stavano insieme provava una buona dose di timore per diversi motivi: oltre all’angoscia causata dal pensiero di dover lasciare per due anni il suo giovane partner, l’idea di quanto potesse essere pericoloso arruolarsi lo sfiorò solo quando vide quella stessa paura riflessa negli occhi di Sherlock. Non che prima di conoscerlo non avesse considerato la prospettiva di mettere a repentaglio la propria incolumità fisica, ma da quando aveva scoperto di avere qualcuno di molto importante da cui tornare e con cui aveva il desiderio di vivere i giorni migliori della propria vita, iniziò improvvisamente a provare una leggera dose di preoccupazione. Sentiva sulle spalle la responsabilità della propria vita, sia nei riguardi di se stesso che di Sherlock. John si rese conto della grandissima importanza della propria decisione, ma non se ne pentì neanche un istante, perchè accanto a sè aveva colui per il quale l’aveva presa, lo stesso ragazzo che gli dimostrava la propria riconoscenza amandolo incondizionatamente, giorno per giorno.

La cerimonia di laurea fu celebrata in pompa magna durante una serena e non troppo calda giornata di metà giugno. Fu allestito lo stesso palco usato durante le cerimonie d’apertura e, in generale, per tutti gli eventi ufficiali ai quali presenziava il Magnifico Rettore.
Nelle sedie più vicine al palco, vestiti con l’elegante tunica e l’immancabile tocco, sedevano i laurendi, mentre le file successive erano occupate da genitori e fratelli, per poi lasciare spazio ad amici e parenti meno prossimi come zii e cugini: tutti pronti a festeggiare, dai diretti interessati a chi era fiero di loro.
Quando il Rettore concluse il proprio discorso ed iniziò a chiamare i laurendi sul palco, lo sfondo del cortile fu illuminato dai flash delle fotocamere che iniziarono ad immortalare, chi in maniera professionale, chi con minor talento ma con maggior passione, tutti i ragazzi premiati con la tanto bramata pergamena e, per gli studenti più meritevoli, con un’ulteriore targhetta incisa a spese dell’Università.
Sherlock assistette alla premiazione di John con lo stesso coinvolgimento che, poche sedie più avanti, toccò anche i coniugi Watson, i quali, sprovvisti di un apparecchio digitale, si accordarono in precedenza con uno dei fotografi ufficiali chiamati dallo staff universitario per rimediare ad inconvenienti di quel genere. In fondo alle file di sedie, all’ombra di un albero, Mycroft Holmes osservò tutto: un leggero sorriso gli rigò il volto quando fu il turno di John, premiato sia con la pergamena che con la targhetta, promosso a pieni voti.
Quando tutti furono stati premiati e dopo il consueto lancio del tocco in aria, tutti i parenti andarono incontro al proprio figlio laureato: Sherlock, come discusso in precedenza con John, lasciò il neo-dottore in compagnia dei genitori e, voltandosi verso gli alberi, finalmente notò Mycroft verso il quale si incamminò.
“Mycr.” Sherlock abbozzò un piccolo cenno del capo e sorrise quando s’accorse che il fratello aveva con sè una busta contenente una scatola grande quanto un libro, spessa almeno dieci centimetri “Mi hai portato quello che ti ho chiesto, dunque.”
“Ciao, Sherlock.” Mycroft ricambiò il cenno del fratello, studiandolo con una rapidissima occhiata: il volto sembrava sereno, non c’erano occhiaie a scurirgli la pelle del viso, le braccia ben visibili grazie alle maniche della camicia tirate in sù fino al gomito suggerivano la sua continua astinenza dalle droghe e la postura era, in generale, rilassata. Annuì, poi, alla sua affermazione “Certo. Non era nulla di impossibile, d’altronde.”
“Grazie.” Sherlock si appoggiò al tronco dell’albero che offriva ombra ad entrambi gli Holmes, osservando da lontano  il modo in cui John interagiva con la propria famiglia. La fotografia di quell’attimo gli suggerì due domande “Come stai? E la mamma?”
L’impassibile Uomo di Ghiaccio perse un battito a quelle domande che dovrebbero essere così normali, ma che in realtà riteneva poco probabile potessero uscire dalla bocca di suo fratello. Si sforzò, tuttavia, di far finta di nulla, onde non irritarlo “La mamma ed io stiamo bene, grazie. Lei sente un po’ la tua mancanza. In fondo non ti vede da quasi un anno.”
“Dopo che...” Sherlock si adombrò per qualche istante “Dopo che John sarà partito, pensavo che, magari, potrei venire un po’ a casa. Anche se saranno già ricominciati i corsi.” fece spallucce, dissimulando la sequenza di pensieri che gli affollava la mente “Studierò un mese o due a casa e poi tornerò qui.”
Mycroft annuì lievemente, scorgendo la malinconia che Sherlock si impegnava ad allontanare dal proprio cuore e dal proprio volto. In quei mesi Sherlock gli aveva scritto molti sms, spiegandogli la situazione, aggiornandolo sul proprio stato di salute, sulla propria carriera universitaria e sul proprio umore. Ma soprattutto gli parlò di John e del motivo della sua partenza, giustificando così il ritiro della richiesta che gli fece: non avrebbe più dovuto fermarlo, perchè il motivo per cui lo faceva andava oltre la triste prospettiva di passare due anni senza di lui.
“Va bene. Se qualche volta dovrò andare all’estero per lavoro potrai anche venire con me. Ti piaceva viaggiare, imparare lingue, scoprire aneddoti particolari.” rispose Mycroft, concordando con quella richiesta che, se non fosse partita da Sherlock, avrebbe proposto lui stesso: l’idea di lasciarlo solo subito dopo la partenza di John, l’avrebbe reso vulnerabile e non aveva alcuna intenzione di lasciarlo solo proprio in quel frangente “Che ne dici?”
“Capiterà di andare in Afghanistan per lavoro?” domandò Sherlock, caricando il tono di voce con un pesante bagaglio di ironia: sorrise poi, scuotendo il capo “Non era frecciatina per te, scusa.”
“Tranquillo, Sherlock.” lo rassicurò Mycroft, indicandogli poi le sedie davanti a sè, tra le quali John, appesantito dalla tunica nera, faceva lo slalom per raggiungerli “Oh, ecco che arriva il dottore.”
Sherlock sorrise e si scostò dall’albero, pronto ad accogliere l’impeto di John che, di fatti, gli saltò al collo: di rimando, il giovane Holmes gli allacciò le braccia in vita e lo tirò sù “Dottore! Medico e dottore! Hai fatto il bis, John.”
John, che effettivamente non si era ancora accorto della presenza di Mycroft, strinse Sherlock, allacciandogli le braccia dietro al collo “Sì!” allungò la vocale di quell’ultima sillaba, esultando con gioia “Ce l’ho fatta! A pieni voti!”
“Non avevo dubbi su questo.” abbassò il tono di voce, rendendo più intima la propria manifestazione di orgoglio “Sono fiero di te, John. Sei il mio eroe.” sussurrò prima di baciarlo a stampo, incurante della presenza di Mycroft: non doveva e non voleva nascondergli niente riguardo a John. Ormai si fidava di suo fratello e se riusciva a farlo era anche grazie al suo compagno.
“Congratulazioni, John. Laureato in Medicina a pieni voti. Gli ospedali saranno un posto più sicuro d’ora in avanti.” finalmente Mycroft esordì, spezzando il proprio silenzio solo dopo il bacio dei due ragazzi. Provava un po’ di gelosia nei riguardi di John, ma non certamente di fronte a dimostrazioni di affetto di quel tipo verso le quali, invece, sentì il consolidato bisogno di ringraziare il neo-dottore.
John trasalì nel riconoscere la voce di Mycroft e finì col soffiare un po’ d’aria dentro Sherlock, gonfiandogli appena le guance in un risvolto comico che fece ridere il suo compagno “Oh, cavolo, non l’avevo vista.” si divincolò dalla presa di un ancora ridanciano Sherlock, ricomponendosi un poco “Ehm, mi scusi?” John non sapeva se si dovesse scusare con Mycroft per aver baciato suo fratello davanti a lui, ma preferì mettere le mani avanti data la sensazione di austerità e serietà che percepiva dall’Holmes senior.
Sherlock avvolse le spalle di John col braccio destro, posizionadoglisi affianco “Stai tranquillo, Mycroft sa di noi. E non ha nulla da ridire a riguardo.” lo rassicurò il giovane Holmes, facendo poi spaziare lo sguardo verso i numerosi parenti presenti nel cortile “Piuttosto, i tuoi genitori dove sono?”
Mycroft non si scompose di una virgola di fronte alla reazione di John, verso il quale sorrise “Non si preoccupi, dottor Watson. Non mi scandalizzo di certo per così poco.” osservò la postura dei due ragazzi che, quando interagivano tra loro, era quanto mai rilassata e spontanea. Tornò, quindi, sull’artefice del benessere del proprio adorato fratello “Mi dia pure per tu.”
“I miei? Sono andati in bagno.” fece spallucce John, per poi tornare su Mycroft “Va bene, ma solo se lo fa anche lei. E mi chiami pure John.” si tolse poi la pesante la tunica, sbuffando per il caldo provocato dalla stoffa nera che si sommava con i pantaloni e la camicia che già indossava “Meno male che le abbiamo fatte prima le foto. Avevi ragione Sherlock.”
“Come sempre, John.” rispose Sherlock, per poi posargli un bacio sulla tempia e rubargli la tunica dalle mani “Vado a riconsegnarla io. Tu stai qui, dal modo in cui mio fratello si sporge verso di te e da come ti studia, credo che voglia parlarti.”
“Perspicace, fratellino.” annuì Mycroft.
“Oh. Va bene.” strizzò l’occhio sinistro verso Sherlock, osservandolo finchè la sua figura non sparì tra la folla “Dunque...” si voltò verso Mycroft, attendendo l’inizio del discorso, temendo chissà quale panegirico o raccomandazione da parte dell’Holmes senior.
Mycroft rimase in silenzio per diversi istanti, osservando John da cima a piedi, soffermandosi parecchio sul viso e su tutte le sfumature che le sue espressioni offrivano: s’accorse che il ragazzo non sembrò nervoso di fronte a quel continuo studio nei suoi confronti e intuì che probabilmente Sherlock lo aveva abituato a sguardi e riflessioni ben più lunghi di quello. Si sciolse in un sorriso, infine, e dopo aver chiuso gli occhi per pochi istanti, li riaprì su di lui “Grazie, John.”
John, come Mycroft aveva giustamente intuito, non si sentì molto a disagio di fronte alla sua lunga occhiata, ma ne rimase sicuramente incuriosito, non intuendo dove volesse andare a parare. Quando poi sentì quelle due, semplici, parole, sorrise: abbassò il capo un istante prima di rialzarlo verso l’uomo che aveva di fronte, ricambiando la cortesia “Grazie a te.”
Mycroft sembrava allibito: quanto gli aveva detto Sherlock era vero, John Watson aveva il dono di riuscire a stupire gli Holmes “Grazie a me?”
John sorrise umilmente, quindi annuì con un cenno del capo “Sei tu che ci hai messi nella stessa stanza. Sei tu che ci hai fatti conoscere.”
“Ah, intendi quello.” Mycroft annuì a sua volta, senza mai sciogliere la rigidità delle proprie spalle, nella sua solita e ormai naturale postura fiera e compassata “Sapevo che eri uno studente modello, che non avevi problemi caratteriali, che eri un vero esempio da seguire. Ma non pensavo che avresti fatto così tanto per lui.”
“Anche lui ha fatto molto per me.” rispose John, prontamente, lanciando un’occhiata generale alle persone presenti, come se stesse cercando Sherlock in mezzo alla folla “E lo sta facendo tuttora.”
“Certo. Ma tu sei riuscito dove io ho fallito.” Mycroft giocherellò con il manico dell’ombrello, sfogando in quel modo la dose di frustrazione che le sue apparenze composte non riuscivano a nascondere “Non ti nascondo che mi è dispiaciuto non riuscirci per primo. Ma non per orgoglio. Perchè sono suo fratello maggiore e il mio dovere è proteggerlo.”
John sospirò, intrecciando le braccia al petto con non poca forza, esternando a sua volta una certa dose di amarezza “Tra fratelli è sempre più complicato.”
Mycroft annuì, intuendo perfettemente a cosa, o meglio a chi si stesse riferendo “Mi dispiace per tua sorella.” prese coraggio ed alzò la mano libera sulla spalla del neo-laureato stringendola appena: era pur sempre un fratello maggiore e John era una persona importante che meritava l’appoggio e l’approvazione di una figura autoritaria più vecchia di lui, seppur di pochi anni “Scommetto che si pentirà, un giorno, di non essere riuscita a partecipare a questo giorno così importante della tua vita.”
“Non ha importanza.” John mentì: l’idea che Harry non fosse presente alla cerimonia lo feriva molto, ma non voleva in alcun modo denigrare la sorella gratuitamente “Ci sono i miei genitori. C’è Sherlock. Ci sono tutti i miei amici.” si stupì di fronte al gesto compiuto da Mycroft, verso il quale sorrise, pieno di riconoscenza “Eh, beh, ci sei anche tu.”
Mycroft diede due pacche sulla spalla di John prima di riportare la mano lungo il proprio fianco “Ad ogni modo, grazie.” si prese una piccola pausa e nel momento in cui stava per riprendere il proprio discorso, fu interrotto da John.
“Mycroft.” lo richiamò John, con un fil di voce.
Mycroft notò subito il cambio di tono e di sguardo “Sì?”
John diede un’altra occhiata in direzione della folla, accertandosi che Sherlock non li stesse raggiungendo proprio in quel momento “Dopo che sarò partito...” deglutì, per poi espirare un lungo soffio d’aria fredda.
Mycroft sospirò a sua volta, quindi annuì “Sì?”
“Dagli un’occhiata ogni tanto.” sussurrò, ma il tono era intenso e aveva il sapore della supplica “Mi fido di lui. Infatti non sto parlando della droga.” specificò poi, rapidamente “Dai solo un’occhiata che non stia sempre da solo.”
Mycroft osservò John con attenzione, colpito dal sincero amore e dalla genuina preoccupazione che stava dimostrando di provare per Sherlock.
“Sono riuscito a fargli fare qualche amico e loro mi hanno promesso che faranno di tutto per coinvolgerlo e per farlo uscire il più spesso possibile.” continuò John, gesticolando parecchio per sbollire parte della tensione che trasudava da quelle parole “Ma tu lo conosci. Sai che quando vuole una cosa la ottiene, così come non ne farebbe mai una che non ha intenzione di fare.”
“Naturalmente, John.” Mycroft annuì: ovviamente aveva già messo in conto di predisporre una leggera sorveglianza nei riguardi di Sherlock. Era suo fratello e si fidava di lui, ma non abbastanza da crederlo capace di resistere alla tentazione della droga in un periodo che sarebbe stato molto delicato per lui. Non era pessimista, ma realista, tale e quale a Sherlock. Un po’ era dispiaciuto di non fidarsi completamente di lui, come faceva John, ma preferiva senza dubbio non rischiare “Stai tranquillo.”
“A volte mi sento in colpa.” confessò John “Ma lo faccio...”
“Me l’ha detto.” lo fermò Mycroft: non c’era bisogno che John giustificasse il proprio gesto, soprattutto vista la bontà della motivazione che lo portava a farlo “Quindi ti ringrazio di nuovo. Per aver dato a mio fratello una vita vera. La prospettiva di una vita vera e felice.”
John colse un lieve sottotesto nelle parole di Mycroft: Sherlock gli aveva parlato del loro passato burrascoso, ma l’uomo che aveva di fronte era un vero fratello maggiore. Un uomo che desiderava veramente proteggere il proprio fratellino dai pericoli portati dagli altri e, soprattutto, da se stesso, un uomo che, nonostante non lo sapesse dimostrare come avrebbe voluto, amava profondamente Sherlock. Un uomo che un po’, John se ne rese conto, lo invidiava per essere riuscito dove lui aveva fallito: si impettì un poco prima di confessare fieramente “Lo amo.”
Fortunatamente per John, l’uomo che aveva di fronte conosceva anche i suoi limiti e ammetteva l’importanza delle sue azioni. Mycroft gli sorrise, dunque, abbozzando un ironico cenno del capo “Non ho nulla in contrario.”
John rise, finalmente, smontando l’espressione seria e greve che l’aveva contraddistinto in quel frangente “Grazie.”
“Che mi dici dei tuoi genitori, invece?” lo punzecchiò Mycroft, mostrando la sfaccettatura fastidiosa e saputella del proprio carattere “A quanto ho capito non gli hai detto nulla.”
“Non ho mai rivelato loro alcun dettaglio della mia vita privata.” replicò John prontamente e quando percepì una nota insinuatoria nel suo tono di voce, s’affrettò ad aggiungere “Se fosse una ragazza sarebbe la stessa cosa. La mia ex rompeva un sacco per questa storia.”
Mycroft fece spallucce, immedesimandosi nella mente di una persona normale “Beh, penso che sia comprensibile.”
John sbuffò appena “Non me la dovevo mica sposare.”
Mycroft lo guardò di sottecchi, lasciando fuoriuscire l’istinto protettivo del fratello maggiore, ponendo senza freno alcuno la domanda più fastidiosa e scomoda che potesse insinuare, piena di sottintesi che, sapeva bene, John avrebbe colto “E Sherlock?”
John alzò l’angolo destro della bocca in un sorrisetto malizioso “Quando me lo sposerò, allora lo presenterò alla mia famiglia.”
Se quella fosse stata una gara su chi dovesse sorprendere maggiormente l’altro, Mycroft si sarebbe ritrovato sconfitto di fronte alla sicurezza e alla caparbietà di John: alzò la mano destra verso la propria fronte, per poi aprirla in avanti in un gesto studiato e di gran classe con cui gli dichiarò tutta la sua approvazione “Chapeau.”
John gli sorrise apertamente, senza malizia, mostrandogli la vera essenza del proprio essere: rise appena, poi, quando vide Sherlock raggiungerli.
“Bene, sei ancora tutto intero. Hai superato il test di mio fratello.” sorrise Sherlock, per poi andare a raccogliere la busta che gli aveva portato Mycroft e porgerla a John con una certa urgenza “Aprilo in fretta, i tuoi ti stanno cercando.”
John prese in mano la busta e, dopo avervi curiosato all’interno, scorse un pacco regalo “Sherlock, che dolce.” si emozionò parecchio perchè non si sarebbe aspettato nulla del genere dal proprio compagno: erano sempre stati insieme e non si immaginava che potesse aver chiesto a Mycroft di prendergli qualcosa fuori dal campus “Non dovevi, il nostro regalo di fine anno è andare in vacanza assieme, no?”
“A proposito...” li interruppe Mycroft, che estrasse un mazzo di chiavi da una tasca interna della giacca, consegnandole poi a Sherlock “Ecco, così potete andare nel Sussex. Fate come se foste a casa vostra, ma non distruggete nulla. E, ovviamente, mi sto riferendo a te, fratellino.”
“Oh, ma è un regalo per entrambi, si può dire.” Sherlock posò un bacio sulla tempia destra di John, per poi prendere in consegna il mazzo di chiavi che sistemò a sua volta in una delle tasche dei pantaloni “Tranquillo Mycr, gli unici esperimenti che vorrò fare nel Sussex saranno di natura sessuale, con John.”
“Sherlock!” sbottò John, che a momenti fece cadere a terra la scatola.
La reazione di Mycroft fu più composta, coerente col suo normale temperamento “Fratellino, non c’è bisogno che mi tieni informato sulla tua vita sessuale nei minimi dettagli.”
“Era per tranquillizzare Mycroft.” ridacchiò Sherlock, spettinando John in un gesto divertito.
John, ormai rassegnato a subire gli scherzi di Sherlock, riuscì finalmente ad aprire il pacco: spalancò occhi e bocca, accarezzando con la mancina la figura disegnata sulla scatola “Wow! Ma è un...”
“Telefono satellitare.” annuì Mycroft.
“Così potremo sentirci anche quando sarai via.” il tono scherzoso di Sherlock, lasciò spazio ad uno più dolce: si abbassò fino a scontrare la fronte contro il capo di John, strusciandosi un poco “Te l’ho detto che è un regalo per entrambi.”
John rimase in silenzio per qualche secondo, godendo del contatto di Sherlock contro la propria tempia, inspirando il suo profumo, ascoltando i versetti gutturali che improvvisava sempre quando lasciava passare troppo tempo tra una risposta e l’altra, fingendo le fusa dei gatti per richiamare la sua attenzione. Sorrise e ruotò il capo per specchiarsi nell’azzurro degli occhi di Sherlock, le cui labbra baciò a stampo tre volte, tre come i petali di un trifoglio “Grazie, Shamrock.” esitò, poi, stringendo l’esile corpo del partner con il braccio destro “Non so che cosa dire.”
Mentre Mycroft rimase in silenzio a godersi la scena, Sherlock strinse John, per poi baciarlo teneramente sulla fronte “Cosa mai dovresti dire?” sorrise e lo abbracciò ancora, forte, con tutto l’amore che riuscì a infondere ai propri arti: era diventato un gesto ormai spontaneo, ma che non perdeva mai di importanza e di intensità. Si ricordò poi di aver visto i coniugi Watson nei paraggi, quindi lo lasciò andare “Vai John, i tuoi ti aspettano.”
John annuì staccandosi a malincuore dalle braccia di Sherlock “Allora ci vediamo tra due giorni, ok?”  
“Il Sussex ci aspetta.” annuì Sherlock, accarezzando John con lo sguardo anche quando si apprestava a salutare Mycroft con una salda stretta di mano.
Dopo essersi congedato dai fratelli Holmes, John si ricongiunse ai propri genitori con i quali avrebbe trascorso due giorni prima di partire con Sherlock per una vacanza che sarebbe durata fino al giorno precedente la sua partenza per l’Afghanistan.
Sherlock rimase in silenzio al fianco di suo fratello verso il quale, dopo qualche istante, rialzò lo sguardo “Mycroft.”
Mycroft estrasse l’orologio da taschino dal quale controllò l’ora “Sì?”
“Ti ricordi la data? Il giorno della partenza di John.” domandò Sherlock e quando vide Mycroft annuire, inoltrò la propria richiesta con un sussurro “Potresti venire anche tu?” strinse al petto la scatola del telefono satellitare che John gli aveva affidato “Non voglio stare solo. Non subito dopo averlo salutato.”
“Ma certo, Sherlock.” Mycroft non aveva mai provato i sentimenti che Sherlock stava dimostrando di sentire: non era mai capitata l’occasione o, molto più probabilmente, non aveva mai permesso che accadesse. Non li aveva mai provati, ma sembrava capirli, almeno in piccola parte. Li aveva immaginati molte volte e aveva sinceramente sperato che almeno Sherlock potesse compiere l’esperienza di provarli. Ma Mycroft non era una madre che si illude che il proprio figlio non debba mai soffrire: sapeva che nel momento in Sherlock avesse provato dei sentimenti avrebbe sia gioito che sofferto. Se esiste il bianco, allora c’è anche il nero: se esiste l’alto, il basso è appena sotto di lui e il caldo ha ragione di essere solo perchè deve combattere il freddo. Mycroft sperava che Sherlock potesse, un giorno, provare dei sentimenti ed era pronto a quell’eventualità: lo avrebbe protetto e aiutato a sopportare quei due anni. Ora che Sherlock, a differenza del passato, gliene dava l’opportunità, lui l’avrebbe fatto.
Forte di quelle convinzioni, Mycroft alzò la mano verso la spalla destra di Sherlock, stringendogliela appena: quando vide il fratello voltarsi verso di lui, sorrise e sussurrò con calma “Sarò lì con te.”

Il giorno stesso in cui John e Sherlock arrivarono nella casa di campagna della famiglia Holmes, iniziarono quella lunga vacanza in cui, finalmente, poterono dedicarsi esclusivamente l’uno all’altro. Non c’erano più tirocinio e praticantato, lezioni ed esperimenti, amici o partite di calcio che potessero dividerli: c’era spazio solo per la loro relazione e per la natura che, silente, sorvegliava l’evolversi del loro legame.
Quando il caldo non era troppo opprimente, passavano intere giornate a fare escursioni: Sherlock portava John in tutti i posti a cui erano incollati ricordi della sua infanzia. Una particolare roccia, lo sbocco su un ruscello, un albero abbastanza grande su cui potersi arrampicare: John ascoltava rapito quei ricordi, leggendo negli occhi di Sherlock la spensieratezza legata a quel periodo dell’infanzia in cui suo padre era ancora vivo e in cui il suo rapporto con Mycroft non era ancora reso difficile dalle responsabilità che gli gravarono sulle spalle una volta che il signor Holmes lasciò quella vita.
I giorni in cui rimanevano nella villa o nei dintorni erano comunque piacevoli: era impossibile annoiarsi finchè erano in compagnia. Leggevano all’ombra di un albero oppure parlavano per ore, scambiandosi ricordi degli anni precedenti il loro incontro: potevano essere dei cimeli, memorie di attimi felici trascorsi con spensieratezza o cicatrici di momenti difficili. Si scambiarono tutto, John e Sherlock, facendo tesoro di quei momenti che poterono rivivere attraverso un processo di autonarrazione che si rivelò, inaspettatamente e inconsapevolmente, molto utile anche sotto un profilo psicologico.
E poi ci fu la fusione dei loro corpi: una volta che ebbero deciso di fare quella vacanza, infatti, avevano anche concluso che avrebbero aspettato di essere lì, immersi nella natura, per coronare la magia del loro rapporto compiendo l’ultimo passo che ancora mancava alla loro unione. Diversamente rispetto a quanto entrambi avevano temuto, la loro prima volta non fu imbarazzate e macchinosa: col senno di poi furono molto contenti di non affrettare il momento, preferendo aspettare che l’atmosfera giusta si creasse da sè e ciò avvenne una settimana dopo essere arrivati nel Sussex. Fu un’esperienza che vissero con naturalezza, con una passione acerba che maturò via via ad uno gesto, ogni bacio, culminando in un intreccio intarsiato alla perfezione, i corpi fusi come due leghe di metallo che andarono a formare un’armatura attorno alla fusione simbolica delle loro anime.
Da quel giorno, i momenti che dedicarono al piacere e alla scoperta reciproca dei loro corpi aumentarono sensibilmente: Sherlock dedicava sempre molto tempo al corpo di John, sul quale si soffermava e sperimentava la propria inesperienza che via via si istruiva in maniera autonoma e accademica. E mentre Sherlock imparava in modo scolastico l’anatomia specifica del corpo del proprio compagno, John lo travolgeva in modo più istintivo, dolce e al tempo stesso travolgente, donandogli sensazioni forti ed estreme che mai avrebbe pensato di provare in vita sua.
Trascorse un mese, ed una giornata particolarmente piovosa li costrinse in casa: nello specifico, un particolarmente voluttuoso Sherlock forzò John a letto in una interminabile, ma non per questo meno piacevole, sessione di studio delle reazioni dei corpi cavernosi sotto continui stimoli. Ad un certo punto John si ritrovò costretto a prendere il controllo della situazione, stupendo Sherlock con nuovi trucchetti che crearono il climax perfetto, facendoli poi crollare uno affianco all’altro, ansimanti, sudati, ma senza dubbio soddisfatti.
“John?” chiamò Sherlock, iniziando a recuperare un po’ di fiato.
“Sì?” mugolò John, cercando a tastoni il corpo dell’altro.
“Quello che mi hai appena fatto...” sbuffò un po’ aria, rabbrividendo al pensiero del piacere che l’aveva appena travolto “...è legale?”
“Sì!” John scoppiò a ridere, andando nuovamente in debito d’ossigeno “Perchè, non ti è piaciuto?”
“Oddio, sì!” ridacchiò Sherlock, catturando il braccio di John in una dolce stretta e usandolo come fune per potersi riavvicinare a lui “Volevo esserne sicuro perchè dovrai rifarmelo.” gli sussurrò all’orecchio, il timbro vocale basso rendeva quella richiesta ancor più maliziosa.
John rabbrividì a sua volta, sfuggendo a quel sussurro solo per poter guardare Sherlock negli occhi “Vieni qui.” lo invitò, allargando l’unico braccio libero rimastogli.
Sherlock gli si accoccolò addosso e, a differenza di un assonnato John che avrebbe voluto riposarsi per recuperare le energie, fece lavorare il cervello, già ampiamente riavviato dopo il blackout dovuto all’orgasmo provato pochi minuti prima. Alzò lo sguardo sul proprio compagno e, dopo essersi accertato che non stesse dormendo, provò a chiamarlo “Jawn?”
John rimase ad occhi chiusi, ma alzò la mano fino a posarla sui capelli di Sherlock, stronfinandogli la nuca in piccole carezze “Sì, gatto?”
“Pensavo...” iniziò Sherlock, rilassandosi sotto i grattini di John “Tu hai già progettato tutto il tuo futuro. Non solo per noi, ma anche per quanto riguarda te stesso.”
John mugolò appena, borbottando incerto “Che intendi?”
“Insomma, sarai un dottore.” spiegò Sherlock.
“Ho studiato medicina apposta.” John finalmente aprì gli occhi, coi quali cercò quelli di Sherlock.
“Sì, io sto studiando Chimica, ma non voglio fare il chimico.” Sherlock si sistemò col volto sul petto di John in modo da riuscire a guardarlo a sua volta, quindi continuò a spiegare il proprio pensiero “Per quanto mi piacciano gli esperimenti, non voglio marcire in un laboratorio.”
“Oh. Crisi da primo anno universitario.” John annuì, comprensivo, d’altronde c’erano passati molti suoi amici e non avrebbe ceramente biasimato Sherlock per quel motivo “Beh, fai bene a pensarci ora, così se vuoi cambiare fai sempre in tempo.”
Sherlock scosse appena il capo, alzando poi la mano sul volto di John, con la cui guancia iniziò a giocare “Non voglio cambiare. Ci tengo a prendere una laurea. Voglio farlo per la mamma, per Mycroft... e l’unica materia per la quale sprecherei volentieri questi tre anni è proprio la Chimica.” sospirò appena, spostando momentaneamente lo sguardo altrove “Tuttavia... non voglio fare il chimico.”
“Sprecheresti?” ridacchiò John.
“Lo sai che intendo.” replicò Sherlock, con sufficienza.
“Beh, non devi farlo solo per tua madre e per Mycroft. Devi farlo anche per tua soddisfazione personale.” John indossò le metaforiche vesti del tutor didattico con molta soddisfazione, rincuorato nel sentire Sherlock parlare di argomenti così comuni e normali, tutti confacenti ad un ragazzo della sua età “Cosa ti piacerebbe fare? Come lavoro intendo.”
“Bella domanda.” sospirò Sherlock, tornando ad osservare John con dolce devozione, spontaneo nel proporgli i propri crucci, desideroso di conoscere la sua opinione a riguardo “Non potevo avere una passione come tutti gli altri? Tu hai sempre saputo di voler fare il medico. Sarah anche. Molly ha sempre saputo, e poi non dirmi che non è strana, di voler giocare con i cadaveri.”
“No Sherlock, tranquillo, non sei l’unico a non sapere cosa voler fare.” provò a consolarlo John e, per aiutarsi in quel piacevole compito, gli strinse le braccia attorno alla vita, allacciandolo a sè con affettuosa premura “Io sono stato fortunato, è vero, ma in molti sono indecisi sul proprio futuro. E la crisi economica non aiuta. Qualsiasi prospettiva non sembra mai abbastanza rosea.”
Sherlock approfittò della stretta di John per arrampicarglisi addosso, sicuro che il proprio esile peso non avrebbe gravato troppo su di lui “Non c’entra la crisi economica. Non con me quanto meno.” fece spallucce, forte della sua sicurezza economica. Rimase in silenzio qualche istante, per poi guardare John di sottecchi “Sai cosa mi piacerebbe fare? Cosa ho sempre desiderato fare da bambino?”
John notò un lieve imbarazzo nell’espressione di Sherlock e ciò non potè che farlo incuriosire ulteriormente “Cosa?”
“Il pirata.” confessò, ridendo di riflesso alla reazione di John al quale, quando si calmò, svelò il resto del suo segreto “E l’investigatore privato.”
Così come rise nell’immaginarsi Sherlock vestito da bucaniere con tanto di benda sull’occhio e uncino al posto della mano sinistra, John sembrò altrettanto convinto dell’alternativa proposta dal suo giovane partner “Beh, perchè no? Con tutte le deduzioni che fai! Non ci sarebbe nulla di strano.”
Sul volto di Sherlock s’accese un sorriso entuasiasta “Non pensi sia una cosa stupida, allora.”
“No, Hercule.” John ridacchiò “Come sta mamma Agatha?”(1)
“Mi riempi di soprannomi, John.” sbuffò Sherlock, fingendo un’aria altezzosa ed offesa.
John baciò il finto broncio inscenato da Sherlock “Già, e sono uno più divertente dell’altro.”
Sherlock seguì il volto di John, prolungando il bacio di qualche secondo “Allora... vada per l’investigatore privato?” si bloccò poi, alzando l’indice della mano destra verso il volto dell’altro “Anzi, che ne dici di consulente investigativo?”
John fece spallucce “Cosa cambia?”
Il volto di Sherlock si illuminò nuovamente: evidentemente la prospettiva di quel mestiere lo affascinava parecchio “Sarei l’unico al mondo, avendo inventato io il mestiere.”
“Ah. In caso non si capisse già che sei unico al mondo, in tutto il tuo essere.” ammiccò John, gongolando appena.
“Lo sai di essere fortunato, vero?” Sherlock gli fece l’occhiolino a sua volta.
“Privilegiato, Sherlock. Privilegiato è la parola giusta.” si impettì John, fieramente orgoglioso di stare insieme al suo particolarissimo aspirante detective “Sai, per un po’ ho pensato che volessi lavorare per i Servizi Segreti, con tuo fratello.”
Sherlock si esibì in un’espressione schifata, rabbrividendo appena “No, non voglio capi che mi dicano cosa devo o non devo fare.”
John provò ad immaginarsi uno scenario del genere e finì con l’annuire al suo fidanzato ribelle “Ah, per quello investigatore privato. Saresti il capo di te stesso.”
“Consulente investigativo. E comunque sì.” lo corresse Sherlock, immedesimandosi già nella parte “Però, mentre sei via, potrei osservare i metodi delle spie di Mycr.” propose poi quell’idea a cui aveva già pensato diverso tempo prima.
“Basta che non ti metti nei guai.” sospirò John, stringendolo a sè con fare protettivo.
“Parla quello che va in guerra.” bisbigliò Sherlock a sua volta, slittando col proprio corpo su quello dell’altro fino a ritrovarsi col viso di fronte a quello di John.
John roteò gli occhi verso l’alto “Effettivamente.” sussurrò per poi iniziare a far strusciare i nasi tra loro “Il pericolo è il nostro mestiere.”
Sherlock annuì serio “Ci siamo proprio trovati.”
John si fermò per un istante, intenerito dalle parole di Sherlock al cui viso iniziò a dedicare le proprie attenzioni “Sì, piccolo.”
Sherlock sorrise di fronte alla serie di baci che John gli stava regalando “I love you.” mormorò tra un bacio sullo fronte ed uno sul naso.
I love you too.” confessò John prima di annullare il resto del mondo e condensarlo in quella stanza, avvolto tra le braccia di Sherlock col quale fece l’amore fino a che entrambi furono così stanchi da addormentarsi soddisfatti e sfiniti, stretti l’uno all’altro.
Quei tre mesi nel Sussex servirono a rinforzare le basi del loro rapporto e a costruirlo saldamente in vista dei due anni che avrebbero dovuto trascorrere l’uno lontano dall’altro. Ogni giorno corrispondeva a tanti ricordi che immortalavano spesso con delle foto digitali e, talvolta, con qualche pagina di diario che John iniziò a scrivere in un’agenda elettronica ricevuta come regalo di laurea da parte di Sarah. Ogni giorno era stupendo, diverso dai precedenti, inaspettatamente bello, un caleidoscopio di eventi che si incastravano l’uno con l’altro creando una fitta rete che conteneva il loro sentimento, mantenendolo al sicuro, senza lasciar sfuggire la minima goccia di quell’oceano di amore.

Era infine giunto metà settembre, il giorno della convocazione, il momento in cui John sarebbe dovuto partire per l’Afghanistan.
Mycroft era in piedi, affianco ai gruppi dei parenti intenti a salutare gli altri cadetti che sarebbero partiti quello stesso giorno: tanti giovani ragazzi, qualcuno più spavaldo, altri un po’ più spaventati, tutti tra le braccia di madri premurose pronte ad elargire ogni tipo di raccomandazione, dalla più ovvia e scontata alla più sentita e ricercata.
Quando un taxi si fermò di fronte al cortile del campo di reclutamente, Mycroft potè finalmente scorgere le sagome familiari di John e Sherlock che, dopo aver recuperato i bagagli, si incamminarono verso di lui, alzando già le braccia in segno di saluto.
Mycroft sorrise loro, iniziando a scandagliarli per cogliere il maggior numero di informazioni possibili: li trovò ancor più legati rispetto ai tre mesi precedenti, manifestando una fisicità reciproca che, mentre ai comuni esseri umani poteva risultare nascosta, a lui sembrò lampante. Le mani non erano semplicemente strette l’una all’altra, erano intrecciate, compatte in una dolce presa le cui dita fornivano a loro volta piccole carezze sui dorsi delle altre; le braccia e le spalle si sfioravano in continuazione in una ricerca tutt’altro che casuale; gli occhi che si incontravano per fare il pieno della visione altrui, consci del fatto che per molto tempo non avrebbero scorto la figura della persona amata. Occhi che, nonostante le labbra all’interno degli stessi volti sorridessero, erano pieni di malinconia.
“Mycroft.” salutarono quasi all’unisono, posando i borsoni ai loro piedi.
“Buongiorno, ragazzi.” sorrise Mycroft, curiosamente stupito di vedere il volto di Sherlock leggermente abbronzato “A momenti rischiavi di perdere il volo, John.”
“Magari...” borbottò Sherlock.
“Abbiamo voluto sfruttare tutto il tempo che avevamo.” John passò il braccio sinistro attorno alla vita di Sherlock, stringendolo a sè con affetto “Casa vostra, nel Sussex, è davvero stupenda. Un posto immerso nella natura... bellissimo!”
“Sono davvero felice che vi siate divertiti.” ammise Mycroft, per poi osservare i bagagli tra cui spiccava la custodia del violino “Oh, te lo sei portato dietro.”
Sherlock iniziò a guardarsi attorno, soffermandosi sui diversi gruppetti, sulle famiglie che salutavano ciascuno il proprio figlio, fratello, amico, che di lì a poco li avrebbe salutati e si chiuse in un mutismo psicologico che sfogò abbracciando John in una presa possessiva e costrittiva.
John sentì qualche osso scricchiolare sotto quella presa che lo stupì per l’impeto e per la forza con cui continuava ad essere esercitata: era conscio del fatto che sarebbe arrivato quel momento e che sarebbe stato triste da affrontare, ma saperlo in anticipo non rendeva la pillola meno amara. Avrebbe voluto chiedere a Sherlock di non farglielo, di capire anche lui era triste e di non peggiorare la situazione, ma sapeva che dei due, in quel momento, doveva essere lui il più forte, quindi si limitò a carezzargli il capo con delicatezza, impegnandosi per riuscire a rispondere all’osservazione di Mycroft a nome del suo compagno “L’ha fatto per me, sa che mi piace molto quando suona.”
Mycroft annuì e sorrise di circostanza, provando a sua volta una certa dose di malinconia vedendo Sherlock così afflitto: sospirò, dunque, quando sentì un ufficiale dell’esercito iniziare a chiamare i cadetti in ordine alfabetico.
“No, no, no...” singhiozzò Sherlock stringendosi a John con ancor più forza: il petto si alzava ed abbassava rapidamente, le lacrime iniziarono a bagnare la camicia di John nel punto in cui aveva nascosto il viso.
“Sherlock...” provò a chiamarlo John, strofinandosi gli occhi lucidi col dorso della mano “Piccolo ti prego guardami, ho bisogno che mi guardi.”
Il petto di Sherlock continuava ad alzarsi ed abbassarsi a scatti, a ritmo dei singhiozzi indotti dal pianto “Io ho bisogno che tu resti con me.” ribattè per poi alzare il viso rosso dal pianto, imponendosi almeno una piccola parte di controllo, ricordando il motivo per cui John lo stava facendo “Stai attento, ti prego, stai attento.” duglutì, tirando sù col naso “Mi hai fatto innamorare di te, è colpa tua, devi tornare a prenderti cura di me.”
“Tornerò, Sherlock.” lo rassicurò John per poi asciugargli il volto come potè, con le dita e i dorsi delle mani “E andremo a vivere insieme, ok?” trasalì poi, quando l’ufficiale dell’esercito inglese chiamò il suo nome, sentendo Sherlock stringerlo con maggiore forza. In contrasto al vigore con cui Sherlock lo stava abbracciando, John lo baciò con eterea dolcezza prima di osservare Mycroft in cerca di aiuto.
Poco prima che l’ufficiale chiamasse il nome di John per la seconda volta, Mycroft aiutò il neo soldato a liberarsi della stretta di Sherlock, afferrandolo con cauta delicatezza prima di tenerlo a sua volta tra le proprie braccia “Forza, fai vedere a John che può stare tranquillo. Lo farai preoccupare più del dovuto, altrimenti.” sussurrò appena, provando a decentrare il punto di vista di Sherlock in modo da placare quella reazione che valutò comprensibilmente, eppur eccessivamente, emotiva.
“John.” lo chiamò Sherlock che fu contento del sostegno fisico e psicologico di Mycroft, poichè si sentì improvvisamente indebolito da quell’eccesso di emozioni: trovò tuttavia la forza per sussurrare un debole ma vibrante “Ti amo.”
John alzò la mano verso l’ufficiale, palesando in quel modo la propria presenza, quindi raccolse il proprio zaino prima di congedarsi da Sherlock “Ti amo anche io, Sherlock. Tantissimo.” lo baciò, perdendosi in quegli occhi umidi, bagnati di lacrime e di amore, occhi che asciugò un’ultima volta con le proprie mani prima di staccarsi da lui. Alzò poi lo sguardo verso Mycroft, salutandolo con un cenno ed un’occhiata eloquente, rievocando la loro chiacchierata risalente al giorno della laurea, chiedendogli tacitamente di prendersi cura del suo amato Sherlock.
Mycroft annuì, continuando a tenere tra le braccia un silenzioso Sherlock che osservava John allontanarsi e congiungersi al gruppo di cadetti. Il maggiore degli Holmes osservava a sua volta il ragazzo che aveva cambiato la vita di suo fratello, notando con facilità che entrambi non riuscivano e non volevano staccarsi gli occhi di dosso, approfittando di quegli ultimi istanti, guardandosi finchè avrebbero potuto farlo.
Ci fu un breve discorso tenuto dallo stesso ufficiale che aveva fatto l’appello, rivolto per lo più alle famiglie che ai giovani cadetti, parole di speranza atte a tranquillizzare coloro che vedono partire il proprio figlio, fratello, compagno. E inoltre, come omaggio ai cadetti che entravano a far parte del glorioso esercito di Sua Maestà, fu annunciato che una piccola banda avrebbe avuto l’onore di salutarli suonando l’inno nazionale.
A quel punto Sherlock si divincolò dalla presa di Mycroft che, intuendo il pensiero del suo giovane fratello, si limitò ad osservarlo mentre estraeva il proprio violino dalla custodia e raggiungeva i musicisti incuriosi da quell'improvvisa aggiunta. John seguì i movimenti di Sherlock che iniziò a suonare “God save the queen” a ritmo con gli altri membri della banda che non furono infastiditi da quella intromissione, visto il talento artistico del giovane ragazzo che si era unito a loro. Sherlock, che solitamente chiudeva gli occhi mentre suonava, tenne lo sguardo fisso su John che ricambiò quella lunga occhiata col volto rigato da alcune silenziose lacrime: non gli importava se gli altri l’avrebbero preso in giro per tutta la durata del suo arruolamento, non poteva e non voleva trattenersi di fronte a quel regalo che stava ricevendo.
Quando la musica finì e tutti erano impegnati ad applaudire, Sherlock approfittò di quel momento per correre da John ed abbracciarlo un’ultima volta prima di lasciarlo andare “John.”
“Cadetto Watson.” l’ufficiale lo richiamò all’ordine, indicandogli l’ingresso dell’hangar “Dobbiamo andare e dobbiamo farlo ora.”
John si staccò un poco da Sherlock ed annuì all’ufficiale “Sì, arrivo subito.”
Signorsì signore, cadetto.” lo corresse prontamente il graduato che, tuttavia, decise di allontanarsi e concedere loro qualche minuto.
“Signorsì signore, mi scusi signore.” John sudò freddo per la sua prima gaffe con un ufficiale, ma trovò che non fosse una scusa sufficiente per allontanarsi dalla stretta di Sherlock che, per l'appunto, abbracciò ancora qualche istante.
“Bastardo.” sibilò Sherlock, guardando di sottecchi l’ufficiale che aveva ripreso John.
“Shhh!” ridacchiò John, coprendogli la bocca con la mano “Sherlock, grazie per il violino e per il resto, ma ora devo davvero andare.” bisbigliò a malincuore, staccandosi dal corpo del suo compagno.
Sherlock annuì, ma prima di andarsene tolse il portachiavi a forma di trifoglio dal passante della cintura e lo consegnò a John “Tieni questo.”
John prese in mano il trifoglio, ma inarcò il sopracciglio per la sorpresa “Ma è il tuo portafortuna. Non te ne separi mai.”
“Così avrai Shamrock sempre con te.” spiegò Sherlock, indietreggiando di un solo passo “E visto che è il mio portafortuna, dovrai riportarmelo. Tutto intero. Ci siamo intesi?”
John annuì e sfumò a sua volta quel distacco portando un solo piede all’indietro “Sì.”
Sherlock si sforzò di sorridere “Ora vai, o il bastardo ti sgriderà di nuovo.”
John annuì e gli sorrise a sua volta “A presto, gatto.” disse poi, in quel modo particolare di confessarsi il loro amore.
“A presto, Jawn.” rispose con un sorriso a quella dichiarazione, per poi voltarsi, all’unisono con John, ma in direzioni opposte, congedandosi con la silenziosa promessa di aspettarsi e di amarsi nonostante la lontananza forzata.
Quando Sherlock si voltò nuovamente, John era già sparito dentro l’hangar: sospirò a lungo prima di tornare sui propri passi, scoprendo che Mycroft aveva già raccolto il suo prezioso violino lasciato a terra vicino ai componenti della banda e rimesso nella custodia. Raccolse quindi il proprio borsone e il resto degli effetti personali lasciatigli da John “Andiamo Mycr?”
“Sì, Sherlock, andiamo a casa.” annuì Mycroft, rimanendo poi silente per qualche istante prima di aggiungere “Sono fiero di te, fratellino.” era contento che non gli avesse chiesto di fermare la partenza di John, perchè era sintomo della sua crescita, del suo distacco dall’infantile egocentrismo e del sentimento sincero e profondo che lo legava ad un’altra persona.
“L’abbiamo fatto per noi. Non è stata una scelta difficile.” mentì Sherlock, aprendo il portabagagli della lussuosa auto che li attendeva “No, non è vero. Sono stato tentato fino all’ultimo di chiedertelo.” sospirò, sistemando al meglio i borsoni, ignorando l’autista che si offriva di aiutarlo “Ma in questi tre mesi ho visto quanto sia bello vivere con lui e non potevo rischiare di mandare tutto all’aria per il mio egoismo.”
“Appunto.” ammiccò Mycroft, sedendoglisi accanto nei sedili posteriori, una volta sistemati tutti i bagagli “Sono molto fiero di te. E farò di tutto per farti passare questi due anni nel miglior modo possibile.”
“Grazie.” annuì Sherlock, perdendosi poi con lo sguardo fuori dal finestrino.
Mycroft sospirò: sapeva che non sarebbero stati due anni facili, ed era ben conscio del fatto che Sherlock avrebbe sofferto, ma era proprio grazie a John Watson se ora aveva l’opportunità di riscattarsi come fratello maggiore e, sicuramente, non avrebbe perso l’occasione per farlo.

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(1)Riferimento al personaggio di Agatha Christie, Hercule Poirot
   
 
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