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Autore: Pendragon of the Elves    17/08/2012    4 recensioni
Non era una bambina forte. Forse un giorno lo era stata ma da quando era in quell'orfanotrofio aveva perso ogni volontà di combattere: la sua autostima e la sua considerazione di se stessa erano in frantumi nel suo giovane cuore. La sua vita era un incubo: ogni speranza di felicità sembrava persa. Per fuggire alla sua dolorosa realtà si rinchiudeva sempre più in se stessa ogni giorno che passava, nacondendosi dai bambini crudeli che l'avevano distrutta facendola scivolare in un'apatia solitaria. Non aveva nessuno al mondo.
Così dal suo mondo dell’impossibile, seduta su colline invisibili, aspettava. Cosa? Non lo sapeva bene nemmeno lei. Scivolava, così, insensibile negli anni delle sua vita, lasciandola scorrere via lentamente fino al giorno in cui l’avrebbe lasciata del tutto. Voleva soltanto che qualcosa la portasse via di lì, fosse stata anche la morte non si sarebbe voltata indietro. E invece, arrivò Watari...
La storia di una bambina, senza nome e senza passato a cui viene offerta la possibilità di crearsi un futuro. Ma ce la farà lei, così debole e insicura, a trovare la sua strada senza perdersi tra le fulgenti stelle della Whammy's House?
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Golden Light
 

La porta si aprì dinnanzi a loro. La calda luce dorata proveniente dall’interno creò un nuovo riquadro luminoso nelle tenebre della notte. Rimasero un attimo abbagliate, i loro occhi ancora abituati alla scarsa luminosità della luna, riuscirono solo a scorgere appena in tempo una sagoma che si delineava sulla soglia.
«Ben tornato, Watari!».
A salutarlo era stato un signore che doveva aver passato da un po’ la mezza età: aveva i capelli bianchi e canuti che, mentre ai lati dal cranio stavano allegramente ritti in aria, sulla nuca cominciavano a scarseggiare. Era molto magro, dal volto scavato, e aveva la postura un po’ gobba di chi sta molto tempo –forse troppo- chinato in avanti. Indossava degli abiti sobri ma larghi, entro i quali la sua smilza figura sembrava solamente più buffa. Eppure una certa insofferenza nei tratti del suo volto comunicava che non c’era nulla di cui ridere. Omicron lo fissava con gli occhioni spalancati nascosta dietro Watri. In quel momento, seppe che tutte e tre stavano pensando la stessa cosa: era davvero incredibile quanto assomigliasse ad un clown depresso.
«Buona sera, Roger», rispose Watari.
In quel momento, colui che a quanto pareva rispondeva al nome di Roger, si accorse delle loro testoline che sporgevano da dietro l’amico. Si ritrassero spaventate al suo sguardo.
«Vedo che mi hai portato qualcuno», mormorò con un ghignetto.
Quando Watari si scostò, rimasero completamente esposte dinnanzi alla porta.
«Signorine…», fece Roger, sorridendo della loro timidezza, «vi do il ben venuto, alla Wammy’s House. Mi presento: io sono Roger, il co-direttore di questo edificio».
«Piacere di fare la sua conoscenza», rispose Niky per tutte e tre: lei non sembrava affatto intimidita.
Il co-direttore sembrò leggermente sollevato:«Che bambina educata! La cosa mi fa davvero piacere. E tu chi saresti, piccola?»
«Roger», lo interruppe Watari con la sua voce calda, «abbiamo fatto un lungo viaggio in macchina e le signorine sono stanche: ci vuoi lasciare in piedi sulla porta?».
Roger lanciò loro uno sguardo: in effetti sembravano abbastanza sciupate, Fi stava addirittura dondolando dal sonno. «Giusto, scusate! Entrate pure…». Si scostò dalla porta e le fece entrare.
Quello che videro quando entrarono superò ogni loro aspettativa perché su qualunque cosa si posasse il loro sguardo non sembrava appartenere ad un normale orfanotrofio. All’ingresso, dove solitamente c’era uno spartano atrio per accogliere i visitatori e gli ospiti o radunare i bambini, c’era un’accogliente entrance dal pavimento in legno, tappeti per pulirsi le scarpe e d eleganti appendiabiti verticali di legno scuro. Faceva piuttosto caldo li dentro e il buon odore faceva loro intuire che, da qualche parte, c’era un caminetto che bruciava.
«Potete darmi le giacche», disse loro Roger, «per ora le appenderemo qui. E lasciate pure qui le valige, le porterete su dopo. Ora, se volete seguirmi da questa parte…».
E le imboccò la porta che si apriva a destra, guidandole in una stanza limitrofa che aveva tutta l’aria di essere un salotto. Al centro, v’era un grande di vano dall’aria comodissima e famigliare. Anche in quella stanza, il pavimento e i mobili erano tutti in legno così come le rifiniture della pareti. Per terra erano stesi dei bellissimi tappeti a sobri motivi stilizzati di arabeschi di foglie o floreali e ovunque per la stanza erano disseminati cuscini di ogni dimensione e colore. Ma non era affatto un salotto per gli ospiti. Anzi, sembrava che i ragazzi che abitavano l’orfanotrofio avessero libero accesso a qual luogo, lo testimoniavano alcuni giocattoli abbandonati per terra e alcuni libri poggiati un po’ ovunque sui tavolini. E ovunque per la stanza, lo stesso rilassante calore del caminetto –entro il quale bruciavano dei ciocchi profumati- e l’intenso e raffinato odore del legno, l’odore di una stanza vissuta, l’odore della famiglia.
Le tre ammiravano tutto con gli occhi spalancati, perfino Niky –che da una prima impressione poteva sembrare una persona non facilmente impressionabile- guardava in giro affascinata. Omicron aveva visto tanto legno solo nell’orfanotrofio da dove erano appena tornati ma, con tutta la sua bellezza, non poteva competere con questo. Del suo poi, meglio non parlarne: là tutto era di dura pietra e fredde piastrelle che, d’inverno, trasmettevano solamente un più intenso senso freddo congelando i piedi e d’estate, con l’umidità, diventavano pericolosamente scivolose. Mentre da dove veniva lei tutto era grigio ed inospitale, qui tutto era caldo e dorato. Trasmetteva una sensazione completamente nuova, estranea eppure, in un certo qual modo, famigliare. Non sembrava neanche di essere in un orfanotrofio, pareva quasi… “Una casa”, pensò. Ma lo pensò cautamente. Forse per paura, forse per rispetto, forse per incredulità: non aveva mai sognato di vivere in un posto del genere e tutto quello che vedeva faceva sembrare sempre più incredibile che quella sarebbe stata anche la sua casa. Eppure aveva un aspetto tanto accogliente che non poteva non diventarlo per chiunque. In quel luogo, così caldo e confortante al solo vedersi, perfino l’animo del più freddo e nostalgico viaggiatore poteva sciogliersi in quell’aura dorata e dimenticare per sempre le disgrazie passate. Omicron si tolse con riverenza il pesante cappotto, provando più da vicino il calore che quel luogo trasmetteva: sperò che anche il suo passato, radicato nel suo cuore come un castello di ghiaccio, potesse liquefarsi e scomparire per sempre, nel calore di nuove esperienze. 
Un rumore di passi sulle scale interruppe la sua contemplazione: un bambino che fino a quel momento si era limitato a osservare non visto sporgendo da dietro un muro, era salito ad avvisare gli altri. Ora un piccolo gruppo di ragazzi si stava ammassando in cima alla tromba scale per vedere le nuove arrivate. Nella penombra gettata dal soffitto sull’angolo buio dove si erano rannicchiati, si scorgevano dei volti: alcuni incuriositi, altri noncuranti, altri assonnati, altri ancora sorridenti ma tutti quanti per nulla sorpresi. Erano di tutte le età, molti erano più grandi di lei e solo pochi sembravano avere la loro età.
Sotto quelli sguardi, Omicron aveva preso a fremere impercettibilmente: si sentiva a disagio, tanto a disagio che preferì accostarsi a Fi che lanciava brevi, insistenti occhiate alla tromba delle scale.
Fortunatamente, non ce n’erano molti e –dal suo punto di vista- ancora più fortunatamente nessuno di loro sembrava aver intenzione di voler avvicinarsi e porre domande: se ne stavano tutti lassù, seduti sugli scalini a sbirciare tra le sbarre del corrimano, in distante e, in una certa maniera, rispettosa contemplazione. Non c’era neppure lo sgradevole sussurrio di voci crudelmente divertite che si scambiavano pettegolezzi o battutine retoriche sulle nuove venute entro il quale si distinguevano –o sembrava di distinguere- parole di scherno: tutto era silenzio, un silenzio talmente educato da parere irreale.
Omicron fu loro silenziosamente ma profondamente grata per questo: era il massimo del contatto che desiderava e poteva sopportare in quel momento. Non poté però fare a meno di notare che alcuni era vestiti normalmente e altri in pigiama: pochi erano ancora in giro a quell’ora (non sapeva che ora fosse ma, di sicuro, un’ora accettabile per poter cominciare ad andare a prepararsi per dormire). Evidentemente non andavano tutti a dormire alla stessa ora. Per lei era una cosa strana: solitamente negli orfanotrofi vigeva il coprifuoco.
 Roger si accorse del movimento in cima alle scale:«Qualcuno vada ad avvertire le loro compagne che sono arrivate, su!».
Con una silente occhiata d’intesa, uno dei ragazzi si alzò e, non prima di aver lanciato un’altra occhiata alle nuove arrivate, salì le scale diretto ai piani superiori.
«Bene», fece il signore girandosi nuovamente verso di loro, «immagino siate stanche ma non siamo così barbari da lasciarvi andare a letto senza cena. Anche perché credo siate affamate».
In risposta ricevette soltanto un brontolio affatto misterioso.
«Mi scusi», fece Fi chiudendo gli occhi con aria esasperata.
«Qualcosa mi dice, signore, che ci aveva visto giusto…», commentò Niky.
Omicron non riuscì ad impedire che l’ombra di un sorrisino divertito le balenasse sul volto pallido.



                                         




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Rieccomi qui, di ritorno dalle ferie: più scottata e muscolosa di prima (come se ce ne fosse bisogno... -.-''). Eh, la montagna e i suoi effetti... stavo quasi per dimenticarmi della pubblicazione!
Finalmente sono entrate in questo benedetto edificio... Ma chi nel mondo intero può dedicare un capitolo intero ad un semplice ingresso? Ma solo io, ovviamente, ed è per questo che mi detesterete, vero? xD Lo devo dire: dedicherò un po' di capitoli alle mie tre orfanelle perchè, sia loro che il lettore, prendano famigliarità con la Wammy's. Per chi non l'avesse notato, ho giocato a fare l'archietto e l'ho fatta diventare un edificio a quattro piani anczichè di due... ;P E ci saranno alte mie personali interpretazioni quindi... beh, abbiate pazienza: vi prometto che i nostri cari bambini arriveranno, non temete! ^ ^''
Scusandomi ancora, vi prego di rilassarvi e godervi queste scenette un po' famigliari ed autunnali, con la nostalgia della stagione fredda. Eh già, perchè, tra un po', l'autunno arriverà anche per noi! (Sììì!!) A proposito di questo: la prossima pubblicazione è fissata per il primo settembre.
Un grazie enorme a tutti quelli che hanno letto e recensito, a quelli che hanno inserito la storia tra le seguite e a quelli (buone anime!) che avranno pazienza e sopporteranno la mia cauta flemma ancora per un po'. Grazie a tutti!!
Alla prossima! ^ ^

Pendragon of the Elves


P.S.: [Non possiedo i diritti per Death Note e nemmeno per l'immagine]

  
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