John posò il mazzo di fiori davanti alla lapide dell'amico.
Sfiorò l'iscrizione in oro, le lacrime agli occhi.
«Sai, ho pensato che sarebbe stato giusto lasciare qui questo» disse, mettendo accanto ai fiori un berretto da caccia.
«So che lo odiavi; ma molti avevano imparato a conoscerti, grazie a questo cappello».
Rise, cercando di fermare le lacrime.
«Io non so perché tu mi abbia detto quelle cose. Non lo so davvero. Ma so che non potevano essere vere. C'era un motivo per cui l'hai fatto, vero? Cosa è successo quel giorno, sul tetto? E non pensare che io creda alla storia che tu ti sia suicidato. Perché so che non è così. Non ci crederò mai, Sherlock».
Si asciugò le lacrime, ridendo piano.
«Figuriamoci se ti saresti mai tolto la vita. Proprio tu che - se avessi potuto - saresti diventato immortale, pur di essere sempre l'ultimo a parlare».
Si soffiò il naso.
«Ti dirò una cosa. Non avrò pace finché il tuo nome non sarà riabilitato. Finché non avrò scoperto cos'è successo davvero».
Sfiorò nuovamente le lettere.
«Alla prossima, Spock».
*
Sherlock fissò La Donna.
«E questo è quanto. Devo ammettere che fino all'ultimo ho creduto di morire sul serio».
Represse un brivido.
«Non credo di voler più fare un'esperienza del genere».
Si scompigliò i capelli corti.
«Come mai li hai tagliati e ti sei fatto crescere la barba?»
«Dovevo crearmi un camuffamento. Fortunatamente le uniche foto comparse sui giornali mi ritraevano con quell'odioso cappello, e mai troppo chiaramente».
La Donna rise.
«Vuoi dirmi perché non hai voluto raccontare la verità a John Watson?»
«Te l'ho detto. Non me lo avrebbe permesso. E dicendogli di credere ai giornali, di convincere tutti a credervi, ho probabilmente impedito che si mettesse a fare indagini su quanto avvenuto tra me e il tuo caro Jim su quel tetto».
«E credi che non si farà delle domande? Che non vorrà venire comunque a capo di questa faccenda?»
«E' quello che spero non faccia. I tre assassini che avrebbero dovuto uccidere lui, la signora Hudson e Lestrade sono ancora in circolazione. E come loro, tutti gli esponenti dell'organizzazione di Moriarty».
Sospirò.
«Se riuscirò a consegnarli alla giustizia britannica, potrò essere quasi del tutto certo che John e gli altri saranno in salvo».
Irene lo fissò.
«Che c'è?» chiese Sherlock, confuso.
«Mi stavo chiedendo che cosa ti sia successo. Sei diverso dallo Sherlock Holmes che si presentò a casa mia travestito da parroco».
La donna posò il mento sulle mani.
«Che cosa è riuscito a renderti... umano al punto di sacrificare tutto ciò che avevi, pur di salvare altre persone?».
Gli occhi le brillarono.
«O chi?».
L'uomo la fissò contrariato.
«Le persone cambiano, in seguito ad eventi particolari della loro vita. E' la natura umana».
«Altra cosa curiosa. Il grande Sherlock Holmes, il detective dal cappello buffo, si ritiene parte della popolazione comune, tanto da ammettere che anche lui subisce il cambiamento umano…».
Il detective fece per ribattere, ma ci rinunciò.
Irene rise.
«Ora sei di nuovo l'uomo che si rifiuta di rispondermi. Sei divertente».
«Non hai proprio niente altro da fare, vero?».
La Donna continuò a ridere, scuotendo la testa.
«Quindi? Chi o cosa ti ha portato a cambiare fino a questo punto? John Watson, magari? La sua amicizia è importante. Sempre che si tratti solo di amicizia»
«Nutri qualche dubbio al riguardo?»
«Dovrei?».
«E' come un fratello, per me».
Irene sorrise sorniona.
«Quindi sicuramente è lui la causa. Hmmm... Se fossi una persona diversa potrei essere gelosa».
Fu il turno di Sherlock di sorridere.
«Lo sei, non è così?».
Irene ghignò.
«Provalo».
*
John Watson tamburellò con le dita sul bracciolo della poltrona.
Mycroft si stava facendo attendere...
«Oh, John. Come mai questa visita?» disse Mycroft Holmes, entrando e chiudendo la porta dietro di sé.
«Cerco risposte».
Il maggiore dei fratelli Holmes provò una fastidiosissima sensazione di dejà - vu.
«A che proposito?» chiese tranquillamente.
Ovviamente conosceva la risposta, ma...
«A che proposito?! Sta scherzando, non è vero? Suo fratello si è buttato da un tetto!»
«Ebbene?».
John lo guardò scioccato.
E pensare che aveva sempre ritenuto Sherlock un mostro privo di sentimenti umani...
«Lei crede l'abbia fatto per quanto detto dai giornali?»
«Per quale altro motivo, altrimenti?».
Il medico scrollò le spalle, ironico.
«Magari perché non aveva altra scelta. Stiamo parlando di Sherlock! Un uomo capace di smontare crudelmente pezzo per pezzo la vita di una giornalista, solo perché questa si era finta una fan! Crede davvero che gli importasse quello che i media dicevano di lui?».
Mycroft alzò le spalle.
«Anche la mente più geniale finisce per cedere a una forte pressione».
John avrebbe volentieri messo le mani addosso all'uomo seduto di fronte a lui.
La sua compostezza, la sua imperturbabilità nel parlare del fratello morto da poco più di una settimana...
«Come può starsene qui, senza fare nulla, mentre là fuori ogni persona pensa che suo fratello non fosse altro che un bugiardo?»
«Che dovrei fare? Convincere tutti che in realtà non è così? E come? Moriarty ha giocato bene la sua partita».
«Solo perché lei gli ha fornito le carte vincenti! Sherlock aveva molte conoscenze. Persone a cui aveva risolto non pochi problemi. Le avvisi, le convinca a difendere la memoria di suo fratello!».
Mycroft sospirò.
Avrebbe potuto dirgli la verità in un attimo, togliendosi una gran bella seccatura.
Ma Sherlock era stato categorico.
Per niente al mondo John Watson avrebbe dovuto conoscere la verità sulla sua condizione o sulle motivazioni che l'avevano spinto a compiere un gesto simile.
«Sherlock ha chiesto che la vostra ultima telefonata venisse utilizzata come suo biglietto di addio. In quella telefonata confessava di aver inventato Moriarty, di averti mentito. Che posso fare io, contro un'affermazione simile, detta dalla sua stessa voce?».
John batté un pugno sul tavolo.
«Lei sa che non è così! Deve esserci una spiegazione per quello che ha detto e fatto, dannazione!».
Al silenzio di Mycroft, il medico si alzò.
«Bene. Se lei non vuole aiutarmi a scoprire cos'è successo a suo fratello, vorrà dire che farò da solo».
«Credi davvero che qualcuno ti darebbe ascolto? Dopo tutto quello detto dalla polizia, dai giornali? Sul serio?» chiese Mycroft, interessato.
«Devo tentare. E stia pur certo che non mi arrenderò facilmente».
*
«Sai? Ero sicura che non potessi essere morto» disse Irene Adler.
«Certo. Lo stato in cui ti ho trovato ne è la prova lampante» ghignò Sherlock.
«Ne ero certa perché sapevo che non ti piace lasciare mai niente in sospeso».
«Ho lasciato qualcosa in sospeso?» domandò il detective, fingendosi incuriosito.
«La cattura della banda di Jim. Anche se lui è morto, i suoi uomini sono ancora in libertà, l'hai detto tu stesso. Quindi...».
Sherlock scosse il capo, sorridendo.
«Dovrò stare attento a ciò che farò e dirò, in futuro. Almeno quando sarò in tua presenza. Non vorrei scoprissi troppo sul mio conto. Sempre che sia rimasto ancora qualcosa di segreto, su di me» disse, piegando il capo da un lato, amareggiato.
Irene gli si avvicinò.
«Qualcosa di segreto ancora c'è, in effetti»
«Sarebbe?»
«Il perché ti ostini a non voler cenare con me».