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Autore: Ginx    21/08/2012    4 recensioni
Erano passati sette anni da allora.
Sette anni in cui avevo provato a ricostruire la mia vita, in cui avevo tentato di dimenticare il passato.
Sette lunghissimi anni senza un messaggio, una chiamata, un qualsiasi segno che mi provava che stessero ancora cercando di rintracciarmi.
Ma come potevano, dopo quello che avevo fatto loro?
Due settimane dopo il diploma sono scappata da Lima senza guardarmi indietro, senza dare spiegazioni alle persone che amavo.
Non potevo restare lì. Lima era il centro del mio dolore.
Pensavo che trasferendomi a New York tutto sarebbe passato, che l'avrei dimenticata, che sarei riuscita a ricominciare.
Eppure fu in una classica giornata a Central Parck, mentre riflettevo sulla mia vita, che, a causa di un piccolo incidente, li ho ritrovati.
Tutti.
Tranne lei.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash, Slash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Monday

 

Cercò velocemente il nome nella rubrica e gettò il cellulare sul letto, incamminandosi verso quello che sarebbe stato un lungo e sospirato bagno.
l piccolo schermo era ancora illuminato quando Santana entrò nella stanza:


Quinn è tornata”
Invio in corso

 

 

 

Dave uscì dalla doccia, avvolto nell'accappatoio azzurro.
Una doccia calda alle sette del mattino era una delle cose che amava fare appena sveglio. Nella stanza c'era un tasso di umidità e nebbia da far invidia ad una nuvola, così il ragazzo aprì la piccola finestrella, per evitare i rimproveri del marito quando sarebbe toccato a lui utilizzare il bagno. Uscì dalla camera e passò davanti alla cucina, sicuro di trovare Kurt che consumava la sua solita colazione a basso contenuto calorico e sbuffava sulle sue abitudini troppo mattiniere.

Si affacciò sulla soglia ma non c'era nessuno.
Eppure, prima di andare a farsi la doccia, era sicuro di averlo svegliato.
Continuò la sua camminata, raggiungendo la camera da letto.
Kurt era sdraiato su un fianco e dava le spalle alla porta; il respiro era pesante e da sotto le coperte si intravedevano a malapena i capelli e il movimento della spalle. L'ex Titans non poté fare a meno di sorridere.
E poi dice che se dorme troppo gli vengono le rughe.” pensò, avvicinandosi di soppiatto al comodino per prendere dal cassetto una canottiera e un paio di boxer. Cercando di non fare rumore si vestì velocemente e salì sul letto, scivolando silenzioso nella sua metà del materasso ghiacciata e avvicinandosi al marito addormentato, posandogli le labbra sotto all'orecchio.
«Kurt, amore?» sussurrò Dave, dando un leggero scossone al ragazzo sotto le coperte. «Tesoro, faremo tardi a lavoro.» continuò. Gli scoprì il viso, contemplando quei lineamenti che amava con tutto se stesso, iniziando a ricoprirlo di bacini sulla guancia sempre più vicino alle labbra.
Il respiro del più piccolo si fece meno regolare e le labbra si arricciarono leggermente agli angoli, ma gli occhi restarono serrati. Era sveglio ma non aveva la benché minima intenzione alzarsi dal letto e iniziare la mattinata.
Dave ridacchio decidendo che era ora di mettere a punto il piano a cui stava lavorando da settimane.
Cercando di non scoppiare a ridere, fece leva sul braccio e si tirò su, lo sguardo rivolto verso il grande armadio bianco
«Ok, dorme come un sasso. Puoi uscire.» sussurrò, cercando di sembrare il più serio possibile. «Non farti vedere e ricordati di prendere le mutande che hai lasciato in bagno ieri sera.» aggiunse, schioccandosi un sonoro bacio sulla mano.
Vide con la coda dell'occhio che il ragazzo aveva aggrottato gli occhi e stretto le labbra, così iniziò a contare mentalmente fino a cinque.
1...” pensò, tirando un grosso sospiro sognante, riuscendo a stento a non scoppiare a ridere.
2... 3... 4...” continuò fino a quando Kurt non scattò seduto, lanciando occhiate infuriate al più grande.
«Certo! Bel modo di ripagare quattro anni di matrimoni, bravo!» sbottò lui, incrociando le braccia. «Non puoi usare questi metodi infantili per farmi svegliare. E poi, non puoi tradirmi in casa mia senza che io me ne accorg...» iniziò ad aggiungere, prima che Dave gli prendesse il viso tra le mani e lo baciò dolcemente.
«Buongiorno mio unico e insostituibile amore...» ridacchiò l'ex giocatore sul viso del marito, incatenando i loro occhi.
«Sei un ruffiano. Odio quando fai il bambino in questo modo.» sbuffò il più piccolo, allacciando le mani dietro al collo del marito..
«E io adoro quando ti arrabbi per queste cose...» sorrise l'altro, riprendendo a baciarlo. «Dai, seriamente pensi che io possa tradirti? Non sono così scemo da portare un uomo in casa nostra, al massimo lo porto in un motel.» rise poi, stringendo le mani dietro la schiena dell'altro.
Kurt era già pronto per un'altra serie di rimproveri quando Dave lo sollevò senza sforzo e bloccò la via d'uscita delle parole.
Le loro lingue si intrecciarono, i loro respiri si mescolarono, mentre Dave lo poggiava sul tappeto bianco davanti all'armadio.
«Ti amo. Non ti tradirei mai perché sei l'unico uomo con cui voglio passare la vita.» disse il più grande stringendolo a sé.
«Ti amo anch'io, scimmia pelosa.» rise l'altro, alzandosi in punta di piedi e lasciando l'ultimo bacio sulle labbra del marito, rimanendo di nuovo intrappolato tra le braccia di Dave e tra quelle mani enormi che vagavano sul suo corpo.
«Io sveglio Emily. Tu prepari la colazione.» soffio lui, uscendo dalla stanza.
Kurt rimase immobile, frastornato. Prima o poi, quel ragazzo lo avrebbe fatto impazzire. Scosse la testa, cercando di fermare la giostra che era diventata e si avvicinò verso il grande armadio bianco che ricopriva l'intera parete davanti al letto, cercando qualcosa di leggero da mettersi. Era una giornata molto calda, stranamente, essendo le sette del mattino e la prima settimana di febbraio, così il ragazzo optò per una canottiera grigia di cotone aderente e una tuta nera larga, molto strano per i suoi standard modaioli. Lanciò uno sguardo allo specchio sull'anta e uscì dalla stanza, rivolgendo un sorriso al marito che apriva lentamente la porta della camera da letto della loro piccola.
Dave sorrise di rimando facendo scivolare lentamente la porta sui cardini, attento a non farla scricchiolare e preparandosi al secondo round. Anche se non erano geneticamente imparentati, Emily aveva un sonno molto simile al suo, il che voleva dire che se fosse esplosa una bomba avrebbe continuato a dormire indisturbata. Si avvicinò al piccolo letto rosa, intravedendo appena i ricci biondi della bambina.
«Emily, passerotta?» chiamò il ragazzo, appoggiando i pugni sul materasso e sporgendosi fino a vedere il piccolo viso della figlia.
La bambina grugnì piano e si girò verso il padre, senza smettere di dormire.
Dave ridacchiò facendo scivolare le mani tra il materasso e il piccolo corpicino arruffato, sollevandola senza sforzo e appoggiandola contro il suo petto enorme. Gli spostò i morbidi riccioli dal viso, stampandole un leggero bacetto sulla fronte, mentre lentamente si aprivano gli occhi verdi della piccola.
Emily si guardò intorno, confusa e assonnata, cercando di capire su quale universo si trovasse.
«Buon giorno micia.» la saluto il padre, sorridendo dolcemente.
«'Gionno pa..» sussurrò la bambina, allacciando le mani intorno il collo del padre per cercare di mettersi in una posizione più comoda e poggiando il viso sulla sua spalla allenata. Dave strinse le mani sotto il sedere della figlia per sorreggerla e uscì dalla stanza.
Già dal corridoio furono investiti dall'odore di frittelle e caffè appena fatti.
Kurt stava versando la spremuta d'arancia nei bicchieri sopra l'isola, mentre dai piatti usciva una lieve linea di fumo. Il più piccolo si voltò verso di loro, sorridendo.
«Buongiorno pasticcino.» salutò, prendendo a sua volta in braccio la bambina. «Come hai dormito?» chiese poi, dandole un bacio sulla guancia paffuta.
Emily annuì, stropicciandosi gli occhietti e sporgendosi per farsi mettere seduta al suo posto. Anche David la imitò, annusando a pieni polmoni l'odore delle cialde e delle uova.
Erano sette anni che Kurt cucinava sempre due tipi di colazione, cinque da quando Emily era entrata a far parte della loro famiglia: caffè, spesso sostituito dalla spremuta, cialde e uova, anche se protestava sempre che erano una bomba per il colesterolo, per Dave; latte, fette biscottate con marmellata o Nutella e cialde per Emily e una semplice barretta energetica, con un frutto e una spremuta per se stesso.
Dave addentò una frittella, facendo vagare lo sguardo dal marito alla figlia.
«Passo a prendere Artie a casa oggi, abbiamo i turni coincidenti.» disse il più grande, rivolto verso l'altro, che annuì, voltandosi verso la piccola.
«Allora tu vai da nonno Burt e poi ti vengo a prendere io.» spiegò, infilando in bocca l'ultimo pezzo della sua barretta ai frutti di bosco e cereali.
«Ma oggi dovevo andare da zia Santana!» protestò la bambina, facendo cadere il pezzo di biscotto dentro la tazza.
Ecco, aveva ripreso il suo naturale tono acuto di protesta a soli cinque minuti dalla sveglia. Doveva essere un record mondiale.
«Non si può.» disse il ragazzo scuotendo la testa. «San oggi è a lavoro tutto il giorno, quindi le lezioni di spagnolo sono rimandate a domani.»
La bambina sbuffò, appoggiando la testa su una mano e spezzettando nervosa una fetta biscottata. Dave osservava la scena, ridendo. Quei due avevano lo stesso carattere: più la piccola cresceva, più assomigliava ad una Rachel Berry in miniatura, troppo simile a Kurt. E poi, Emily odiava imparare la lingua natale della sua migliore amica, ma ci andava volentieri perché era innamorata di Brittany e dei suoi modi da bambina pazza. Kurt, dal canto suo, era iperprotettivo nei confronti della piccola e le voleva un mondo di bene, anche se spesso e volentieri si inquietava e finivano col litigare.
L'ex giocatore sorseggiò il suo tè, facendo scorrere lo sguardo sul corpo del marito. Da quando lo conosceva, era sicuro di non averlo mai visto vestito in abiti così.. comuni, e, doveva ammetterlo, gli piaceva un sacco. Anche se la canottiera era nascosta da un grembiule rosa, poteva perfettamente vedere come si adagiava sull'addome muscoloso di Kurt, facendolo impazzire. Aveva un braccio intorno al petto, appena sotto il gomito dell'altra che stringeva una mela. Possibile che facesse diventare sexy anche fare una cose semplice, come mangiare un frutto? Lo prendeva sempre in giro, dicendogli che aveva la sensualità di un cucciolo di foca, ma in quel momento doveva ricredersi. Sentiva il bisogno di accarezzare quei muscoli, di divorare quella labbra fine, di sentire il respiro sulla sua pelle. Emily appoggiò rumorosamente la tazza sul piatto, guardando con aria di sfida il padre, riportando l'altro alla realtà.
Dave continuò imperterrito a guardare il marito, rivolgendosi verso la figlia.
«Ems, vai a vestirti che ti porto a scuola.» gli disse, dando un ultimo morso alla sua cialda. La piccola bionda sbuffò, scendendo dallo sgabello per sparire dietro al muro. I due uomini rimasero in silenzio, ognuno nei propri pensieri. Kurt si voltò verso il marito, intercettando il suo sguardo.
«Perché mi fissi?» gli domandò, incapace di nascondere un sorriso.
«Perché penso che tu sia l'uomo più sexy che io abbia mai incontrato.» rispose il più grande con voce maliziosa, alzandosi e avvicinandosi lentamente al ragazzo. Il sorrido di Kurt sparì lentamente, quando capì che cosa aveva in mente l'altro.
«D, no... Emily è di là...» mormorò provando a indietreggiare, trovandosi con la schiena contro il muro. L'altro annuì, avvicinando le sue labbra a quelle dell'altro, trasportandolo in un bacio appassionato. Il più basso cercò di sgusciare via dalla presa del maritò, ma rinunciò lasciandosi guidare dalla passione e dal corpo dell'altro. Dave sorrise nel bacio, vittorioso, facendo scivolare la mani sotto alla maglietta grigia, accarezzando quei piccoli bozzi eccitanti, facendo gemere il ragazzo sotto di lui. Lo prese in braccio, senza interrompere il contatto delle loro labbra, facendolo sedere sull'isola; fece scivolare la sua mano ancora più su, fino al collo dell'altro, mentre con la lingua tracciava una linea dalle labbra piccole all'orecchio, mordicchiando il lobo. Kurt era in estasi, le mani sul petto del marito e le gambe intorno al suo bacino, sentendo la lingua infuocata dell'altro che giocava con il suo orecchio.
«David.. no..» sospirò non appena una mano del suo fidanzato non si avvicinò pericolosamente all'elastico dei suoi pantaloni. L'ex Titans gli intimò il silenzio sulle labbra, riprendendo a baciarlo con passione, mentre scavalcava i boxer del marito.
«Ehm, papà?» chiamò una vocetta dietro di loro. In un secondo, i due uomini si staccarono, rossi di vergogna, cercando di riavviare i loro respiri. Emily era sulla soglia, vestita di tutto punto per la scuola, con le braccia incrociate e un sopracciglio leggermente alzato.
«Si tesoro?» rispose Dave, torturandosi le mani imbarazzato.
«Invece di pomiciare con papà, perché non mi accompagni?» domandò sarcastica la bambina, dirigendosi verso il portone.
Kurt sorrise avvicinandosi e inginocchiandosi davanti alla piccola, osservando con occhio critico il suo abbigliamento . Il grembiule non copriva perfettamente il vestitino arancione di Emily, accompagnato da un paio di calze bianche e un paio di stivaletti dorati. La figlia lo fissava storta, con le mani poggiate sui fianchi.
«Hai il gusto estetico di tuo padre.» sospirò il ragazzo, scuotendo la testa. «Lo sai che l'arancione non sta bene con la tua carnagione.» aggiunse prendendola in braccio.
La bambina scosse la testa, in un turbinio di riccioli biondi, gesto che gli ricordava troppo bene la sua migliore amica
«Allora, le solite raccomandazioni. Cerca di non fare niente che potrebbe ferirti.» cominciò il ragazzo, sfiorando le guance rosee della piccola.
Faceva sempre così, tutte la mattine prima di accompagnarla a scuola. Almeno, faceva così da quando un giorno, mentre era a lavoro, ricevette una chiamata da un'agitata maestra della scuola dell'infanzia.


Kurt sbuffa. Il telefono quel giorno ha deciso di non dargli pace come quell'incapace della segretaria, che non aveva la minima idea di come si trasferisse una telefonata da un telefono all'altro. Perché l'aveva assunta?
Ah sì. Brittany l'aveva assunta.
Si avvicina per l'ennesima volta alla scrivania davanti al suo ufficio e alza la cornetta, mentre con lo sguardo fulmina la donna bruna dietro il banco.
«Kurt Hummel.» risponde e cerca il più possibile di nascondere il tono scocciato nella sua voce.
«Signor Hummel, sono Alicia, la maestra di sua figlia.» dice la donna all'altro capo del telefono. Sembra agitata e questo allarma subito il ragazzo.
«Salve. Mi dica pure, è successo qualcosa?» domanda, sperando vivamente che la sua farfallina stia bene.
«In effetti... sì. Dovrebbe venire qui immediatamente.» inizia Alicia, cercando di rimanere il più calma possibile. «Emily si è tagliata un dito mentre girava le pagine di un libro e...».
Kurt prende un sospiro di sollievo. Era semplicemente un taglietto, niente di grave.
«Non si preoccupi signora, non c'è nulla di cui preoccuparsi.» risponde, maledicendo il gigantesco tasso di preoccupazione delle donne.
«No, signor Hummel, c'è molto di cui preoccuparsi. Il sangue non si ferma, Emily ha perso i sensi e diventa sempre più bianca.»


Quel giorno aveva seriamente rischiato di impazzire e di far impazzire Dave, urlando contro l'infermiera che non voleva portarlo da Emily.
Quel giorno i due ragazzi vennero a sapere che la loro bambina, la luce dei loro occhi, aveva l'emofilia, il che voleva dire che ogni minuscola ferita avrebbe potuto mettere fine alla sua vita.
Da qui, la sequela di raccomandazioni tutte le mattine.
La figlia annuì, accarezzandosi le pieghe del grembiule.
«Poi, cerca di non far arrabbiare le maestre e di non insultare nessuno dei tuoi compagni.» concluse, mettendola a terra.
«Se se lo meritano non è colpa mia.» disse la bambina, alzando il naso all'insù.
Rachel bionda.» sospirò l'ex giocatore, prendendo la felpa gialla poggiata sopra alla sedia e dando un leggero bacio al marito. «La colpa è tua.»
Il più piccolo mise un leggero broncio, riuscendo a malapena a trattenere le risate. In realtà, non vedeva l'ora di sentire di nuovo le mani grandi del ragazzo vagare sul suo corpo, ma conosceva troppo bene l'autismo del marito quando si trattava di regole stradali e sicurezza in macchina. Ci avrebbe messo le ore per tornare a casa e lui non aveva tutta la mattina.
«Facciamo così, se mi prometti che farai il bravo e che sarai a case in un quarto d'ora, ti farò ripetizioni su un argomento.» disse malizioso, facendo roteare le chiavi della Ford Fiesta del marito, sorridendo.
«Emily, corri in macchina.» esclamò Dave, prendendo l'oggetto luccicante dalle mani dell'altro e uscendo dalla casa, seguito a ruota dalla bambina.
Kurt sorrise soddisfatto, infilando tutto ciò che aveva utilizzato per la colazione nella lavastoviglie, per poi farla partire; lanciò uno sguardo veloce alle lancette nere, che segnavano le sette e diciassette, e bloccò di colpo.
Doveva assolutamente controllare che Brittany fosse a lavoro. Quel giorno dovevano mandare i progetti e i modelli per la loro prossima collezione, e qui fogli erano nelle manine della sua collega. Era più o meno una settimana che li avrebbe dovuti revisionare e farli diventare materiali, ma era impossibile; non capiva se erano gli ormoni della gravidanza o quelle vitamine che prendeva ogni venti minuti, ma Brittany si comportava da bambina più del solito.
Senza pensarci alzò la cornetta bianca del telefono, componendo il numero che conosceva a memoria ma si sentì uno stupido subito dopo il primo squillo.
Si era completamente dimenticato che alla ballerina era severamente vietato rispondere al telefono, Santana era sempre stata ferma su questo punto. La sua collega diceva che spesso la latina riceveva telefonate strane, a cui, se lei era a portata di orecchio, rispondeva nella sua lingua natale prima di spostarsi nella stanza più vicina. Britt aveva paura che Santana non la volesse più a causa della maternità, ma avevano tutti sostenuto che non era umanamente possibile che la mora pensasse lontanamente di vivere senza di lei.
Kurt, effettivamente, aveva chiesto spiegazioni su queste telefonate misteriose alla latina, spiegando i timori di Brittany, e lei si era giustificata dicendo che erano telefonate di sua madre a cui lei preferiva rispondere in spagnolo.
La voce registrata di Santana lo fece sobbalzare, interrompendo il filo dei suoi pensieri.


Siamo Santana e Brittany. Forse non siamo in casa o, più probabilmente, siamo troppo impegnate e non abbiamo voglia di rispondere. Lasciate un messaggio dopo voi-sapete-cosa.”


Kurt attaccò il telefono sbuffando.
In alcuni casi non capiva chi, fra le due, si comportasse dalla bambina più piccola. Ricordava perfettamente il giorno in cui Santana aveva portato a casa il nuovo apparecchio telefonico, dopo che l'altro era finito nel raggio d'azione della ruota senza braccia della bionda diventando un ammasso di rottami informi.
La latina aveva passato l'intera giornata a registrare messaggi su messaggi, nel vano tentativo di farne uno decente, dopo che la sua ragazza aveva deciso di distrarla ogni volta che provava a registrarne un altro.
Quindi, erano venute fuori registrazioni del tipo:
Siamo Santana e... Brittany! Scendi dal tavolo, non puoi fare la verticale lì sopra!”
Casa Lopez-Pierce. Avete chiamato Auntie Tana e... Britt? Perché sei ricoperta di cioccolato? Tu-tu-tu-tuuuuuu.”
Ciao. Oh. Siamo Brittany e... Ah, Tana, più forte, proprio lì.”- dopo quella aveva veramente voluto farsi trapiantare le sue bellissime orecchie- e cose del genere.
Alla fine aveva optato per il classico “Lasciate un messaggio dopo il beep” ma lo aveva detto così tante volte che Brittany, presa da un momento di infantilità pura e semplice, l'aveva minacciata dicendo che se avesse detto beep un'altra volta avrebbe smesso di fare quelle acrobazie, quelle che a Santana piacevano tanto, fino alla nascita della bambina.
Come il manuale di sopravvivenza citava, Santana era come le lucertole: aveva bisogno di un corpo caldo sotto (o sopra, il più delle volte – anche se questo non doveva saperlo nessuno) di lei per riuscire a digerire, quindi aveva fatto una registrazione definitiva e aveva finito la serata con i classici fuochi d'artificio.
Il ragazzo scosse la testa, ridacchiando, tornando subito alla telefonata appena conclusa.
Non sapeva se interpretare la non risposta come un segno positivo o negativo. Santana doveva essere uscita da almeno mezz'ora e, quando lei non c'era, Brittany rispondeva sempre al telefono e quindi poteva essere già a lavoro; oppure poteva darsi che la sua svampita collega non avesse risposto al telefono perché era in giardino a cercare le sua fatine scomparse o in camera cercando di svegliare quella palla da cannone del suo gatto.
Appoggiò la schiena conto al muro bianco. Non aveva la mi minima idea sul da farsi: poteva restare a casa, fare le faccende di casa e tutti i suoi rituali mattutini senza fretta, e andare a lavoro in orario; oppure poteva anticipare il turno, assicurarsi che Brittany avesse portato i modelli e salvare la loro sfilata. Sbuffò ancora. Odiava andare di fretta.
Presa una decisione, si chinò a prendere le crocchette della sua norvegese, non stupendosi di non vedere la sua piccola Liza dal pelo lungo e bianco comparire tra le sue gambe, probabilmente stava dormendo sul letto di Emily. Ripose la busta sotto allo sportello dell'isola e corse in bagno.
Come al solido suo marito aveva trasformato la stanza in un piccolo mare al chiuso, spalancando la finestra nel vano tentativo di nascondere la nebbia che aveva creato.
Tu e le tue stupide docce calde del mattino.” pensò il ragazzo, prendendo il vasetto della sua crema rigenerante e iniziando a spalmare l'intruglio bianco sul suo viso con movimenti circolari. Quel giorno doveva rinunciare a gran parte dei suoi trattamenti e questo lo infastidiva molto, ma non poteva rinunciare alla sua crema alla seta e vaniglia. Operazione completata aprì l'acqua della doccia, svestendosi mentre essa si riscaldava. Non aveva neanche il tempo di farsi un bagno come si deve, il suo bagno mattutino. Gli veniva da piangere, mentre entrava nella cabina e faceva scorrere l'acqua sul suo corpo.
Era una cosa che adorava, prendersi la sua mezz'ora per rilassarsi nella doccia o nella vasca, si sentiva sempre rilassato dopo un bel bagno caldo. Sentiva la crema scivolare via e, con essa, tutti i problemi che avevano affollato la sua mente in quella mattina appena iniziata.
Tenne la testa sotto il getto per un paio di minuti, concentrandosi sulla sensazione dell'acqua calda sul suo corpo, finché il rumore dello sportello della doccia che si apriva non lo fece sobbalzare e sorridere.
«E tu eri quello che viaggia sempre sotto il limite di velocità.» commentò, appiattendosi contro il muro per far entrare il suo uomo dentro il piccolo abitacolo. «Che cosa hai fatto, hai noleggiato una Ferrari?» aggiunse, allacciando le mani intorno al collo di Dave e depositando una scia di baci sulla sua spalla.
«Non potevo andare piano sapendo che tu eri qui tutto solo che mi aspettavi.» rispose l'uomo, impossessandosi delle labbra del marito.
Kurt sorrise tra quelle labbra, sentendo il corpo bollente di Dave che si incatenava al suo, in contrasto con le mattonelle fredde dietro la sua schiena. L'ex giocatore lasciò le labbra morbide del ragazzo, tracciando una linea con le sue fino al lobo candido, stringendolo delicatamente tra i denti.
«Direi di ricominciare da dove ha lasciato stamattina, professore...» mormorò, premendolo ancora più contro il muro.
Il più piccolo fremette quando una mano bollente prese a vagare sulla sua schiena, graffiandola delicatamente, mentre l'altra scivolava silenziosa fino alla sua intimità. Quando sentì Dave sfiorarlo, le sue labbra erano troppo occupate con le labbra del marito per far traboccare il gemito che stava per uscire.

 

//

 

Kurt parcheggiò davanti al portone di ingresso della sua azienda, senza riuscire a smettere di sorridere. Neanche il semaforo rotto, il traffico del lunedì mattina, la segretaria che non riusciva a capire che quello davanti alla porta d'ingresso era il suo parcheggio, poteva rovinare gli effetti benefici di una lunga doccia con il suo ragazzo.
Attraversò le porte scorrevoli quasi saltellando per la felicità e chiamò l'ascensore, ignorando totalmente al lentezza di quell'affare. Anche se doveva percorrere due paia di rampe di scale e che per le sue gambe perfette e i suoi addominali favolosi sarebbero state un tocca sano, preferiva di gran lunga quella scatola di metallo che spesso e volentieri aveva rischiato di lasciarlo sospeso per aria.
Entrò in quell'abitacolo e si fermò un momento davanti alla pulsantiera.
Era tutta la mattina che era in agitazione per la consegna dei modelli e sarebbe stato meglio andare direttamente all'ultimo piano, dove c'erano i loro uffici, per togliersi definitivamente il pensiero.
Il malumore per le azioni della sua amica stava riprendendo il sopravvento, e non era un buon segno. Se non l'avesse trovata dritta davanti alla porta con i modelli in mano, avrebbe cominciato una discussione che avrebbe demolito tutto il quartiere.
Premette il pulsante e aspettò, battendo il piede a terra. In fondo quella strada se l'era scelta da solo, non era mica solo colpa della collega.
Ricordava benissimo il giorno il cui la bionda era venuto a chiedere aiuto a lui, fresco di laurea in arte e moda, per gestire il negozio di abiti che aveva intenzione di aprire.
Si era fatto spiegare tutto, per filo e per segno, e l'idea sembrava ottima. Il primo piano sarebbe stato dedicato solo agli abiti per uomini e donne di ogni età: dai meravigliosi lunghi abiti classici e gli smoking, ai comuni vestiti per tutti i giorni; il secondo piano sarebbe stato dedicato agli accessori: borse, scarpe, occhiali, cinture e chi più né ha più né metta; l'ultimo piano sarebbe stato dedicato ai suoi uffici: il laboratorio per i modelli, la sartoria e la stanza dove provavano con le modelle i giusti abbinamenti tra i vestiti che lui disegnava e gli accessori.
All'inizio aveva accettato volentieri di dissolvere le preghiere di Brittany, fino a quando lei non aveva scoperto di essere incinta e la parte più bambina di lei, quella che avevano avuto il dispiacere di conoscere al liceo, tornasse di nuovo.
Era tornata distratta, sempre in ritardo, sia per il suo turno di lavoro sia con la consegna dei suoi modelli.
Tre mesi, solo tre mesi e tutto quella tortura di risate, pianti e ormoni a go-go sarebbe finalmente finita. Questa era l'unico motivo per cui continuava a sopportarla.
Quando le porte si aprirono sul suo ufficio celeste, Kurt aveva i nervi a fior di pelle e una sola nota negativa, anche se insignificante, avrebbe potuto farlo esplodere come una bomba atomica, causando danni a chiunque a qualunque cosa si trovasse sul suo raggio di sterminio.
Uscì dall'ascensore a passo di carica, senza preoccuparsi di sostarsi per non investire le collaboratrici, e attraversò la porta che lo portava nella all del suo ufficio.
Solo una linea sottile di vetro ora lo separava da Brittany, e sentiva di poterlo infrangere senza sforzo con un acuto alla Diana Ross, ma non in senso canoro.
Elisabeth, la sua segretaria, notò già che l'umore del proprio capo era più nero di un pennarello a spirito.
Kurt la ignorò totalmente, fino a quando non aveva poggiato la mano sulla maniglia di metallo del suo ufficio.
Si voltò verso la segretaria e, con uno sguardo stile “se i miei occhi fossero frecce, saresti ridotta ad uno scolapasta”, la fulminò.
«Hai tre secondi per levare le briciole di quel biscotto pieno di calorie che stavi mangiando tre secondi fa, altrimenti ti licenzio.» sibilò tra i denti, entrando nel proprio ufficio.


Rimase inchiodato sulla porta, lo sguardo che passava dal pacchetto di patatine fritte e unticce buttato sulla sua moquette alle gambe della ragazza poggiate sopra alla sua scrivania da 10.000 dollari.
Prese un grosso respiro, cercando di ignorare l'odore della busta di carta ai suoi piedi.
Conta mentalmente fino a cento.” pensò, muovendo un passo verso la sua cattedra. “C'è una latina che potrebbe evirarti se osi far mettere a piangere la sua ragazza.” si disse, oltrepassando le patatine.
No, fino a cento non ti calmerà. Enuncia tutti le canzoni di Funny Girl dalla prima a l'ultima.”.
Un sospiro profondo provenne dalla sua meta, facendolo bloccare di colpo.
Si permette anche di sospirare! Vorrei prenderla e sbatterla al...” urlò mentalmente, prima di fermarsi e riflettere ancora. “Non farlo, devi mantenere la calma. Enuncia tutte le attrici che hanno interpretato Maria dalla prima all'ultima.” si disse ancora, muovendo l'ultimo passo.
Girò intorno alla scrivania lentamente, trovando la bionda “seduta” in una posizione semplicemente assurda, persino per il soggetto interessato.
Le lunghe gambe erano lasciate inerti sulla scrivania, le cosce erano poggiate sullo schienale della poltroncina rivolto contro il tavolo, seminascoste dall'enorme pancia della ragazza; il sedere era l'unica cosa che doveva stare esattamente al proprio posto sul cuscinetto nero, mentre il busto era lasciato penzoloni con la testa che poggiava a terra e i capelli lunghi sparsi sul pavimento. Aveva gli occhi chiusi e, se non fosse stato per le braccia che ogni tanto si muovevano, sembrava stesse dormendo.
Kurt era sconvolto. Si appoggiò al piano bianco accanto a lui, cercando di non esplodere. Prese un respiro profondo e si schiarì la voce per catturare l'attenzione della bionda.
Brittany spalancò gli occhi blu voltandosi lentamente verso il ragazzo.
«Cosa diavolo stai facendo?» domandò Kurt, sperando che il nervosismo non trapelasse ad ogni sillaba.
La ballerina fece un altro sospiro, spostando lo sguardo verso l'enorme finestra davanti a se.
«Wow, il mondo ha tutta un'altra prospettiva visto da qui.» spiegò, chiudendo di nuovo gli occhi.
«Cosa diavolo stai dicendo?» chiese ancora il ragazzo, ancora più confuso. Spesso non riusciva a capire ciò che diceva e spesso non si preoccupava neanche di tradurle, ma quella era totalmente assurda.
«Non lo so.» concluse Britt, tirandosi a sedere normalmente come se il ragazzo fosse appena entrato dalla porta. «Cosa ci fai qui?» domando, sistemando i fogli sul tavolo. «Oggi toccava a me aprire, no? Ho ricontrollato i turni stamattina.»
«B, i modelli per la sfilata dovevano essere consegnati oggi.» spiegò esasperato, pronto alla risposta che stava per sganciare.
«Vero!» esclamò la ragazza, scendendo dalla sedia e accovacciandosi a terra (Kurt non riusciva a capire come, vista dell'enorme pancia) e prese dei rotoli bianchi da sotto la scrivania.
«Stavo cercando il mio pacchetto di patatine e credo di averli lasciati qui sotto quando ho battuto la testa.» disse, infilandosi sotto la scrivania e riuscendo, con i capelli tutti scompigliati e con i rotoli tutti stropicciati. «E mi sono ritrovata a guardare fuori tutta la contrario.»
Il ragazzo si posò una mano sulla fronte, facendo un grosso respiro.
«Ehi Kurt, che suc...» disse la bionda preoccupata, interrotta dal dito del ragazzo che si posava sulle sue labbra.
Pensa ai tuoi genitali. Pensa a Dave. Enuncia tutti i musical di Barbra dal più vecchio al più recente.” pensò lui, evitando di urlarle in faccia a Brittany.
Distese le dita davanti al suo viso pallido, reclamando quegli... stracci che erano diventati i modelli per la loro sfilata. La ballerina glieli porse, saltellando sulle ginocchia e battendo le mani eccitata; Kurt sapeva che quell'atteggiamento non poteva portare nulla di buono e aveva quasi paura ad aprire quei rotoli.
Fece scorrere lentamente le dita sulla carta, aprendola di qualche centimetro.
Vedo dell'arancione. Può anche non essere troppo male.”
Altri cinque centimetri.
Vedo una zampa palmata. Inizio ad aver paura.”
Ultimi cinque centimetri.
Quello è un becco? E quelle sono ali gialle? Oh piccolo Bambin Gesù.”
«Mio Dio Brittany! Cos'è questa roba?» gemette Kurt disperato a vedere papere su tutti i rotoli di carta.
«Sono papere e anatroccoli. Perché, non si capisce?» domandò la ragazza, sedendosi sulla sedia.
«E perché sono sulla mia collezione primavera ed estate, Brittany?» domandò il più piccolo, cercando di respirare e mantenere la calma.
«Non sei per niente informato sulle tendenze della primavera.» si imbronciò Brittany. «Il giallo e l'arancione sono i colori dell'estate quest'anno e per la linea dei bambini le papere sono perfette.»
«E perché stiamo facendo una linea per bambini, Brittany?» chiese ancora Kurt, richiudendo lentamente i modelli.
«Perché io sono incinta.» rispose la ballerina, come se fosse una risposta ovvia.
«E perché questo mi dovrebbe interessare, Brittany?»
«Perché possiedo il negozio di abiti e ho il 50% delle decisioni sui modelli. E smetti di ripetere il mio nome in continuazione, mi stressa.» commentò Brittany, incrociando le braccia sul pancione.
«Mai quanto lo sono io ora... Brittany.»
La bionda fece per ribattere quando il suo telefono squillò, in una parte indefinita del suo corpo.
«Quante volte ti ho detto che odio che si usino i cellulari nel mio ufficio, Brittany?» Kurt era al limite della sopportazione ormai.La sua collega gli fece una linguaccia e tirò fuori il cellulare da dentro il reggiseno, sorridendo nel leggere il nome sullo schermo.
«Chiunque sia non ti conviene risp-»
«Tana!» rispose Brittany, poggiando le gambe sulla scrivania di fronte a lei.
Kurt impallidì e fece tre passi in dietro, con gli occhi spalancati rivolti verso i modelli, un sorriso terrorizzato sul volto.
Era ufficiale, quella sarebbe stata la sua fine.
«Sì, sono al lavoro. Kurt mi stava dicendo qualcosa sui modelli per la sfilata.» rispose la ragazza, giocando con una ciocca ribelle dei lunghi capelli biondi.
In quegli anni di esperienze di vita fuori dalla scuola, Kurt aveva appreso un paio di regole di sopravvivenza. Una di quelle era che Brittany ha sempre ragione.
E se quella terribile arma di distruzione chiamata Santana fosse venuta a sapere che stava alzando la voce con la sua fidanzata, sarebbe diventato Kate Hummel entro la fine della giornata.
Sì, si era sempre sentito un po' più femminile del normale, ma alcune parti ancora gli necessitavano. Quindi, doveva darle un'altra possibilità se voleva restare tutto intero.
Si avvicinò alla scrivania bianca, prese i cinque rotoli di carta e si sedette sulla poltroncina davanti a lei.
Chiuse gli occhi e, mentre le dita scorrevano sulla superficie ruvida e mostravano il primo modello, fece appello a tutto il suo spirito di stilista.
«Certo che gli piacciono, perché non dovrebbero?» ridacchio Brittany, strizzando l'occhio al ragazzo.
Kurt sorrise forzato, mentre scartava immediatamente i modelli delle tutine per i neonati. Non erano niente male, ma non poteva mica far sfilare un bambino di due mesi solo perché lei era incinta.
Non aveva un buon presentimento su quei modelli.
Il secondo abito era semplice, niente di particolarmente strano. Era il classico prendisole senza maniche, morbido e di una stoffa color giallino appena trasparente. Sopra il seno c'erano tre bottoncini a forma di zampa di papera ed era separato dal resto del corpo da una cinta arancione; anche il disegno del busto e della gonna consisteva in un numero spropositato numero di zampine palmate l'una sovrapposta all'altra che dava quasi l'impressione di un disegno geometrico. Il tutto era abbinato ad un grosso cappello di paglia e un paio di grossi occhiali da sole gialli con le lenti arancioni.
Il ragazzo doveva ammettere che non era poi così male anzi, era un'idea originale. Forse doveva dare un po' più di fiducia allo spirito creativo di Brittany.
Incuriosito, passò al secondo foglio e, mentre ammirava il completo formato da una canottiera gialla sotto una maglia bianca e larga e un paio di pantaloncini corti, la bionda chiuse la chiamata con la sua fidanzata e fissò i suoi occhi blu sul suo collega.
«Allora? Proprio non vanno bene?» domandò con un piccolo broncio, sapendo già di aver vinto.
«Dio, come ti odio Brittany.» sospirò Kurt, richiudendo i modelli e poggiandoli sulla scrivania. «Ok, come vuoi chiamare questa collezione?» domandò poi, chiamando la segretaria con l'interfono.
«Duckies!» esclamò la bionda eccitata e lui alzò gli occhi al cielo disperato: aveva dovuto immaginarlo.
«Non c'è nessuna probabilità che tu cambi il nome vero?» chiese, sapendo che avrebbe perso definitivamente quel poco di dignità che gli era rimasta.
«No.»
«Neanche cambiare il giallo o l'arancione con un altro colore?»
«No.»
«Neanche levare le piume dal collo dell'abito lungo?»
«No. Dai Kurtie, ti sei mai pentito di avermi lasciato fare?» domandò la ragazza, avvicinandosi a lui.
«Devo veramente risponderti?» rispose sarcastico lui.
Brittany sfoderò di nuovo il suo miglior broncio e, mentre si osservavano, nella mente di Kurt prese a scivolare un pensiero che non gli piaceva affatto. Stava per fare qualcosa di cui poi si sarebbe pentito.
«Elisabeth?» sospirò, chiedendo gli occhi e appellandosi ad ogni fibra del suo essere per trovare la forza da fare quello che andava fatto. «Porta i modelli in sartoria.»

 

//

 

Brittany uscì vittoriosa dall'edificio, inforcando gli occhiali e osservando la sua mano destra dove, come sempre, era segnata una piccola cartina dell'isolato; confrontò il puntino giallo sul suo indice con il palazzo grande davanti a lei, cercando di ricordare se doveva andare verso il pollice o verso il mignolo per tornare a casa.
Dopo accurati minuti di riflessione decise di seguire il suo mignolo, al massimo avrebbe fatto il giro dell'isolato e sarebbe poi tornata indietro. Non le avrebbe fatto male, con tutti quei chili che stava mettendo su in quel periodo.
Mentre trotterellava sul marciapiede, controllò che sulla mano sinistra fosse ancora visibile la lista della spesa per quella sera: la sua serata speciale con Santana.
Voleva farsi perdonare, nonostante il fantastico sesso di perdono nell'acqua, per la litigata del giorno prima.
Così aveva deciso di organizzare una cena romantica con un finale a dir poco.... wanky come avrebbe detto Santana; aveva comprato le candele, i fiori, e si era fatta spiegare da Mike e Tina come si cucinava la lasagna, che sapeva essere il piatto preferito della latina, e gli ingredienti da prendere al supermercato, di cui avevano fatto la mappa sul dorso della mano.
Era per questo che non le erano bastate per fare la cartina per tornare a casa.
Ad un certo punto si bloccò, annusando l'aria come un segugio; si girò con un sorriso enorme, individuando il carretto degli hot-dog dall'altra parte della strada.
Improvvisamente si ricordò una cosa importante: stava morendo di fame.
Sicuramente Santana non le avrebbe mai lasciato mangiare quel genere di panino con maionese, senape e ketciup tutto insieme. Ma, Santana non poteva vederla in quel momento.
Con un'enorme sorriso rivolse uno "Shh" alla sua pancia e trotterellò verso il carretto bianco.


Cinque minuti dopo la biondina stringeva in mano un panino disgustosamente gigantesco, ripieno di salse di ogni tipo che sembrava volessero esplodere da un momento all'altro.
«Allora Leyuzza mia, pronta per la pappa?» domandò, tendendo poi l'orecchio verso la sua pancia. «Lo sapevo. Bont appettité! O, come si dice.» aggiunse, dando poi un enorme morso all'altrettanto grande hot-dog.
Con un mugugno di apprezzamento e con le guance rigonfie a causa del boccone, riprese a camminare verso il grande supermercato, decisa a non distrarsi più fino a quando non avrebbe portato a termine la sua “missione”. Leccò un grosso rivolo arancione che scivolava lungo il morbido pane e diede un altro enorme morso, quasi la metà di quello che era rimasto, e svoltò l'angolo.
Trotterellò lungo la strada, continuando a fermare le goccioline colorate che di tanto in tanto uscivano fuori dal panino, e, improvvisamente, si bloccò; fece un paio di passi all'indietro e voltò di scatto tutto il corpo. Un sorriso sornione le si dipinse sul volto.
«Pasticceria.» mormorò tra sé e sé mentre gli occhi blu guizzavano da destra a sinistra per controllare che nessuno la stesse osservando.
Prese a camminare davanti alla vetrina come se si trovasse lì per puro caso, mentre si succhiava entrambe le labbra e contemplava le cibarie nel negozio.
Sicuramente Santana non le avrebbe mai permesso di guardare, figuriamoci mangiare, un'enorme ciambella ripiena di crema o panna o cioccolato e ricoperta di tanto, tanto zucchero. Ma, Santana non era lì in quel momento.
Con un sorriso gigantesco, infilò l'ultimo pezzo dell' hot-dog in tasca, rivolse un altro "Shh" alla sua bambina ed entrò nel negozio.


Dieci minuti dopo Brittany sedeva soddisfatta sulla panchina davanti alla pasticceria, succhiando dalle dita i residui di senape e cioccolato e massaggiandosi la pancia con l'altra mano, impiastricciando tutta la canottiera bianca.
«Allora cucciolina mia, ti è piaciuto?» chiese, leccandosi le labbra alla ricerca degli ultimi resti della sua colazione ritardata/pranzo anticipato «Infatti, per questo non lo diremo alla mamma, vero?» continuò strofinando il naso sul grosso rigonfiamento; poi si alzò, stufa di avere le mani tutte appiccicose di zucchero che si incollavano ovunque e si avvicinò alla fontanella danti a lei.

Prese a strofinarsi le mani con cura, eliminando in fretta ogni traccia del cibo che aveva mangiato, sciacquandosi poi anche il viso, sicura che al suo solito si era “sbrodolata come un bambino piccolo”, come diceva sempre la sua San; si asciugò sui pantaloncini e poi prese un grosso respiro, le mani poggiate sui fianchi. Doveva smetterla di distrarsi e fare quello per cui era veramente uscita quella mattina . Basta distrazioni.
«LeeLee, è ora della spesa.» disse canticchiando, portandosi poi la mano destra al volto. Immediatamente i suoi occhi si spalancarono e un'espressione corrucciata si dipinse sul suo volto.
«Mappa.» sussurrò contemplando il palmo della sua mano perfettamente pulito. Era nei guai. Grossi guai. Molto grossi.
Incrociò le braccia al petto e lanciò un'occhiataccia alla fontanella nera.
«Stupida acqua.» commentò «Potevi dirmelo prima?» aggiunse, facendo la linguaccia in direzione dell'oggetto inanimato.
Continuando ad osservare la fontana con disprezzo, prese il piccolo cellulare argentato da dentro il reggiseno e cercò il numero che le serviva in rubrica, avviando poi la chiamata.
Non appena sentì l'avvio della conversazione, le risate di Mike le riempirono la testa.
«B, ti amo. Sappilo.» commentò il ragazzo cercando di parlare tra uno sghignazzo e l'altro. «Tina, paga!» urlò poi alla moglie.
Brittany sbuffò e iniziò a battere il piede per terra, sentendo la risposta di Tina che proveniva da un punto lontano della loro lussuosa casa.
«Non è possibile. Si è persa di nuovo? Le ho fatto le mappe sulla mano!» rispose l'asiatica con una voce esasperata.
«Meno chiacchiere e più contanti.» ridacchiò il ragazzo.
«Quando avete finito di prendermi in giro, mi servirebbe aiuto.» commentò la bionda con un broncio.
«Lo so B. Ma con tutti i soldi che mi fai guadagnare diventerò ricco epotrò comprarmi il ruolo di avvocato migliore dell'anno.» rispose, per poi bloccarsi un momento. «Ops. Fatto senza soldi. Comunque dove ti trovi ora?»
«Non ne ho la più pallida idea, altrimenti non ti avrei chiamato e non avrei fatto spendere i soldi a Tina.» rispose Brittany, iniziando a camminare avanti e indietro.
«Sei davanti a qualche negozio, immagino? O ti sei trasferita nel deserto e non me lo hai detto?» disse Mike con una finta voce offesa, facendo ridacchiare la biondina.
«Sono davanti ad una gelateria.» rispose lei, grattandosi il naso.
«Oh congratulazioni. Sei ufficialmente in Italia per me. Brittany non c'è una sola gelateria al mondo.»
«Ce la faresti arrivare pur di spillare soldi a me.» borbottò Tina.
«Tesoro, per favore. Sto cercando di far tornare in America la nostra povera B.» rispose il ragazzo con una finta voce sconvolta. Brittany se lo immaginava, con una mano sul cuore e una delle sue stranissime facce che associava a quel tono di voce. «Allora come si chiama questa prestigiosa gelateria italiana ce ti ha attratto lì?» aggiunse l'asiatico, interrompendo i film mentali che la bionda stava facendo su di lui.
«Scemo. Sono davanti a ”Le Choccolat”. Mi sono persa Mike, vero? Non tornerò mai più dalla mia Santana e lei non vedrà mai LeeLee e....» iniziò Brittany spaventata per venire interrotta dall'ennesima risata fragorosa dell'amico.
«Meno male, non sie in Italia. E poi B? Guarda a sinistra.»
La ballerina girò la testa nella direzione che le aveva detto il ragazzo e sorrise.
«Oh, il supermercato! Mike sei meglio di un navigatore!» esclamò saltellando.
«Lo so B, meglio di un costoso navigatore riprodotto in Cina.» rise l'asiatico «Ora vado B, devo dare la pappa a Jenna. Ci sentiamo.»
«Ehm, Mike?» chiese lei timida, grattandosi la testa mentre si avvicinava alle porte del grande negozio.
«B?»
«Non è che rimarresti in linea con me? Sai, non ho più la mappa del supermercato e tutti quei scaffali alti, pieni di cose mi confondono.»
«Tina? Paga!» chiamò Mike, ricominciando a ridere.
«Non ci posso credere. Non scommetterò mai più con te.»

 

//
 

Brittany rotolò sul tappeto di casa con tutte le buste della spesa.
Perché gli orchetti avevano deciso di rompere l'ascensore e non far aprire la porta del loro appartamento proprio quel giorno? E perché Tubb non capiva che non si doveva addormentare sullo zerbino?
La ballerina si mise a sedere, massaggiandosi la pancia con un piccolo broncio.
«Ahio.» mormorò, osservando il contenuto delle sue tre buste della spesa riversato sul pavimento.
Forse avrebbe dovuto dare ragione a Mike e prendere solo quello che serviva per preparare la cena a Santana, rinunciando a tutti gli altri vari dolci e salatini di cui aveva voglia. Sicuramente sarebbe stato più facile portare solo la mezza busta per tutte quelle scale.
«Scusa Leya. Non volevo farti male.» disse alla sua pancia, massaggiandola dolcemente. «Dai, sistemiamo queste cose e prepariamo la sorpresa a Mamma Tana, ok?» domandò, alzandosi con uno scatto e stiracchiandosi le braccia.
Chiuse la porta con un piede e poi trotterellò fino al divano, afferrando il telecomando e accendendo la grande TV; la accese e cambio velocemente una serie di canali, fino a trovare quello che le interessava: la sua San avrebbe fatto l'intervista di lì a qualche minuto.
Rifece il percorso al contrario fino alla cucina, accompagnata dalle parole del servizio che stava andando in quel momento, e scavalco l'ammasso di scatole e barattoli che le intralciavano il passaggio per arrivare al frigo.
Sapeva che doveva metterla a posto e iniziare a preparare la lasagna, ma non aveva voglia. E, sopratutto, aveva fame. Purtroppo sapeva perfettamente che Santana aveva nascosto tutto ciò che ci fosse di dolce in quella casa. Lei e le sue stupide preoccupazioni.
Osservò le buste per un paio di minuti, in lotta con se stessa sul decidere se iniziare a mangiare tutte le schifezze che aveva comprato oppure decidersi a preparare la lasagna alla sua ragazza. Oppure....
Con un sorriso gigantesco saltellò sul posto e riprese il cellulare da dentro il suo reggiseno e premette il tasto della chiamata rapida. Dopo un paio di squilli, sentì il segnale dell'avio di chiamata.
«Ti prego dimmi che non ti sei persa per tornare a casa B.» esordì Mike ridacchiando.
«No, tranquillo.» rispose la biondina ridendo assieme a lui. «Ehi M, per caso devi andare a lavoro ora?» chiese poi, tornando seria. Per quanto le consentiva il suo carattere.
«No, avrei dovuto, ma Finn ha detto che la causa è saltata quindi sto tornando a casa. Perché?»

«Sai, le ricette mi confondono e non vorrei fare un disastro visto che è per Santana.» disse, con quella voce che sapeva conquistare chiunque.
«Peccato che non c'è Tina. Mi dovrebbe altri venti dollari.» rispose lui ridendo. «Sono da te tra 5 minuti. Mr Lasagna Master sta per venire lì e cucinare, mentre tu mangi.» concluse e attaccò.
Brittany chiuse il telefono soddisfatta. Era bravissima in questo: costringere la gente a fare quello che voleva lei, quando voleva lei.
Con la stessa sensazione di vittoria di quella mattina, prese il barattolo di yogurt alle banane dal frigo, le barrette ai cereali da una delle buste abbandonate sul pavimento e si andò a sedere sul divano, pronta per lo spettacolo della sua bellissima donna che parlava in TV.
«E ora andiamo da Santana Lopez e dalla campionessa del suo 10° Premio Nazionale per la sua squadra di cheerleader, Sue Sylvester. Santana.» disse la presentatrice bionda per poi fare posto alla sua bella latina.
Involontariamente Brittany sorrise, un sorriso che solo la sua Santana poteva strapparla. Specialmente in quel momento: i lunghi capelli castani legati in due codine alla base della testa, la giacchetta della Cherioos indosso sopra ad un paio di jeans scuri. Era semplicemente magnifica.
«Grazie Nancy.» disse Santana avvicinandosi poi alla loro ex coach. «Allora Sue, il 10° titolo nazionale. Si sente fiera della sua squadra?» domandò.
Brittany non riusci ad afferrare le parole della Sylvester, troppo impegnata ad osservare il corpo sinuoso della sua donna e il movimento delle sue labbra carnose.
Così tanto che quasi non si accorse, dopo che la sua ragazza aveva ripreso a fare domande, di un piccolo calcetto proveniente dalla sua pancia.
La cosa la lasciò un attimo sbigottita, poi sorrise.
«Lo so, LeeLee. Anche io sono fiera della tua mamma» sussurrò, accarezzandosi la pancia.
Con tempismo perfetto, il campanello suonò tre secondi dopo la fine del servizio di Santana. Brittany saltellò fino alla porta e appoggiò l'orecchio sul legno.
«Chi è?» chiese cercando di captare i movimenti.
«Sono io e sono venuto a fare un gioco con te.» rise Mike da dietro la porta.
«Mi dispiace, non conosco nessun Io e non posso parlare con gli sconosciuti.» rispose la bionda, cercando di trattenere le risate.
«Avanti B, prima che faccio la muffa.» commentò l'asiatico, picchiettando sulla porta.
Brittany aprì il portone e sorrise al suo amico, vestito come un pinguino in fuga dal suo paese.
«Come farei senza di te?» chiese.
«Non lo so. Forse moriresti.» rispose sarcastico, per poi infilare le mani sotto i bottoni della camicia bianca. «Allora, baby, sei pronta a ballare?» chiese, aprendo con uno scatto la stoffa e facendo saltare tutti i dischetti di plastica.
Brittany scoppio in una risata genuina, facendogli segno di entrare.
Si prospettava un lungo e divertente pomeriggio.

 

***


Santana varco il ponte con un sospiro. Era stufa di stare dentro quella macchina e stufa di stare sotto al sole. Voleva solo tornare a casa, dalla sua piccola biondina.
Per tutto il corso di quella lunghissima giornata non aveva smesso di pensare a lei: a cosa stesse facendo, a cosa stesse pensando... Non ci poteva fare niente. L'aveva stregata.
Girò la curva che portava al suo quartiere e tirò un grosso sospiro di sollievo nel vedere le case e i negozi che ormai conosceva bene.
Come la gioielleria. Quella gioielleria davanti alla quale passava tutti i giorni per andare a lavoro, quella gioielleria che le affollava la mente da due settimane. Infatti, alla vista dell'insegna luminosa le ritornarono in mente tutti i pensieri che aveva scatenato e, soprattutto, le domande che aveva portato.
Fermò la macchina davanti al negozio, osservando i gioielli esposti in vetrina.
Era pronta? Era ora?
Sì, insomma, ormai erano più di otto anni che stava con Brittany e l'amava alla follia. Non era ora di fare il grande passo?
Non c'era una data di scadenza, che ti imponeva di sposarti dopo un tot di anni di fidanzamento altrimenti di saresti dovuta lasciare ma, perché non farlo?
Brittany sarebbe stata per sempre la sua ragazza, avevano una bambina in arrivo, perché non farla diventare sua moglie?
Ritorno alla prima domanda: era effettivamente pronta?
Scese dall'auto, mossa più da un'azione involontaria che da un vero e proprio comando partito dal suo cervello, e si avvicinò alla vetrina.
Cercava di immaginarsi la sua biondina con uno di quegli anelli che vedeva esposti, tutti troppo grandi e troppo “sofisticati” per lei, mentre attraversavano la navata di una chiesa mano nella mano.
Avanti, sei Santana Lopez di Lima Adjens e hai paura di comprare un anello e fare la proposta alla tua ragazza?” pensò, avvicinandosi alla porta con passo di carica; fece per aprire la porta, ma si bloccò. No, non era per lei. Si voltò e ritornò alla macchina. E si bloccò di nuovo.
Era pronta?
Questa forse era la domanda più difficile a cui aveva dovuto rispondere.
Poggiò la fronte contro il tettino freddo della sua auto e prese un grosso respiro; poi si rialzò, ritornò a passo di carica alla porta ed entrò.
Il negoziante, dall'altra parte del bancone, la osservava come se fosse appena entrata una pazza nel suo negozio.
Santana si lisciò le pieghe della maglietta, alzando leggermente il mento come era solito fare, e si avvicinò a piccoli passi.
Ok , respira. Ora ti avvicini, gli chiedi se ha un anello, lui dice di no e tu torni a casa. Non scappare come una codarda.” pensò tra sé, mentre riduceva la distanza tra lei e l'uomo.
«Buona sera signorina. » salutò cortesemente lui, senza abbandonare la sua espressione preoccupata. «Come posso esserle utile?»
«Salve. Un anello, se possibile.» rispose la latina, sentendosi molto stupida: cosa era entrata a fare lì, a comprare limoni?
«Certo signorina, ma, mi perdoni la domanda indiscreta, non toccherebbe all'uomo comprare l'anello di fidanzamento?» chiese il negoziante, facendole segno di seguirlo.
Santana si limitò ad incrociare le braccia e a rivolgergli una delle sue peggiori occhiatacce che, se avessero potuto lo avrebbero incenerito.
«Allora, a cosa stava pensando?» domandò ancora lui, distogliendo subito lo sguardo dagli occhi scuri della ragazza e iniziando a frugare nei cassetti.
«Non lo so.» rispose Santana, fissando lo sguardo sui riflessi che creava la luce sulle piccole pietruzze incastonate negli anelli. «Qualcosa di semplice e speciale.»
L'uomo ci stette a pensare per un momento, poi tirò fuori tre scatoline di velluto grigio e le aprì in fila sul bancone.
La prima conteneva un anello semplicissimo: un cerchio d'oro bianco con un piccolo diamantino sopra. La latina lo scartò subito, era troppo scontato.
Il secondo era il fratello dell'altro, solo che il metallo si andava ad intrecciare sotto la piccola gemma.
Il terzo fu quello che la rapì totalmente: il cerchio era classico, solo più fino rispetto agli altri; il diamantino al centro era piccolo e, intorno ad esso, i suoi simili minuscoli si andavano ad intrecciare intorno ad esso, fino a formare i petali di un piccolo fiore.
Santana lo prese e se lo portò vicino al volto. Era perfetto per la sua Brittany.
«Questo.» decise senza pensarci due volte, perché sapeva che, se lo avesse fatto, si sarebbe voltata e sarebbe uscita dal negozio.
«Ottima scelta.» disse l'uomo, riponendo le altre scatole e andando verso la cassa.
La latina lo seguì, fissandosi la punta delle scarpe.
Era pronta.
Era pronta per passare il resto della sua vita con la donna che amava. Un po' meno pronta a proporglielo, ma pronta a farlo.
E se B dicesse di no?” Santana venne presa dal panico. Non aveva mai pensato che magari per la sua paperella fosse un passo troppo difficile.
Si bloccò con la mano in cui stringeva la carta di credito sospesa per aria, sotto gli occhi nuovamente preoccupati del negoziante.
«Cos'ha da guardare?» disse la latina, consegnandogli, con un grandissimo sforzo interiore, la carta per il pagamento e prendendo in mano la bustina che conteneva l'anello, che sembrava pesare due quintali.
«Grazie e buona serata.» disse l'uomo, riconsegnandole la sua carta di credito.
Santana annuì e gli voltò le spalle, ancheggiando fino alla porta e cercando di ignorare la gigantesca insegna che le sembrava avere in testa. O, perlomeno, sulla mano.
Salì nella macchina e poggiò delicatamente la bustina blu sul sedile del passeggero, come se ci fosse una bomba che stava per scoppiare.
Accese il motore e partì, superando di gran lunga il limite di velocità nei 500 metri che la separavano dalla sua casa.
Si sentiva maledettamente a disagio. E come se quell'anello riuscisse ad intrappolare tutti gli sguardi delle persone che incontrava per strada.
«Diamine, che cavolo avete da guardare?» disse ad alta voce dopo che l'ennesimo autista l'aveva squadrata. Era sicuramente perché sapevano che stava facendo qualcosa che non doveva fare.
O, magari perché stava infrangendo parecchie regole della strada.
Entrò nel parcheggio del suo palazzo e fermò la macchina nel posto auto riservato a lei; rimase per un paio di minuti a fissare il parabrezza, con la testa piena di nuove domande, sentiva il ronzio di quelle che la tormentavano di più vicino alle orecchie.
Glielo avrebbe chiesto quella sera?
Doveva dirlo a qualcuno o tenerselo per se?
Poggiò la testa sul cruscotto e sospirò. Quella sera lo avrebbe chiesto a lui, l'unico che riusciva ad aiutarla veramente.
Sì, lui l'avrebbe consigliata nel modo giusto. Dopo averla sfottuta per una paio di minuti. O un paio d'ore. O un paio di mesi.
Dopotutto, lui conosceva Brittany come nessun altro.
Con un sorriso, prese il pacco bomba dal sedile accanto a lei e uscì dalla macchina.


Dieci minuti dopo infilò la chiave nella toppa, il fiato corpo a causa della stupida ascensore che non voleva funzionare. Forze quel ciccione che fumava come una ciminiera del capo condominio doveva imparare come si facevano le cose a Lima Adjens. Insieme al gioielliere.
Sentiva le risate provenire dall'interno ma non erano solo di Brittany; aprì la porta e quasi le caddero le braccia per quello che vide: la sua cucina era tutta imbrattata: farina, uovo e sugo erano spiaccicati ovunque e, quello che le fece cadere la mascella insieme alle braccia, furono due paia di gambe che spuntavano da dietro al divano beige.
«Ma che caz...spiterina sta succedendo qui?» domandò poggiando la borsa sopra al tavolino dell'ingresso. Le risate si spensero subito mentre le gambe bianche ( e nude?) che conosceva bene tremarono leggermente.
«Mike. Penso che sia Santana.» mormorò Brittany.
L'altro paio di gambe (nude) tremarono a causa di una risata.
«Già, penso che sia lei.» ridacchiò il ragazzo.
«Secondo te ci a visto?» chiese la bionda, iniziando lentamente a piegare le gambe.
Santana si avvicinò come un gatto al divano, cercando di non ridere e di non urlare dalla rabbia nello stesso momento.
«Direi di sì.» concluse lei, poggiandosi alla spalliera del sofà per osservare meglio i due amici che, decisamente contro i suoi ordini, stavano facendo una verticale a tempo (aveva visto il timer a forma di papera accanto al bracciolo).
Brittany poggiò i piedi sui morbidi cuscini del divano e, con non si sa quale mossa inventata sul momento, fece una specie di ponte e si sdraiò sul divano. Mike la seguì poco dopo.
«Ciao amore.» sorrise la bionda, sbattendo le ciglia.
«B, quante volte ti ho detto che non devi fare queste cose? Almeno, non ora che hai la nostra Leya Sophie nella pancia?» chiese Santana esasperata, portandosi una mano alla fronte mentre fissava i suoi occhi scuri in quelli chiari della sua ragazza.
Brittany mise il suo miglior broncio, cercando di nascondere un sorrisetto, e si portò le mani alla pancia.
«Ahi.» sussurrò, vedendo la latina fare velocemente il giro del divano e sedersi accanto a lei.
«Oh scusa B, non volevo essere cattiva con te. Ti fa male?» Santana iniziò a riversare preoccupazioni sotto lo sguardo compiaciuto della biondina.
Brittany sapeva perfettamente che un qualsiasi segno dalla loro LeeLee, vero o finto che fosse, la faceva addolcire come un pezzo di cioccolato. Strizzò l'occhio a Mike che, con una risata soffocata, raccolse i suoi vestiti dal pavimento e si avvicinò in punta di piedi alla porta.
«Scusa, scusa scusa... asiatico non ti conviene muovere un altro passo.» concluse Santana, passando dal tono dolce e carino a quello che faceva paura a chiunque, senza neanche voltarsi a guardarlo.
Si alzò e incrociò le braccia, guardando Mike con quello sguardo che avrebbe ucciso.
«Quante volte ti ho detto che non le devi far fare queste cose?» disse, battendo il piede sul pavimento.
«Io? Io non sono un Mike.» disse il ragazzo, voltandosi poi a cercare qualcosa da imitare. «Io sono... un attaccapanni!» concluse, alzando le braccia come l'asta di metallo che si trovava dietro a lui.
Santana sospirò mentre Brittany ridacchiava sul divano, portandosi la mano vicino al viso e sventolandola dall'alto in basso mimando un “Abbassa le braccia” con le labbra. Mike eseguì, sfoggiando la più buffa delle sue facce.
La latina non poté fare a meno di sorridere, fino a quando non si accorse dell'abbigliamento dei due.
Mike era praticamente nudo, se non fosse stato per la cravatta sugli addominali lisci, i boxer a coprire quello che dovevano coprire, il calzino sinistro e la scarpa destra. Senza calzino. Come aveva fatto a togliersi il calzino senza togliere la scarpa?
Brittany invece indossava solo la biancheria intima e le pantofole a forma di panda.
«C'è qualcosa che dovete dirmi?» disse Santana, facendo guizzare lo sguardo dalla bionda all'asiatico.
«Oh, ho chiesto a Mike di aiutarmi a fare la lasagna per farti una sorpresa. Lui ha detto che era il più bravo, che non gli serviva neanche di vedere la ricetta, e io gli ho fatto levare un pezzo del vestito ogni volta che aveva bisogno di vederla. E io avevo caldo.» disse Brittany d'un fiato, spalancando le labbra in un sorriso.
«Hai cucinato la lasagna... per me?» chiese l'altra, chinandosi di nuovo vicino a lei.
«Sì. Perché so quanto ti piace e volevo farmi perdonare per la lite di ieri.» ripose la bionda.
«Ti amo così tanto.» disse Santana, dandole un dolcissimo bacio sulle labbra.
«Ehm, in realtà io e il forno abbiamo cucinato la lasagna. Lei mangiava» commentò Mike, mentre si rinfilava i vestiti. «Ok, io torno a casa.» aggiunse, vedendo che le due ragazza erano troppo impegnate a succhiarsi la faccia.
«Ciao.» sussurrarono all'unisono, una sulle labbra dell'altra.
Rimasero a guardarsi per qualche minuto, in quel modo in cui solo loro potevano osservarsi
«Allora paperella bella, cosa hai fatto oggi?» chiese la latina, rompendo il silenzio.
Brittany si irrigidì subito e distolse lo sguardo dal viso della sua donna.
«Niente.» disse, dandole le spalle.
«B...»
«Ok è vero, ho mangiato un hot-dog pieno di tutte le salse che tu non vuoi che io mangi.» disse la ballerina, scoppiando in lacrime.
«B, volevo solo...» provò Santana ma la sua ragazza ormai era partita.
«E ho anche mangiato una ciambella ripiena, anche se tu mi avevi detto di non farlo.» urlò poggiando poi un dito sulla sua pancia. «Ed è tutta colpa di Leya Sophie!»
«Perché mentre mangi è LeeLee e dopo che lo hai fatto è Leya Sophie ed è colpa sua?» ridacchiò Santana sedendosi accanto a lei e costringendola a guardarla.
«Beh... è colpa tua che l'hai messa qui dentro.» commentò la bionda prima di riprendere. «E poi, ho ricattato Kurt anche se tu mi avevi detto che non era bello e, durante il terzo anno, quando abbiamo litigato perché volevo cantare il duetto con te, mi sono alleata con Rachel per far ingelosire te e Quinn e durante l'ultimo anno...» disse prima di ritrovarsi un dito scuro a serrarle le labbra.
«Volevo solo dirti che mi sei mancata.» disse Santana, dandole un leggero bacio sulla fronte. «Allora questa magica lasagna?»
Brittany si asciugò le lacrime e le fece un sorriso, alzandosi dal divano e trotterellando fino in cucina.


Santana si svegliò. Dovevano essere le due di notte passate.
Si sentiva tutta indolenzita. E affamata.
Brittany non le aveva neanche permesso di finire la cena che le era saltata addosso e l'aveva trascinata nel loro letto. Era molto brava a farsi perdonare.
Si voltò su un fianco, ritrovandosi davanti una nuvola di capelli biondi arruffati, che si alzavano e si abbassavano al ritmo delle spalle.
Era pronta ad averla al suo fianco per il resto della vita, e non come ragazza ma come moglie?
Decisamente sì. Ma doveva comunque dirlo a lui.
Quante ore indietro erano? Otto, sette? In entrambi i casi era sicuramente sveglio.
Fece per alzarsi, quando una manina la spinse di nuovo indietro.
«Sai che oggi, mentre guardavo la tua intervista, LeeLee mi ha dato un calcio?» sussurrò la ragazza bionda, con la voce assonata.
«Veramente? Dopo aver sentito la mia voce?» chiese Santana. La loro bambina aveva avuto una reazione nell'ascoltarla alla TV.
Brittany annuì con un sorriso, appoggiando il mento sulla sua spalla.
«Ti amiamo entrambi. E amiamo la tua splendida voce. »
La latina sorrise nell'oscurità. Lo stava dicendo solo perché voleva fare un altro round.
Ma lei non poteva, doveva chiamarlo. Anche se, lui poteva aspettare la mattina dopo per prenderla in giro. Guardò con uno sguardo disperato il computer che l'aspettava sulla scrivania, poi la sua donna nel letto.
Guardò lo schermo nero. Guardò i graffi sulle braccia di Brittany. Guardò la webcam che aspettava di essere accesa. Guardo Brittany leccarsi le labbra.
Ma non poteva, doveva fare quella telefonata, era importante. Con tutto quello che stava succedendo, con Quinn tornata, doveva telefonare. E poi voleva sapere come stava. Deva davvero alzarsi e fare quella telefonata.
«Tana?» miagolò la bionda socchiudendo gli occhi, facendosi camminare due dita sulla pancia prima di farle sparire velocemente oltre l'elastico delle proprie mutandine.
Santana sussurrò un “Al diavolo.” e tornò tra le braccia della sua donna.

 

 

 

Gina's Corner:Gina's Corner: IO ODIO QUESTA M***A DI CAPITOLO!

 

Salve lettori :)

 

Come avrete già capito io e questo capitolo non ci intendiamo.
Non so nemmeno se sia molto utile. Non so nemmeno se sia un capitolo.
E' da gennaio che ci lavoro, scrivevo una riga e poi lasciavo perdere .-. Stupido .-.

Ho seriamente pensato di smetterla e di non scriverla più, perché è stato come i mesi di gravidanza, il parto e la depressione post partum tutte insieme .-.

Per tutti quelli che si aspettavano la cena, mi dispiace. Non potevo accontentarvi subito =)

 

Non chiedetemi il perché della parte Kurtofsky iniziale, o il perché della parte Bike in mezzo.
Non chiedetemi niente che riguardi questa cosa =)

L'unica cosa positiva è Emily, la mia personal Blond!Rachel. Tanto ammore per lei u.u


Per il resto fa palesemente schifo. Quindi se volete tirarmelo dietro e smettere di leggere la storia fate con comodo.
Lo farei anche io.


Inoltre, ho finito i capitoli messi da parte. Con la Pezberry per il concorso di La_Ari e Gleekpanda non ho avuto il tempo di scriverlo.
Quindi bho, non so quando ci rivedremo.

Infine (me ne vado, lo prometto) un saluto alla mia Boo/Beta/PR/sister che mi guarda da Milano.
Un grazie a lei che mi ha letteralmente costretto a continuare questa storia.
Hi my Boo! <3 *agita la manina*

 

Ok, people. Ci si vede =)

 

And that's how Gina sees it!

 

Love! (niente Peace dopo questa cosa. Non me la merito .-.)


 

   
 
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