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Autore: aniasolary    22/08/2012    7 recensioni
Un anno dopo Breaking Dawn, Emily e Sam danno l'annuncio del loro matrimonio. Leah scappa, non ce la fa, non stavolta.
Ma niente è davvero perduto, perché la vita può farci inciampare in qualcosa, qualcuno, che può aiutarci a vivere di nuovo.
"Leah Clearwater è una fenice.
E rinascerà dalle sue stesse ceneri."
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Leah Clearweater, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
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soul's wind 5

Soul's Wind

Capitolo 5

«Ti ho detto che non ci voglio andare. »

Sono davanti alla porta della “camera” di Leah Clearwater - sono riuscito ad individuare il suo cognome grazie ai documenti falsi che le abbiamo procurato.

Sono qui da quasi un’ora a bussare perché esca, ma sembra che sia un impresa impossibile.

«Non immagini che brutta impressione di te si faranno. »

«Non conosci le mie priorità. Sai che me ne importa. »

Sospiro. Ormai sono quasi tre mesi che lavora in ludoteca e che si ostina a pagare un affitto che non c’è. Non sa che ho usato i suoi soldi per comprare nuovi giocattoli per l’ospedale, o per la beneficienza. Con quello che le rimane si compra dei vestiti, scarpe: quello che le serve. E con i quattrocento dollari che ogni volta mi ha messo in tasca contro la mia volontà si sente soddisfatta.

«Ti credevo più intelligente.» affermo. Già, proprio io. In questi mesi la memoria del mio telefonino si è riempita di undici numeri di telefono appartenenti a undici ragazze diverse che aspettano invano che io le chiami.

Nessuno sa davvero perché ormai da tre anni non frequento nessuna ragazza, e quando lei è entrata nella mia vita, scombussolandola, mi ha subito messo in allarme. Il suo atteggiamento è molto simile al mio. Quando ho scherzato sulle voci delle infermiere, lei ha sbuffato guardandomi con un’espressione infastidita. La mia mente è tornata indietro, per un attimo, al tempo in cui non avevo occhi che per lei e per questo avevo creduto che fosse sbagliato.Da qualche settimana invece guardo la foto di lei senza sentirmi i colpa, perché lei, che teneva più alla mia felicità che alla sua, ne sarebbe stata felice. E Leah, con la testardaggine, la risata che nasce quando scherziamo, è riuscita a… rendermi diverso. A non farmi sentire colpevole.

«Sei un idiota. E non c’entra che tu sia laureato. Non dirmi come mi devo vestire, perché mi metto quello che mi pare.» 

Sorrido.

Ma puoi anche non metterti niente, figuriamoci.

 

La tribù degli Ojibwe è una di quelle dalle tradizioni più antiche. E stasera, una fresca sera diaprile, i più anziani si riuniscono per raccontare le nostre leggende. Oggi si soffermeranno su qualcosa che potrebbe interessare molto a Leah, anche se lei si è ostinata a non volerci venire fino a quando non le ho detto che non è intelligente.

Il lago di Opstead è circondato da tanta gente della riserva. I ragazzini scappano alla prima occasione, mentre gli anziani e le donne prendono posto per ascoltare. Un leggera brezza muove le foglie degli alberi e l’erba che calpestiamo, umida per la pioggia avvenuta nel pomeriggio.

E’ stato acceso il fuoco e il vecchio Klaus ha in mano il libro della nostra tribù, di cui alcuni del nostro branco possiedono una copia. A lui non servirà, perché conosce tutto senza l’aiuto di quel vecchio libro.

Io e Leah siamo seduti su un tronco, e le persone l’hanno salutata come se fosse una celebrità. Lei si è sentita imbarazzata nonostante l’apparenza tosta, e ora fissa il fuoco con un espressione pensosa, tralasciando tutti gli sguardi che la sfiorano. 

Non accorgendosi del mio.

Indossa una maglia bianca, aderente e senza maniche, e dei jeans che arrivano fino al ginocchio. Ha i capelli legati, con qualche ciocca che le fa ombra sul viso. 

Caspita se è bella. 

Senza il rossetto che si mette Rossela Blam, l’infermiera del primo piano che mi ha infilato in numero di telefono fra le cartelle che mi ha dato il dottor Holans, senza l’aria civettuola, senza la risatina fastidiosa. 

Deglutisco. Ho la testa in fiamme.

«Smettila di fissarmi, mi infastidisci. »

Distolgo lo sguardo, subito. Avrei dovuto ribattere, dire qualcosa. A volte devo stare attento a quello che penso, a che cosa penso, alle cose che potrei fare… e non dirle ad alta voce.

«Voglio dire, non è che mi infastidisce… è che, per me è strano. »

«Afferrato.»

Klaus si schiarisce la voce. E’ un uomo anziano, di circa settant’anni, porta dei grandi occhiali da vista, i capelli sono grigi e lunghi fino alle spalle, i lineamenti tanto simili agli indiani d’America a cui io non assomiglio per la chiara e prorompente differenza dei geni di mia madre.

«Accogliamo nella nostra tribù questa ragazza, Leah Clearwater, proveniente dalla tribù dei Quiliute, come seconda donna lupo mai nata nella storia di tutti i branchi a noi conosciuti. Hai mai sentito parlare della storia di Akira, Leah? » le chiede. Tutti gli sguardi adesso sono su di lei. Lei rimane immobile, come se stesse mandando giù qualcosa di grande e pesante, poi risponde, con voce chiara.

«No… mai. Non credo che i Quiliute conoscano delle vostre leggende.» dice lei. Klaus si siede sul suo tronco e comincia a raccontare.

«Akira è stata la prima donna lupo di cui ci siano rinvenute informazioni. La sua storia risale ai tempi della venuta degli spagnoli nel Minnesota. Gli imbarchi , come raccontano le leggende, erano stati come area di transito anche per trasportare i vampiri nel nuovo mondo. I lupi sono sempre stati i più grandi nemici degli esseri freddi, ma la loro forza non è sempre stata necessaria. Le anime dei lupi, forti e coraggiose, hanno trovato posto nei corpi degli uomini per allearsi e combattere insieme. Noi pellerossa, al contrario degli uomini bianchi, non siamo mai stati popoli violenti e assetati di potere e in questo modo qualunque tipo di uccisione fosse avvenuta, sarebbe sempre accaduta per il bene reciproco.

Nessuna donna, prima di lei, era mai stata una muta-forma: la difesa del popolo è sempre stata affidata agli uomini. Ma l’anima del lupo, quando si presentò a lei, nel sonno, le disse: “Gli uomini del tuo villaggio sono buoni, forti e valorosi, ma nessun cuore può avere il coraggio di una donna, e il coraggio della donna è la dote più grande in ogni battaglia. Difendi il tuo popolo come faresti con i tuoi figli, il lupo sarà sempre con te, il lupo sarà la forza nelle tue braccia, il tuo cuore sarà la spinta che ti renderà onore.”

I vampiri non erano a conoscenza della presenza del lupo nel corpo di una fanciulla. Quando cominciarono ad attaccare Opstead, il branco decise di trovare un modo per uccidere i freddi in modo astuto. Avrebbero offerto ai non-morti il sangue della ragazza più bella, Akira, dai lunghi capelli neri e il viso di un angelo. Loro furono allettati da quella nuova prospettiva, così accettarono. Quando lei si avvinò al loro accampamento, i freddi scambiarono il suo odore non per il suo, ma per quello dei lupi con cui era sempre stata a contatto. Il sangue della più bella avrebbe posto fine a tutte le uccisioni improvvise da parte loro, e avrebbero lasciato il villaggio.

Quando i freddi si trovarono davanti a lei, videro tutti i vestiti strapparsi e volare nell’aria ad una velocità che neanche loro conoscevano. Della ragazza erano rimasti solo i suoi occhi scuri in un lupo grande e forte, dalle zanne affilate e assassine. In suoi aiuto accorsero gli altri uomini, in forma di lupo, che bruciarono i corpi dei freddi per mettere completamente fine alla loro esistenza.

Durante il periodo della trasformazione, Akira non poté avere figli, al contrario degli uomini. Per più di trent’anni lei rimase nella perenne condizione di donna giovane per difendere i bambini, le donne, e gli anziani della sua tribù. Divenne il capo branco, quando il lupo più vecchio decise di abbandonarsi alla vita umana e aiutò i nuovi lupi nel loro lavoro di protezione.

Dopo trent’anni smise di trasformarsi, lasciando il potere al grande lupo Jayden. Ella Si innamorò di un uomo che non aveva l’anima del lupo, un anno dopo la fine della sua trasformazione cominciò ad invecchiare e a riprendere il suo normale ciclo di vita e la vita le donò due figli maschi.

E’ stato rinvenuto il suo ritratto, conservato dalla mia famiglia per secoli, e la sua storia è stata trascritta in questo libro, come tutte le informazioni sui freddi e i muta-forma. Il libro è stato sempre più arricchito, di generazione in generazione. Più nessuna donna ha fatto parte di un branco di muta-forma, fino a quando, Leah, non abbiamo saputo di te. »

 Klaus smette di parlare. Leah è rimasta ad ascoltare, incantata, e ormai tutti guardano lei, che sembra non esserne minimamente scossa.

«I Quiliute devono reputarsi fortunati ad avere te, Leah. Non sono a conoscenza dei motivi per cui hai lasciato la tua terra, ma io solo fatto che tu l’abbia lasciata, nonostante non abbia continuato a proteggere la riserva con i tuoi uomini, ti rende coraggiosa. Ci sono delle volte in cui il lupo stesso si può opporre alle decisioni che prende l’uomo, o in questo caso, la donna, ma il lupo è parte di noi, conosce le tue debolezze come lui conosce le sue. Se ti ha portato fino a qui, lui sapeva che lo facevi per una buona causa, qualunque essa sia. Il destino, come viene scritto nelle leggende, in questo libro, nei ricordi di questa gente, esiste e sorprende.  Sono lieto che tu sia qui e che ti sia trovata bene nella nostra comunità. Sarà splendido per noi, quando vorrai, se vorrai raccontarci alcune delle vostre leggende. »

Tutti applaudiscono, mentre  Klaus le stringe la mano. Leah sembra commossa, incredibilmente… felice, nonostante la stretta della sua mano volesse in continuazione sottolineare quanto fosse forte e incapace di farsi toccare emotivamente.

Klaus si allontana, seguito da altri anziani, mentre molte ragazze, fra cui anche Mia, Jesse, Corinne, fidanzate di alcuni del branco, si avvicinano a lei.

I ragazzi mi vengono incontro in tutta al loro spavalderia, rigorosamente senza maglietta e con una birra in mano. Loro conoscono Leah almeno da due settimane, grazie a lei avevano trattenuto un paio di battute maschiliste e sconce, comportamenti animaleschi, che assumevo anch’io, e anche visto un documentario senza capire niente.

«Bene, bene… allora, ragazze, che ne dite di andare a festeggiare?»

Oliver prende per il fianco Mia, i capelli castani ramati in una lunga treccia, in un modo brusco che lui crede dolce.

Il viso di Leah assume un’espressione sconcertata per cui le ragazze si mettono a ridacchiare. Nonostante la paura di dover “uscire” con tutta quella banda di pazzi, non si può non notare quanto Leah sia felice.

«Non ti spaventare. Non sono poi così matti e stupidi come sembrano.» farfuglio, avvicinandomi al suo orecchio. Quei cretini del branco cominciano ad ululare.

«Piantatela, se non volete che vi metta un prugna in bocca. »

Tutti si spengono in un silenzio comico. Faccio un cenno a Leah, ancora su di giri e incapace di obbiettare per raggiungere la mia auto; forse sarà una bella serata.

 

 

«Vuoi qualcosa da bere? »

«Eh? »

La musica è così alta che per parlare dobbiamo praticamente strillare; i ragazzi impegnati sono troppo occupati a sbaciucchiare le loro fidanzate. All’imprinting non possono sfuggire neanche queste teste senza cervello.

Quelli liberi corteggiano le cameriere o ballano come zombi sulla pista. Hanno avuto il buon senso di recuperare una maglietta, anche per quel piccolo locale di Opstead.

«TI HO CHIESTO SE VUOI QUALCOSA DA BERE! »

Leah ride, scuotendo la testa. Mi aggrego anch’io, che non riesco a credere di trovarmi davvero qui, in questo locale, con lei, come se stessimo uscendo insieme per davvero.

Sembra che il racconto di Akira, forse per il suo coraggio, per la maternità, per l’ingegno, l’abbia letteralmente tranquillizzata, resa più consapevole e in questo modo contenta di essere quello che è. Questo sorriso è vero, niente di fasullo o programmato. E’ suo.

Le faccio un gesto con le braccia per farle capire che vorrei farla ballare. Lei scuote di nuovo la testa con disapprovazione. Il sorriso è scomparso.

Posso leggere il suo labiale, dice: “Neanche se mi spari”.

Mi alzo dallo sgabello e la tiro in pista. Lei affondai piedi sul pavimento, ma io sono, molto, molto più forte di lei. Non vado in un posto simile dall’età della pietra – il secondo anno dell’Università -, e credo di aver dimenticato come si balla in modo da far venire fantasie alle donne. Ma la canzone, dal ritmo sostenuto e suggestivo, mi premette di prenderle le braccia e mettermele intorno al collo.

«Tu sei pazzo.»mi grida nell’orecchio.

«Colpa tua. »

Le faccio fare una giravolta imbranata, che nella mia immaginazione era molto più spettacolare. Le nostre mani si intrecciano, sono calde. Mi sento percosso: una specie di brivido che parte dalla schiena e mi pizzica il collo. Lei sospira contro la mia camicia. Il suo corpo contro il mio mi impedisce di trattenere i pensieri, di pensare ad altro, cose che non ho pensato per molto tempo e che lei ha risvegliato. Prima con la sua risata trattenuta, poi con il suo atteggiamento... e con quello che sta succedendo ora.

La canzone termina e ne comincia un’altra più movimentata. Lei scioglie la presa delle nostre mani e si dirige fuori da questo grande ammasso di persone. Dove sta andando? Non voleva? Anche lei ha sentito la stessa cosa che ho percepito io?

Ho il cuore in gola, e con il battito che mi percuote la pelle e mi fa tremare, trovo la forza di muovermi, ancora impalato in mezzo alla sala, e le faccio cenno di uscire. Lei non capisce all’inizio, ed io cerco di fermare il tremore della voce per rendermi comprensibile. Le luci del locale svolazzano sul suo viso, nei suoi occhi scuri.

Sei bella, Leah. E non solo. Chiunque ti abbia fatto scappare, non si è reso conto di quello che ha perso.

Siamo nel parcheggio del locale, appoggiati ad una rampa di scale per le biciclette. E’ buio, le luci sono deboli e si riflettono nei finestrini della auto vuote. Sono riuscito a gestire il nervosismo e adesso sembra che io sia quello di sempre. E' tutta colpa sua, naturalmente.

«Sono riuscito a farti ballare, per questo ti chiedo cento dollari in più per l’affitto. »

«Sbruffone.»

«Per altre cose però… non c’è bisogno che mi paghi… »

Lei distoglie lo sguardo, allibita. Trattiene una risata.

«Cretino. »

I capelli due ore prima raccolti in una coda sono più che scompigliati, lei li scioglie per riportarli su. E’ un movimento che quasi mi stordisce. Appoggiato alla ringhiera, la mia temperatura corporea non è mai stata così fuori luogo, così forte e invadente. Sento il profumo alla vaniglia che mia sorella le ha prestato, ma non posso fare a meno di pensare a lei, Leah, a stasera, a quando l’ho raccolta in una coperta per portarla a casa mia, a quando aveva intenzione di darmi qualcosa in testa, a quando mi ha messo in tasca quattrocento dollari… 

Si è fermata. 

Io ho appena cominciato a muovermi.

Non ci sono colpe. 

Leah mi guarda e non capisce.

Non ci sono rimpianti. 

Io la guardo e trovo tutto.

Non ci sono imprevisti.

Lei lo avrebbe voluto.

C’è il bisogno di colmare la distanza.

Di chiudere gli occhi.

Di essere più vicini.

La sfioro con le mani, lei chiude gli occhi.

E c’è il buio, sotto il mio sguardo, con le mie labbra sulle sue. Le sue mani bollenti, che mi toccano. Per la prima volta non sono io a scottarmi, per la prima volta, ci scottiamo entrambi.

Schiudo le labbra ma è come se non esistessi, è come se esistesse solo questo. Lei che sorride, lei che si appoggia a me, lei che poggia la sua testa sulla mia spalla, lei che prende un bambino in braccio, lei che mi dice di non voler venire con me, lei che esce di casa per comprare qualcosa.

Le mie mani scendono sui suoi fianchi.

Non dovevo ma non importa. 

Ed è come se stessi accarezzando qualcosa che sta per sparire… scomparire in un attimo. 

Un graffio lungo la nuca.

Un morso alle labbra.

E la luce.

Il dolore…

«Non provarci mai più. »

Sento il pugno lungo la guancia, e il sangue che sgorga lentamente dalle ferite delle sue nocche. La sopresa è così forte da far annebbiare tutto. O forse è la delusione.

«Mi fai schifo, hai capito? E’ per questo che mi ha tenuto in casa mia, è per questo che mi hai aiutato? Volevi divertirti con me? Pensi che io non abbia dei sentimenti? Pensi che non ci penserò? Pensi che per me non sia importante? »

So che guarirò presto, come ogni volta. Ma sento che lei sta calpestando il cuore con ogni, singola, parola. Ha le lacrime agli occhi, ma quando la mia vista ritorna quella di sempre non riesco più a trattenere la rabbia. Sento il viso incandescente, ma mai un ondata di gelo più forte è riuscita a  travolgermi in questo modo.

«Ti odio! Tutti uguali! Siete tutti uguali, voi! Schifosi! Chi se ne importa, vero? Se domani avrò l’imprinting e la mollerò per la mia ragione di vita, chi se ne importa di lei?Mi è già successo, non sono pazza! Sam… lui la sposerà, è come se fra noi non ci sia stato niente! Credevo che per te fossi più importante di una di tutte le tue infermierine poco di buono! Ed io che credevo di potere anche solo minimamente assomigliare ad Akira, lei almeno si è innamorata di una persona normale e non per la seconda volta di… di uno... Oh, Dio. Ecco, adesso è anche colpa mia. Non sarei dovuta rimanere un secondo di più, quel giorno. Me ne vado subito, non avrai disturbi. »

Qualcosa scoppia, dentro di me. E’ un nome pensato, ripensato, sognato, detto ad alta voce, mormorato nel pianto.

Grace.

Grace che rideva.

Grace che piangeva.

Grace che voleva il suo diritto di esporsi.

Graze che mi abbracciava.

Grace…

«Perché vieni sempre qui, Brian? »

« Perché sei importante.»

Il letto dell’ospedale è troppo largo e troppo lungo per lei. I capelli ricci e scuri danno colore al suo cuscino.

«Io non so se potrai continuare a venirci.»

«Certo che verrò, Grace.»


«Io l’ho già avuto l’imprinting, Leah. »

Lei si volta ancora verso di me, ma rimane immobile, le lacrime scendono indipendentemente da quello che vorrebbero i suoi occhi. Così come fanno le mie, che non si vedono. Perché io sostengo il suo sguardo, mentre dentro brucio in qualcosa tenuto nascosto, seppellito in fondo per impedire che mi ferisse ancora.

Le sue lacrime, sottili e trasparenti, sgorgano dai suoi occhi grandi sul suo volto cereo. Nessun bambino… nessuno, dovrebbe soffrire così come sta facendo lei.

«Mi fa tanto male.»

«Guarirai, devi resistere.»

Le tengo la mano, cercando di guardare un punto in modo fisso. Così diventa più facile trattenere le lacrime. Lei guarda i suoi giochi, mentre il pianto scorre su un volto che sembra assente. Che sembra volato in cielo.

«Non so se… se ci sarò ancora, ma voglio che tutte le mie cose le abbia il tuo ospedale, oppure Helly, la bambina del terzo piano. A lei piacciono tanto i miei e sua madre non può comprarli.»

« Non dire così, piccola, non dire così. »

 

Adesso potrei essere io ad odiarla, a umiliarla per quello che ha detto.

Eppure ti voglio, ti voglio lo stesso. 

Per quanto sono sbagliate le cose che ha pensato, per come è finita male una sera cominciata nel migliore dei modi, in cui non esisteva nessun licantropo e nessun vampiro ma soltanto Brian e Leah, so che quello che è riuscito a farmi svegliare da quel brutto sogno è ancora qui, davanti a me. Anche se il dolore sembra più forte.

«Lei è morta. » Mi tocco la ferita sulla guancia. Non sento niente. C'è qualcosa che mi fa più male di tutto il resto.

*

*

*

*

Facciamo che io non dico niente. Non picchiatemi *-* *-* occhi dolcissimi :) 

La tribù degli Ojibwe esiste davvero, nel Minnesota, e la storia di Akira l'ho inventata io.

Spero che vi sia piaciuto e, inoltre, ringrazio tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo :) Posso dirvi che potrei farmi perdonare nel prossimo capitolo, potrei...

Grazie mille a chi ha recensito <3 <3 <3  grazie davvero :)

E, per mia tristezza, questo è il penultimo capitolo, quindi il prossimo sarà l'epilogo di quessa mini-storia. Ho anche realizzato un banner, è questo qui sotto. Diciamo che al giorno d'oggi (xD) sono più brava con Photoshop, questa l'ho realizzata l'anno scorso :)

               leah e brian 

Al prossimo e grazie a tutti :)

Ania <3

   
 
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