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Autore: breakdown    22/08/2012    2 recensioni
Lacrime silenziose cominciarono a sgorgargli dagli angoli delle palpebre mentre la disperazione lo invadeva. Gli occhi morti del fratello furono l'ultima cosa che vide prima di sprofondare nell'oscuro abisso.
Occhi spenti.
Spalancati.
Occhi che l'accusavano.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO PRIMO



 
Il portone si richiuse alle sue spalle con un tonfo secco e una folata d'aria gelida lo investì in pieno viso, graffiandoglielo. In torno a lui, una distesa di nebbia ad accoglierlo. Nebbi così fitta da sembrare poter inglobare qualsiasi cosa impedendole le fuga. E questo per l'eternita. 
Nonostante le gambe gli pesassero come macigni, cominciò a correre imboccando una direzione a caso. Era impossibile orientarsi. Era come correre ad occhi chiusi. Se fosse stato furbo, forse, avrebbe avanzato con più cautela, tenendo le braccia ritte dinanzi a sé. 
Inciampò nei suoi piedi più e più volte e ogni volta si rialzava sempre più sgomento, riprendendo la corsa. E, dopo un tempo che a lui parve infinito, come per miracolo, la nebbia cominciò a diradarsi lentamente, dando spazio a un paesaggio ancora più terrificante. Un paesaggio tetro. 
Buio.
Spettrale.
I rami spogli degli alberi, come una cornice, s'innalzavano imponenti verso il cielo tumido, quasi volessero raschiarlo. 
Si lasciò cadere sulle ginocchia, noncurante del dolore che gli avrebbe provocato. Dopotutto, quella era una sconfitta per lui. Era stato sconfitto. Sentì una lacrima rigargli il viso, seguita dalle sue compagne che presto si sarebbero depositate sul suolo accanto alle altre ormai cadute. Ma non era lui a piangere, era il cielo. 
Lanciò un grido acuto, quasi disumano, che continuò a rimbombargli nella testa come se vi fosse rimasto intrappolato. Ma, proprio in quel momento, accadde. 
Una mano si levò dal terreno spoglio, quasi arido, e sembrò risplendere di vita come una macchia di colore in un film bianco e nero. Meccanicamente vi si avvicinò, come se il suo corpo obbedisse di volontà propria, e afferrò la mano che stava lentamente emergendo dal terreno, cercando di estrarre anche il resto del corpo sotterrato. Finalmente, dopo innumerevoli sforzi, il corpo si issò su, lentamente, per poi guardare negli occhi il suo salvatore, che rimase pietrificato. Riconosceva quei capelli arruffati tendenti al rossiccio, quel volto dai tratti gentili, quel corpo esile.
Gli mancò il respiro.
«Finalmente ci rivediamo, fratello», disse la figura che era appena emersa dal terreno, porgendogli una mano che improvvisamente divenne scheletrica, come il resto del corpo. 
L'altro cercò di urlare ma si accorse di non aver voce. Provò a correre, ma i suoi piedi stavano affondando nel terreno come se si fosse improvvisamente trasformato in sabbie mobili. Una perfetta trappola mortale. 
«Pensavi davvero che non sarei passato a prenderti? Tranquillo, il biglietto è gratuito e ovviamente senza ritorno. Ora capirai cosa significa non aver avuto l'opportunità di vivere la vita fino in fondo e non aver un futuro che hai sempre sognato».

 
Si svegliò di soprassalto, ansimante, la fronte imperlata di sudore. Si guardò intorno ancora scosso di tanto in tanto da leggeri brividi. Era nella sua stanza e tutto era come l'aveva lasciato. La sveglia segnava le quattro. 
Tirò un sospiro di sollievo realizzando che si era trattato solamente di un sogno. Ma non di un sogno qualunque, di quel sogno. Il sogno che continuava a tormentarlo ogni notte da quando suo fratello era morto. Sua madre pensava che fosse diventato pazzo. O, almeno, non aveva mai pensato che fosse completamente "sano" da quando le aveva comunicato la tragica notizia. Era stato per questo che aveva deciso di trasferirsi a Londra. Per evitare occhiate fugaci da lontano seguite da pettegolezzi. Non voleva più vivere in un paesino dove tutti la conoscevano come "La Madre che ha cresciuto un Assassino". 

 
«Liam, svegliati, è già tardi. Dobbiamo andare», urlò sua madre dal piano di sotto.
La verità era che non aveva chiuso occhio e, come al solito, aveva passato la notte a osservare le costellazioni. Già, le costellazioni. Perchè le stelle non se ne vanno mai e sono sempre lì, ad aspettarti, senza mai abbandonarti, qualsiasi cosa accada. 
Scosse la testa per scacciare quei pensieri e si precipitò al piano di sotto. 
La casa era vuota. Fin troppo. Dopotutto era normale visto che stavano traslocando, il che era un bene. Non vedeva l'ora di andarsere da quell'odiosa cittadina. Troppi ricordi dolorosi. Doveva lasciarsi il passato alle spalle.
«Che brutt'aspetto», osservò sua madre. «Non hai chiuso occhio nemeno stanotte, vero?»
Le diede le spalle senza degnarsi di risponderle e uscì dall'abitazione. Cercava di dimostrarsi comprensiva, ma in realtà non lo era affatto. 

 
Un'ondata di ricordi continuava ad invaderlo in ogni momento della giornata e, quando riusciva a sprofondare nel sonno, nemmeno i sogni non sembravano volerlo risparmiare. 
Sospirò rumorosamente e si alzò dal letto, stiracchiandosi. Nonostante l'orario, decise di uscire a prendere un po' d'aria fresca. Afferrò il giubbotto per poi aprire lentamente la porta e sgattaiolare fuori dalla sua stanza, facendo attenzione a non far il minimo rumore. Non aveva voglia di svegliare sua madre per poi doversi subire il terzo grado da lei. Richiuse lentamente la porta e si precipitò lungo il corridoio. 

 
Le vie di Londra erano deserte e le luci delle case spente. Segno che, fortunatamente, la città era ancora addormentata. Dai tetti scuri si ergevano piccoli caminetti che rilasciavano boccate di fumo denso, mentre le pareti delle case erano realizzate con mattoni di tutte le tonalità di grigio esistenti, proprio come in un film in bianco e nero. Tutto ciò dava un'aria piuttosto vittoriana.
Liam camminava lento tra i vicoli della città con un'andatura lenta, quasi studiata. Camminò fino alla zona centrale della città per poi imboccare un vicolo che conduceva al parco, un'immensa macchia verde piena di alberi e piccole costruzioni qua e là: un ottimo luogo dove recarsi se si era in cerca di tranquillità. Arrivò davanti una panchina dove vi si lasciò cadere con un grosso sospiro. Era distrutto. Stufo di vivere un'esistenza fatta di rimpianti. 
Si tolse il cappuccio lasciando che i capelli gli ricadessero agilmente sul collo, accarezzandolo lievemente a ogni sospiro del vento. Alla luce fioca di un lampione non molto distante, apparve un volto stanco e tirato.
Scivolò lentamente nel sonno, cullato dalla solitudine.
 


 
Un cinguettio allegro risuonava in lontananza accompagnato dal fruscio indistinto del vento. Le prime luci dell'alba accecarono completamente Liam e la vista gli si annebbiò un istante. La città si stava lentamente risvegliando e le vie diventavano sempre più affollate man mano che il sole si levava alto in cielo. Il ragazzo sbadigliò rumorosamente passandosi una mano tra i capelli ancor più gialli sotto la luce del sole e guardandosi intorno. I passanti lo squadravano da lontano con diffidenza e poteva ben immaginare cosa gli passasse per la testa. Le condizioni in cui si trovava non gli garantivano di certo un bell'aspetto e agli occhi degli altri apparriva malsano, smunto. Si issò su con estrema lentezza e ripercorse tranquillamente la via del ritorno, accompagnato dalla fragranza intensa e pungente del caffé proveniente dai bar. 
 
 
«Accidenti, Liam!», sbottò sua madre più infuriata che mai. «Domani sarà il tuo primo giorno nella tua nuova scuola e tu trascorri la nottata fuori casa. Non so più cosa fare con te».
«Niente, mamma. Non c'è niente che tu possa fare ormai», sussurrò il ragazzo a testa bassa, prima di dirigersi nella sua camera e sbattere violentemente la porta alle sue spalle.
La madre sospriò, rassegnata. Avrebbe dato tutto per poter tornare alla vita di una volta. Una vita normale, felice.
Da quando Gabriel li aveva lasciati, Liam, da ragazzo allegro e vivace, era diventato un tipo silenzioso e solitario e aveva tagliato tutti i legami col mondo esterno: non riusciva più a legarsi con le persone. Non voleva. Trascorreva, invece, le giornate chiuso in camera a pensare a suo fratello, a come sarebbe stata la sua vita se lui non l'avesse ucciso.
Sicuramente migliore, non c'erano dubbi.
Non riusciva ad andare avanti, non riusciva ad accettarlo. Proprio come un orologio rotto, la sua vita sembrava essersi fermata dopo quel giorno; quel giorno, una parte di lui, chissà quale e quanto importante, era morta, portando con sé Gabriel, suo fratello. 
 
 
 
 
~ ANGOLO DELL'AUTRICE
Ohoho, ed eccomi di ritorno con un nuovo capitolo! Perdonate l'attesa ma in questi giorni sono stata straimpegnata e non riuscivo a ritagliare un po' di tempo per scrivere ç_ç gomen nasai! 
Passando alla storia, questo capitolo può essere visto come una breve introduzione alla storia vera e propria -che comincerà a svilupparsi dal prossimo capitolo- per capire un po' lo stato d'animo del povero boccioloLiam dopo la tragica morte del fratello. 
Ho scelto Londra come città perchè, beh, la amo. Ma non perché attualmente Londra è la città preferita dalle ragazzine ossigenate dato che New York è passata di moda, no no. La visitai anni fa, al tempo avevo non più di 10 anni, e mi colpì subito quella città. Non so cosa in particolare, ma qualcosa me la fece subito amare. E chiedo perdono anche per le indicazioni perchè dopo tanti anni non ricordo più dove si trova quello e quell'altro e non c'ho sbatti di controllare la piantina. Gneheh.
Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento e, ancora una volta, perdonate la sottoscritta per l'attesa. ç//A//ç
  
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