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Autore: lafilledeEris    22/08/2012    5 recensioni
Gli altri lo chiamavano “Secchia”, lui preferiva definirsi un nerd.
Vita sociale ridotta al minimo, capacità innate verso i videogiochi e uno spiccato interesse verso ciò che poteva accrescere la sua conoscenza.
Mai si sarebbe lamentato di tutti quei luoghi comuni. Ma ora capiva che doveva deporre le armi e piegarsi a quello che gli veniva chiesto- ordinato.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sexy Nerd

E’ tutta una questione mentale


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Capitolo 1:
“Brainstorming – Ovvero quando Ryder connobbe Mylo.”



“Ci deve essere qualcosa che non va”.
Mylo fissava incredulo il foglietto spiegazzato fra le sue mani. Era un errore. Doveva
sicuramente trattarsi di un errore. Rigirava il pezzo di carta, come per cercare ulteriori spiegazioni. Quello che otteneva era sempre lo stesso risultato. Una “F” beffarda faceva bella mostra di sé sulla sua pagella. E così anche Mylo Arthur Whellington aveva preso una “F”. Una clamorosa, stratosferica insufficienza andava così a rovinare l'immacolata carriera del ragazzo.
Il preside seduto dall’altra parte della scrivania tamburellava le dita sul bordo di questa, fissandolo in maniera insistente.
“Whellington”. Piccola pausa, segno che nemmeno lui sapeva bene cosa dire. “A tutti capita di avere dei periodi no”.
A quelle parole alzò gli occhi cielo. Sfortunatamente quel gesto venne intercettato dalla madre seduta accanto a lui, che con molta nonchalance gli diede un calcio ben assestato allo stinco.
Riuscì a stento a trattenere un gemito di dolore – insieme a delle parole molto poco carine – cercando di piegarsi in avanti senza farsi notare.
“Signor preside…”
“Mi chiami Arnold”. Il preside sorrise in direzione della signora Whellington. Mylo a quelle parole aggrottò le sopracciglia, mentre spostava lo sguardo dalla madre al signor Miller.
Un attimo.
Ci stava provando. Il preside ci stava provando con sua madre. Ok, si stava sentendo male. Va bene che i suoi erano separati, non era un mistero, ma che fra i pretendenti di sua madre ci fosse il preside. Era davvero troppo.
“Arnold, tu puoi chiamarmi Erica...”
E a sua madre tutto questo andava bene. Lo aveva capito da come batteva le ciglia. Stava civettando con lui. In quel momento pregò che una voragine si aprisse sotto la sua sedia. “Non credi che si potrebbe trovare una soluzione?” s’informò la madre. “Insomma , manca ancora un po’ alla fine delle semestre. Potrebbe recuperare?”
Il preside aggirò la cattedra e andò a poggiarsi – con tutto lo spazio a disposizione che aveva – accanto a Erica. Era palese che stesse cercando di assumere un’espressione sensuale. Con scarsi risultati. Pessimi.
“Sappiamo tutti quanto sia portato per lo studio…”
“ Ho una delle medie più alte di tutta la scuola!” intervenne il ragazzo, un po’ per difendere il proprio lavoro, un po’ per ricordare ai due adulti che era lì con loro.
“Non si può fare nulla?” tentò Erica.
“Posso ancora recuperare!” borbottò Mylo, buttandosi di peso contro lo schienale della poltrona.
Ormai era al limite della sopportazione.
Ancora non realizzava che lui – capitano della squadra degli scacchi, fondatore del club del libro e leader della squadra delle “Mateolimpiadi”, il campionato studentesco di matematica – avesse problemi in ginnastica. Rischiava l’anno per quella stupida materia. Era vero che ogni tanto – tre sì e una no – durante le lezioni aveva optato per sedersi sugli spalti e guardare i suoi compagni fare allenamento. Per discolparsi poteva dire però che mentre loro correvano come disperati – e sudavano come maiali – lui si portava avanti coi compiti delle altre materie. Che poi puntualmente qualcuno veniva a chiedere. Non aveva mai capito, anzi si era sempre rifiutato di farlo, l’utilità dell’attività fisica a scuola. Qual’era il fine di mettersi in calzoncini, anche in pieno inverno, e correre come disperati?
Secondo Mylo, nessuno. Lui, in vita sua,non aveva mai fatto attività sportiva. Era consapevole di non avere nessuna propensione verso lo sport. E ringraziava ogni giorno chi gli aveva donato un fisico magro e asciutto. Niente muscoli ben definiti, nessuna tartaruga, niente addominali. Solo una pancia piatta e anonima. Gli altri lo chiamavano “Secchia”, lui preferiva definirsi un nerd. Vita sociale ridotta al minimo, capacità innate verso i videogiochi e uno spiccato interesse verso ciò che poteva accrescere la sua conoscenza. Mai si sarebbe lamentato di tutti quei luoghi comuni. Ma ora capiva che doveva deporre le armi e piegarsi a quello che gli veniva chiesto – ordinato. Mylo avrebbe fatto ginnastica seriamente. Si sarebbe impegnato a recuperare quell’insufficienza e avrebbe messo fine a quel supplizio. “Credo di avere la soluzione a questo problema!” annunciò un euforico – e fin troppo ottimista – preside Miller. Prese il ricevitore del telefono e digitò un numero.
“Signora Callie, mi mandi qui la nostra tutor di ginnastica”.
Avevano una tutor di ginnastica? E a che serviva? Mica era come le altre materie…Le elucubrazioni di Mylo vennero interrotte quando qualcuno bussò alla porta.
“Dio, sono finito!” aveva pensato Mylo. Dietro quel pannello di truciolato, si trovava il suo carnefice. Quando si rese conto di chi fosse la persona, per poco non ci rimase secco. Nella sua divisa da cheerleader blu marino, perfetta in ogni dettaglio – dallo scollo a V alle pieghe della gonna – aveva appena fatto il suo ingresso Ryder Thomas. Vice capitano dei Penguins, rappresentante d’istituto e reginetta del ballo per due anni di fila. Un curriculum di tutto rispetto, che poneva lei al vertice della catena alimentare, altrimenti detta liceo, e metteva lui alla fine della suddetta. “Salve! Perché mi ha chiamata?” domandò la ragazza, sistemandosi la fluente chioma biondo ramato su una spalla. “Ryder, devo chiederti un favore” disse il preside. “So che fai parte del gruppo di tutor della scuola…” Mylo non poteva ancora crederci, ma era così. Lei era un tutor, proprio come lui. Solo che non riusciva ancora a capire come le parole “Ryder”, “cheerleader” e “tutor”, potessero stare nella stessa frase, quando a fare da tutor era lei.
“Sì, esatto.” Sorrise cordiale.
“Beh, dovresti seguire Mylo ed aiutarlo a recuperare la sua insufficienza in ginnastica”. Ryder fece una faccia stranita e solo allora si voltò e vide il ragazzo seduto davanti alla cattedra.
“Immagino che vi conosciate…”
“No, mi spiace, noi non…”
Cosa? Non poteva credere alle sue orecchie.
“Sì, che ci conosciamo!” esclamò incredulo. “Frequentiamo le stesse lezioni dal primo anno! Eravamo all’asilo insieme!”
Ryder fece spallucce, come se il gesto bastasse a giustificarsi. Il ragazzo si morse la lingua, prima di dire qualcosa di cui sicuramente si sarebbe pentito. Non sarebbero andati molto lontani, aveva come il presentimento che quello fosse solo il principio dei suoi guai.



****





Mylo era seduto in maniera scomposta sul letto, mentre ripeteva mentalmente la lezione di fisica di quella mattina. Teneva gli occhi chiusi, cercando di focalizzare i punti più importanti. Gli schemi, le immagini, le formule…“A che ora arriva Ryder?”
Sussultò, colto alla sprovvista. “Mamma, lo sai che devi bussare!” “La porta era aperta! Sai tesoro, hai una strana concezione di privacy…” “Perché ha una sua privacy? Non sapevo nemmeno avesse una vita privata!” si sentì dire da dietro Erica. Questo era ciò che Mylo chiamava incidente di percorso. Austin Whellington. Per un anno della sua vita aveva assaporato l’ebrezza di essere figlio unico. Una vagonata di regali solo per lui a Natale, festa di compleanno spettacolare. Peccato che tutto fosse durato troppo poco e lui non ne conservasse il ricordo. Lui nemmeno lo voleva un fratello! Certo, non aveva le facoltà mentali per capire cosa stesse succedendo, ma se lo avessero interpellato la sua risposta sarebbe stata un secco “No!”. Austin era il “piccolo” di casa. E se Mylo era considerato il genio, lui era agli antipodi. Capitano della squadra di basket, componente del comitato organizzativo degli eventi scolastici. La sua media scolastica era una di quelle che si possono definire “Si impegna, ma non si applica”. Ma questo non importava a nessuno, viste le medaglie che portava a casa. Era uno dei ragazzi più richiesti a scuola. Aveva un sacco di amici e le ragazze gli correvano dietro come api al miele. Non aveva mai avuto una relazione che superasse il mese.
“Chi deve venire ?”
No! No! No !
Nessuno” tentò Mylo.
“Ryder Thomas!” esclamò la madre.
Porca. Vacca.
“Uh, uh!”
Un commento davvero
brillante.
“Sì, e tu non metterai piede in camera mia per nessuna ragione al mondo!”
Austin alzò le mani segno di resa.
“Non entrerei mai in camera. Non sia mai che possa interrompere qualcosa”.
Ghignava il belloccio. Ryder e Austin si conoscevano, quel che non sapeva era
sino a che punto della conoscenza fossero. E non voleva indagare oltre.
Una cosa era sicura: avrebbe chiuso la porta a doppia mandata.
“Nessuno ti disturberà tesoro, ma la porta resterà aperta.”
Mylo guardò la madre, provando a dire qualcosa
– qualunque cosa – che lo aiutasse ad uscire da quella situazione. Riuscì solo a boccheggiare come un idiota, mentre un trionfante Austin andava via con un sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra.
“Mamma…” si lamentò.
“Niente storie! Conosci le regole di questa casa!”
“E come potrebbe, se non ha mai portato una ragazza in camera sua?” si sentì dalla cucina. Mylo strinse i denti.
“Di questo parleremo più tardi, signorino!” urlò in risposta Erica.
Si avvicinò al figlio e gli accarezzò la guancia.
“Tesoro, devi solo pensare a recuperare quel votaccio intesi?”
Il ragazzo annuì e sentendo la carezza della madre si rilassò.



****



Dopo dieci minuti si era già pentito della promessa fatta alla madre. Ryder era davanti a lui e lo squadrava. Tutto in quella situazione stava diventando irritante. Non sopportava persino se stesso. Si stava pentendo amaramente di non essersi impegnato come doveva. Era una stupidissima materia e lui l’aveva sottovalutata. Dannazione! Ryder insisteva nel guardarlo, mentre seduta accanto alla scrivania giocherellava con una penna.
“Allora, Secchia, hai il programma?”
Al sentire quel soprannome Mylo strabuzzò gli occhi. Le diede le spalle mentre cercava il foglio col programma e glielo porgeva senza proferire parola.
“Fa che tutto questo finisca presto” si ripeteva. Sapeva di non poter stare ancora con lei nella stessa stanza. Non quando si sistemava i capelli mentre era intenta a leggere, né quando si portava l’unghia perfettamente laccata alle labbra e la torturava con i denti. In quel modo rischiava l’iperventilazione. Perché lei poteva anche avere un carattere orrendo, avere manie da prima donna, ignorarlo completamente, ma lui non poteva far finta di nulla. Non poteva fingere che non gli piacesse il modo in cui era concentrata, non poteva far finta che nel bel mezzo dei corridoi si fermasse a guardarla
– ammirarla – sperando che lei non lo notasse.
“Mylo?”
Scosse la testa vigorosamente.
“Sì?”
Si era incantato davanti a lei. Grandioso. Prossima tappa: residenza sulla Luna.
Mentre pensava a come darsela a gambe e fuggire dalla sua stessa stanza, accadde l’irreparabile. Si era illuso di aver toccato il fondo guardandola spudoratamente come un cane guarda una bistecca. Invece no, ecco lo lì il fondo. Aveva appena bussato alla sua porta, indossava i suoi abiti migliori e aveva il suo stesso sguardo. Grandi occhi castani e vivaci. L’unica differenza era la luce che brillava in essi.
Erano maliziosi e ardenti. Guardava Ryder come un predatore.
Austin.
“Ciao” salutò gentile.
“Oh, andiamo!” pensò Mylo. Lui con le ragazze non era gentile, gli interessavano solo per un motivo. E c’era solo un solo modo in cui suo fratello faceva conoscenza con le ragazze. In posizione orizzontale.
“Ciao” ricambiò con un sorriso vispo Ryder.
E lei era abboccata all’amo.
C’era una ragazza –
non chiedeva tanto – che sapesse resistere a suo fratello minore?
Era davvero il colmo. La sorte con lui era stata davvero perfida! Si prendeva gioco di lui persino adesso. Suo fratello che ci provava con la ragazza che gli piaceva.
Anche se in cuor suo Mylo sapeva che quello era il corso naturale delle cose. Le cheerleaders finiscono con i campioni della scuola. Ryder era una cheerleader. Austin un giocatore di basket. E lui era solo uno sfigato a cui qualcuno con poco senso dell’umorismo aveva donato un gran cervello senza dargli possibilità di scegliere. Anche se a lui piaceva la ragazza sbagliata non poteva farci nulla.
Doveva andare così.
E lui avrebbe fatto in modo che questo accadesse.

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