Sexy Nerd
E’ tutta una questione
mentale
Capitolo 1:
“Brainstorming
– Ovvero quando Ryder connobbe Mylo.”
“Ci
deve essere qualcosa che non va”.
Mylo fissava incredulo il
foglietto spiegazzato fra le sue mani. Era un errore. Doveva
sicuramente
trattarsi
di un errore. Rigirava il pezzo di carta, come per cercare
ulteriori spiegazioni. Quello che otteneva era sempre lo stesso
risultato. Una “F” beffarda faceva bella mostra di sé
sulla sua pagella. E così anche Mylo Arthur Whellington aveva
preso una “F”. Una clamorosa, stratosferica
insufficienza andava così a rovinare l'immacolata
carriera del ragazzo.
Il preside seduto dall’altra parte
della scrivania tamburellava le dita sul bordo di questa, fissandolo in
maniera insistente.
“Whellington”. Piccola
pausa, segno che nemmeno lui sapeva bene cosa dire. “A tutti
capita di avere dei periodi no”.
A quelle parole alzò
gli occhi cielo. Sfortunatamente quel gesto venne intercettato dalla
madre seduta accanto a lui, che con molta nonchalance gli diede un
calcio ben assestato allo stinco.
Riuscì a stento a
trattenere un gemito di dolore – insieme a delle parole molto
poco carine – cercando di piegarsi in avanti senza farsi
notare.
“Signor preside…”
“Mi chiami
Arnold”. Il preside sorrise in direzione della signora
Whellington. Mylo a quelle parole aggrottò le sopracciglia,
mentre spostava lo sguardo dalla madre al signor Miller.
Un
attimo.
Ci
stava provando.
Il preside ci stava provando con sua madre. Ok, si stava sentendo
male. Va bene che i suoi erano separati, non era un mistero, ma che
fra i pretendenti di sua madre ci fosse il preside. Era davvero
troppo.
“Arnold, tu puoi chiamarmi Erica...”
E a
sua madre tutto questo andava bene. Lo aveva capito da come batteva
le ciglia. Stava civettando con lui. In quel momento pregò che
una voragine si aprisse sotto la sua sedia. “Non credi che si
potrebbe trovare una soluzione?” s’informò la
madre. “Insomma , manca ancora un po’ alla fine delle
semestre. Potrebbe recuperare?”
Il preside aggirò la
cattedra e andò a poggiarsi – con tutto lo spazio a
disposizione che aveva – accanto a Erica. Era palese che stesse
cercando di assumere un’espressione sensuale. Con scarsi
risultati. Pessimi.
“Sappiamo tutti quanto sia portato per
lo studio…”
“ Ho una delle medie più
alte di tutta la scuola!” intervenne il ragazzo, un po’
per difendere il proprio lavoro, un po’ per ricordare ai due
adulti che era lì con loro.
“Non si può fare
nulla?” tentò Erica.
“Posso ancora recuperare!”
borbottò Mylo, buttandosi di peso contro lo schienale della
poltrona.
Ormai era al limite della sopportazione.
Ancora non
realizzava che lui – capitano della squadra degli scacchi,
fondatore del club del libro e leader della squadra delle
“Mateolimpiadi”, il campionato studentesco di matematica
– avesse problemi in ginnastica. Rischiava l’anno per
quella stupida materia. Era vero che ogni tanto – tre sì
e una no – durante le lezioni aveva optato per sedersi sugli
spalti e guardare i suoi compagni fare allenamento. Per discolparsi
poteva dire però che mentre loro correvano come disperati –
e sudavano come maiali – lui si portava avanti coi compiti
delle altre materie. Che poi puntualmente qualcuno veniva a chiedere.
Non aveva mai capito, anzi si era sempre rifiutato di farlo,
l’utilità dell’attività fisica a scuola.
Qual’era il fine di mettersi in calzoncini, anche in pieno
inverno, e correre come disperati?
Secondo Mylo, nessuno. Lui, in
vita sua,non aveva mai fatto attività sportiva. Era
consapevole di non avere nessuna propensione verso lo sport. E
ringraziava ogni giorno chi gli aveva donato un fisico magro e
asciutto. Niente muscoli ben definiti, nessuna tartaruga, niente
addominali. Solo una pancia piatta e anonima. Gli altri lo chiamavano
“Secchia”, lui preferiva definirsi un nerd. Vita sociale
ridotta al minimo, capacità innate verso i videogiochi e uno
spiccato interesse verso ciò che poteva accrescere la sua
conoscenza. Mai si sarebbe lamentato di tutti quei luoghi comuni. Ma
ora capiva che doveva deporre le armi e piegarsi a quello che gli
veniva chiesto – ordinato. Mylo avrebbe fatto ginnastica
seriamente. Si sarebbe impegnato a recuperare quell’insufficienza
e avrebbe messo fine a quel supplizio. “Credo di avere la
soluzione a questo problema!” annunciò un euforico –
e fin troppo ottimista – preside Miller. Prese il ricevitore
del telefono e digitò un numero.
“Signora Callie, mi
mandi qui la nostra tutor di ginnastica”.
Avevano una tutor
di ginnastica? E a che serviva? Mica era come le altre materie…Le
elucubrazioni di Mylo vennero interrotte quando qualcuno bussò
alla porta.
“Dio, sono finito!” aveva pensato Mylo.
Dietro quel pannello di truciolato, si trovava il suo carnefice.
Quando si rese conto di chi fosse la persona, per poco non ci rimase
secco. Nella sua divisa da cheerleader blu marino, perfetta in ogni
dettaglio – dallo scollo a V alle pieghe della gonna –
aveva appena fatto il suo ingresso Ryder Thomas. Vice capitano dei
Penguins, rappresentante d’istituto e reginetta del ballo per
due anni di fila. Un curriculum di tutto rispetto, che poneva lei al
vertice della catena alimentare, altrimenti detta liceo, e metteva
lui alla fine della suddetta. “Salve! Perché mi ha
chiamata?” domandò la ragazza, sistemandosi la fluente
chioma biondo ramato su una spalla. “Ryder, devo chiederti un
favore” disse il preside. “So che fai parte del gruppo di
tutor della scuola…” Mylo non poteva ancora crederci, ma
era così. Lei era un tutor, proprio come lui. Solo che non
riusciva ancora a capire come le parole “Ryder”,
“cheerleader” e “tutor”, potessero stare
nella stessa frase, quando a fare da tutor era lei.
“Sì,
esatto.” Sorrise cordiale.
“Beh, dovresti seguire
Mylo ed aiutarlo a recuperare la sua insufficienza in ginnastica”.
Ryder fece una faccia stranita e solo allora si voltò e vide
il ragazzo seduto davanti alla cattedra.
“Immagino che vi
conosciate…”
“No, mi spiace, noi non…”
Cosa?
Non poteva credere alle sue orecchie.
“Sì, che ci
conosciamo!” esclamò incredulo. “Frequentiamo le
stesse lezioni dal primo anno! Eravamo all’asilo
insieme!”
Ryder fece spallucce, come se il gesto bastasse a
giustificarsi. Il ragazzo si morse la lingua, prima di dire qualcosa
di cui sicuramente si sarebbe pentito. Non sarebbero andati molto
lontani, aveva come il presentimento che quello fosse solo il
principio dei suoi guai.
****
Mylo
era seduto in maniera scomposta sul letto, mentre ripeteva
mentalmente la lezione di fisica di quella mattina. Teneva gli occhi
chiusi, cercando di focalizzare i punti più importanti. Gli
schemi, le immagini, le formule…“A che ora arriva
Ryder?”
Sussultò, colto alla sprovvista. “Mamma,
lo sai che devi bussare!” “La porta era aperta! Sai
tesoro, hai una strana concezione di privacy…” “Perché
ha una sua privacy? Non sapevo nemmeno avesse una vita privata!”
si sentì dire da dietro Erica. Questo era ciò che Mylo
chiamava incidente di percorso. Austin Whellington. Per un anno della
sua vita aveva assaporato l’ebrezza di essere figlio unico. Una
vagonata di regali solo per lui a Natale, festa di compleanno
spettacolare. Peccato che tutto fosse durato troppo poco e lui non ne
conservasse il ricordo. Lui nemmeno lo voleva un fratello! Certo, non
aveva le facoltà mentali per capire cosa stesse succedendo, ma
se lo avessero interpellato la sua risposta sarebbe stata un secco
“No!”. Austin era il “piccolo” di casa. E se
Mylo era considerato il genio, lui era agli antipodi. Capitano della
squadra di basket, componente del comitato organizzativo degli eventi
scolastici. La sua media scolastica era una di quelle che si possono
definire “Si impegna, ma non si applica”. Ma questo non
importava a nessuno, viste le medaglie che portava a casa. Era uno
dei ragazzi più richiesti a scuola. Aveva un sacco di amici e
le ragazze gli correvano dietro come api al miele. Non aveva mai
avuto una relazione che superasse il mese.
“Chi deve venire
?”
No!
No! No !
“Nessuno”
tentò Mylo.
“Ryder Thomas!” esclamò la
madre.
Porca. Vacca.
“Uh, uh!”
Un commento
davvero brillante.
“Sì,
e tu non metterai piede in camera mia per nessuna ragione al
mondo!”
Austin alzò le mani segno di resa.
“Non
entrerei mai in camera. Non sia mai che possa interrompere
qualcosa”.
Ghignava il belloccio. Ryder e Austin si
conoscevano, quel che non sapeva era
sino a che punto
della conoscenza fossero. E non voleva indagare oltre.
Una cosa
era sicura: avrebbe chiuso la porta a doppia mandata.
“Nessuno
ti disturberà tesoro, ma la porta resterà aperta.”
Mylo
guardò la madre, provando a dire qualcosa –
qualunque cosa –
che lo aiutasse ad uscire da quella situazione. Riuscì solo a
boccheggiare come un idiota, mentre un trionfante Austin andava via
con un sorriso a trentadue denti stampato sulle labbra.
“Mamma…”
si lamentò.
“Niente storie! Conosci le regole di
questa casa!”
“E come potrebbe, se non ha mai portato
una ragazza in camera sua?” si sentì dalla cucina. Mylo
strinse i denti.
“Di questo parleremo più tardi,
signorino!” urlò in risposta Erica.
Si avvicinò
al figlio e gli accarezzò la guancia.
“Tesoro, devi
solo pensare a recuperare quel votaccio intesi?”
Il ragazzo
annuì e sentendo la carezza della madre si rilassò.
****
Dopo
dieci minuti si era già pentito della promessa fatta alla
madre. Ryder era davanti a lui e lo squadrava. Tutto in quella
situazione stava diventando irritante. Non sopportava persino se
stesso. Si stava pentendo amaramente di non essersi impegnato come
doveva. Era una stupidissima materia e lui l’aveva
sottovalutata. Dannazione!
Ryder
insisteva nel guardarlo, mentre seduta accanto alla scrivania
giocherellava con una penna.
“Allora, Secchia, hai il
programma?”
Al sentire quel soprannome Mylo strabuzzò
gli occhi. Le diede le spalle mentre cercava il foglio col programma
e glielo porgeva senza proferire parola.
“Fa che tutto
questo finisca presto” si ripeteva. Sapeva di non poter stare
ancora con lei nella stessa stanza. Non quando si sistemava i capelli
mentre era intenta a leggere, né quando si portava l’unghia
perfettamente laccata alle labbra e la torturava con i denti. In quel
modo rischiava l’iperventilazione. Perché lei poteva
anche avere un carattere orrendo, avere manie da prima donna,
ignorarlo completamente, ma lui non poteva far finta di nulla. Non
poteva fingere che non gli piacesse il modo in cui era concentrata,
non poteva far finta che nel bel mezzo dei corridoi si fermasse a
guardarla –
ammirarla –
sperando che lei non lo notasse.
“Mylo?”
Scosse la
testa vigorosamente.
“Sì?”
Si era incantato
davanti a lei. Grandioso. Prossima tappa: residenza sulla
Luna.
Mentre pensava a come darsela a gambe e fuggire dalla sua
stessa stanza, accadde l’irreparabile. Si era illuso di aver
toccato il fondo guardandola spudoratamente come un cane guarda una
bistecca. Invece no, ecco lo lì il fondo. Aveva appena bussato
alla sua porta, indossava i suoi abiti migliori e aveva il suo stesso
sguardo. Grandi occhi castani e vivaci. L’unica differenza era
la luce che brillava in essi.
Erano maliziosi e ardenti. Guardava
Ryder come un predatore.
Austin.
“Ciao”
salutò gentile.
“Oh,
andiamo!”
pensò Mylo. Lui con le ragazze non era gentile, gli
interessavano solo per un motivo. E c’era solo un solo modo in
cui suo fratello faceva conoscenza con le ragazze. In
posizione orizzontale.
“Ciao” ricambiò con un sorriso vispo Ryder.
E
lei era abboccata all’amo.
C’era una ragazza –
non
chiedeva tanto
– che sapesse resistere a suo fratello minore?
Era davvero
il colmo. La sorte con lui era stata davvero perfida! Si prendeva
gioco di lui persino adesso. Suo fratello che ci provava con la
ragazza che gli piaceva.
Anche se in cuor suo Mylo sapeva che
quello era il corso naturale delle cose. Le cheerleaders finiscono
con i campioni della scuola. Ryder era una cheerleader. Austin un
giocatore di basket. E lui era solo uno sfigato a cui qualcuno con
poco senso dell’umorismo aveva donato un gran cervello senza
dargli possibilità di scegliere. Anche se a lui piaceva la
ragazza sbagliata non poteva farci nulla.
Doveva
andare così.
E lui avrebbe fatto in modo che questo accadesse.