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Autore: Flaqui    23/08/2012    15 recensioni
"Vincere significa fama e ricchezza.
Perdere, invece, significa morte certa.
Niente di più.
Ma vincere, perdere, non cambia molto. Se perdi muori. Se vinci, vivi. Ma vivi senza speranza, assillato da incubi che ti tortureranno e ti faranno impazzire, togliendoti il sonno.
Quanto sei disposto a perdere?"
Quando Rose viene scelta per partecipare alla trentaquattresima edizione dei Giochi della Fame, sa benissimo di aver firmato la sua condanna a morte. Ognuna delle dieci scuole magiche europee deve sorteggiare, ogni anno, due studenti, una ragazza e un ragazzo, fino alla maggiore età; questi verranno gettati in un arena a combattere fino alla morte.
Rose sa benissimo che non riuscirà a farcela. Ma ha promesso che farà di tutto per tornare a casa, e non intende arrendersi.
In squadra con lei c'è anche Scorpius, un ragazzo gentile che però non ha la stoffa per farcela. Lui vuole dimostrare di non essere una inutile pedina e fa una appassionata dichiarazione davanti alle telecamere di mezzo mondo. Ma nei Giochi della Fame non c'è spazio per l'amore, per l'amicizia e per i sentimenti.
Che i Giochi della fame abbiano inzio.
E possa la buona sorte essere sempre dalla vostra parte!
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Albus Severus Potter, Lily Luna Potter, Rose Weasley, Scorpius Malfoy, Victorie Weasley
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Buona Sorte -Il Fuoco Sta Divampando-'
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Angolo Autrice

Allora, cosa posso dire di questo capitolo se non che scriverlo è stato doloroso e stancante quasi quanto un parto con complicazioni?
Stranamente, però, ne sono abbastanza soddisfatta, per quanto il finale sia una specie di bomba ad orologeria pronta a scoppiare. Insomma può piacere come non può piacere, ecco.
Non vi aspettate una cosa allegra, comunque.
È ormai giunto il momento che Rose si renda conto che sta per morire. Una delle ragazze nelle recensioni mi ha chiesto come faccia Rose ad essere così tranquilla davanti alla prospettiva di morire a pochi giorni. Beh, la verità è che, lei, non ci pensa.
Non riesce a concepire di dover morire. Il suo cuore batte, lei parla, mangia. Vive.
Come può una persona accettare la propria morte così? Ok, si, in molti scoppierebbero a piangere ma Rose non è una piagnucolona (eccetto in questo capitolo, però, e anche un po’ nel prossimo, ma un po’ di autocommiserazione ci sta sempre).
Dunque, apprestiamoci al prossimo capitolo.
La faccenda del suggerimento di Audrey (leggerete dopo, non scervellatevi) è ovviamente ispirato da “Il canto della rivolta” il terzo libro della serie ma, d’altra parte, le informazioni e gli episodi che Rose ricorda sono di mia invenzione.
Altra domanda ricorrente. Dominique e James NON stanno insieme, nemmeno segretamente. Lei è una ragazza che va avanti da sola, uno spirito libero. Quanto a James… beh, lo conoscerete meglio nel seguito della storia, per ora dovete accontentarvi! U.U
Infine, ultimo avvertimento, fate ben attenzione alla penultima scena, c’è un dettaglio che può sembrare trascurabile ma che, in realtà, nasconde molto più di quanto pensiate. Quindi, dichiaro aperta, la CACCIA AL DETTAGLIO. Ditemi cosa ne pensate.
E preparate i fazzoletti.
Un bacione gigante.
Fra
P.S. il mio fantavolante allenatore, Derek Waywood (il cognome non vi ricorda nulla, voi che avete letto Shadowhunters?? :D) ha il volto di Garrett Hedlund (il figone che vedete nell’immagine sotto il titolo del capitolo. Se volete vedere i volti degli altri personaggi oltre che ai banner e altre creazioni obbrobbriose fatte da me sulla storia, passate da qui:
http://www.facebook.com/media/set/?set=a.105152609621350.6368.100003798341430&type=3
P.S. del P.S. ringrazio la mia favolosa Beta Clare perché ha creato quella meraviglia di banner. In verità non è l’unica ad avermi fatto un banner (anche le mie deliziose Aniva e Elizha si sono prodigate) ma, capitolo per capitolo, li posterò tutti. *.*
P.S. del P.S. ecco il link della mia one-shot su Dominique, scritta sulle note della meravigliosa “Valerie”, di Amy Winehouse. La storia è legata alla long in quanto ci sono alcuni riferimenti ma può essere letta anche senza aver completato “La Buona Sorte”.
Ecco, comunque:
Why don’t you come on over, Dominique?

 
 


Capitolo IX
Lo so, Rosie. Lo so.
 

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Cosa posso dire?
Lui tira fuori il peggio di me.
E, stranamente, io tiro fuori il meglio di lui.
- Gossip Girl

 
Quando, dopo la morte di mio padre, iniziai a soffrire di acute crisi di panico che mi impedivano di respirare con facilità, i miei parenti si affollarono intorno a me, proponendo tutti i metodi magici che venivano loro in mente per aiutarmi. Io provavo tutto senza protestare, ma finiva sempre nello stesso modo, con me stesa per terra o immobilizzata nel mezzo della stanza, le mani sul petto che premevano all’altezza del cuore e che cercavano invano di farlo battere; con me che chiudevo gli occhi e desideravo morire, anche quando Albus afferrava la mia mano e mi sussurrava piano che sarebbe andato tutto bene, che ne saremmo usciti insieme.
Io ero convinta, lo sapevo con una sicurezza tale che nessuno riuscì a smuovermi da quell’idea, che quella fosse la mia punizione, il mio peso da sopportare per aver lasciato che mio padre morisse davanti ai miei occhi senza fare niente.
Albus, quando iniziavo a colpevolizzarmi subito dopo essere riuscita a controllare gli attacchi, mi lasciava le mani e mi guardava con uno sguardo strano. E con quello sguardo sembrava quasi dirmi “Sei una stupida Rose, smettila”. Io abbassavo il capo e sembravo dirgli “Invece è colpa mia, io ero lì con lui. Lui mi ha detto di scappare e io l’ho fatto. Io sarei dovuta morire con lui, non avrei dovuto lasciarlo”.
E allora lui, mostrando quella meravigliosa parte di carattere che nascondeva al resto del mondo, mi metteva una mano sulla spalla – non mi abbracciava, Al non abbraccia mai nessuno, non ci riesce - e stringeva un po’ la presa, mi faceva alzare e mi accompagnava a letto, e sentivo la sua voce bassa nella mia testa, come se mi stesse parlando in un orecchio: “Lo so, Rose. Ma ora dormi, io rimango con te e non scapperò”.
Alla fine fu mia zia Audrey che, essendo di origini Babbane, si era informata anche nel mondo dei non-magici riguardo al mio problema per suggerirmi una soluzione. Aveva parlato del mio caso con un suo amico che faceva il dottore, lo pissicologo, tornando speranzosa e pronta a sottopormi ad un nuovo tentativo per sconfiggere letteralmente la paura. Mi spiegò che, in effetti, il vero problema che mi affliggeva era il senso di colpa che, misto all’ansia, ai problemi respiratori e ai ricordi terribili che roteavano furiosi nella mia mente, facevano in modo che il tutto si confondesse nella mia testa e mi fosse impossibile pensare ad altro che al tragico episodio che avevo vissuto.
Perciò il suggerimento del medico era stato quello: mentre cercavo di rallentare i battiti e tranquillizzarmi, avrei dovuto fare un semplice esercizio per riordinare i miei pensieri. In un primo momento dovevo semplicemente ricordare a me stessa qualcosa di semplice e istintivo, come il mio nome, o la mia età, o il mio indirizzo. Poi sarei dovuta passare a qualcosa di sempre più complicato e con argomentazioni più ampie:
 
 
Mi chiamo Rose Weasley. Ho dodici anni. La mia casa è il numero 15 di Fireless Street, Londra. La mia cuginetta si chiama Lily e mi ha appena mandato una lettera. Sono al secondo anno ad Hogwarts. Mio padre è morto da tre mesi. Katie Flint, la mia compagna di dormitorio, mi ha appena chiesto come sto. Katie Flint mi accarezza il braccio e mi guarda con compassione. Odio che Katie Flint mi guardi con compassione.
 
Mi chiamo Rose Weasley. Ho tredici anni. La mia casa è il numero 15 di Fireless Street, Londra. Mio cugino Fred è abbastanza stupido, ma simpatico. Mio cugino Fred ha una passione per i Fuochi ad Innesto ad Acqua del Dottor Filibustier. È il suo compleanno e Fred ha fatto partire un’intera cassa di fuochi in giardino. Zio George si sta congratulando con il figlio mentre zia Angelina è rossa dalla rabbia. Mio padre non c’è – colpa mia, solo mia -e mia madre è in un angolo e fissa il vuoto.
 
Mi chiamo Rose Weasley. Ho quattordici anni. La mia casa è il numero 15 di Fireless Street, Londra. Mia cugina Dominique sta partendo per un collegio femminile, in Francia. A me non piace Dominique e sono contenta che se ne vada. Zia Fleur piange, anche se ha deciso lei di mandare via la figlia. Mia madre, invece, piange la notte, quando crede che nessuno possa sentirla. Ma io la sento comunque.
 
Mi chiamo Rose Weasley. Ho diciassette anni. La mia casa è il numero 15 di Fireless Street, Londra. Mio fratello si chiama Hugo e il mio migliore amico è mio cugino Albus. Frequento l’ultimo anno ad Hogwarts. Ora sono in America, a Royàl, e sto per partecipare ai Giochi della Fame. Sono accucciata, nascosta dietro la porta della camera da letto di mia cugina Victorie. Al di là della porta, mia cugina Dominique piange e lancia un’altra statuetta contro il muro. James è scappato e probabilmente, una volta che l’avranno ritrovato, lo uccideranno.
 
Mi chiamo Rose Weasley. Ho diciassette anni. La mia casa è il numero 15 di Fireless Street, Londra. Probabilmente morirò fra qualche giorno. Sempre che io non muoia ora.
 
***
 
Non so come, ma improvvisamente mi ritrovo nella mia stanza. L’attacco di panico che mi ha colpito appena pochi minuti fa è ormai passato, ma ha lasciato strascichi di paura e di terrore che continuano a sconvolgermi.
Mi siedo per terra, incurante dello sguardo preoccupato che i quadri alle pareti mi rivolgono, mi attiro le gambe al petto e le cingo con le braccia. Metto la testa tra le ginocchia e cerco di calmarmi, ma dentro di me è tutto un subbuglio, un turbinio di ricordi e di emozioni.
E mio padre muore davanti ai miei occhi, di nuovo. E ancora, ancora, ancora.
Poi, mio padre si trasforma in James, il mio James, James che è andato a sbattere contro un albero con la moto di Sirius Black, James che nasconde un razzo nella torta di compleanno di zio Percy, James che sta sempre in sella alla sua scopa, James che si lascia abbindolare dagli occhi dolci di Lily e che abbraccia Albus, anche se poi sa che lo aspetta una fattura di quelle potenti, James che sorride sempre, che è come un piccolo sole… James che adesso è sperduto, solo, in pericolo, probabilmente ferito e che rischia la morte.
E le voci nella mia testa diventano sempre più assillanti, più alte, più confuse e davanti ai miei occhi sbarrati non c’è nulla, solo il vuoto, come quello che sembra interessare mia madre così tanto.
Andrà tutto bene. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene.
«Rosie, corri! Corri e non ti fermare!»
James è in gamba, se la sa cavare.
«James è una delle persone più irresponsabili che conosca! Credo che se non ci fossi io, morirebbe di fame e di sete piuttosto che alzarsi dal suo letto!»
Smettila. Smettila. Smettila. Smettila.
«Sei una stupida, Rose, smettila»
«Rose, corri! Vattene da qui! Io arrivo subito! Papà arriva subito, Rosellina!»
«Non chiamarmi Rosellina, Malfoy!»
Basta. Smettila, ti prego.
Rose. Rose? Rose! Rosie! Rosellina?
«Rose, corri!»
 
«Rose?»
La luce accecante mi ferisce gli occhi e mi ritrovo a doverli aprire e chiudere un paio di volte prima che si abituino al cambiamento. Una volta che recupero la vista, mi ritrovo stesa sul divano rosso nel salottino del mio appartamento con il viso di Victorie a pochi centimetri dal mio.
Questo mi fa sobbalzare nuovamente e scattare seduta.
Victorie non si scompone, come suo solito, e mi fissa con un sopracciglio inarcato. Io sbatto più volte le palpebre e per quanto la situazione sia già di per sé assurda, avverto qualcosa di sbagliato, di diverso nell’aria. Quando alzo gli occhi e fisso il viso di mia cugina, finalmente capisco cosa c’è che stona: mi sta guardando con un’espressione strana, per la prima volta non vuota da quando sono arrivata qui.
E improvvisamente realizzo che lei sa.
Sa che ieri ero nascosta dietro la sua porta e che ho sentito la notizia di James. Lo sa, ma non dice niente e io non posso che esserne felice. Non credo che riuscirei a sopportare un’altra conversazione a cuore aperto, soprattutto non dopo quello che ho sentito, dopo il brutale allenamento di ieri e dopo il ricordo nitido di Albus che mi prende per mano e cerca di calmarmi.
Il dolore, quasi l’avessi richiamato con un fischio, torna a stringermi forte e mi sembra che una mano invisibile si sia serrata intorno al mio stomaco. Stringo forte la mano in un pugno per evitare di portarmela al petto e mostrare a Victorie quanto debole io sia.
Quest’ultima sembra aver capito nuovamente – dopotutto non è stata smistata, ai tempi, a Corvonero per niente - e continua il suo gioco del silenzio infinito. Io non dico nulla, perché al gioco del silenzio sono brava anch’io, e mi avvio in camera, a cambiarmi e a fare una doccia. Quando ritorno in salotto, Victorie è nella stessa posizione in cui l’ho lasciata e io mi ritrovo a pensare che, nella migliore delle ipotesi – uscire viva dall’arena -, io diventerò come lei: una pallida copia di quella che ero.
Scuoto la testa e mi avvio alla porta dell’appartamento. Victorie mi è accanto senza che nemmeno senta i suoi passi sul pavimento di legno. Non è sempre stata così silenziosa, ricordo.
Prima di entrare nell’arena la sua prerogativa principale sembrava essere quella di apparire, di farsi notare. Ora sembra solo voler scomparire e annegare tutto ciò che fa parte di lei.
Sto per uscire quando, inaspettatamente, mi mette una mano sulla spalla – come faceva Albus, sussurra il mio cuore - e inclina la testa in modo che i nostri sguardi si incontrino.
E poi, iniziamo a parlare. Non con le parole ma con quello strano alfabeto di gesti e di espressioni che, a furia di stare con Albus e mia madre, ho imparato a comprendere tanto bene quanto l’inglese.
I suoi occhi dicono: “Lo so, Rosie. Mi dispiace”. E i miei rispondono: “Fra qualche giorno sarà finita, in un modo o nell’altro. Non ci perdiamo in sentimentalismi. Sono l’ultima cosa che mi serve al momento”.
Camminiamo una a fianco all’altra fino ad arrivare nella grande mensa dove ho fatto colazione anche il giorno prima. Gli altri sono già tutti lì.
Dominique sta in un angolo, indossa un paio di occhiali da sole babbani enormi, quelli che fanno assomigliare ad una mosca anche la ragazza più bella. Potrebbe sembrare un accessorio mirato a completare un look perfetto ma, io lo so, sono lì solo per nascondere le occhiaie e gli occhi gonfi e rossi dal pianto. Al momento la mia stilista sta rimproverando Josie, la mia preparatrice dai capelli verdi, rea di aver ordinato un metro di raso anziché di taffetà come lei aveva “fottutamente chiesto ben dieci minuti fa”. Ma per una volta non mi sento in vena di giudicare il suo comportamento, perché i nostri stati d’animo sono identici.
Rachel sta blaterando convinta di qualcosa che, evidentemente, non sembra interessare minimamente né Derek, né Scorpius, seduti accanto a lei. Ma mentre il mio compagno cerca almeno di mostrarsi interessato, annuendo di tanto in tanto come la sua buona educazione da perfetto purosangue prevede, il mio allenatore fissa con uno sguardo malizioso Josie, che assume un colorito vicino al violaceo e si aggiusta i capelli sovrappensiero.
Quando entriamo in stanza, lo sguardo di Scorpius si posa su di me veloce come un fulmine. Io vorrei sorridere ma non ne ho neanche il tempo visto che lui gira subito il capo e, interrompendo il monologo di Rachel, chiede a Derek in cosa consisteranno gli allenamenti di oggi.
Il nostro allenatore interrompe il gioco di sguardi seducenti con la mia preparatrice e lo fissa per un attimo prima di rispondere. Intanto io mi lascio scivolare nella sedia accanto a lui, di fronte a Scorpius, che evita il mio sguardo fissando insistentemente la caffettiera.
«Dopo il primo allenamento di ieri mi sono fatto un’idea di cosa siete capaci di fare. Credo di aver trovato il modo per tirare fuori da voi il massimo delle capacità. Penetreremo a fondo nella vostra anima, ragazzini» commenta e, all’ultima frase, fissa insistentemente Josie che sembra sul punto di svenire. Solo dopo qualche secondo capisco il doppio senso presente nella frase.
Dominique, invece, sembra averlo capito da un pezzo, e infatti sbuffa, una ciocca di capelli biondi che cade davanti al vetro scuro degli occhiali.
«Sentite, raggi di sole, non è che potreste andare a copulare da un’altra parte? Non che io non apprezzi la vostra sfacciataggine, ma ci sono delle bambinette impressionabili qui» commenta sarcastica lanciando un’occhiatina di sfuggita ad una scandalizzatissima Rachel.
Josie balbetta qualcosa e se ne scappa ad ordinare del taffetà mentre Derek e Dominique si lanciano uno sguardo divertito. Per un attimo Dominique sembra essersi ripresa poi ritorna alla sua smorfia e capisco che sta pensando a quando prendeva in giro James, dicendogli che era una femminuccia pudica e timorosa.
Mi giro e, guardando davanti a me, incontro lo sguardo di Scorpius, fisso su di me. Stavolta non lo abbassa subito ma nemmeno sorride e io sento che la presa della mano invisibile si serra ancora di più sul mio stomaco.
 
Quando entro in palestra oggi, l’aspetto della sala è completamente diverso da quello del giorno precedente. Prima di tutto, l’armadio che conteneva il Molliccio Animale è stato fatto scomparire ed è stato sostituito da una specie di palco dalla forma quadrata, contornato da alcune funi.
Quando Derek nota che i nostri sguardi – il mio e quello di Scorpius, che si ostina ancora a non parlarmi - sono entrambi fissi su questa strana presenza, batte con forza la mani una sopra l’altra e se le sfrega con aria energica.
«Caramelline, questo è un ring da combattimento» esclama, mentre con un balzo fa presa su una delle funi che circondano lo spazio riservato alla lotta e si lascia cadere dall’altra parte con una grazia insospettabile per uno della sua stazza.
«Oggi ci concentreremo principalmente su come avviene una lotta dal lato fisico, alla Babbana. Ieri vi ho insegnato alcune mosse base su cui lavorare, se le vostre deliziose testoline se lo ricordano. Bene, oggi dovrete metterle in pratica»
Fa un attimo di pausa, come se volesse scrutare la nostra reazione ad una simile notizia «E le metterete in pratica contro di me»
Per un attimo il cuore perde un battito. Derek è circa tre volte me e neanche Scorpius sembra tranquillo davanti a questa nuova rivelazione. Da come la sua mano sale immediatamente allo zigomo destro – per poi cambiare rotta e andare a scompigliarsi i capelli già troppo in disordine - capisco che si ricorda benissimo del gancio che gli è stato rifilato ieri ancora prima di iniziare l’allenamento. E a giudicare dal livido violaceo che si sta formando, Derek non sembra esserci andato piano con lui.
«Che c’è caramelline?» chiede Derek, comodamente appollaiato su una delle funi, con un piede sul ring e uno che penzola in aria dall’altra parte «Avete paura, per caso? Che c’è, nessuno ha il coraggio di venire qui a sfidarmi? E come pensate di sopravvivere, poi? Chiamando papino e mammina?»
Derek ridacchia e il sangue prende a scorrere sempre più velocemente dentro di me. Come si permette? Come si permette di dire così? Di dare per scontato cose che non sa? Come si permette di nominare anche solo per un attimo mio padre? Come si permette di mettere in dubbio il mio essere coraggiosa e Grifondoro?
Per un attimo continua a persistere un silenzio incredulo e continuo, poi qualcosa si smuove dentro di me e, senza nemmeno capire come e perché, decido che è arrivato il momento di dimostrare a questo stronzo di che pasta siamo fatti noi Grifondoro.
Dopotutto Lily me lo dice sempre: cavalleria e audacia sono gli aggettivi per i perfetti Grifondoro. La prima è prettamente maschile ma, la seconda… non necessariamente.
Scavalco il ring senza dire nulla ma senza interrompere il contatto visivo con Derek. Lui scoppia a ridere e butta indietro la testa.
E improvvisamente mi sento percorsa da una scarica di adrenalina che mi fa stringere ancora più forte i pugni all’altezza del petto, una rabbia improvvisa che mi fa venire voglia di buttare tutto per aria e di fregarmene delle conseguenze, una carica omicida che mi spinge a gettarmi di scatto contro il mio avversario e a tempestarlo di pugni e di calci, cercando di eliminare con lui tutti i demoni che infestano i miei sogni.
 
Derek mi ha stesa in qualche minuto con una mossa particolarmente potente che mi ha fatta finire distesa sul ring, sotto il suo non tanto dolce peso, con una guancia schiacciata contro il pavimento e il respiro rotto e incastrato in gola.
Anche adesso, dopo qualche minuto, mentre osservo il combattimento fra Scorpius e Derek seduta su una delle panchine addossate al muro, sento pesare su di me una profonda delusione e amarezza. Anzi, di più, mi sento umiliata.
Pensavo che, piena di fuoco e di rabbia com’ero per il commento sui miei genitori, sarei riuscita a battere il mio avversario in un attimo, sfoderando dal mio arsenale una di quelle favolose mosse che ho visto in quei film di lotta babbani che si vede Hugo. Ma Derek non ha battuto ciglio e mi ha bloccato le mani con una semplice presa. E mentre continuavo a dimenarmi come un’anguilla lui rideva. Rideva come se fosse davanti allo spettacolo più divertente ed entusiasmante del mondo. Rideva come ride Rachel alla prospettiva di fare soldi con la nostra morte, come rideranno tutti i telespettatori che assisteranno in diretta alla mia morte, lì nell’arena. Rideva come se sapesse già delle mie speranze nulle di uscire viva.
E più rideva, più io perdevo il controllo. E più perdevo il controllo, più cercavo di liberarmi della sua presa per fargli vedere di che pasta sono fatta. E più cercavo di liberarmi, più lui rideva.
E la sua risata era come sale su una ferita aperta e sanguinante.
Alla fine sono riuscita a tirargli un pugno in pieno stomaco e, approfittando della sorpresa e del dolore che lo hanno colpito, sono riuscita a liberarmi dalla sua presa e ho lasciato il ring.
Serro forte i pugni, così forte che le nocche diventano bianche e avverto un certo dolore alle dita; per cercare di calmarmi, mi soffermo sulla lotta che sta avvenendo in questi momento sul ring.
Come ho già avuto modo di notare ieri, Scorpius è molto più lento di me nell’attaccare. Ma oggi ha qualcosa di strano, ancora più del solito. Sembra perso in pensieri che non sembrano avere nulla a che vedere con la lotta e che ciò gli impedisca di attaccare Derek e usufruire di tutti i punti che il mio allenatore sta lasciando scoperti.
Anche quando Derek fa per attaccarlo lui si limita ad abbassarsi e quando gli si presenta la possibilità di colpire l’avversario lui continua imperterrito con il suo broncio. Sembra che non gli importi molto del combattimento in generale, a dirla tutta.
Così, quando Derek indietreggia di qualche passo e tende il braccio pronto a colpirlo, so già che lo prenderà. E che il mio compagno non riuscirà ad abbassarsi, preso com’è a fissare il pavimento.
Che cosa aspetti stupido? Alza lo sguardo! Alza lo sguardo e scansati!
Derek sferra il suo micidiale gancio destro e, dalla posizione dei suoi piedi, capisco che sta attuando la stessa mossa che ha provato con me qualche secondo fa e che mi ha fatto finire distesa al suolo.
Il pugno è a circa due centimetri scarsi dal viso di Scorpius quando quest’ultimo si muove di colpo e si scansa con un gesto veloce e preciso, afferrando una delle funi che delimitano il ring e osservando con un sorrisino sardonico Derek che, per il contraccolpo e lo slancio datosi in precedenza, è franato in avanti.
Si è mosso così velocemente da apparire indistinto e la sorpresa che mi pervade è tale da costringermi a fissare spudoratamente la scenetta che si presenta ai miei occhi sbarrati.
«Hai dei buoni riflessi, ragazzone» esclama il mio compagno mentre con un salto si avvicina alla figura carponi di Derek e gli porge una mano per aiutarlo a rialzarsi «Ma dobbiamo lavorare sull’atterraggio»
Scorpius sorride e io ricordo che sono le stesse parole che Derek gli rivolse il primo giorno, quando ancora prima di presentarci ufficialmente, gli tirò un gancio destro con una potenza tale da farlo cadere al suolo e lasciargli un grosso livido violaceo sulla guancia.
Derek rimane per un attimo imbambolato, fissa la mano di Scorpius come se non ne avesse mai vista una. Poi, con una lentezza estenuante, alza la testa verso di lui - Merlino ora lo ammazza! - e, inspiegabilmente, scoppia a ridere.
Ride, ride di cuore, afferra la mano di Scorpius come se non fosse successo nulla e si tira su, spazzando via il sottile strato di polvere che ricopre i suoi pantaloni.
 
Derek ha assegnato a Scorpius un manichino dotato di bacchetta capace di attaccarlo sia con calci e pugni, sia con poderosi incantesimi. Ora, infatti, è intento a schivare una delle tante mosse offensive che l’umanoide gli riserva. Mentre lo guardo combattere noto quanto, in lui, sia solo strategia.
La postura eretta e l’espressione sempre calma sembrano essere scomparse del tutto, sostituite da una strana frenesia nel rispondere agli attacchi. Sta perdendo il controllo e il suo modo di lottare è completamente diverso da quello che aveva riservato nello scontro con Derek. O forse, più semplicemente, gli attacchi e le insidie di questo combattimento sono maggiori di quelle del precedente e si trova a dover essere più partecipe.
Derek, accanto a me, lo fissa con un sorrisetto enigmatico. Poi, all’improvviso, mi mette una mano sulla spalla e io scatto, già pronta a colpire – o a scappare, dipende - credendo che sia un altro dei suoi trucchetti odiosi per buttare giù non solo il mio corpo ma anche la mia autostima.
«Ehi, tesorino, calmati!» esclama alzando entrambe le mani sopra la testa, in segno di resa «Per quanto apprezzi il tuo carattere esuberante e il tuo istinto omicida, questa volta dovrai ritirare gli artigli e seguirmi»
Fa una risatina, compiaciuto da quella che per lui è la battuta del secolo, poi si avvia verso un angolo della palestra.
Appesa al muro e protetta da una teca di vetro, c’è una collezione invidiabile di coltelli. Sorrido insistentemente quando capisco che, probabilmente, il mio modo di lottare deve averlo colpito a tal punto da passare direttamente all’apprendimento e all’uso delle armi.
Derek arriva proprio davanti alla teca e, affiancandosi ad un tavolino posto proprio lì sotto, si gira verso di me sorridendo.
«Ho osservato il tuo modo di combattere, Rose» inizia, e io cerco di sorridere un po’ di meno, sebbene dentro di me senta un vago senso di soddisfazione.
Coltelli. Coltelli. Imparerò ad usare i coltelli! Sarà un vantaggio enorme, per me.
Derek si siede sul tavolo e mi fissa con una strana espressione.
«Non va bene, Rose. Ti lasci prendere dalla rabbia. Che è esattamente quello che non devi fare. Se ti lasci coinvolgere troppo da ciò che ti accade attorno, se reagisci alle provocazioni e vai incontro a qualcosa che è più grande di te con troppa leggerezza finirai per essere schiacciata. Come un moscerino, Rose. Come un piccolo, inutile, moscerino»
Le mie mani sono strette in due pugni e questo a Derek non sfugge. Si china su di me e afferra la sinistra, la solleva fino all’altezza dei miei occhi e poi me la avvicina al viso, scrollandola un po’. La sua espressione è trionfante e soddisfatta, e l’unica cosa che vorrei fare adesso è tirargli un pugno e cancellarla dalla sua orribile faccia.
«Visto? Non sai controllarti, Rosie» esclama usando il vezzeggiativo con cui mi chiamano a casa.
Tutto mi sembra così… ingiusto. E sbagliato. È ovvio che io sia arrabbiata! Sto per morire in uno spettacolo da circo! Come si può pretendere che io non lo sia? Derek non può biasimarmi se l’unica cosa che posso fare è buttarmi nella lotta a testa china e cercare un modo per uscirne viva.
La rabbia è una cosa positiva. La rabbia mi rende forte e coraggiosa. La rabbia mi fa andare avanti.
Sento che gli occhi iniziano a pizzicarmi e mi odio.
Non voglio scoppiare a piangere ora. Anche se il mio allenatore è uno stronzo insensibile. Anche se non ha la minima possibilità di tornare a casa, a questo punto. Anche se, dietro di me, Scorpius ha abbattuto il suo manichino e sento il suo sguardo sulla mia schiena.
«Rose» la voce di Derek è stranamente gentile e carezzevole e quando incontro i suoi occhi li trovo leggermente socchiusi, simili a quelli di un gatto in un certo senso, e altrettanto sfuggevoli «La rabbia non ti poterà da nessuna parte. So che pensi che ti stia facendo un dispetto o che non sia interessato alla tua sopravvivenza, ma davvero, devi imparare a controllarti. Non puoi scoppiare a piangere e sperare che il tuo nemico si impietosisca! Tu non sai controllarti!»
Le sue parole, che fino a questo momento sembravano essere state in grado di calmarmi, riprendono a graffiare il mio orgoglio e, davvero, non riesco a resistere alla provocazione che mi si sta presentando. Fa parte del mio essere Grifondoro, del mio essere Rose.
Improvvisamente penso che non mi importa di quello che dice Derek. Io so che posso avere buone possibilità di vittoria solo grazie alla rabbia e all’odio che conservo dentro di me.
«Io so controllarmi benissimo» dico a denti stretti e con i pugni serrati.
«Non è vero»
La sfumatura di dolcezza che la sua voce aveva assunto qualche istante prima sparisce completamente e riprende ad essere colma del solito menefreghismo.
«Sì, invece. E credo di potermela benissimo cavare senza di te!» esclamo senza nemmeno sapere a cosa mi porterà questa scelta dell’ultimo momento. Ma non sto molto a ragionarci e, girando velocemente su me stessa, mi avvio verso la porta della palestra. Questa è l’ultima volta che ci entro. O almeno, visto che non intendo comunque darmi per vinta, è l’ultima volta che ci entro per obbedire alle stupidaggini sparate da Derek.
Io non ho problemi di gestione della rabbia, penso mentre con una spallata irrompo nel mio appartamento e mi chiudo la porta alle spalle.
I quadri che ho visionato con tanta cura ieri mattina sono ora tutti sveglissimi e mi fissano con curiosità dalle loro cornici preziose. Lancio un’occhiata veloce alla tela di Stephanie, ma lei non c’è, così mi lascio cadere su una delle poltrone.
Ho voglia di spaccare tutto, per dimostrare a tutti che sono forte e, allo stesso tempo, di rannicchiarmi su me stessa e piangere, perché mi sento schifosamente debole.
 
Bussano più volte alla mia porta.
Derek, arrabbiato, che mi urla di non fare la bambina piccola. Rachel, sconvolta, che si limita a squittire alcune volte, isterica. Persino Josie e gli altri preparatori si fermano a parlarmi oltre la porta. Pensano che io sia sconvolta, che abbia paura di ciò che sta per succedermi, di andare nell’arena.
Ma la verità è che sento solo un vuoto dentro di me e non riesco a pensare a nient’altro che a James, solo, al buio, e a quello che potrebbe accadergli.
Alla fine, poi, arriva anche Scorpius. Non mi dice nulla, si limita a sedersi sul pavimento, le spalle poggiate contro il legno della porta e le mani che si muovono febbrilmente, giocherellando con il braccialetto di corda. Lo osservo dallo spioncino della porta per un po’ e poggio l’orecchio contro il pannello, ma lui continua a stare zitto perciò, dopo un po’, ci rinuncio. Così mi lascio scivolare lungo la parete liscia e mi siedo sul pavimento anch’io.
Poggio la schiena contro la porta, esattamente all’opposto di dove è lui, con solo il legno a dividerci e penso che sembra una di quelle squallide commedie romantiche in cui i due innamorati sono così vicini da essere distanti.
Poi, e non so nemmeno come o perché, scoppio a piangere.
Piango un po’ per tutto: per James, per i Giochi, per Scorpius.
Per me.
E Scorpius rimane in silenzio, ma so che c’è. Come quella volta al primo anno, nel parco di Hogwarts, sotto la pioggia battente e con in mano uno stupido quadrifoglio spiegazzato.
E come se me lo avesse sussurrato nell’orecchio, sento la sua voce che mi dice, con un sospiro triste: “Lo so, Rosie. Lo so”
   
 
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