3.
Remus quella mattina fu scaraventato fuori dal sonno da una voce secca e autoritaria.
“Tesoro, alzati. E’ ora di andare al lavoro. Elvira ti ha preparato il bagno, e la colazione è quasi
pronta.”
Prima che potesse chiedersi chi fosse Elvira, ma soprattutto a chi appartenesse quella voce femminile
così tonante, il rumore secco delle tapparelle che venivano sollevate e la conseguente luce che lo
investì contribuirono a togliergli di dosso gli ultimi brandelli di sonno.
Spalancò gli occhi e si trovò a fissare il volto di una donna, talmente asciutto da sembrare inciso in
un pezzo di marmo.
I capelli di un grigio compatto erano tirati in una crocchia perfetta, da cui neanche un filo minuscolo
osava ribellarsi.
Remus non riuscì neanche a sbattere gli occhi.
Rimase a fissare tranquillamente quel volto appena sorridente, chiedendosi furiosamente chi caspiterina
fosse.
“Avanti Remus, alzati…” riprese con quel vocione la donna, continuando a muoversi come un caterpillar
per la stanza “Se non vuoi che il bagno si freddi. Su quella sedia ti ho preparato il necessario per la
toilette. Rasati quella barba, che il tempo dei belli e impossibili è passato da un pezzo e sant’Iddio
ti supplico di eliminare anche quei baffetti alla Erroll Flynn che fanno spavento. Sembri un grasso topo
impomatato. Inoltre ti prego di lucidare i mocassini, figlio mio, che la trascuratezza non ti dona. Ti
ricordo poi che il tuo compagno ti aspetta alle otto precise, quindi vedi da te che non c’è tempo da
perdere. Ed ora scusami caro, ma devo andare a conferire con la cuoca per il pranzo.”
Con la coda dell’occhio la vide marciare fuori dalla stanza.
Non aveva mai tirato il fiato, mentre gli parlava, e questo l’aveva trovato straordinariamente
ipnotico.
Ma chi era, Merlino?
Rimase steso nel letto, incredibilmente comodo in verità, a cercare di assimilare tutte le informazioni
che quella donna gli aveva sparato a raffica.
La parte sui baffetti l’aveva quasi ucciso tanto che si era tastato il labbro superiore con la punta
delle dita accarezzando l’evidente peluria quasi incredulo con una voglia pericolosa di mettersi a
piangere per l’avvilimento.
Poi chi diamine era Erroll Flynn?
E quando arrivò a comprendere la parte del “compagno” si convinse che quello era un sogno.
Non poteva essere altrimenti, visto che lui non aveva compagni né desiderava averli.
Ma, miseria, un sogno insopportabilmente vivido.
Si arrischiò a sollevarsi e rimase seduto sul letto a guardarsi intorno.
La stanza era di un gusto squisito.
Le pareti tinteggiate di un pallido avorio e i mobili in legno scuro a fare un piacevole contrasto.
Il pavimento in parquet era lucidissimo, quasi un peccato pensare di camminarci sopra.
Sarebbe rimasto in catalessi per molto tempo ad osservare qualcosa che possedeva soltanto nei suoi sogni
- Quindi quello non poteva che essere un sogno.- Si ripeté, se non fosse stato per quel bussare
imperioso alla porta.
“Tesoro? Devo chiamare Severus per informarlo che farai tardi come tuo solito? Avanti alzati invece di
poltrire.”
Severus?
Non quel Severus.
Ma quanti dannati Severus ci possono essere al mondo?
Aveva la folle tentazione di afferrare quella donna e costringerla a confessare tutta quella
macchinazione.
Nella sua mente si vedeva prenderla per il collo e sbatterla alla porta:
“Chi diamine sei? Che vuoi? Chi ti manda?”, con il folle desiderio di azzannarle la gola.
Si costrinse a calmarsi, contando mentalmente fino a 50, un numero che aveva una sua grazia. Non
imponente come il 100, ma neanche insignificante come il 10. Una giusta media, quella che si sforzava di
tener sempre nella vita.
Profondi respiri a bocca chiusa gli decelerarono i battiti.
Quando si convinse di aver rinchiuso nuovamente la bestia, aprì gli occhi.
Il volto di quella che diceva esser sua madre sostava a due centimetri dal suo con un aria severa e
disdicente.
“Non so cosa ti prenda oggi, Remus caro, ma giuro che sei veramente strano.” Gli disse con un tono secco
e deciso, dopo essersi raddrizzata con piglio energico.
“La cameriera ti ha stirato l’abito blu. E’ appeso nell’armadio. Metti quello. Ti cade bene anche se hai
messo qualche chilo di troppo. A questo proposito sarebbe auspicabile che facessi un po’ di shopping,
visto che tutto ti va troppo piccolo, oramai. Fatti accompagnare da Severus. Ha gusti impeccabili e ti
consiglia sempre ottimamente.”
Remus era arrivato a contare fino a 22 quando quello sproloquio cessò improvviso.
Scostò appena gli occhi e lo sguardo iroso della donna lo fece sobbalzare leggermente.
“Ma insomma, devo tirarti fuori dal letto con la forza? Dobbiamo tornare indietro negli anni e
ricominciare col vecchio sistema di ribaltare il materasso?” Disse la donna rimboccandosi le
maniche.
Da signora fine ed elegante si era trasformata in un’energumena minacciosa che a passo di marcia si
avvicinava pericolosamente.
In un secondo Remus fu in piedi, dritto come un fuso.
Il grugno della donna si tramutò nuovamente in un viso, sorridente e magnanimo.
“Bravo ragazzo.” Sibilò soddisfatta, mani su quelli che dovevano essere i fianchi. Difficile dirlo,
visto che il tronco era un parallelepipedo compatto.
Si volse con l’eleganza di un autotreno e spalancò la porta dicendo:
“Ti aspetto per la colazione.”
La porta si richiuse con un tonfo sordo.
Remus rimase fermo per qualche istante, troppo frastornato anche per contare.
Volse il viso intorno alla ricerca dei suoi abiti lisi di cui aveva una inopportuna nostalgia, ma in
quel candore perfetto nulla era fuori posto.
Ogni svolta data alla sua vita aveva bisogno di un tempo abbastanza lungo per poter essere incamerata e
racchiusa dentro solidi argini.
Remus era uno specialista nel rendersi un uomo a proprio agio in ogni evenienza.
Ma qui si sfidava ogni logica.
Dovette reprimere l’istinto di piegarsi a quattro zampe per cercare le sue cose in ogni angolo.
All’esterno solo il digrignare della mascella serrata faceva intuire il panico che lo aveva preso,
mentre un sorriso prestampato galleggiava sul viso già da un po’.
-Basta frignare.- Si disse risoluto. –Ogni problema ha la sua soluzione. Bisogna andare per gradi.-
Con passi meccanici raggiunse la cassettiera e aprì il primo cassetto che slittò docile e silenzioso
sulle sue guide.
La sua vera cassettiera si incastrava sempre a metà percorso, un lato più sporgente dell’altro, tanto da
dover chiudere e riaprire almeno un paio di volte.
La sua bacchetta, in quei frangenti, era sempre fuori portata e lui non era così malato da far ogni cosa
con la magia, al contrario di Sirius.
Era talmente deliziato da quel facile movimento che aprì e chiuse il cassetto svariate volte,
apprezzandone il sottile ronzio ben oliato.
Non si accorse subito del pacco che troneggiava in bella vista sulle mutande e sui calzini perfettamente
ripiegati.
Sulla scatola di cartone, un rettangolo lungo e stretto, un foglio scritto con la sua calligrafia un po’
storta: “Ricordati!!!!!”
Già l’uso spropositato di tutti quei punti esclamativi gli diede un leggero malessere, ma il fatto
assurdo che scrivesse biglietti per ricordarsi di qualcosa gli diede maledettamente ai nervi. Lui non
scordava mai niente!
Ma dove caspita era?
Dove dannato Merlino era finito!
Sollevò quel pacchetto e lo soppesò tra le mani e quasi distrattamente ne alzò il coperchio.
Fu immediato il richiuderlo.
Questione di centesimi di secondo.
Forse anche meno.
Quello che aveva visto in quei brevi istanti era troppo anche per lui.
Il suo occhio attento aveva, in quel brevissimo lasso di tempo, già fatto la fotografia del
contenuto.
Con precisione meticolosa seppellì quell’orrore sotto strati di slip celandolo alla vista.
Un vibratore.
Un orrido vibratore verde pisello.
Un orrido vibratore verde pisello con incise delle parole.
Un orrido arnese che riportava la disgustosa scritta: “Per Severus, quando non ci sono.”
Afferrò la biancheria a caso e richiuse il cassetto con uno scatto deciso, non potendo far a meno di
notare che quello si era richiuso perfettamente con uno sbuffo soddisfatto e segretamente godendo della
cosa.
Spalancò le porte dell’armadio e si perse nella contemplazione estatica di tutti quei completi, sebbene
cercasse con finta indifferenza qualcosa di più pratico, come una toga. O come i suoi pantaloni lisi. Si
sorprese a tastare ogni tasca delle numerose giacche meticolosamente appese per colore alla ricerca vana
della sua bacchetta.
Era già arrivato al beige quando se ne rese conto.
Si bloccò, certo dell’inutilità della cosa.
Lui non faceva mai cose inutili.
Prese l’abito blu a cui era attaccato un memorandum con le parole: “E’ questo!!!!!!!!!!!!”, e si volse
alla porta adiacente che era sicuro portasse al bagno.
Merlino! che risveglio anomalo!