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Autore: Lils_    24/08/2012    6 recensioni
La Settantesima Edizione degli Hunger Games è ormai conclusa ed è stato decretato un vincitore: il suo nome è Annie Cresta, Tributo dal Distretto 4.
All'apparenza Annie è riuscita a sconfiggere i suoi avversari, ma in realtà l'arena ha sconfitto lei.
Cosa è accaduto davvero durante i Giochi?
“Non ci dovrai tornare mai più, Annie.” le dice Finnick. Colto da un’improvvisa ispirazione aggiunge “Raccontami com’era. Raccontami tutto. Così saremo in due a portare questo peso, d’accordo? Proveremo a dimenticare insieme.”
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Finnick Odair, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Capitolo 5
L’attacco



 
Quando riapro gli occhi è l’alba.
Devo aver dormito per almeno dieci ore filate e la cosa mi sorprende, visto che non mi sono svegliata nemmeno una volta per via degli incubi. Mi giro verso il punto in cui avevo lasciato Brandon prima di addormentarmi e lo trovo riverso a terra, che dorme con la bocca spalancata, una mano tesa verso di me e l’altra abbandonata mollemente sul suo petto. Mi viene da sorridere a quell’immagine. Sembra così sereno nel sonno.
Decido di preparare la colazione, così accendo il fuoco, cercando di utilizzare meno arbusti possibili e cercando solo quelli più secchi, in modo da non fare troppo fumo e da non rivelare così la nostra posizione. Frugo nello zaino alla ricerca di un paio di barattoli di stufato ma non trovo nulla. Cerco ancora frugando anche nel mio zaino, li rovescio a terra ma tutto quello che ne esce è la corda e il kit di pronto soccorso dal mio, i fiammiferi e tre bottiglie d’acqua dal suo.
“Brandon! Brandon svegliati, per l’amor del cielo!” sibilo scuotendolo per un braccio, ma quello non accenna a volersi svegliare, così gli spruzzo un po’ d’acqua sulla faccia facendo attenzione a non sprecarne troppa. “Che diavolo combini?” sbotta il mio alleato aprendo gli occhi, e tirandosi su a sedere.
“Il nostro cibo! E’ sparito Brandon!” dico nel panico prendendomi la testa tra le mani. Quest’arena mi sta facendo impazzire. Non c’è cibo, non c’è acqua, solamente Tributi pronti a tutto e orribili ibridi.
“Che cavolo significa che è sparito?” domanda Brandon infuriato, mentre fruga negli zaini, tra le nostre cose, si tocca persino le tasche dei pantaloni e della giacca.
“Che non c’è più, razza d’idiota!” esplodo io e in un impeto di rabbia gli tiro contro il kit di pronto soccorso. Come può essere così stupido?
“Se tu mi avessi svegliato questa notte, avrei fatto un turno di guardia! Invece no, e così hai finito per addormentarti attirando qui metà dell’arena manco avessi messo dei cartelli segnaletici!” gli rinfaccio lasciandomi cadere a terra con la testa tra le mani.
“Ah e sarebbe ancora colpa mia?” chiede Brandon sarcastico. Alzo gli occhi su di lui e, in un primo momento, mi sembra  veramente infuriato, ma dietro all’espressione incollerita mi accorgo anche di quanto si senta mortificato in realtà. Improvvisamente non sono più in collera con lui, anzi mi sento stranamente rassegnata. “Scusami Brandon, mi sono lasciata prendere dal panico.” mormoro. La sua espressione si addolcisce, e anche i suoi occhi smettono di lampeggiare di rabbia. “Non fa nulla, Annie. Hai ragione, è colpa mia, non avrei dovuto addormentarmi.” replica inginocchiandosi di fronte a me e facendomi alzare lo sguardo su di lui. I suoi occhi sono così pieni di senso di colpa, che mi sento veramente uno schifo per essermela presa con lui. Istintivamente lo abbraccio, cercando di trasmettergli tutto il mio affetto e la mia gratitudine. Ma dopo poco lui si scosta, facendomi alzare e cominciando a raccogliere le nostre cose.
“Forza, su, dobbiamo metterci in marcia. Dobbiamo cercare del cibo, altrimenti non andremo da nessuna parte.” Qualche minuto dopo siamo di nuovo in marcia. Per lo meno chi ci ha derubato ha toccato solo il cibo, lasciandoci l’acqua e il kit di pronto soccorso. Con la pancia vuota si può sopravvivere, ho già patito la fame prima d’ora, ma senza acqua non resisteremmo nemmeno due giorni. Mentre camminiamo cerchiamo di capire le motivazioni di questo ladro sconosciuto: è piuttosto ovvio che lui o lei, era a corto di cibo, ma perché lasciarci in vita? Avrebbe potuto tranquillamente ucciderci nel sonno, senza nemmeno un lamento da parte nostra. Poi mi viene in mente che potrebbero essere stati i Favoriti a commettere il furto: avrebbero potuto farlo per indebolirci, per poi poterci attaccare alle spalle quando saremmo stati troppo deboli per ribellarci.
“Secondo me è una teoria assurda. Avrebbero potuto farci fuori subito e tanti saluti.” dice Brandon in tono scettico, ma io resto della mia idea.
Verso metà pomeriggio siamo entrambi sfiancati dalla lunga marcia e di cibo non ce n’è nemmeno l’ombra: abbiamo controllato ogni singolo cespuglio alla ricerca di bacche commestibili o frutti della terra, spazzando il terreno alla ricerca di radici commestibili, ma non abbiamo ricavato nulla su non graffi per via delle spine dei cespugli. Di animali nemmeno a parlarne. Non si sente nemmeno un cinguettio, nessun fremito, nulla. L’intera arena tace, tanto che possiamo sentire il suono affannoso dei respiri dell’altro con chiarezza assoluta.
Quando sta per calare la notte, decidiamo di accamparci. “Non caveremo un ragno dal buco. L’unico cibo qui è quello della Cornucopia e quello degli sponsor.” conclude Brandon lasciandosi cadere a terra con un tonfo, ma io non gli presto attenzione. Sono concentrata su un suono in lontananza. E’ una strana litania, una sorta di canto melodioso che mi attira verso di se. Richiamo l’attenzione di Brandon verso quel suono e entrambi concordiamo senza parlare di avvicinarci di più: potrebbe essere uno dei Tributi, e l’occasione sembra buona per trovare altro cibo e eliminare un po’ di concorrenza.
Sento uno strano senso di eccitazione man mano che ci avviciniamo. E’ una sensazione che mi parte dallo stomaco e si propaga per tutta la lunghezza del mio corpo, rendendomi euforica. E’ qualcosa che ho provato pochissime volte, ma che il mio cervello non è mai riuscito a catalogare. Immagino sia una sorta di scarica adrenalinica. Più ci avviciniamo e più la sensazione cresce. Un largo sorriso si apre sul mio volto e vedo lo stesso fenomeno accadere sul volto di Brandon. Mi sento stranamente in pace, e appagata. Vedo tutto più luminoso, come se il mondo si fosse fatto più colorato.
Quando siamo praticamente giunti alla fonte del suono ci accorgiamo di essere di fronte a qualcosa di assolutamente fuori posto nell’arena: un bellissimo albero, dai lunghi rami e dal tronco spesso, con foglie color argento si innalza di fronte a noi. Ma la cosa più sbalorditiva sono i frutti succosi dall’aria invitante che pendono dai rami. Sono talmente tanti che l’albero è incurvato sotto quel peso. Immediatamente mi viene l’acquolina in bocca, mentre il canto si fa più incalzante.
Mi sporgo per afferrare uno dei frutti, ma Brandon mi ferma. Sta scuotendo la testa, e mi guarda con aria di rimprovero. “Annie, non dovremmo coglierli. Potrebbero essere velenosi.” dice, ma non sembra troppo convinto nemmeno lui. Il suono flautato continua, intanto, facendosi sempre più forte, e mi domando perché gli altri Tributi non siano ancora accorsi a vedere che cosa provoca quel suono così soave.
“Tentar non nuoce, Brandon. Questo potrebbe essere l’unico cibo nel raggio di miglia.” replico e la mia voce sembra così strana in confronto a quel canto così vellutato che mi affretto a chiudere la bocca. Sono completamente ipnotizzata. Allungo di nuovo una mano, ma ancora una volta Brandon mi ferma. “No, lascia. Faccio io.” dice il mio alleato e improvvisamente sono colta da un senso di collera verso di lui. Vuole forse prenderli tutti per sé? Ma poi mi placo, pensando che in fondo siamo alleati, e che li spartirà sicuramente con me. Così lo lascio fare, ma mentre sta per cogliere uno dei frutti le urla nella mia mente ricominciano. I ricordi riaffiorano, la paura torna, e il senso di pace e tranquillità che mi aveva accompagnato fino a quel momento svanisce. Mi porto le mani alle orecchie, tappandole per non sentire più quelle urla e così facendo estrometto anche quel canto melodioso che continua a pervadere l’aria.
Ed è come se tutto cambiasse. Improvvisamente torno a vedere chiaramente. Osservo l’albero di fronte a me, che non sembra nemmeno lontanamente l’albero fatato che c’era fino a qualche secondo prima. I rami sono secchi e contorti, il tronco e rovinato e brulica di termiti, ma la cosa più sconvolgente sono i frutti, che da succosi e invitanti sono diventati marci e anneriti.
“Brandon, fermati!” urlo istintivamente, ma è troppo tardi. Brandon si è già sporto e ha staccato un frutto dall’albero. C’è qualche secondo di immobilità prima che si scateni l’inferno.
Centinaia di insetti lunghi circa quindici centimetri e che assomigliano in modo impressionante ai rami sono piombati in direzione del mio alleato. Mi precipito da lui per proteggerlo, ma gli insetti hanno già cominciato a trafiggerlo con le loro zampe taglienti. Brandon si ricopre di sangue in pochi secondi, e io riesco a trascinarlo via appena in tempo. Sento le zampe acuminate di quelle creature infernali lacerarmi gli abiti e la pelle, aprendomi tagli ovunque. M’impongo di correre trascinandomi dietro un Brandon semi cosciente, e riesco ad arrivare sino alla fine della via prima di crollare a terra sotto il peso del mio alleato. Penso che sia giunta la mia fine, quando gli insetti si ritraggono improvvisamente. Penso che sia perché hanno terminato il loro compito, quando mi accorgo che un’altra coppia di Tributi si è avvicinata all’albero. Hanno sguardi ipnotizzati e sono storditi, probabilmente dalla musica che ha ricominciato a risuonare. Cerco di urlare loro di scappare, ma il peso di Brandon mi soffoca, così assisto alla loro morte. Gli insetti tagliano profondamente, finché di loro non rimangono che brandelli. E di nuovo urla, da aggiungere alla mia collezione personale. I cannoni sparano, e un hovercraft cala a raccogliere i resti, decretando la fine di quei due Tributi. E com’era apparso, l’albero incantato scompare.
Respiro affannosamente mentre cerco di togliermi Brandon di dosso, che intanto ha perso conoscenza. Lo faccio rotolare giù da me, e cerco di respirare con più calma. Poi mi alzo, cercando di non farmi prendere dal panico alla vista delle mie ferite, e trascino Brandon fino alla siepe.
Trovo una specie di rientranza nella siepe, una sorta di cupola piuttosto ampia, così ci striscio sotto trascinandomi dietro il mio alleato, e mimetizzo l’entrata. All’interno si può stare comodamente in ginocchio, così decido di occuparmi prima delle sue ferite mentre è ancora incosciente. E’ ridotto piuttosto male: ha due tagli piuttosto profondi sul volto, uno sulla guancia destra e uno sulla fronte. Tiro fuori dal mio zaino il kit di pronto soccorso, e gliele disinfetto il più dolcemente possibile con due batuffoli di cotone. Poi ci applico sopra la pomata di Finnick e due cerotti. Il suo viso ora sembra ridotto molto meglio.
Contenta del risultato, passo al torace: ha tre tagli sul petto, uno profondo e due lievi. Gli tolgo delicatamente la maglietta, ormai ridotta in brandelli e applico la stessa procedura anche su quei tagli, poi gli sfilo i pantaloni e curo anche quelli sulle gambe. Il risultato non è niente male, così mi lascio cadere soddisfatta accanto a lui, improvvisamente stremata. Fino a quel momento non avevo pensato alle mie ferite, che mi sembravano molto meno gravi di quelle di brandon ma ora che ci faccio caso, mi rendo conto di aver perso molto sangue. La cosa strana è che non provo dolore, soltanto un lieve pizzicore e forse è per questo motivo che non me ne sono reso conto prima.
Faccio per allungarmi verso il kit di pronto soccorso, ma improvvisamente le palpebre mi si sono fatte pesanti. Così decido di riposare un po’ prima e faccio appena in tempo a distendermi accanto a Brandon che cado in un sonno profondo.
Ancora una volta, sogno.
Sono su una barca, in mezzo al mare, e alle mie spalle vedo la costa dei Distretto quattro. Insieme a me c’è Brandon, che sta leggendo un libro. E’ semi sdraiato e tiene una mano fuori bordo, a lambire l’acqua, mentre l’altra regge il libro. Improvvisamente alza lo sguardo e mi sorride. Faccio per contraccambiare il sorriso, quando vedo una barca scivolare sull’acqua accanto a noi. C’è Finnick su quella barca. Mi sta guardando, tendendomi una mano perché possa raggiungerlo. Ed io ci provo, ma improvvisamente mi rendo conto di essere bloccata. Provo e riprovo a raggiungerlo, chiedo aiuto a Brandon, cerco di liberarmi, ma per quanto ci provi non riesco a raggiungerlo.
Quando apro gli occhi la prima cosa che registro è lo scrosciare della pioggia. Probabilmente diluvia fuori dal nostro rifugio, ma qui l’ambiente è asciutto e c’è un calore gradevole. Poi arriva il dolore. E’ come se centinaia di aghi mi stessero perforando la pelle. Faccio per alzarmi, ma una mano mi spinge giù premendo sul mio petto.
“Resta giù, scricciolo. Te la sei vista brutta, stanotte.” dice Brandon poggiandomi un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante sull’addome. Mi lascio sfuggire un lamento, e non mi sfugge lo sguardo preoccupato del mio alleato. “Ehi, tranquillo, è solo qualche graffio.” mi affretto a dire. Ma in effetti, mi sento piuttosto debole, così lascio che Brandon mi disinfetti e fasci tutte le ferite. A quanto pare ne ho una sull’addome, due su un fianco e una su una gamba. Nessuna di queste è molto profonda, ma hanno perso tutte molto sangue. Così quando Brandon finisce di medicarmi mi avvolge in una coperta e mette i miei e i suoi abiti fuori perché si lavino con l’acqua piovana. La mia biancheria è rimasta miracolosamente integra a parte due strappi sulla canottiera, e questo mi rincuora un po’. So che dei corpi nudi non sono nulla di speciale nell’arena, ma mi sentirei comunque parecchio a disagio.
“Tu come stai?” chiedo dopo aver ottenuto il permesso di stare semisdraiata. Mi appoggio con la schiena alla siepe e passo in analisi le ferite del mio alleato. Sembrano molto più gestibili rispetto alla notte precedente, e i medicamenti fatti da me sembrano aver tenuto bene.
“Molto meglio di te di sicuro. Avresti dovuto pensare prima a te e poi a me, ieri notte.” risponde Brandon in tono di rimprovero, ma nella sua voce leggo anche la gratitudine.
“Figurati, non c’è di che.” replico, strappandogli un mezzo sorriso. “Comunque che mi sono persa nel corso della serata?”
“Beh, c’è stata la proiezione dei caduti, e sono morti anche i ragazzi del 6 e del 10. Siamo rimasti noi, entrambi quelli dell’1, il ragazzo del 2 e quello del 7.” mi informa lui mentre armeggia con una coperta. Ci si avviluppa dentro e si appoggia alla siepe di fronte a me. Provo uno strano senso di protezione dal quando abbiamo trovato questa sorta di rifugio. Le pareti e il tetto a cupola creati con la siepe mi fanno sentire al sicuro, così come lo strato tenero di erba sotto di me. Siamo racchiusi in una specie di caldo nido.
“Quindi siamo rimasti in cinque.” concludo tetramente. Il cerchio si restringe, e il fatto che siamo ancora entrambi vivi aumenta le possibilità di doverci uccidere a vicenda, una volta eliminati gli altri. Per la prima volta realizzo di avere una tenue speranza di vittoria. Ma la cosa non mi consola affatto.
“Già. E noi siamo ancora senza cibo.” aggiunge Brandon e quasi magicamente sentiamo la risposta alla sua tacita domanda planare fuori dal nostro rifugio. Brandon si sporge fuori dal nostro nascondiglio e raccoglie un paracadute bagnato da terra. Restiamo entrambi a guardarlo affascinati finché Brandon non chiede “Per chi pensi che sia?”
Mi rendo conto che per lui è il primo dono che riceve nell’arena, così decido di lasciarglielo. “Aprilo tu.”
Brandon scioglie con delicatezza i nodi che tengono legato il voluminoso pacchetto e rivela una terrina di stufato caldo e due pagnotte del nostro Distretto. Intravedo anche un bigliettino e mi scambio uno sguardo d’intesa con lui. “Il pranzo!” esclama in tono entusiasta e io gli sorrido. Adoro che mi capisca così al volo senza bisogno di parole. Si affretta a far sparire il bigliettino, mentre affetta il pane per due. Decidiamo di mangiare una fetta di pane a testa e di dividerci lo stufato, che in ogni caso non durerà a lungo. Il pane invece sì, così lo avvolgo con cura nel paracadute ispirandone a fondo il profumo e lo ripongo nello zaino come se fosse una sacra reliquia.
Brandon mi porge la mia fetta di pane, e assieme ad essa ricevo anche il bigliettino. Leggo in fretta le poche righe, mentre Brandon ricava due cucchiai da una vecchia lattina di cibo.
 
Brandon: Grazie. Per averla salvata.
Annie: Tieni duro, resta viva e torna a casa.
F.
 
Mi salgono le lacrime agli occhi mentre leggo quelle poche parole, ma le scaccio via risoluta. Non è il momento di mettersi a piangere. E’ il momento di continuare a lottare.
 

 
 

   
 
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