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Autore: Nikki Leaks    27/08/2012    0 recensioni
"This feeling, inside me,finally found my life,
I'm finally free. No longer torn in two
Living my own life by learning from you"

Ho paura del mio futuro, ma sento di essere finalmente libera.
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. 'Cause Life starts now.

I genitori ci crescono mortificando di noi ogni impulso,
già dalla nascita veniamo oppressi da insegnamenti castranti,
ciò a favore di una società disgustamene vigliacca,
che può in tal modo controllarci più facilmente.
[Cit. V.M. 18]

-Non mi pare che tu abbia chiesto la mia opinione, o comunque non in un mio stato cosciente. – Dissi distruggendo con il pollice e l’indice il filtro della sigaretta ormai spenta che tenevo in mano. Mio padre mi avvicinò il posacenere e la buttai dentro. Lo guardai supplicante, mentre lui distoglieva lo sguardo.
-Perché non le hai fatto cambiare idea? Guarda! Non risponde nemmeno perché non sa quello che dire! IO voglio vivere a casa mia, non qui o in un luogo sconosciuto-
-Ma Mimi, sarà casa tua. Qual è il problema? Lo facciamo per te.- Papà era la persona più speciale del mio piccolo mondo, tutti sapevamo che aveva un grande cuore buono e dolce, tutti sapevamo che mia mamma era una donna forte e orgogliosa, lei prendeva le decisioni senza l’aiuto di mio padre. Ma a lui andava bene così, non potevo immischiarmi, se non sperare e basta in un cambiamento di mia madre.
-Non sperarci Emilie, ti ho già iscritto e affittato una camera direttamente all’università. Una buona scuola, ho controllato, sezione lingue, ho messo lingue orientali, quello che studiavi tu. Come ti ricordo il  giorno del diploma avevi giurato che ti saresti messa sotto nello studio senza perderti in cazzate… Beh, mi hai deluso e ora si fa’ come dico io. Niente Isabelle, né Pierre, né tutti i tuoi stupidi e drogati amici. - Rispose finalmente mia mamma, continuando poi a lavare i piatti. Sbuffai e mi alzai di scatto, facendo strisciare la sedia sulle mattonelle del pavimento.
-Emilie- Mi bloccò mia madre e mi fermai in mezzo alla stanza,- Stanotte quando torni dalla tua ultima uscita qui, prepara le valigie, da questa casa sloggerai domani mattina stesso- Colpì Agata, con un tono di voce fermo e serio. Mi diressi a passi veloci in camera mia, stringendo forte i denti per evitare di scoppiare in una stupidissima crisi di pianto.
 

Feci un respiro profondo e scesi dalla macchina dei miei, guardando l’enorme insegna dell’aeroporto di Beauvois. Mio padre aprì il cofano, tirando fuori le mie due valigie. Andai ad aiutarlo, mentre mia madre incominciò a entrare nell’edificio tenendo la cartella del mio biglietto di sola andata.
-Mi mancherai Mimi, ma penso anche io che questo sia il modo migliore per il tuo futuro da traduttrice- Sospirò, porgendomi uno zaino da spalla.
-No, questo è il futuro che VOI avete costruito per me. Non vi siete mai chiesti cosa volevo veramente fare- Replicai, stracciando dalle sue mani lo zaino. Vedevo che era triste, mi dispiaceva, ma non riuscivo ad accettare il fatto di perdere gli anni della mia vita e del MIO futuro per colpa di una stronza, che poi era la donna che mi aveva portato alla luce e mi aveva permesso di costruire il mio presente.
Un giorno mi sarei scusata con quell’uomo, ma in quel momento era difficile farlo.
Ci incamminammo all’interno del mini- aeroporto e Agata ci fece segno di avvicinarci. Pesammo le valigie e una volta assicurati che il peso non superava quello standard, feci il check in.  Mia madre mi diede due baci e mio padre mi strinse forte forte quasi da farmi mancare il fiato. Sapevo che gli sarei mancata tanto.
Una volta superato il check in li guardai un’ultima volta mentre mi salutavano con la mano. Non avevo altra scelta, se non quella di camminare con il viso rivolto verso la consegna dei biglietti.
Ci volle mezz’ora prima di salire sull’aereo giallo banana. Una volta dentro infilai un paio di cuffie e presi una gomma da masticare per evitare che le mie orecchie si tappassero durante il viaggio in alta quota. Avevo sempre sofferto i viaggi in aereo, anche perché da bambina ero solita soffrire d’otite; anche un semplice viaggio in montagna data l’alta quota poteva farmi male.
Non mi attizzava per niente iniziare una nuova vita e farmi nuovi amici, anche perchè la mia indole ribelle mi avrebbe di nuovo portato sulla brutta strada. La prima idea che mi passava per la testa era non farsi amici, ma a quell’età chi non amava uscire a farsi un cocktail in un bar tranquillo magari appena fuori città? Oppure andare in una discoteca e far… no, ok, la prima opzione forse era la strada giusta. Sbuffai, girandomi prima a sinistra e poi a destra; nemmeno un finestrino vicino a me. Avevo due ragazze vicino, quella di fianco al mio posto preferito era una signora abbastanza anziana che teneva la borsetta poggiata sulle gambe, stretta dalle braccia conserte. Stava andando a trovare suo figlio? O una vecchia amica? O tornava a casa sua? E suo marito era morto o aspettava trepidante il suo ritorno? L’altra ragazza invece era sulla trentina, vestita bene e con un’acconciatura impeccabile, questioni di lavoro?
Sbuffai, e mi concentrai sulla musica, addormentandomi velocemente tra una nota e l’altra.


Mi svegliò di soprassalto il rumore delle ruote dell’aereo sull’asfalto. Spalancai gli occhi e feci un respiro profondo, deglutendo. Le orecchie si stapparono con il loro dolore tipico e bloccai l’mp3, accorgendomi solo dopo che la riproduzione era già finita. Notai che l’obbligo di allacciare la cintura era illuminato, ma all’inizio del viaggio mi ero addormentata così in fretta che non avevo fatto in tempo a togliermela. Mi scappava la pipì in una maniera assurda, ma non potevo alzarmi. E appena scesa dall’aereo mi aspettava il tizio che mi avrebbe accompagnato alla SOAS, che bellezza. Aspettare di espellere i liquidi all’università o farla qui in aeroporto? La mia mente decise che era più pulita l’università. O almeno, speravo che il bagno del mio “appartamento” fosse abbastanza pulito. In fondo era una scuola prestigiosa... no?
Distratta dai miei pensieri non mi accorsi che ero pronta a scendere in un territorio non mio. Raccolsi le mie cose e dopo esser uscita mi girai verso l’aereo giallo banana per salutarlo. Faceva più freddo lì che nella mia piccola cittadina… il tempo non era dei migliori; non pioveva ma il cielo era coperto di nuvole, o di smog? A passi lenti mi diressi verso l’aeroporto e feci un’entrata divina, il vento mi sollevò la gonna e mi scompigliò i capelli, allungai la mano per spingere la porta e attirare l’attenzione di tutti e… caddi rovinosamente a terra, facendo un rumore assurdo. La porta era scorrevole, e io , stupida, non l’avevo nemmeno notato. Almeno avevo attirato l’attenzione, no? Tutti mi guardavano, ma nessuno si avvicinò ad aiutarmi. Che gentilezza! Vi prego non tutti insieme! Mi alzai e mi sistemai il giubbotto, riprendendo la valigia e trascinandomi verso i tizi con i cartelli in mano. Presi dalla borsa la brochure della mia scuola che mia madre mi aveva dato e che io avevo appallottolato e messo in borsa poco prima di partire.
“School of Oriental and African Languages, Pentom Rise, Pentoville Road” 
Mi guardai intorno e lessi tutti I cartelli, quando, infine, un ragazzino che pareva avere sui sedici anni aveva in mano il cartello che stavo cercando. Mi avvicinai cercando di fare un sorriso accettabile e il tipo aggrottò le sopracciglia spostando leggermente lo sguardo. Mi avvicinai ancora di più e sorrisi di nuovo mostrando i denti, e quella volta mi parlò, con tono scocciato,
-Desidera qualcosa?- il suo accento londinese si sentiva lontano miglia e, nonostante mi irritasse e non poco, cercai di essere il più cortese possibile.
- Sono io Emilie Boigas- Mi uscì invece in un inglese freddo e serio. Il tipo cambiò subito faccia e mi strappò letteralmente la valigia dalla mano, per poi mollarla e abbassare la testa
-Mi scusi, pensavo fosse una psicopatica- Disse a voce bassa, con tono pentito.  Spalancai gli occhi e sbuffai, facevo così una brutta impressione?
-Dovresti accompagnarmi tu all’Università? Almeno hai l’età per guidare? E per andarci in una Università?- Il tipo fece un verso strano, quasi deluso, colpito nel profondo.
- Veramente non vado all’università… è solo un lavoro per aiutare la mia famiglia. Comunque ho vent’anni- Mi rispose, guardando verso il basso. Mi scusai poggiandogli una mano sulla spalla, come vecchi amici, e dopo avergli fatto alzare la testa gli sorrisi.
 
  
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