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Autore: SkyEventide    27/08/2012    1 recensioni
Primi dell'800, Regensburg, Germania. Una madre, di nobili natali, e un padre insegnante di pianoforte votano la loro vita a mandare il figlio al prestigioso Conservatorio, un ragazzo con poche risorse, ma di talento. Ha un'ambizione, suonare nell'Orchestra Filarmonica di Vienna un concerto per violoncello; ostacolata dall'invidia come dal fato avverso, e incoraggiata da provvidenziali benefattori: il figlio di un marchese primo tra tutti. Ma quello che muove i desideri e le trame di tutti i personaggi, che anima i cuori, è come un sottofondo onnipresente: la musica.
Regalo di compleanno per Suze, con tanto ammmmore.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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Il Prezzo


Di fianco allo spartito brucia una lampada ad olio, il cui fumo riempie il soffitto del pub. Un gruppo di avventori a destra intona una canzone campagnola facendosi accompagnare dalla musica che Klaus suona sui tasti del pianoforte. E’ un veloce talmente semplice e che ha suonato tante di quelle volte che ormai non deve neppure più impegnarsi, è sufficiente premere i bianchi con il giusto ritmo. Alle ultime battute, gli avventori esultano ed alzano le birre, brindando.
« Ancora! » esclama uno. « Da capo, pianista! »
Klaus solleva una mano per segnare di aver sentito e l’uomo invoca un altro brindisi. C’è un odore di malto che non abbandona mai il pub e i suoi vestiti quando ne esce.
Gira la pagina dello spartito consumato, per abitudine, conta i primi quattro battiti col piede e parte: musica allegra e festaiola, il coro di avventori si accoda subito alle note. Sembra un canto di contadini che tornano dal lavoro. Klaus batte i tasti più forte per sovrastare le voci, fanno persino male i polpastrelli e non c’è differenza fa “piano” e “forte” nelle note. Nessuno, comunque, si accorgerebbe della differenza.
Forse neppure lui.
Sta perdendo la raffinatezza, sta disimparando a suonare, sta dimenticando la fascinazione delle melodie. Disconosce l’arte. Non c’è arte nel premere i bianchi come fossero ferri da percuotere su un’incudine.
Nella trance dello stornello, sbaglia una nota, e non se ne accorge nessuno.
Si sente degradato, in quel momento, quando comprende che la nausea allo stomaco non è per la fame, ma perché sta svendendo la musica e tutto il suo talento.

La custodia del violino ha una chiusura vecchia, la pioggia scende, le inzuppa la mantella e i capelli, ha già infradiciato l’orlo della gonna. La custodia ha una chiusura vecchia, che ora sbatacchia contro la gamba, e non regge.
Maria sente un suono secco, abbassa gli occhi e vede il violino precipitare fuori verso le travi del ponte; le manca il fiato, si china, l’afferra prima che cada e s’infranga a terra. Le dita stringono una delle corde, troppo tese dalle numerose accordature, non cambiate da anni.
Un suono acuto taglia l’aria, negli scrosci della pioggia.
Stringe tra le dita della mano la corda spezzata e arricciata dello Stradivari.
« No. »
La pioggia precipita nel Danubio e lo gonfia, le picchia sulla schiena e le sta ormai impregnando gli abiti, cade anche sul violino, dentro la cassa armonica, sulla sua mano. Maria vive di quel violino, è l’ultima vestigia della sua adolescenza agiata nella casa del padre, è l’ultima vera fonte di guadagno che ha. L’ultima cosa materiale tra quelle che possiede che davvero abbia un valore.
Lo copre, lo spinge al sicuro nella custodia e tira la corda, come potesse mettersi a posto.
« Dio mio, no. » Le si accartoccia il precario equilibrio che era riuscita a dare alla via sua, di Klaus e di Johann; l’ordine apparente che la sicurezza degli introiti fissi le infondeva nella mente, si sgretola. La reliquia di ricchezza si è rotta e non lo può credere; se solo non l’avesse afferrato in quel modo, se la custodia fosse stata più nuova.
Gli occhi le pizzicano mentre barcolla lungo il ponte e le spalle le si piegano sotto la consapevolezza: la corda rotta, il violino inutilizzabile, il suo lavoro, il suo guadagno distrutto. Si trascina verso casa con dei gemiti che salgono dalla gola, di un dolore intimo e incredulo, si lascia zuppare dalla pioggia. Corre sul selciato, passa la cattedrale e si infila nelle straducole della città.
La porta di casa non la consola, neppure quando le dita tremano nel cercare la pesante chiave di ferro nella tasca, neppure quando la spinge nella toppa e gira.
« Klaus. » Ha la gola chiusa dal pianto, tossisce e si piega nell’ingresso, spingendo la porta a chiudersi con un tonfo, il dolore al petto non è più solo spirituale. I polmoni grattano. « Klaus! »
Suo marito accorre, e lo fa con occhi sgranati, la preoccupazione per il richiamo che lei ha lanciato deve averlo spinto ad abbandonare qualunque cosa facesse; la raggiunge e le solleva il busto, il suo sguardo fruga nel suo volto.
« Maria. Che succede? »
« Klaus, lo… » Maria si sente crollare e sprofonda contro la sua spalla, annientata. « Lo Stradivari. Si è rotto, una corda » la tosse le mozza le parole « Una cor… una corda si è spezzata. E’ inutilizzabile, io adesso non so più… »
Aggrappa le dita alla camicia ruvida.
« Aspetta, calma, lasciala. » La voce del marito è urgente, ma non alterata, Maria cede senza opporsi la presa sulla custodia rotta del violino e lascia che lui si stacchi dall’abbraccio il tempo che serve per aprirla. Lei non ha la forza di guardare, non il legno bagnato né il filo arricciato, non la consapevolezza di sentirsi privati di ciò che assicurava alla famiglia almeno la decenza. Si copre il viso con una mano, è fradicia, con i capelli attaccati al viso, i brividi le scendono lungo la schiena e ai propri piedi vede una pozzanghera dell’acqua che gli abiti hanno raccolto.
« Klaus... » mormora.
E’ chinato sopra la custodia e solleva piano quel cadavere impregnato d’acqua.
« Non importa » lo sente mormorare. « Piuttosto, cambiati, sei fradicia. »
Maria chiude gli occhi e sente le lacrime scivolare fino alle labbra.

Johann siede nei posti della classe di esercitazione per il concerto del Conservatorio, di fronte a sé il leggio con le graffette tiene aperto lo spartito sul passo più complicato. E’ disposto volentieri ad attardarsi al Conservatorio fino al pomeriggio inoltrato, per provare più volte il trio in re maggiore di Beethoven da presentare al concerto.
Con il violoncello puntellato a terra e nella destra l’archetto, osserva Von Alensmeier che ripete il passaggio d’apertura. All’inizio delle audizioni, quel mattino, per decidere chi dovesse occupare il posto del violinista, chi del violoncellista e chi del pianista, il compagno gli ha chiesto di essere chiamato per nome e si è preso la libertà di fare altrettanto.
Johann non credeva che Alensmeier, ovvero Marcus, potesse dimostrare sufficiente serietà da guadagnarsi il diritto di esibizione, ma con lo spartito di fronte, il sottofondo del pianoforte del professore, e il violino appoggiato alla spalla, si è trasformato: ha socchiuso gli occhi, ha inspirato mosso l’archetto sulle corde. L’aria ha vibrato della musica frizzante e raffinata tesa dalle sue dita e cantata dai movimenti e lui ha acquistato una dignità nobile e incantevole. Non gli è sfuggito lo sguardo di Hans Heidrich; sembrava bruciare, era chiaro e incandescente. Johann crede che sia invidioso della gentilezza con cui Marcus suona, con cui modula le note e pizzica le corde. Neppure gli è sfuggito come quegli occhi azzurri e infiammati si siano ammorbiditi guardando lui, ma è stato veloce nel distogliere lo sguardo.
« Kolm? »
Il loro pianista alza gli occhi dallo spartito, su Marcus che lo chiama.
« Riproviamo il terzo movimento dall’inizio. Johann, ci sei? »
Non ha capito con quale autorità si sia eletto coordinatore del trio, ma tanto meglio, è bene che sfoghi la sua parlantina e smuova un po’ l’indecisione di Kolm su che cosa provare.
Johann annuisce, gira le pagine dello spartito al punto preciso, sistema il violoncello e prepara l’archetto.
Vede Marcus fermare il violino col mento e la gamba di Kolm allungarsi sul pedale del pianoforte. Alensmeier batte i tempi col tacco. Cominciano.
I primi arpeggi del pianoforte danno l’attacco in un Presto che si preannuncia frizzante per tutto il movimento; il violino si inserisce senza sbavature; Johann fissa il triplo pentagramma, preme le corde e risponde all’armonia incalzante. La musica si diffonde nella stanza dall’ottima acustica, con il soffitto a cassettoni che evita loro l’eco. I tre strumenti si confondono e si incalzano, finché Marcus si zittisce e Johann subito dietro, con gli occhi sulle pause da due tempi. Un brevissimo trillo del pianoforte, note sparse per violino e violoncello. E poi veloci si rincorrono ancora e destano gli animi, e…
La porta si apre con uno schiocco. « Prego, Herr Alensmeier. »
Johann si interrompe con la fronte corrugata, che, da che mondo è mondo, si bussa prima di entrare e non si interrompono delle prove con tale maleducazione. Vede la figura del professore di pianoforte mentre si piega appena e tiene aperta la porta, lasciando il passaggio a un uomo di media statura, con dei folti baffi castani definiti e curati e abiti dei migliori che abbia visto, tra cui uno jabot di pizzo fissato da un cameo dorato.
Nonostante il portamento da padrone di casa, Johann stringe le labbra e corruga la fronte: non si interrompono le prove.
Per questo lo disturba che Marcus appoggi subito il prezioso violino sulla propria sedia e sorrida. « Padre. » Si allontana dalla postazione e va incontro all’uomo, che ormai è identificato come il Marchese von Alensmeier.
« Sono passato a prenderti. Ti sei scordato gli impegni? Devi prepararti. »
Il Marchese ha una voce profonda inflessibile; ma Marcus trova lo stesso il modo per voltarsi appena verso di loro e fare una smorfia con naso e bocca, non si capisce se di scuse o fastidio.
« Portate con voi Georg e lasciatemi provare » si lamenta.
Johann non crede che disubbidirebbe in modo così sfacciato al proprio genitore, se fosse di fronte ai compagni del conservatorio e ad un professore, ma forse il marchese ha un’autorità tale in quel luogo, tale da immobilizzare Kolm rigido di fronte alla tastiera, da potersi permettere di perdere la faccia per via del proprio figlio. Si limita ad inspirare e scandire: « Marcus. »
Il figlio sospira e si volta, le palpebre abbassate in una linea rassegnata. « Johann, Kolm, continuiamo domani, va bene? Qui dopo pranzo, avanti. Vi aspetto. » Ora che è vicino alla sedia e recupera il proprio violino e l’archetto, aggiunge con un sussurro: « Mi attende una cena d’affari, ditemi buona fortuna. »
Kolm è bianco come una statua di quelle neoclassiche che adornano l’ingresso del Conservatorio e il suo movimento facciale per Johann non è distinguibile anche mentre mormora: « Buona fortuna…? »
Lui non dice niente e gli dedica solo un cenno col mento, indispettito soprattutto dal fatto che Marcus abbia la poca delicatezza di salutare sventolando l’archetto. Il marchese è già sulla porta, che viene chiusa alle spalle del compagno con un leggero tonfo.
Girando gli occhi su Kolm, si accorge che probabilmente hanno lo stesso sguardo ancora sorpreso dalla dipartita così veloce del violinista, in mancanza del quale non possono neppure provare. Johann sospira e si prepara ad alzarsi e riporre lo strumento nella stanza silenziosa.

Maria solleva gli occhi dalla propria gonna e li alza sulla custodia posata sopra al bancone. Ciò che vorrebbe fare è riprendersi il suo violino, l’anima della sua musica e il ricordo della sua adolescenza, e tornare a casa, chiuderlo nell’armadio e lasciarlo intoccato.
« E’ uno Stradivari. »
Herr Erkel, si sporge dalla sua sedia e la diffidenza nel suo sguardo diventa palese scetticismo; Maria non lo sopporta. « Uno originale o sub disciplina? »
Alle sue spalle, un pianoforte a coda di Erard fa bella mostra delle proprie qualità e del livello del negozio, assieme a due viole in esposizione.
« Originale. » « Posso vederlo? » « Certo. » Maria afferra la chiusura rotta della custodia, scioglie lo spago; la sua voce è punta da un’indignazione orgogliosa, intanto che solleva la parte superiore e mostra il tesoro distrutto. « Ha soltanto una corda rotta, ma voi siete esperto, potrete capire che è vero. »
Il proprietario è allungato sul bancone, il ventre gonfio tira i bottoni del panciotto damascato in oro e Maria pensa che ad avere uno solo di quei capi, potrebbe non avere problemi nel comprare primo e secondo piatto sia per pranzo che per cena, almeno per cinque o sei giorni. Lo sguardo negli occhi piccoli e brillanti di Herr Erkel la rincuora, livella in parte l’angoscia delle proprie azioni e la rassegnazione di fronte alla sorte.
« Come l’ha avuto? »
La fissa con una punta di accusa nelle iridi e in come gli si corrugano le sopracciglia folte.
Maria inspira e gonfia il petto, congestionato dalla tosse, col respiro che raschia. « Non insinuerete che non mi appartenga » sussurra. « E’ la mia dote. Ero di famiglia ricca. » Lo ha soltanto portato con sé nel momento in cui ha lasciato la propria casa per Klaus, nient’altro che un insegnante, che l’ha attesa fuori dal duomo di Monaco e le ha sussurrato “sposami”.
« Lo sapete suonare? » Herr Erkel sposta gli occhi dal violino a lei.
Maria alza la mano di fronte al viso, tappando col fazzoletto la bocca, il fiato si incrina per la tosse e la trachea graffia. « Sì. E’ lo Stradivari Kreutzer » soffia. Lo ha sempre suonato.
« E allora perché lo vendete? Ha un valore eccelso, nonostante la corda rotta. E’ sufficiente sostituirla. »
Maria avverte il dolore della privazione ed è come se d’improvviso si spogliasse della dignità, pronta a cedere il suo strumento. La voce gratta. « Perché non ho soldi per farlo. » Il denaro le serve, per il cibo, per la casa, per Johann. « Quanto me lo pagherebbe, Herr Erkel? »
Il negoziante allunga una mano rugosa, con i tendini in rilievo, sfiora con le dita l’angolo della cassa armonica e si piega un po’ di più, strizzando gli occhietti; sta leggendo il cartiglio d’oro: Antonius Stradivarius Cremonensis Faciebat Anno 1727.
« Abete rosso, ed è del miglior quinquennio » mormora, e Maria avverte un brivido. Un pezzo unico, il suo tesoro dalla musica potente e indimenticabile. Herr Erkel inspira, stacca le dita dal legno: « Ve lo pagherò settemila marchi. »
Maria stringe assieme le mani in grembo, le sue dita rosse dolgono dal freddo. E’ una cifra onesta ed è forse la più alta quantità di denaro che vede da anni. Annuisce, in silenzio, ed è in silenzio che il miglior venditore di strumenti di Regensburg recupera una scatola di legno intarsiato e lucidato, la apre e ne estrae fuori il denaro.
Lo conta, moneta per moneta, sul bancone. In silenzio, Maria guarda un po’ della sua anima mentre viene comprata.






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Bene. Ritardo di mesi, soltanto io. XD La storia purtroppo rifiutava di farsi scrivere come si deve, anche se ero a un buon punto, complici anche dei fatti successi nel mezzo. Ora forse riuscirò a trovare il tempo necessario a proseguire.
Cerco di non scrivere vaccate sulla musica e gli strumenti, ma se qualche esperto ne sa più di me i consigli sono benvenuti.
Also, mica c'è qualcuno che sappia come venivano chiamati i nobili in Germania? Perchè so come vanno attribuiti i titoli in inglese, ma chiamare Lord un Marchese quando è tedesco mi sembra senza senso. XD
Spero veramente che vi piaccia, i commenti sono graditissimi. **

Kupò.
   
 
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