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Autore: Bethan Flynn    29/08/2012    2 recensioni
Non era possibile. Non poteva essere lui.
Non adesso che finalmente, dopo dieci anni, era riuscita se non a scrollarsi di dosso il peso di quella colpa che l’aveva sempre schiacciata, perlomeno a conviverci.
Howard Link. Il cognome c’era, i due nei pure, gli occhi grigi anche.
Non li aveva mai dimenticati, e non li avrebbe dimenticati mai.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Link, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Nella Home regnava una calma irreale.
Non si sentiva Kanda che inveiva contro tutto e tutti, Lavi e Allen non stavano strillando, Komui non era in preda ad attacchi d’ansia per l’imminente (e falsamente annunciato) matrimonio di Linalee e soprattutto non si sentiva la voce aspra e odiosa del sovrintendente Lvellie.
Rie guardò fuori dalla finestra il sole scintillare sul prato antistante la torre dell’Ordine e pensò che sarebbe stato quasi un bel panorama, se non fosse esistito il background di tutto ciò che quella costruzione significava.
Il vento smuoveva piano le tende, una leggera brezza primaverile che faceva venir voglia di sonnecchiare.
O forse era solo la stanchezza accumulata in quei giorni che stava iniziando a farsi sentire, assieme alla mancanza di una doccia.
Rie scrutò furtiva il viso di Howard, poi si disse che cinque minuti non avrebbero cambiato niente. Chiuse a chiave la porta della stanza in cui si trovavano, si infilò in bagno e aprì il getto bollente, ficcandocisi sotto non appena iniziarono ad alzarsi le prime nuvole di vapore, buttando per terra i vestiti insanguinati e laceri.
Ogni singola ferita, abrasione, graffio le mandò una serie infinita di fitte brucianti che le fecero lacrimare gli occhi.
In effetti, da quando Howard era entrato lì dentro lei si era rifiutata di scollarsi dal suo letto. Notò nuovamente lo squarcio preoccupante al fianco sinistro, e stringendo i denti iniziò a pulirlo lentamente col sapone. Il sangue ricominciò a scorrere.
Le girò la testa.
“Oh oh. Questo non l’avevo previsto” uscì a precipizio dalla doccia, aggrappandosi al bordo del lavandino e coprendosi alla bell’e meglio con un asciugamano, il mondo che iniziava a farsi a chiazze nere.
“Che diamine mi prende?” pensò respirando affannosamente. La gamba sinistra le cedette all’improvviso, facendola piombare a terra.
Aprì a fatica l’armadietto, trovando del cotone e delle bende.
Strinse i denti e iniziò a medicare la ferita alla meno peggio, giusto per tamponare momentaneamente l’uscita del sangue finchè non fosse stata in grado di reggersi in piedi.
Quando ebbe terminato si sdraiò a terra, sfinita: decisamente l’idea della doccia era stata pessima.
Sospirò, pensando che a breve avrebbe dovuto aiutare gli altri nel trasloco della sezione scientifica: come diamine avrebbe fatto, conciata a quel modo?
I contorni iniziarono a definirsi più nettamente, e il ronzio che aveva nelle orecchie scomparve. Rie si rimise in piedi, fissando il pavimento con occhio critico: sembrava che fosse passato un serial killer.
-Mio Dio! Che cos’è successo qui dentro?-  
Alle sue spalle stava un’infermiera pallida come un lenzuolo, la faccia sconvolta, che fissava a tratti le mattonelle bianche imbrattate di sangue, a tratti lei e la medicazione di fortuna che stava già iniziando a chiazzarsi di rosso. Rie si coprì frettolosamente con l’asciugamano –avevo una ferita. Superficiale, niente di che, ma ha perso una marea di sangue. Se mi date uno straccio metto tutto a posto- sospirò, ma la donna scosse violentemente la testa –quella- indicò il suo fianco –non è affatto una ferita superficiale, deve curarla immediatamente, Generale Tsubaki. Perché non l’ha fatto presente prima?-
Rie alzò gli occhi al cielo –piantatela di darmi del lei, potrei essere vostra figlia!- sbottò –non c’è tempo per medicare le mie ferite, sono resistente e ci sono esorcisti conciati molto peggio di me- la oltrepassò, rimettendosi l’uniforme lacera e trattenendo a stento una smorfia di dolore quando dovette sollevare le braccia.
-Lasci pure tutto com’è, dopo vengo a mettere a posto, adesso mi aspettano per il trasloco- disse, rifuggendo le premure dell’infermiera: se in quel momento l’avessero pure costretta ferma in un letto sarebbe impazzita.
-Ah, solo una cosa- aggiunse, girandosi così all’improvviso che la povera donna quasi le andò a sbattere addosso –chiudete quella porta a chiave. Se si sveglia e entra lì dentro- disse, accennando a Link che dormiva della grossa –non sarà un bel risveglio. Inutile che vi ripeta di chiamarmi all’istante, qualora si dovesse svegliare- la fissò negli occhi finchè non annuì, poi infilò un corridoio e scomparve nel buio.

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-Miranda, stai bene? il tuo battito cardiaco è un po’ stra…- le parole di Marie furono troncate sul nascere da una sorprendentemente audace Miranda, che aveva appena azzannato il collo del povero esorcista.
Nel vedere la reazione di Marie ci sarebbe stato da rotolarsi dal ridere, ma di buffo effettivamente c’era ben poco, constatò Rie mentre correvano a perdifiato cercando di mettersi al riparo da quella marea di zombie in cui si erano trasformati gli abitanti della Home.
Pensò a Howard: sperava che la pazzia momentanea dell’infermiera non si fosse riversata su di lui.
Si rifugiarono in un corridoio deserto e la ragazza crollò a terra, ansimando e tenendosi il fianco.
-Ehi, Rie. Tutto a posto?- un Lavi reso bambino dall’accidentale caduta di una delle pozioni di Komui la fissava preoccupato. La bionda annuì, stringendo i denti. Forse quello di non farsi medicare era stato un errore.
Ritirò la mano dal fianco: era rossa.
-Che cos’hai lì?- l’espressione del rosso era sorprendentemente seria per quel viso infantile. Rie si schernì –non è nulla, solo un taglio che non smette di sanguinare-
La conversazione scomoda fu interrotta dall’arrivo degli altri Generali, tutti in tenuta rigorosamente da bagno, che evidentemente erano sotto l’influsso della malefica ondata di morti viventi.
-Vecchioooo!- urlò Lavi a un per nulla scontento Bookman, afferrato per il collo da una Cloud più nuda che vestita.
-Marian! Copriti, che diamine!- strillò Rie, sfoderando uno dei suoi poderosi calci in pieno petto all’uomo che la stava attaccando e che aveva ovviamente perso l’asciugamano.
Il suo maestro non fece una piega, l’afferrò per un braccio e se la tirò addosso, stringendola. Il cuore di Rie mancò di un battito mentre la ragazza arrossiva violentemente.
-Che-che-che-che cavolo stai facendo?!- gridò, ma fece appena in tempo a sentire le labbra del Generale sul collo e un dolore lancinante, poi fu solo buio.

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Si svegliò e fissò attonita il soffitto dell’infermeria.
Ma che diamine era successo?
Cercò di tirarsi a sedere, ma il corpo le mandò una serie infinita di fitte che le dicevano chiaramente quanto fosse una scelta migliore rimanersene buona e sdraiata.
Sentì tirare i punti di sutura alla ferita sul fianco, e in quel momento realizzò di avere un ago infilato nel braccio, cui era attaccata una sacca di sangue.
Disgustata, si girò dalla parte opposta, trovandosi a fissare un Howard a dir poco infuriato. La fissava con sguardo gelido, senza dire una parola.
Rie si preparò alla sfuriata.

Quando l’aveva vista svegliarsi, aveva davvero dovuto fare uno sforzo sovrumano per non mostrarsi infuriato, ma immaginò che tutti i suoi tentativi di training autogeno fossero stati inutili, dal momento che l’espressione intimorita di Rie non lasciava molti dubbi su quale fosse la propria.
-Adesso dimmi perché non ti saresti fatta curare quella ferita- disse a bassa voce, guardandola seriamente. La paura che si era preso quando l’avevano trasportata in infermeria coperta di sangue ben valeva una ramanzina, pensò.
Rie scosse le spalle con fare noncurante, come sempre quando voleva cercare di sdrammatizzare –con tutto quello che è successo me ne sarò scordata. Non è niente di grave, comunque- Howard sbattè violentemente una mano sul comodino, facendo sobbalzare le pile di fogli che vi aveva appoggiato in maniera pericolante.
-“Non è niente di grave”? Rie, classificami la parola “grave”, per favore. Hai rischiato di morire dissanguata- sbottò, accennando alla sacca di sangue per la trasfusione –sai quante ne sono servite?- la ragazza fissò l’ago che aveva nel braccio, poi scosse la testa in segno di diniego –dieci, Rie. E’ un miracolo che tu sia ancora viva- il ragazzo sospirò, abbandonandosi sullo schienale della sedia.
Non gliel’avrebbe detto, non in quel momento, ma quando l’aveva vista aprire gli occhi aveva pensato che per quel blu sarebbe valsa la pena di farsi massacrare da milioni di akuma messi insieme.
La ragazza non disse niente, fissava ora il lenzuolo, ora lui di sottecchi, tormentando il bordo della coperta con le dita.
Forse era stato troppo duro, rimuginò Link. Del resto, Linalee gli aveva detto che Rie aveva rifiutato di farsi visitare per stare accanto a lui; ma era proprio per questo che era arrabbiato.
Non voleva che si facesse del male per colpa sua, se n’era già fatta anche troppo.
Si tirò in avanti di scatto, afferrandole la mano con cui stava smagliando la lana infeltrita e logora.
Le loro dita si intrecciarono senza che nessuno dei due dicesse niente.
-Come stai?- fece Rie dopo un po’.
-Va meglio. La febbre è scomparsa, le ferite anche- si portò inconsciamente una mano al petto, dove la freccia di Rei l’aveva trapassato per salvarlo dal virus.
Non aveva mai sentito un dolore così forte.
-Howard- la voce di Rie tremava. Alzò gli occhi per guardarla e vide che stava facendo di tutto per non perdere il controllo, a discapito della beffarda indifferenza mostrata fino a poco prima. Lo fissò per qualche istante, e lui ebbe paura di quello sguardo: era perso, niente a che vedere con la determinazione che tutti erano abituati a scorgere in quegli occhi di ghiaccio.
-Non… farlo mai più- sussurrò a voce bassissima, chinando la testa. Intuì che doveva riferirsi alla battaglia –promettimelo. Giurami che non farai mai più una cosa simile, anche se l’innocence dovesse ammazzarmi-
-Non posso, Rie. La mia promessa era un’altra, e lo è ancora- rispose Howard con dolcezza, alzando una mano per accarezzarle il viso, ma lei si scansò bruscamente.
-Non mi interessa!- sbottò -rompi quella promessa, risale a dieci anni fa! Non sono più una bambina, e non voglio che rischi la vita per me-. Era rossa in volto, turbata come non mai. In quel momento Howard temette davvero di non conoscerla più, ma fu solo un istante: Rie era rimasta Rie, doveva solo capire come districare tutte le contraddizioni in cui si era ingabbiata in quei dieci anni.
-Rie, nemmeno io sono più un bambino: potrei dirti di si, che non rischierei più la mia vita per te, ma sarebbero tutte sciocchezze. Alla prima necessità lo farei di nuovo- la ragazza lo guardò senza dire niente –non ho vagato per mezzo mondo al seguito degli Esorcisti per sport o per chissà che vocazione, fosse per me Lvellie potrebbe marcire all’inferno per tutto quello che ha fatto, e non c’è niente che detesti di più dell’essere il suo tirapiedi- il suo tono si era fatto più brusco, Rie non era l’unica ad essersi portata dentro dolore e sofferenza –ho sofferto anch’io, Rie, ma di niente, di nessuna umiliazione, di nessun dolore fisico, di nessuna di tutte le angherie che ho sopportato in questi dieci anni mi sono pentito, quando ti ho trovata- recuperò fiato, la vide aprire bocca, ma non le diede il tempo di parlare –ho rincorso Cross per mezzo mondo, sperando di poterti incontrare, ma ogni volta mi sentivo rimandare indietro. Sono stato più vicino alla morte in quei momenti, che quando mi hanno sparato gli akuma- mormorò.
Rie sospirò, appoggiandosi di botto sui cuscini –perché, Howard?- chiese con voce rotta –perché mi hai cercata, quando io per dieci anni non ho fatto altro che cercare di farti scordare la mia esistenza? Perché continui a cercare qualcosa che ormai non c’è più?-
-Niente può farmi dimenticare di te, Rie. Quello che sto cercando, io l’ho già trovato. Non esiste che lo perda di nuovo senza lottare- come volevasi dimostrare, sarebbe stato impossibile per loro parlare normalmente, finchè tutte le barriere non fossero state abbattute.
-Howard, io ho ucciso la tua famiglia, ho ucciso James. Perché mi cerchi, dopo una cosa simile?- quella domanda gli fece definitivamente andare il sangue alla testa.
-Rie, vuoi sapere cosa penso che fosse James? Lo vuoi sapere sul serio?- la sua voce secca ebbe l’effetto di riscuoterla –penso che se per disgrazia fosse ancora vivo, dopo quello che ha cercato di farti, stavolta sarei io a dargli fuoco- sbottò, facendola sobbalzare –devi smetterla di colpevolizzarti, come diamine puoi pensare che io ti ritenga responsabile di quello che è successo? Poteva succedere quando ero ancora un bambino, allora faticai a capire, ma non adesso! Rie, sganciati da questo maledetto senso di colpa!- il suo tono era salito di un paio di ottave. Il fatto che Rie si sentisse ancora colpevole dopo tutto quello che le aveva detto, lo mandava fuori dai gangheri, dandogli una frustrazione incredibile. Come poteva pensare ancora che lui non capisse?

Non l’aveva programmato. Non aveva previsto di scoppiare in quel modo, aveva cercato di controllarsi il più possibile.
Eppure le parole di Howard, che le avevano sbattuto in faccia quanto il suo scappare avesse peggiorato le cose, quanto l’odio che lei stessa sentiva per James fosse giustificato, polverizzarono ogni sua barriera.
Le lacrime iniziarono a scorrere, prima piano, poi sempre più forti, il petto squarciato dai singhiozzi.
Rie si raggomitolò su se stessa, la testa fra le ginocchia, piangendo disperata.
Sentì le braccia del ragazzo stringerla forte, senza dire una parola, come aveva sempre fatto. In quel momento, Rie pensò che avrebbe voluto che quell’abbraccio non finisse mai; non era affatto sicura che ce l’avrebbe fatta a tenersi tutto dentro come quella volta sulla scogliera.
Si rilassò pian piano contro il suo petto, portando le braccia a cingergli il collo e affondando il viso nell’incavo della sua spalla.
Il suo corpo si mosse ignorando totalmente la volontà della ragione, un’abitudine che ormai sembrava divenuta ricorrente; appoggiò le labbra sulla pelle di Howard, rimanendo ferma e rabbrividendo mano a mano che le dita del giovane le si infilavano fra i capelli, accarezzandole la nuca.
C’era una cosa che doveva assolutamente dirgli, in quel preciso momento, mentre tutto ciò che stava fuori da quella stanza non contava affatto, mentre il suo cuore le urlava qualcosa con tutto il fiato che aveva.
-Ti prego, Howard. Non rischiare più, io non voglio perderti di nuovo- mormorò aggrappandosi a lui ancora di più. Non riusciva a dirgli tutto quello che dentro di sé aveva capito da assai più tempo, ma doveva fargli almeno capire quanto fosse importante per lei, in quei momenti di pace che avevano visto benissimo quanto facilmente fossero esposti alla rovina.
-E io non voglio perdere te, non adesso, mai- Rie quasi sussultò quando le labbra del ragazzo le sfiorarono l’orecchio.
Ma che diamine le stava succedendo? Era come se il cervello e la razionalità fossero andati in ferie, lasciando spazio solo alle sensazioni totalizzanti che le scatenava la vicinanza del ragazzo.
Sospirò, inconscia di essere distante millimetri dalla sua pelle.
Sentì Howard immobilizzarsi completamente, come se fosse diventato di pietra.
-Tutto… bene?- chiese titubante, scostandosi un poco senza slacciare l’abbraccio.
L’espressione che gli vide stampata in faccia la fece quasi scoppiare a ridere, tanto che per trattenersi dovette simulare un colpo di tosse.
Il biondo aveva le guance in fiamme e gli occhi serrati, come immerso in una concentrazione che non voleva saperne di dargli retta.
Ma quando spalancò le palpebre di botto, Rie si trovò a perdersi in quegli occhi che avevano lo stesso colore del mare in inverno, quando riflette il grigio delle nuvole e lo illumina di bagliori metallici, una superficie all’apparenza quieta, ma sotto la quale si celava un mondo in fermento.
-Rie- mormorò il suo nome, ma era diverso dalle altre volte. La ragazza si sentì arrossire di colpo ed abbassò lo sguardo, presa dal panico.
Cos’era quel sentimento?
Perché il cuore le stava andando a mille a quel modo, come se fosse sul ciglio di un baratro, indecisa se buttarsi o meno?
Perché le dita di Howard che le accarezzavano la guancia, seguivano la riga del mento e le sollevavano il viso sembravano roventi più del fuoco?
Si ritrovò di nuovo a guardarlo negli occhi, che si erano fatti più vicini, decisamente più vicini, e vide sotto quegli specchi di tranquillità lo stesso turbamento che stava provando lei.
-Howard..?-

Si era ripetuto mille e mille volte di andarci coi piedi di piombo, di non affrettare le cose, di aspettare che lei accettasse il fatto di non essere colpevole di niente e che lui non aveva fatto altro che cercarla.
Pensieri e ragionamenti buttati al vento, annegati in quegli occhi azzurri che ora lo fissavano con quell’espressione indecifrabile, pronti a lanciarsi nel vuoto ma ancora impauriti da tutto ciò che non conoscevano.
Avrebbe voluto essere abbastanza forte per diventare la loro certezza, il loro appiglio, la loro conoscenza, che li rendesse in grado di sentirsi al sicuro.
Per questo non poteva lasciarla, per questo non poteva rompere quella promessa, perché era da quando si erano rivolti la parola per la prima volta dopo dieci anni che aveva capito quanto Rie avesse bisogno di lui, nonostante lo negasse con tutte le sue forze.
E aveva capito anche quanto lui stesso avesse bisogno di lei, perché era tutto ciò che gli era rimasto, perché era tutto ciò che aveva sempre voluto.
Sentì il suo corpo muoversi lentamente, avvicinarsi a lei. Era finito il momento degli indugi, le loro vite erano appese a dei fili sottili come ragnatele e non c’era tempo di aspettare che un intervento estraneo li spezzasse.
Vide gli occhi della ragazza spalancarsi di più, la sentì pronunciare il suo nome, la voce confusa, come se non capisse cosa stesse succedendo.
La verità, pensò mentre compiva il passo più lungo della gamba, era che non lo sapeva nemmeno lui.
Sfiorò le labbra di Rie con le proprie, un bacio lieve, non invadente, dolce.
Avrebbe potuto essere quasi fraterno, se solo la reazione che scatenò in entrambi non fosse stata una scossa elettrica fuori dall’ordinario.
Chiuse per un attimo le palpebre, per riaprirle subito dopo, allontanandosi.




Note dell'Autrice:

Chiedo umilmente perdono a) per l'assenza prolungata, ma ero convinta di aver pubblicato lo scorso capitolo prima di partire E INVECE NO, non so in quale spazio del World Wide Web sia finito ma di sicuro non su efp -eppure io l'avevo messo, giuro T__T- e b) per l'assenza di note e ringraziamenti, ma visto che sapevo che avrei pubblicato a brevissima distanza anche questo capitolo per farmi perdonare ho deciso di fare tutto qui :3
Per la gioia di coloro che aspettavano questo benedetto bacio, ECCOLO QUI. Dal prossimo capitolo ci sarà di nuovo un bel parapiglia, grazie al cielo perchè dialogo con Linalee + dialogo con Link = carie per 6 mesi, ci vuole un po' d'azione!

Ringrazio tantissimo itsinthescars e rose princess per le recensioni, con mille scuse a quest'ultima per un capitolo (quello prima di questo) in cui si vede solo la sua odiata Linalee, ma ormai c'era e non riuscivo più a cancellarlo x_x ha fatto due maroni così anche a me che l'ho scritto, fidati D:

Continuate a seguire, commentare e soprattutto leggere <3 I'm finally back! :D

Baci <3


Bethan
   
 
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