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Autore: Yadokarinoise    30/08/2012    2 recensioni
Sherlock ama John, ma in un modo tutto suo.
Al posto di regalargli fiori e carezze, gli regala rumore di spari e adrenalina.
L'amore di Sherlock è strano, contorto, mostruoso. Un amore abominevole e ossessivo.
E John lo sa.
John ama Sherlock, ma in un modo tutto suo.
Al posto di regalargli fiori e carezze, gli regala silenzio e un legame con il mondo.
L'amore di John è strano, contorto, mostruoso. Un amore abominevole e ossessivo.
E Sherlock lo sa.
Sono due meraviglie e due mostri, e si amano per questo.
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Uno studio nel cuore di John. Lui è un rottame, e poi c’è Sherlock.

A mine in the depths of ventricle - Una mina nelle profondità del ventricolo

C’è una pistola nel cassetto di John. Si trova sopra una pila di schede e si carte e un diario sul quale non ha ancora scritto nemmeno una parola (non ha intenzione di farlo). Non è impolverata perché a volte al dottore piace rigirarsela nelle mani solo per sentire il suo peso - è una sensazione davvero piacevole e lui la adora - prima di rimetterlo al suo posto, lo spazio stretto di un cassetto in una casa che non sa di casa, una casa dove lui sistema ancora il letto come lo fanno i soldati, anche se non è più un soldato e non è più nel deserto (a volte vorrebbe esserlo e pensa alla sabbia e al sole).
È la pistola che gli è stata data quando si è arruolato. È una pistola standard e normalmente non varrebbe la pena di menzionarla. Ma in questo caso - in questo particolarte caso che coinvolge uno sociopatico iperattivo e un medico dell’esercito che sono entrambi meraviglie e mostri (e lo sanno) – lo è. Questa particolare pistola in questo particolare scenario merita molta attenzione. Questa è una pistola che dovrebbe rompere il cranio di un uomo, invece penetra le ossa dei criminali. È una pistola cui pallottole dovrebberoo distruggere un cuore, invece seguono la rotta dell’adrenalina. Qusta pistola brilla come le stelle del deserto e pesa come un organo infetto. È come una bottiglia di veleno e una goccia di antidoto. Questa pistola è come qualsiasi altra pistola al mondo ma era destinaa a essere trovata sulla scena di un crimine. È l’arma della morte e il coro della salvezza. Questa pistola è la pistola.
 
John Watson è un medico. In verità, è un medico dell’esercito e ha un bel po’ di esperienza. È un medico maledettamente bravo e quando va in Afganistan è puro come un agnello, ma quando torna si sente come un nuovo Prometeo con dita insanguinate.
I medici devono riparare la gente. Siccome le persone sono come macchine super complicate, i medici devono conoscere ogni singolo circuito dei loro corpi, ogni goccia di sangue e ogni frammento di osso e ogni brandello di muscolo. Le loro malattie devono essere imparate col cuore e i loro rimedi incisi nei polsi dei medici come versi di un vangelo. I medici devono comportarsi come déi e scoppiare a ridere quando la Morte approccia i loro pazienti perché con un tocco delle loro dita possono uccidere la Grande Mietitrice stessa e risuscitare i cadaveri in decomposizione.
Con uno sguardo o una carezza i medici possono far ridere o piangere un uomo. Con uno sguardo o una carezza i medici possono decifrare i codici intricati di una radiografia o suturare la carne delicata di una ferita insopportabile. Loro possono decodificare il linguaggio del corpo e cercare di tradurlo nella lingua del cuore. Loro possono far funzionare gli esseri umani o ridurli in rottami. È un potere frainteso ma nessuno lo mette in dubbio.
È con le miglori intenzioni e le speranze più pure che John - come tutti gli altri - studia medicina e impara a salvare l’organismo per permettere allo spirito di andare avanti.
È con le migliori intenzioni e le speranze più pure che entra nell’esercito.
Fondamentalmente John pensa di essere un uomo buono. Segue una vita onesta e cerca di avere pensieri giusti. Si comporta come un brav’uomo e pensa che sia abbastanza.
 
Gli ci vuole una guerra per capire che è un uomo buono.
Gli ci vuole una guerra per caipre che un uomo buono può essere anche cattivo.
 
Inizialmente pensa che sia il deserto.
Tutta quella sabbia lo fa diventare completamente matto; può sentirla sulla pelle, nelle ossa, dietro le palpebre. Gli graffia i polmoni e gli corrode il cervello. È nel cibo che mangia e nell’acqua che beve, nei sogni che fa e nelle visioni che ha. È nel paesaggio e a volte lo fa sentire così male che è tentato di prendere la pistola e sparare un’ultima pallottola dritto nella propria testa. A volte non risce a respirare perché teme che perfino l’aria si trasformi in sabbia e quel pensiero lo uccide.
Nessuno può sopravvivere per molto, avvolto da così tanta sabbia. C’è sabbia nelle pistole e nelle pallottole e nei soldati.
Quando comincia a guardare il cielo e vedere briciole di sabbia al posto delle stelle, decide di aver raggiunto il punto di non ritorno.
Poi, quando si abitua ai cristalli marroni, pensa che sia il sole.
L’Afganistan è una terra di sole: brilla con ostinata arroganza sugli elmi dei soldati e sugli uomini morenti, sulle tende che dovrebbero essere abitazioni ma sono a malapena dei ripari, sull’Avana che sembra non avere fine. La luce del sole è come una tortura e si può vedere persino di notte, quando John dovrebbe dormire ma non può; si riflette nella luna e nelle pupille dei suoi compagni. Fa bollire la terra e fa sanguinare i nasi. È negli spari e nel caffè che bevono al mattino.
Nessuno può sopravvivere per molto, avvolto da così tanta sabbia. C’è sabbia nelle pistole e nelle pallottole e nei soldati.
Quando comincia a guarare il cielo e detestare quella gigante stella come se fosse la faccia del diavolo, decide di aver raggiunto il punto di non ritorno.
Per un po’ queste giustificazioni sembrano plausibili. Poi, quando si abitua sia al deserto che alla luce del sole, pensa che sia quel paziente.
 
Il suo primo paziente è ferito solo superficialmente. Gli hanno sparato nella gamba sinistra. La ferita non è molto profonda e John lo sistema soltanto con pochi punti, pensando ai libri che stanno sulla scrivania a casa dei suoi genitori e all’alcol che Harry sta sicuramente bevendo in quel momento. John si sente come un uomo buono e come un dio, e quando il soldato gli ringrazia per aver fatto il suo lavoro, John vede la gratitudine brillare nei suoi occhi e si sente fiero di sé. Vuole mostrare all’intero mondo la sutura accurata che ha fatto e camminare su un tappeto rosso attraverso il deserto gridando “questo è quello che ho fatto, guardate, non è una meraviglia? Avrei potuto aspettare e lasciare che la ferita si infettasse e poi tagliargli via la gamba solo per farlo sembrare pulito e perfetto di nuovo. Ma non l‘ho fatto. L‘ho disinfettata e accarezzata con le mie dita, ho osservato il sangue e poi l‘ho lavato via, non ho preso il bisturi, ma ho preso del filo dalla mia borsa e ho cucito la ferita come farebbe un sarto. Avrei potuto conservare la pallottola che l‘ha colpito e trattarla come un gioiello e avrei potuto tenerla in una scatola, solo per aprirla ogni qualche settimana e guardarla. Sarebbe stata la prova delle mie abiltà e del mio genio. Ma guardate la sua gamba. È stupenda ora. Io l‘ho fatta diventare stupenda. E ho fatto tutto questo perché io stesso sono una meraviglia.”
Si, John Watson è una meraviglia. È una meraviglia ed è un uomo buono, e può sopportare il deserto ancora un po’.
 
Ma il suo primo paziente non è quel paziente. Il suo sesto paziente è quel paziente.
È un soldato al quale hanno sparato nello stomaco. Non c’è davvero nulla che John possa fare per lui: normalmente, se ti sparano nello stomaco, muori entro venti minuti. I succhi gastrici corrodono la tua carne ed è finita. È una morte dolorosa.
John ha tempo solo di guardare la ferita prima che il soldato muoia. Per un minuto o due non vuole accettare quello che è successo, ma poi la realtà lo colpisce con un solo doloroso colpo e il dottore improvvisamente sente una rabbia terribile crescergli dentro (è illogico e lo sa ma non gli interessa più di tanto). Vuole scuotere la testa del morto e urlargli in faccia “avrei potuto guarirti! Avrei potuto guarirti se tu avessi avuto la forza di resistere ancora un po’. Avresti potuto vivere ora, ma sei stato debole e ora sei morto, e mi hai rovinato il lavoro perché io ero perfetto, ero perfetto. Ero il migliore e tu hai rovinato tutto quanto, e spero che tu stia marcendo all’inferno ora, e non so nemmeno se l’inferno esiste ma lo voglio perché tu te lo meriti. Non vedi? Ero una meraviglia e tu hai rovinato tutto.”
John sa che quello che pensa è completamente e assolutamente sbagliato. Sa di essere un mostro per averlo pensato.
Si, John Watson è un mostro. È un mostro e un uomo cattivo, e forse quella pallottola deve davvero essere nella sua testa.
Non è la sabbia, non è il sole, non è quel paziente. È soltanto lui.
 
Gli ci vuole una guerra per capire di essere una meraviglia.
Gli ci vuole una guerra per capire di essere un mostro.
 
Poi la vita perde il suo signficato.
Il deserto diventa buio e il sole diventa nero. John non riesce più a sentire il proprio cuore battere e pensa tropo spesso a quella pallottola. Ma deve andare avanti, in qualche modo.
Il suo cuore comincia a battere sul ritmo degli spari.
È come se avesse camminato su una mina e non può semplicemente andarsene, come se niente fosse successo. Se è una meraviglia ed è un mostro, allora è costretto ad affrontarlo. E lo affronta. Cerca ferite terribili e le sistema perché è un medico. Quando sono troppo profonde o quando è troppo tardi, chiude gli occhi del paziente e cerca di dimenticare.
Poi gli sparano.
 
Gli sparano in una spalla e per un secondo è sicuro di stare per morire e questo lo fa arrabbiare. Perché non può semplicemente operare se stesso? Dovrebbero lasciarglielo fare. Farebbe un lavoro perfetto, lui è sorprendente. Ma non lo lasciano. Che crudeltà.
Gli sparano nella spalla e sopravvive. Poi lo rimandano a Londra.
Non ci sono spari a Londra e niente ha più signficato.
Non ci sono spari a Londra e lui vuole soltanto farla finita.
C’è un bastone vicino al suo letto e una terapista che non può aiutarlo in quello studio.
C’è un letto che ha l’odore di una bara e una casa che ha l’odore di una tomba.
C’è la pistola nel suo cassetto e lui sta per fare la sua scelta.
Poi Sherlock Holmes capita.
 
Sherlock Holmes capita e John può sentire il cuore battere di nuovo con incredibile ferocia. Quel uomo è completamente matto (ed è una meraviglia e un mostro e John lo sa e si sente benissimo), ma in un giorno fa abbandonare a John il suo bastone e lo fa correre in una città che non sembra più grigia e improvvisamente sa di sabbia e di sole e il dottore - che ha imparato a odiare il deserto e i raggi del sole - improvvisamente ama tutto questo come non ha mai amato niente. Sherlock è fatto di spari e pallottole e scene del crimine e John lo adora. Lavora con lui perché loro sono due facce della stessa moneta e perché lui mette tutto al suo posto.
Il suo cervello è grande quanto un pianeta e brama la conoscenza nello stesso mondo in cui John brama l’azione (ne hanno bisogno, è come se fossero drogati, no?).
Sherlock è fatto di neuroni e materia grigia e John è fatto di ventricoli e arterie. Sherlock è mosso dalla testa e John è mosso dal cuore.
È affascinante, davvero, come Sherlock può capire e dedurre tutto ma non può rendersi conto se una cosa è giusta o sbagliata; è affascinante, davvero, come John può guidarlo anche se lui è completamente, assolutamente e totalmente normale. Si seguono e si guidano a vicenda allo stesso tempo. È come giocare col fuoco: è pericoloso e stranamente crea dipendenza.
John non può capire Sherlock e Sherlock non può capire John: ma non importa, perchè si completano a vicenda.
Dopo il loro incontro, tutto è fatto di sangue e morte e di giusto e sbagliato e John semplicemente ama tutto questo. È un bene che anche Sherlock lo ami.
 
A volte John (John, che sa che sono entrambi meraviglie e mostri) vuole essere quello che ripara Sherlock Holmes. Gli piacerebbe che un giorno Sherlock tornasse a casa con una ferita terribile. Gli piacerebbe aiutarlo e suturare la sua ferita e far tornare il mondo ad essere giusto. Sherlock lo guarderebbe con i suoi occhi blu, sarebbe riconoscente e John penserebbe “guarda, ti ho aggiustato e sei perfetto di nuovo. Tutto grazie a me.
A volte John vuole che quel giorno arrivi presto. A volte vorrebbe essere lui quello che ferisce Sherlock; perché niente sarebbe meraviglioso come distruggerlo e poi ripararlo di nuovo. Perché se John è matto allora lo è anche Sherlock e lui capirebbe. John non glielo dirà mai, certamente.
Sarebbe davvero sorprendente se Sherlock gli chiedesse “un giorno, quando morirò, quando sarò così ferito che nemmeno tu potrai aiutarmi, voglio che tu mi finisca e che poi mi tagli in pezzi. So che vuoi capirmi, e che tu sei fatto di capillari e pressione del sangue e valve e che vivi di anatomia; e se hai bisogno di disfarmi per vedere come sono fatto, puoi farlo. E voglio che tu tenga il mio cervello in un barattolo sul tuo comodino. Lo voglio veramente”. Sarebbe completamente sbagliato, ma fantastico.
 
C’è una pistola nel cassetto di John al 221B di Baker Street. Si trova sopra una pila di schede e di carte e un diario sul quale non ha ancora scritto una sola parola (ha un blog ora). Non è impolverata perché molto spesso al dottore piace portarla con sé quando corre dietro a qualche criminale con l’unico consulente detective del mondo - è una sensazione davvero piacevole e la adora - prima di rimetterlo al suo posto, lo spazio stretto di un comodino in una casa che sa di casa e di laboratorio, una casa che condivide con la sua anima gemella e che è eccitante come un campo di battaglia e meravigliosa come una scena del crimine, anche se non è più un soldato e non è più nel deserto (a volte pensa di esserlo e pensa alla sabbia e al sole).
È la pistola che gli è stata data quando si è arruolato. È una pistola standard e normalmente non varrebbe la pena di menzionarla. Ma in questo caso - in questo particolare caso che coinvolge uno sociopatico iperattivo e un dottore dell’esercito che sono entrambi meraviglie e mostri (e lo sanno) - lo è. Questa particolare pistola in questo particolare scenario merita molta attenzione. È la pistola che era destinata a rompere il cranio di John Watson che invece lo fa diventare un uomo letale con un cuore. È la pistola cui pallottole ghiacciate dovrebbero finire una miseria invece seguono la scia di un assassino. Brilla come un cervello fatto di ingranaggi e pesa come un cuore fatto di fuoco. Sa di ferita mortale e fasciatura miracolosa. Questa pistola è come tutte le altre pistole al mondo ma era destinata - sin dall’inizio - a trovarsi in un appartamento a Londra. È l’arma della vita e l’urlo del pericolo. Questa pistola è la pistola.
 
Questa pistola è stata la pistola fin dall’inizio, ma John Watson ci ha messo una guerra e un Holmes per capirlo.  
  
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