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Autore: valli    30/08/2012    6 recensioni
Inizi del '900, Chicago (Illinois). Un matrimonio combinato, la finzione di un amore, il dolore di una donna. Finirà tutto così? Le cose si possono sistemare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Old loves they die hard;
Old lies they die harder.
Capitolo XV:altri tre mesi.
Regina
 
Quella domenica pranzai con i miei genitori.
Non che solitamente non lo facessi, anzi restavo anche per la cena e, in più, durante la settimana mia madre spesso mi invitava - leggisi: costringeva - a mangiare da loro, in modo da non stare sola anche in quel momento della giornata solitamente dedicato alla famiglia.
La prima cosa che notai quando ci sedemmo tutti e tre a tavola fu che mio padre aveva qualcosa da dire.
Era facile capirlo, bastava un minimo di spirito di osservazione: i suoi movimenti rapidi e tormentati, il suo silenzio pensieroso, i suoi occhi che o non si fermavano un secondo o si fissavano su un oggetto per molto tempo, ma senza guardarlo veramente.
Così dopo che la governante ebbe servito il secondo, mi decisi a chiedere spiegazioni.
«Papà, tutto bene?».
Con uno scatto del capo sembrò rianimarsi, risvegliarsi da un lungo sonno. «Come?»
«Ho chiesto se stai bene, papà. Mi sembri... distratto.»
«Oh. Sì, io... Sì, tesoro, sto bene, ho solo qualche pensiero per la testa» spiegò cercando di sorridermi ed stringendomi la mano da sopra il tavolo.
«Cattivi pensieri? Scusa, ma non ti ho mai visto in queste condizioni e mi preoccupo...» giustificai la mia intromissione.
«Non esattamente. È solo che... Devo dirtelo, Regina, è soprattutto affar tuo» si decise infine.
La sua preoccupazione mi costrinse a metter giù la forchetta e il coltello e a non badare più al cibo.
Pensandoci, mi era anche passata la fame.
«C-Cos'è successo, padre?» lo spronai a spiegarsi.
«La casa in cui tu ora vivi è stata parte della nostra dote per il tuo matrimonio. Il chè significa che ora Alexander ne è il proprietario.»
«Devo andarmene da lì?» lo interruppi, preoccupata.
«No, no, non è questa la questione. Il problema subentrerebbe nel caso lui... lui tornasse. Se tornasse avrebbe il cento per cento dei diritti di abitare quella casa e...» si fermò un attimo, guardandomi addolorato. «E tu... saresti costretta a vivere con lui perchè... siete sposati.» concluse.
«Ma... anche se dovesse tornare con... con quella ragazza io dovrei...?» mormorai senza riuscire a concludere.
«Sì. Sì, anche il quel caso.»
«No!» urlai alzandomi in piedi, «No, non permetterò mai di venire umiliata in tale maniera! Vivere con quella sgualdrina e il loro bastardo? No, preferisco morire» ringhiai.
Mia madre mi fissò preoccupata, nella stessa maniera con cui avrebbe guardato una donna pazza.
Ero impazzita?
No, loro lo erano se credevano davvero che avrei accettato a prestarmi un remoto giorno ad una simile sceneggiata.
«Calmati, Regina. E siediti» ordinò mio padre.
Feci come richiesto, restandomene rigida sulla sedia di legno chiaro.
«In questi giorni sto giusto cercando una maniera per permetterti di opporti o di comunque farti uscire da questa situazione nel caso lui ritorni a Chicago. Cosa di cui io, personalmente, dubito. Non credo che quel ragazzino avrà mai il coraggio di tornare qui, a Chicago, dopo quello che ha combinato» disse. «Ma se anche lo facesse, ti assicuro, bambina mia, che non avrà vita facile...».
 
~
 
Un mese fa, camminando per il centro di Chicago, passai davanti al negozio di Madame Simon
La sarta francese aveva appeso sulla porta un vivace cartello verde dalle scritte nere che attraeva lo sguardo dei passanti.
Dopotutto Madame, come voleva essere chiamata, era così: una donna solare ma allo stesso tempo composta.
Il cartello, comunque, recitava così: cercasi aiuto sarta/commessa a tempo pieno.
Appena lo lessi tornò il sorriso anche sul mio volto.
Entrai nel negozio, facendo suonare i campanellini della porta e subito, perciò, una commessa si fece avanti per consigliarmi.
«Cerco Madame» spiegai subito.
«Oh, posso chiederle di cosa ha bisogno? Madame in questo momento è impegnata...» si giustificò.
«È per l'annuncio che avete appeso qui fuori, per l'aiutante...»
«Sono spiacente, signora, ma quel lavoro credo sia già stato assegnato. Mi scuso, mi sono dimenticata di togliere il cartello questa mattina...» aggiunse vedendomi sorpresa.
«Ah, ma ne è sicura? Mi scusi per la mia insistenza ma sono alla disperata ricerca di un lav-»
«Reginà» mi interruppe una voce, accentando alla francese il mio nome.
Madame, in verità, parlava correttamente inglese, essendo nata a Chicago solo da padre francese.
Ma volendo distinguersi, fin da ragazzina si impose un accento francese che, via via con gli anni si abituò ad usare senza troppe forzature.
«Madame, che piacere!» esclamai a mia volta, avvicinandomi a lei per fingere un abbraccio e scambiarci due baci sulle guance ma senza un reale contatto.
«Che ci fai qui? Hai bisogno di un abito, ovvio, che stupida! Ho dei nuovi arrivi che su di te starebbero benissimo! Dopotutto sei sempre stata bellissima, chérie[1], e lo sei ancora, nonostante tutto! Tantissime donne si sarebbero abbattute, degradate ma tu, no!» continuò prendendomi sottobraccio per portarmi verso degli abiti.
«Ti ringrazio, madame, davvero. Ma, sinceramente, non sono qui per comprare qualcosa. Sono entrata appena ho visto il cartello qui fuori ma ho saputo che il posto da aiutante è già stato preso...» spiegai.
«Cosa? Chi ha detto una simile sciocchezza? Se il cartello è ancora fuori significa che il osto è disponibile. Anzi era! Perchè adesso ci sei tu qui e io so quanto sei brava, ma chérie!» esclamò nuovamente.
«Quindi... quindi è mio?» chiesi sorpresa.
«Mais certainement![2]» gridò battendo le mani, felice.
Guardai la commessa che poco prima mi aveva mentito e la vidi sbuffare.
Tornai con lo sguardo su Madame che mi portò nel suo ufficio privato per parlarmi di orari, paghe e mansioni.
Era un buon lavoro, in cui dovevo sistemare gli abiti richiesti (accorciare orli, bustini e simili) e nel caso di bisogno dare una mano con i clienti.
Conoscevo Madame da anni, il suo era il negozio di moda preferito da molte donne, tra cui io e mia madre.
Il lavoro richiesto non mi sembrava troppo difficile perchè come sarta me la cavavo.
Il difficile sarebbe stato, come sempre, confrontarsi con gli sguardi e i bisbigli di chi mi avrebbe visto lavorare.
Ma in quei mesi ero cambiata, avevo imparato a nascondere la mia fragilità ed il mio dolore sotto ad una maschera di impassibilità ed indifferenza.
Avrei continuato a mostrarmi in quel modo, come la nuova Regina Miller voleva e doveva farsi vedere.
 
~
 
 
Elizabeth
 
«Jeremy, non correre dentro casa!»
Mi passai una mano sulla fronte mentre l'altra andò ad accarezzare meccanicamente il pancione: ero quasi all'ottavo mese e quando mi guardavo allo specchio quasi non mi riconoscevo.
Non vedevo l'ora di poter tenere tra le mie braccia il mio piccolino!
Nel frattempo, però, dovevo occuparmi di un altro bambino, un piccolo tornado di nome Jeremy.
Era un bellissimo bambino, coi capelli biondi e gli occhi azzurri poteva sembrare un angioletto, ma se si metteva anche solo un pochino d'impegno diventava un piccolo diavolo.
Come in quel momento.
Sua madre mi aveva chiesto gentilmente di badargli anche durante l'ora di pranzo a causa di un impegno che non poteva spostare d'orario ed io avevo accettato.
«Fame, fame, fame, fame!» ripeté il piccolo aggrappandosi alla stoffa del mio vestito.
Era quasi mezzogiorno, a momenti sarebbe arrivato anche Alexander ed avremmo pranzato.
«Lo so, tesoro. Abbi un attimo di pazienza, su» cercai quindi di calmarlo, accarezzandogli i capelli.
Una fitta improvvisa al ventre mi costrinse a togliere la mano dal suo capo e portarmela alla pancia.
Gemetti e mi piegai leggermente in avanti, insospettendo il bambino.
«Lizabeth? Lizabeth?» mi chiamò, storpiando come il solito il mio nome mentre portava le manine sul mio braccio.
«Devo... devo sedermi...» sussurrai cercando di camminare verso la sedia più vicina.
Un'altra fitta mi fece fermare, ma il piccolo Jeremy si occupò di me, spostando una sedia vicino a me.
Sussurrai un ringraziamento e mi sedetti sentendo ancora un po' di dolore.
Cosa diavolo succedeva?
Mi massaggiai il ventre, non sentendo il solito calcio di risposta del mio piccolo.
Proprio in quel momento, entrò Alexander e contemporaneamente, Jeremy mi sussurrò: «Lizabeth, perchè è tutto bagnato per terra?».
Abbassai lentalmente il viso verso il pavimento notando le macchie Mi si erano rotte le acque.
 
 
 
 
 
 
[1] chérie : tesoro
[2] Mais certainement : ma certamente
§§§


Buona sera!
Come avevo scritto nel mio post dello spoiler, questo capitolo si può dire sia diviso in tre parti: Regina a pranzo coi genitori da cui scopre piccoli e dispettosi cavilli; Regina che trova un lavoro che può aiutarla a distrarsi dai suoi problemi; Elizabeth... a cui si rompono le acque.
Cosa ne dite?
Vi è piaciuto il capitolo?
Grazie per aver letto,
a presto!
   
 
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