The Bell has been
raised,
From it's watery grave...
Do you hear its sepulchral tone?
(Hoist the colours, Pirates of the Caribbean)
Uno
scozzese solo si avvicina alle mura di Londra.
Arthur,
solo nella lizza di
Westminster, meditava sulla spada che teneva in mano.
Uno
scozzese solo si avvicina alle mura di Londra.
Elizabeth
congedò con aria annoiata
Leicester e il suonatore di virginale che la stava intrattenendo.
Uno
scozzese
solo si avvicina alle mura di Londra.
Wallace
si asciugò i palmi sudati sui
pantaloni e benedì la foschia che gli raffreddava il viso.
Uno
scozzese solo si avvicina alle mura di Londra.
Mary
si strinse le braccia attorno al
corpo, guardando smarrita la città di Edimburgo.
Conducete
lo scozzese alla lizza di Westminster.
***
Wallace
entrò nel recinto silenzioso,
aguzzando la vista attraverso la nebbia fitta.
Il suo cavallo pareva nervoso,
scuoteva la criniera e tendeva a indietreggiare.
- Arthur, dove sei? Fatti vedere! –
gridò lo scozzese, l’arma in mano.
In alto, alla sua sinistra, un
movimento, un fantasma vestito di grigio si mosse.
Rivolse gli occhi a quella figura:
Elizabeth emerse dalla foschia, ma Wallace non diede particolare
rilievo all’abito
dalla profonda scollatura che indossava, né alla gorgiera
che le serrava il
collo magro, né tantomeno ai capelli acconciati secondo
l’ultima moda.
No, la fissò negli occhi neri come
quelli di uno spettro.
A suo modo, dovette ammettere a se
stesso, la Regina d’Inghilterra e Irlanda aveva un portamento
ed uno charme molto più
sottile ed enigmatico
della sua sovrana; ma non era lì per lei, e lei stessa non
sembrava voler
pronunciare una parola.
- Vostra Maestà – gridò allora
–
dov’è il vostro paladino? Arthur è
troppo vigliacco per staccarsi dalle sottane
della sua rossa giumenta? – sapeva che a
quell’affronto Arthur non avrebbe
saputo resistere.
Infatti, preceduto dal ticchettio
degli zoccoli sui sassi, comparve davanti a lui, altero.
Wallace trattenne il cavallo nervoso
e gli indirizzò un sorriso.
- Eccoti qua – sussurrò.
Arthur era totalmente silenzioso,
evento rarissimo che capitava solo quando era troppo preso dalle sue
emozioni
per abbassarsi al gridare improperi; vide che estraeva la spada con un
solo
gesto fluido.
All’improvviso gli venne a mancare lo
stimolo per affrontarlo: lui non era nel giusto, lui aveva rotto il
patto, lui aveva ucciso un innocente.
- Oggi finirai di insultare la mia signora.
Finalmente, delle parole. Il tono
seccato e stentoreo della voce di Arthur lo aiutò,
incredibilmente, a
riemergere dalla sua tenebra di desolazione: gli ricordò
quanto odiava quel
ragazzetto così simile a lui.
- Se lo dici tu, cugino, non sei mai
stato un bravo bugiardo.
- Se
lo dici tu – lo scimmiottò lui,
dondolando la testa in maniera strana.
- Lo dico io – ringhiò, smontando da
cavallo.
Stava per sorgere il sole e la luce
giallastra diradò, almeno un poco, la nebbia fitta.
Odiò il gesto molle con cui Arthur
fece lo stesso, abbandonando il suo cavallo grigio dopo una pacca
rilassata, e
si fece avanti nel grande spazio vuoto. Sentì la gola
seccarsi senza un buon
motivo.
Facciamolo,
Arthur, non si sa mai: magari la Divina Provvidenza ucciderà
te.
Arthur venne verso di lui,
lentamente, il braccio che reggeva la spada abbandonato lungo il
fianco, finché
lui non riuscì a distinguere le sue iridi verde brillante;
allora, senza
curarsi di lui, suo cugino voltò la testa a destra,
invitandolo a fare
altrettanto.
Ubbidì. I suoi occhi passarono senza
intoppi sul viso pallido della damina che li fissava, dietro una
recinzione, ma
si soffermarono a lungo sull’uomo che
l’accompagnava, una mano sulla sua
spalla.
- No! Non può essere lui
– sbottò, ma quel viso attraente e
aggrondato l’aveva stampato in testa: a dispetto delle sue
parole, sapeva che
era il soldato che credeva di aver ucciso.
Tornò a fronteggiare il Marchese di
Pembroke.
- Tu…
Arthur fece un gesto strano, alzando
il braccio sinistro con una certa rigidità; forse era
ferito, o tentava di
fargli un cenno in particola… Bang.
Continuò a fissare il cugino e la cosa che teneva in mano,
che ora esalava un
rivolo di fumo perlaceo che volava via, nell’aria mattutina.
- Mi hai ingannato – urlò.
- Sì, un inganno ha dato inizio a
tutto questo, un inganno l’ha terminato –
replicò l’altro, atono.
Sentì il sangue colargli lungo il
braccio, la mano aprirsi contro la sua volontà: la spada
cadde.
- Arthur, tu… - bang.
Cominciò a indietreggiare, tentando di sfuggire alla sua
mira
terribilmente precisa. Ci provò, quantomeno,
perché un attimo dopo le gambe
cominciarono a tremare e cadde in ginocchio, le dita immobili che
sfioravano il
terriccio. Chiuse gli occhi.
Stava perdendo la sensibilità al
braccio, come presto avrebbe perso i sensi e la vita.
- No! No! Johann, presto! – la voce
di Arthur sembrò impaziente, perfino preoccupata.
Sentì che gli sollevava le braccia
ferite, le avvolgeva con bende morbide, ma non poteva crederci.
- Per… - biascicò, confuso.
- Taci, per l’amor di Dio, stupido
che non sei altro!
- Ma perché… perché mi hai ingannato?
Perché non mi uccidi? – domandò,
sembrando, contro la sua volontà, fin troppo
lagnoso e arrendevole. Arthur non replicò, dopo aver emesso
un singulto
stizzito.
Lo sollevarono, facendolo protestare
per il dolore.
- Mastro Ravenclaw, avvicinatevi: il
lupo è addomesticato.
Wallace si trovò davanti un ometto
basso, magro, con i capelli e i baffi biondicci e gli occhi di un
azzurro
slavato: quello sostenne il suo sguardo per una frazione di secondo,
poi
cominciò a tratteggiare qualcosa sul mucchio di fogli che
stringeva nella mano
sinistra, come se nulla lo interessasse di più.
- Ho fatto, milord.
Arthur rivolse un cenno ai suoi
aguzzini e quelli lo trascinarono al suo cavallo.
- Scortatelo fino in Scozia, dove
potrà ricongiungersi con la sua adorata bimbetta!
– lo prese in giro.
- Lasciatemi! Io devo ammazzare quel
verme…
- Nessuno dovrà dire alcunché di
sgradevole sulla mia signora, Wallace. Soprattutto tu.
Volse un’ultima occhiata a Elizabeth,
colpito dal suo viso bianco e delizioso come un chicco di riso; lei
sospirò e
disse, con voce squillante: - Così
si
conclude questa storia.
***
Paul
Ravenclaw si inginocchiò davanti
al trono.
- Oh, Arthur, non vedete come lo
spaventate? – scherzò Elizabeth, rivolgendo un
cenno di finto rimprovero al suo
cortigiano. Lui si strinse nelle spalle, impassibile, prima di
allontanarsi da
lui.
Il pittore sgusciò fuori dalla stanza
delle udienze.
- Lady Catherine disattende diversi
suoi impegni, mi pare.
- Sì, le ho concesso qualche giorno
per… scherzare in
compagnia di lord
Sidney.
Arthur si sedette su uno sgabello,
accanto a lei. – Siete stata straordinariamente generosa.
- Grazie, Arthur – Elizabeth sorrise
gentilmente e gli sfiorò una guancia con la punta delle dita.
Catherine
era cieca.
Per la prima volta, era cieca e
poteva sperare di dormire sonni tranquilli.
Nella superficie lucida dello
specchio, poteva sprofondare nelle proprie iridi in tutta
tranquillità: in quel
mare celeste non c’erano più ombre di disgrazie
future, poteva respirare e
tornare negli appartamenti reali con il cuore pulito.
La vita di corte avrebbe ricominciato
a scorrere.
***
-
Vostra Grazia, ci sono tre messi
inglesi che vi chiedono udienza!
Mary voltò la testa di scatto, come
un serpente, si rassettò i pizzi della veste e li
invitò ad entrare, talmente
nervosa da non poggiare quasi la schiena contro la spalliera dello
scranno
imbottito.
- Sua Maestà, la giustamente somma,
giustamente potente e giustamente temibile Elizabeth I, Regina
d’Inghilterra ed
Irlanda, porge i suoi omaggi alla sua nobilissima cugina Mary, sovrana
di
Scozia e delle Isole – esordì il primo messo, con
voce brillante.
Lei accettò quelle formalità con un
cenno del capo.
- Sua Maestà si augura che Vostra
Grazia apprezzerà e comprenderà quale grandissima
pietà si cela dietro la sua
volontà di farvi un dono che spera sarà
graditissimo ai vostri occhi – aggiunse
il secondo messo, mostrandole una pergamena sigillata che teneva nel
palmo della
mano.
- Datemela – ordinò Mary, perentoria.
Strappò il sigillo di ceralacca e la
srotolò.
Cugina, i
nostri legami di sangue e di predestinazione divina ci impediscono di
attentare
volgarmente alla Vostra vita. Desideriamo, tuttavia, che sappiate che
questo
singolare gesto di pietà non si ripeterà, essendo
anche un chiaro invito a
desistere dai vostri osceni propositi di uccisione. E dunque addio.
-
Allora, qual è questo gesto di
pietà su cui tanto vi soffermate? –
sibilò, rossa e stravolta in viso dalla
rabbia. Il primo messo fece un mezzo sorriso e le voltò le
spalle per aprire la
porta e far entrare due soldati semplici, che trainavano una gabbia
smaltata d’oro.
Al suo interno, ringhiante e pallido
per le ferite, stava Wallace: le braccia avvolte in due stracci sporchi
di
sangue, i polsi chiusi da ceppi. Nell’incontrare lo sguardo
allibito della sua
Regina, abbassò la testa.
- Sua Maestà si premura anche di
avvertirvi che vi spedirà presto un dono che spera vi sia
altrettanto gradito,
affinché possiate ricordare qual è la posizione
che dovete mantenere.
E mentre Mary arrossiva come uno
scolaretto rimbeccato dal maestro, si congedarono.