Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: marguerite_murcielago    02/09/2012    2 recensioni
Revisionato completamente capitolo 10
Il dipinto – numero di catalogo 423B – custodito nei recessi della National Gallery di Edimburgo non è mai stato esposto al pubblico. Per divertimento dei suoi proprietari, i maggiori esperti di arte sono stati convocati in gran segreto nella stanza: il loro verdetto è stato unanime.
La storia celata da questo dipinto va da ricercarsi nell'anno 1561: vi troverete tracce di una guerra subdola e dimenticata nel tempo, gli "Amanti delle Regine", una dama con poteri extrasensoriali, avvenenti soldati e, infine, il contrasto tra due Regine - due tra le più belle e forti Regine della loro epoca: Elizabeth Tudor e Mary Stuart.
Desiderate scoprire il significato del quadro 423B?
Cit./ Questa dunque è la storia del dipinto 423B; è una storia vecchia e pochi la ricordano.
È anche Storia, ma non ci sono scritti o testimonianze di altra natura che possano chiarire eventuali punti oscuri; dopotutto, i fatti sono stati un poco romanzati. Ma che ne è stato di tutti i protagonisti di quel quadro?
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Tudor/Inghilterra
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

The Bell has been raised,
From it's watery grave...
Do you hear its sepulchral tone?

(Hoist the colours, Pirates of the Caribbean)

 

Uno scozzese solo si avvicina alle mura di Londra.
Arthur, solo nella lizza di Westminster, meditava sulla spada che teneva in mano.
Uno scozzese solo si avvicina alle mura di Londra.
Elizabeth congedò con aria annoiata Leicester e il suonatore di virginale che la stava intrattenendo.
Uno scozzese solo si avvicina alle mura di Londra.
Wallace si asciugò i palmi sudati sui pantaloni e benedì la foschia che gli raffreddava il viso.
Uno scozzese solo si avvicina alle mura di Londra.
Mary si strinse le braccia attorno al corpo, guardando smarrita la città di Edimburgo.
Conducete lo scozzese alla lizza di Westminster.

 

***

 

Wallace entrò nel recinto silenzioso, aguzzando la vista attraverso la nebbia fitta.
Il suo cavallo pareva nervoso, scuoteva la criniera e tendeva a indietreggiare.
- Arthur, dove sei? Fatti vedere! – gridò lo scozzese, l’arma in mano.
In alto, alla sua sinistra, un movimento, un fantasma vestito di grigio si mosse.
Rivolse gli occhi a quella figura: Elizabeth emerse dalla foschia, ma Wallace non diede particolare rilievo all’abito dalla profonda scollatura che indossava, né alla gorgiera che le serrava il collo magro, né tantomeno ai capelli acconciati secondo l’ultima moda.
No, la fissò negli occhi neri come quelli di uno spettro.
A suo modo, dovette ammettere a se stesso, la Regina d’Inghilterra e Irlanda aveva un portamento ed uno charme molto più sottile ed enigmatico della sua sovrana; ma non era lì per lei, e lei stessa non sembrava voler pronunciare una parola.
- Vostra Maestà – gridò allora – dov’è il vostro paladino? Arthur è troppo vigliacco per staccarsi dalle sottane della sua rossa giumenta? – sapeva che a quell’affronto Arthur non avrebbe saputo resistere.
Infatti, preceduto dal ticchettio degli zoccoli sui sassi, comparve davanti a lui, altero.
Wallace trattenne il cavallo nervoso e gli indirizzò un sorriso.
- Eccoti qua – sussurrò.
Arthur era totalmente silenzioso, evento rarissimo che capitava solo quando era troppo preso dalle sue emozioni per abbassarsi al gridare improperi; vide che estraeva la spada con un solo gesto fluido.
All’improvviso gli venne a mancare lo stimolo per affrontarlo: lui non era nel giusto, lui aveva rotto il patto, lui aveva ucciso un innocente.
- Oggi finirai di insultare la mia signora.
Finalmente, delle parole. Il tono seccato e stentoreo della voce di Arthur lo aiutò, incredibilmente, a riemergere dalla sua tenebra di desolazione: gli ricordò quanto odiava quel ragazzetto così simile a lui.
- Se lo dici tu, cugino, non sei mai stato un bravo bugiardo.
- Se lo dici tu – lo scimmiottò lui, dondolando la testa in maniera strana.
- Lo dico io – ringhiò, smontando da cavallo.
Stava per sorgere il sole e la luce giallastra diradò, almeno un poco, la nebbia fitta.
Odiò il gesto molle con cui Arthur fece lo stesso, abbandonando il suo cavallo grigio dopo una pacca rilassata, e si fece avanti nel grande spazio vuoto. Sentì la gola seccarsi senza un buon motivo.

Facciamolo, Arthur, non si sa mai: magari la Divina Provvidenza ucciderà te.
Arthur venne verso di lui, lentamente, il braccio che reggeva la spada abbandonato lungo il fianco, finché lui non riuscì a distinguere le sue iridi verde brillante; allora, senza curarsi di lui, suo cugino voltò la testa a destra, invitandolo a fare altrettanto.
Ubbidì. I suoi occhi passarono senza intoppi sul viso pallido della damina che li fissava, dietro una recinzione, ma si soffermarono a lungo sull’uomo che l’accompagnava, una mano sulla sua spalla.
- No! Non può essere lui – sbottò, ma quel viso attraente e aggrondato l’aveva stampato in testa: a dispetto delle sue parole, sapeva che era il soldato che credeva di aver ucciso.
Tornò a fronteggiare il Marchese di Pembroke.
- Tu…
Arthur fece un gesto strano, alzando il braccio sinistro con una certa rigidità; forse era ferito, o tentava di fargli un cenno in particola… Bang. Continuò a fissare il cugino e la cosa che teneva in mano, che ora esalava un rivolo di fumo perlaceo che volava via, nell’aria mattutina.
- Mi hai ingannato – urlò.
- Sì, un inganno ha dato inizio a tutto questo, un inganno l’ha terminato – replicò l’altro, atono.
Sentì il sangue colargli lungo il braccio, la mano aprirsi contro la sua volontà: la spada cadde.
- Arthur, tu… - bang. Cominciò a indietreggiare, tentando di sfuggire alla sua mira terribilmente precisa. Ci provò, quantomeno, perché un attimo dopo le gambe cominciarono a tremare e cadde in ginocchio, le dita immobili che sfioravano il terriccio. Chiuse gli occhi.
Stava perdendo la sensibilità al braccio, come presto avrebbe perso i sensi e la vita.
- No! No! Johann, presto! – la voce di Arthur sembrò impaziente, perfino preoccupata.
Sentì che gli sollevava le braccia ferite, le avvolgeva con bende morbide, ma non poteva crederci.
- Per… - biascicò, confuso.
- Taci, per l’amor di Dio, stupido che non sei altro!
- Ma perché… perché mi hai ingannato? Perché non mi uccidi? – domandò, sembrando, contro la sua volontà, fin troppo lagnoso e arrendevole. Arthur non replicò, dopo aver emesso un singulto stizzito.
Lo sollevarono, facendolo protestare per il dolore.
- Mastro Ravenclaw, avvicinatevi: il lupo è addomesticato.
Wallace si trovò davanti un ometto basso, magro, con i capelli e i baffi biondicci e gli occhi di un azzurro slavato: quello sostenne il suo sguardo per una frazione di secondo, poi cominciò a tratteggiare qualcosa sul mucchio di fogli che stringeva nella mano sinistra, come se nulla lo interessasse di più.
- Ho fatto, milord.
Arthur rivolse un cenno ai suoi aguzzini e quelli lo trascinarono al suo cavallo.
- Scortatelo fino in Scozia, dove potrà ricongiungersi con la sua adorata bimbetta! – lo prese in giro.
- Lasciatemi! Io devo ammazzare quel verme…
- Nessuno dovrà dire alcunché di sgradevole sulla mia signora, Wallace. Soprattutto tu.
Volse un’ultima occhiata a Elizabeth, colpito dal suo viso bianco e delizioso come un chicco di riso; lei sospirò e disse, con voce squillante: - Così si conclude questa storia.

 

***

 

Paul Ravenclaw si inginocchiò davanti al trono.
- Oh, Arthur, non vedete come lo spaventate? – scherzò Elizabeth, rivolgendo un cenno di finto rimprovero al suo cortigiano. Lui si strinse nelle spalle, impassibile, prima di allontanarsi da lui.
Il pittore sgusciò fuori dalla stanza delle udienze.
- Lady Catherine disattende diversi suoi impegni, mi pare.
- Sì, le ho concesso qualche giorno per… scherzare in compagnia di lord Sidney.
Arthur si sedette su uno sgabello, accanto a lei. – Siete stata straordinariamente generosa.
- Grazie, Arthur – Elizabeth sorrise gentilmente e gli sfiorò una guancia con la punta delle dita.

 

Catherine era cieca.
Per la prima volta, era cieca e poteva sperare di dormire sonni tranquilli.
Nella superficie lucida dello specchio, poteva sprofondare nelle proprie iridi in tutta tranquillità: in quel mare celeste non c’erano più ombre di disgrazie future, poteva respirare e tornare negli appartamenti reali con il cuore pulito.
La vita di corte avrebbe ricominciato a scorrere.

 

***

 

- Vostra Grazia, ci sono tre messi inglesi che vi chiedono udienza!
Mary voltò la testa di scatto, come un serpente, si rassettò i pizzi della veste e li invitò ad entrare, talmente nervosa da non poggiare quasi la schiena contro la spalliera dello scranno imbottito.
- Sua Maestà, la giustamente somma, giustamente potente e giustamente temibile Elizabeth I, Regina d’Inghilterra ed Irlanda, porge i suoi omaggi alla sua nobilissima cugina Mary, sovrana di Scozia e delle Isole – esordì il primo messo, con voce brillante.
Lei accettò quelle formalità con un cenno del capo.
- Sua Maestà si augura che Vostra Grazia apprezzerà e comprenderà quale grandissima pietà si cela dietro la sua volontà di farvi un dono che spera sarà graditissimo ai vostri occhi – aggiunse il secondo messo, mostrandole una pergamena sigillata che teneva nel palmo della mano.
- Datemela – ordinò Mary, perentoria.
Strappò il sigillo di ceralacca e la srotolò.

 

Cugina, i nostri legami di sangue e di predestinazione divina ci impediscono di attentare volgarmente alla Vostra vita. Desideriamo, tuttavia, che sappiate che questo singolare gesto di pietà non si ripeterà, essendo anche un chiaro invito a desistere dai vostri osceni propositi di uccisione. E dunque addio.

 

- Allora, qual è questo gesto di pietà su cui tanto vi soffermate? – sibilò, rossa e stravolta in viso dalla rabbia. Il primo messo fece un mezzo sorriso e le voltò le spalle per aprire la porta e far entrare due soldati semplici, che trainavano una gabbia smaltata d’oro.
Al suo interno, ringhiante e pallido per le ferite, stava Wallace: le braccia avvolte in due stracci sporchi di sangue, i polsi chiusi da ceppi. Nell’incontrare lo sguardo allibito della sua Regina, abbassò la testa.
- Sua Maestà si premura anche di avvertirvi che vi spedirà presto un dono che spera vi sia altrettanto gradito, affinché possiate ricordare qual è la posizione che dovete mantenere.
E mentre Mary arrossiva come uno scolaretto rimbeccato dal maestro, si congedarono.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: marguerite_murcielago