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Autore: SimonWeasley    03/09/2012    5 recensioni
Un bambino escluso dalla propria vita. Una famiglia che lo detesta. Un sangue che non gli appartiene scorre nelle sue vene. Hogwarts sarà la sua casa. Ma da quando Silente è morto, la scuola non è più la stessa e Ace lo scoprirà a sue spese.
Genere: Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Weasley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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COSA SUCCESSE PRIMA

 
Tre persone camminavano lungo un viale alberato. I loro passi erano attutiti dalla neve. La figura più imponente precedeva le altre due, una donna con una pancia molto grande e un piccolo bambino preso per mano. Arrivarono davanti ad un insegna che riportava le parole Purge & Dowse Ltd. Uno strano negozio. In mostra c’erano soltanto manichini con parrucche variopinte e vestiti stracciati. Alle vetrine consumate dal gelo erano appesi cartelli di varie dimensioni con scritto chiuso per ristrutturazione. L’uomo guardò la moglie e il figlio e con un breve cenno del capo iniziò a parlare con un manichino, leggermente più grande degli altri e probabilmente quello messo meglio. Le tre figure si guardano intorno con aria da chi non si vuole far scoprire e trattenendo il respiro, passarono oltre al vetro.
Si ritrovarono in un luogo molto più caldo e accogliente, pullulante di gente. Una fila di persone che avevano chiaramente problemi legati alla magia separava la famiglia dalla guaritrice dietro il bancone. Un signore circa alla fine della fila aveva metà gamba infilata in un cappello e per camminare doveva strisciare sull’altro ginocchio. Quella in parte invece aveva al posto del collo un’enorme vaschetta per uccelli. Quello che stava parlando con la guaritrice non aveva una lingua, bensì un piccolo megafono.
Il più piccolo della famiglia si guardava intorno, ridacchiando tra sé e sé. Venne ripreso più volte dal padre, il quale esigeva rispetto per i poveri disgraziati, come diceva lui. Ma il piccolo figlio sapeva benissimo che si comportava così soltanto perché lui era il responsabile del San Mungo e lo sorprese più volte a ridacchiare sotto i baffi, come quanto una signora molto grassa entrò portando degli spaghetti al posto dei capelli.
La madre con il pancione invece, quel giorno era molto scossa. Continuava a guardare nervosamente l’orologio e i guaritori che passavano. Il marito la consolava sempre con le stesse parole. “Il guaritore Anderson saprà sicuramente cosa fare, non preoccuparti”. Ma come sempre la moglie rispondeva al marito “Alan, sai anche tu quello che è successo” e il discorso terminava lì. Il piccolo Dave se ne stava fermo a fissarli, appassionato da tali discorsi che neanche lo riguardavano. Continuava a giocare con la sua piccola cicatrice che si era procurato sul gomito. Ammaliato, però, nel frattempo era attento ai genitori. Non capiva nemmeno perché erano lì. I suoi genitori gli dicevano sempre che il fratellino stava bene e che quelli erano piccoli controlli per vedere l’andamento della gravidanza. Ma una visita alla settimana era decisamente eccessiva, così il piccolo aveva smesso di credere alle bugie dei genitori e nel suo silenzio si creava svariate ipotesi. Sarebbe nato un piccolo drago? O il fratello sarebbe nato quarantenne? La sua fantasia non aveva limiti. Così se ne stava interi pomeriggi a immaginarmi suo fratello come un essere delle fiabe fino a quando sua mamma e suo papà non ricominciavano a litigare.
 La madre sempre impaziente, proprio come in quel momento. “Oddio Alan! Sei o no il direttore di questo ospedale? Potremmo superare o no questa maledetta fila?”. Il marito avrebbe preferito sotterrarsi dopo tale esclamazione, fatta quel tantino di troppo ad alta voce. Ma fortunatamente, prima che la gente iniziasse a borbottare cose sulle gerarchia sociale, il guaritore Anderson si fece avanti. “Ciao Alan! Dottie! Perdonatemi ma un paziente non mi lasciava più..” poi continuò ammiccando al figlio “E tu come stai, piccolo Dave?” , il quale rispose arrossendo e prendendo il cappotto della mamma come protezione. “Seguitemi nel mio studio” concluse e i quattro si misero a camminare. Presero l’ascensore per l’attico, dove ogni guaritore teneva il proprio studio. Quando entrarono in ascensore, una gentile venticinquenne salutò con un enorme sorriso i presenti mentre chiedeva quale fosse la loro destinazione. Anderson le mostrò il suo cartellino chiedendo di entrare nell’attico e la ragazza premette con la sua bacchetta un pulsante che sembrava non esserci fino a due secondi prima. Un sonoro dong accolse la famiglia e il guaritore. Uscirono insieme e, dopo aver percorso un corridoio, entrano nello studio.
“Alan, Dave non dovrebbe stare qui” la madre anticipò Anderson, che aveva appena provato ad aprir bocca. “Ormai ha capito anche lui che c’è qualcosa che non va. Ha il diritto di rimanere. E’ comunque suo fratello. Se la situazione sarà insostenibile, lo faremo uscire” Il padre leggeva come nel pensiero di Dave. Erano molto simili, dopotutto. E non pensavano soltanto allo stesso modo ma il piccolo era uguale ad un Alan molto più giovane. Stessi capelli neri e occhi blu. “Signor Anderson, dica lei a mio marito che è una pazzia!” continuò Dottie. A quel punto il guaritore fece vagare lo sguardo dal padre alla madre, dalla madre al padre. Da una parte il suo capo, dall’altra una madre premurosa. Avrebbe fatto litigare la famiglia in entrambi i casi. Tanto valeva salvaguardare il suo posto di lavoro. “Può restare, se promette di non dire a nessuno quello che sentirà”. Da sotto il tavolo Anderson allungò una caramella che Dave, con aria eloquente, mise in tasca. “Lo giuro”. Disse fiero, perché per la prima volta non era stato trattato da bambino.
Prima di iniziare a discutere il caso, il guaritore fu nuovamente interrotto da Dottie, con i suoi commenti sarcastici sugli uomini che non capiscono la gravità dei fatti e che per questo prendono tutto alla leggera. Alan e Anderson si scambiarono uno sguardo colpevole e complice, al quale si aggiunse il piccolo.
Tornato il silenzio e terminati gli sbuffi insistenti della madre, Anderson cominciò.
“Ho rivisto più volte il caso di vostro figlio. Ho fatto esami molto accertati, ho provato tutte le vie possibili ma mi sono sempre trovato ad una stessa conclusione. Oramai il piccolo ha quattro mesi e i problemi che mostra sono molto più gravi di quanto potessi pensare. Intervenire, a questo punto, non servirebbe. Credo che vostro figlio soffra di deviazione magica avanzata. È un’ipotesi, ma la vedo come la più plausibile.”
Alan sbiancò. Poi strinse i pugni e serrò gli occhi mentre Dottie gli prendeva la mano.
“Amore, cosa significa?”
Il marito continuò a tenere gli occhi chiusi e cominciò a sussurrare parole impercettibili. Il guaritore, rattristato dalla scena, provò a parlare ma fu fermato con un gesto della mano da parte di Alan.
“Ci lasci soli, e porti via Dave” sussurrò appena prima che Anderson prendesse per mano il piccolo e insieme uscissero.
In quella stretta calorosa, a Dave sembrò di percepire la gravità della situazione, quindi non provò neanche a protestare. Appena fuori dallo studio, il guaritore agitò la bacchetta e fece spuntare dal nulla due sedie di plastica. Senza fare troppe domande, il piccolo si sedette, in attesa di sentire ciò che Anderson aveva da dirgli. Senza preamboli cominciò “La deviazione magica avanzata è una malattia molto molto rara. Nel mondo magico, ci sono stati veramente pochi esempi di questo morbo. I più grandi guaritori hanno sperimentato varie ipotesi…”
Ma Dave non voleva sapere in cosa consisteva la malattia, quello che a lui interessava era un’altra cosa.
“Starà bene? Cioè, sarà normale? Non nascerà come un drago?”
Sul volto del guaritore comparve un piccolo sorriso di spensieratezza.
“No, piccolo. Non sarà un drago”.
 
*
 
Da quel giorno la famiglia non si comportò più come al solito. Nessuno era più preoccupato per la salute di quello che sarebbe stato il nuovo membro della famiglia. Ormai tutti, a parte Dave, sapevano che fine avrebbe fatto Ace. Ace, è così che avevano voluto chiamarlo. Quando il figlio chiedeva il motivo di tale scelta, i genitori rispondevano all’unisono “Ace. Provoca un’assonanza con la parola Ice, ghiaccio. Freddo e duro, insopportabile”.
Ognuno continuava la sua vita. Dave a casa a giocare con le macchinine, suo padre al San Mungo e sua madre a Diagon Alley. Dopo la scomparsa di Voldemort, molti negozi riaprirono e ristabilirono la loro fama iniziale. Tra questi anche la bottega di Ollivander. Il povero vecchio però, dopo la nuova inaugurazione, aveva cominciato ad assumere personale, per facilitare il lavoro. Dopo le sofferenze inferitegli dai mangiamorte, non si era ancora ristabilito completamente. Così da poco tempo, Dottie aveva cominciato a lavorare nel negozio di bacchette più rinomato tra gli studenti di Hogwarts.
Cosa ci si poteva aspettare da una famiglia interamente Corvonero? Un bambino incredibilmente intelligente, un padre che possedeva un ospedale e una madre che praticava un lavoro per cui molti avrebbero venduto la propria Firebolt. Eppure quella famiglia non era purosangue. Dalla parte di Alan, tutti avevano un eccezionale acume e tutta la stirpe aveva il gene magico. Invece, dalla parte della madre, erano tutti semplici babbani. Chi si sarebbe aspettato che Dottie possedesse doti magiche? Uno dei suoi primi incantesimi fu scaldare una teiera, all’età di otto anni. Quando arrivò la lettera, Dottie non sapeva nemmeno cosa fosse una scuola di magia, ma a causa degli stupidi show televisivi, si fece strane idee in testa. Andò in giardino a prendere un rametto e corse per la cucina e il salotto urlando di essere la moglie di un certo mago Casanova. I suoi genitori, non avendo vista la lettera che Dottie custodiva gelosamente, non credetteo ad una sola parola della figlia. Fino a quando un vecchio con una barba smisuratamente lunga e bianca come la neve, venne a bussare alla loro porta.
L’ultimo problema che Dottie e Alan dovettero affrontare prima dell’inizio del loro rapporto, era la famiglia del guaritore. I genitori di Alan non sopportavano l’idea di un purosangue con una nata babbana. Per loro? Ripugnante. Il figlio era considerato un nuovo trofeo da esporre nella teca “Corvonero”, ma lui, fin troppo intelligente per lasciarsi abbindolare da dicerie, era fiero di amare qualcuno diverso da lui. Forse era proprio per quello che amava Dottie. Era diversa dalle numerose pretendenti.
Un personaggio che favorì notevolmente al loro rapporto fu Lumacorno. Entrambi corvonero, entrambi molto intelligenti. Candidati perfetti per la sua collezione. I genitori del purosangue, sapendo il notevole supporto che dava ai giovani innamorati, gli parlarono e provarono a convincerlo più e più volte ma con scarso risultato. Il pensiero di Horace era sempre lo stesso. “Quei due sono fatti per stare insieme, si completano”.
Così le nozze avvennero e naturalmente i genitori di Alan non si fecero vivi. Soltanto alla fine della cerimonia fecero arrivare un loro telegramma, dove gli auguravano un infelice matrimonio e dove maledicevano il loro secondogenito.
Per questo motivo, dopo Dave, aspettarono ben quattro anni per decidere di volere un secondo figlio. Fu una scelta molto combattuta. La madre che voleva un figlio, per sbattere in faccia ai suoceri la sanità del secondogenito. Il padre non voleva una macchia nella sua famiglia, perché in cuor suo si aspettava che la predizione dei genitori si avverasse. Fin da quando era piccolo, la sua famiglia aveva avuto delle conoscenze con grandi possessori della Vista in grado di alterare il destino. Pochi credevano alle loro maledizioni e in particolare i corvonero erano diffidenti da certe persone. Ma il fatto che la predizione era stata fatta dalla nonna di Alan, quest’ultimo era propenso al credere l’infermità del figlio.
Una sera Alan e Dottie ebbero una grande litigata. Urla e pianti provenivano dalla cucina.
“Lui starà male, Dottie! Non fare l’egoista! Tu lo vuoi solo per te! Tu pensi che riuscirai ad accettarlo! Ma il problema non è tuo! Il problema sarà suo! Sarà lui che non si accetterà! Sarà lui che vorrà comprensione e tu non sarai in grado di dargliela!”
“Alan! Non venirmi a dire cosa non so fare! Nostro figlio nascerà normale! Lui sarà come Dave! Come fai a dire che nascerà malato? Malato! Ti odio! Tu che credi a quelle stupide cialtrone!”
“La stupida cialtrona era mia nonna! Ignorante!”
Un momento di esitazione. I loro respiri carichi di rabbia che si unirono all’unisono per diventare una lieve nebbiolina che protendeva al soffitto. Poi Dottie fu completamente accecata.
“Prendi questo! E vediamo chi sarà il malato poi!”
“Dottie! Metti giù quel piatto! Cosa pensi di fare?!”
Uno schianto. Un urlo. Un pianto infantile. Il piccolo Dave, che si era nascosto dietro il muro per origliare, non esitò a mettersi tra il piatto e il padre quando vide l’oggetto che stava per scagliarsi sui piedi di Alan. Scoppiò immediatamente in un pianto fragoroso e freddò la lite tra i due. Si misero tutti e tre a piangere, mentre il padre curava la piccola ferita che si era formata sul gomito del bambino. Si trasferirono in salotto, senza sistemare niente in cucina e si sdraiarono insieme sul divano, Alan contro lo schienale, Dottie tra le sue braccia e il piccolo Dave sopra di loro, a tenerli uniti. Rimasero in questa posizione per lunghi minuti, assaporando ogni attimo. Poi Alan ruppe il silenzio.
“Dave, avrai presto un piccolo fratellino! Io e la mamma abbiamo deciso di darti un nuovo amichetto”
Dottie lo baciò e lo strinse ancora più a lui, mentre il piccolo Dave esclamava i suoi soliti bleah, ma che schifo quando i due si scambiavano le loro smancerie.
Quella stessa sera, Ace entrò nelle loro vite.
 
*
 
“Amore, respira. Stai calma. Andrà tutto bene.” Dottie era sdraiata sul letto di ospedale. Alan cercava di confortarla ma entrambi non riuscivano a fare altro che piangere. Anderson era in ritardo ma il motivo della loro tristezza di certo non era quello.
“Avevi ragione tu, Alan. A-avevi ragione tu” Dottie si stava abbandonando ai singhiozzi. “Non dovevamo. N-non dovevamo. Lui starà male. L-lui starà m-male. Noi staremo male”
“Shh, shh. Amore, lui starà bene. Lui ci vorrà bene. Lui ci amerà. Sarà proprio come Dave. Non accadrà niente di male. Shh, va tutto bene.”
Continuava ad accarezzarla e a sussurrarle queste poche parole di conforto. Era una grande bugia per entrambi. Loro sapevano che non sarebbe andato bene. Loro sapevano che il figlio non sarebbe stato normale. Ma quelle piccole bugie, li tenevano attaccati alla realtà. Una falsa consolazione che li faceva andare avanti.
“Insieme ce la faremo, te lo prometto”
 
*
 
Il piccolo Ace era nella culla. Contento di sentirsi al sicuro. A ridere e a giocare con il suo piccolo giochino multicolore appeso sopra di lui. Se colpiva la paperella rossa, come premio otteneva un suono che lo faceva divertire tanto. Se tirava un pugno ad un ciondolo, quello riproduceva il verso di una fenice.
In parte a lui, seduta su una poltrona c’era Dottie. Continuava a guardarlo con uno sguardo fiero e compassionevole al contempo. Si chiedeva perché la disgrazia fosse capitata a lei. Lei che non se lo meritava. Lei che amava tanto quel bambino. Apparentemente non aveva problemi di nessun genere, ma la madre sapeva benissimo cosa si muoveva dentro di lui. Il suo sporco sangue.
Si stancò di guardare l’ilarità che il bambino non meritava. Alzò la bacchetta, “Reducto”, e il gioco si ruppe in tanti piccoli frammenti. Non più un suono. Anzi, uno c’era. Quello della tristezza, dell’odio, della rabbia depressa, dell’ingiustizia, della pena, della finzione.
Purtroppo al piccolo non piaceva come il verso della sua fenice, ormai lontana.
 
*
 
Fino a quando Dave era presente, Ace si sentiva al sicuro. Dopotutto il suo fratellone lo proteggeva, gli faceva capire che non era solo.
Una volta il padre stava urlando contro al piccolo perché non riusciva a fare due passi di fila. Dave non ne poteva più di sentire quelle grida inutili e quei pianti interminabili. Corse dal fratellino e si mise davanti a lui con le braccia stese.
“Piantala! Non si tratta così un bambino! Lui è buono!”
Uno sguardo ironico trapassò Dave.
“Non puoi capire, piccolo mio”. Dopodiché Alan prese Dave in braccio e se andò in salotto, lasciando in lacrime Ace. Rimase lì per qualche momento, poi il fratello tornò con passo felpato dal piccolo.
“Io credo in te e penso che tu sia un bravo camminatore!”
Ace era ancora troppo piccolo per capire il significato di ciò che il fratello gli aveva detto, ma la scintilla di ammirazione che si accese negli occhi, gli infuse speranza. Si rimise in piedi e si sistemò la sua piccola tutina. Poi Dave gli si mise davanti e lo invitò a seguirlo, con lenti gesti della mano. Ci impiegarono qualche ora, praticamente tutto il pomeriggio. Smisero soltanto quando Dottie tornò dal lavoro, svegliando Alan che si era addormentato sul divano. Il fratello maggiore si portò un dito alle labbra e uscì di corsa dalla stanza di Ace. Questo era il loro patto. Dave sarebbe stato con il piccolo se lui non avrebbe mai pianto in presenza dei genitori. Questo accordo fu conseguito per talmente tanto tempo che Ace imparò a rinchiudere i suoi sentimenti dentro di se. I genitori ormai non gli urlavano più contro ma si limitavano a trattarlo con estrema indifferenza.
Nel frattempo i fratelli crescevano e Dave arrivò nella fatidica età di undici anni. Ace ne aveva soltanto sei quando iniziò il vero inferno. Il fratello si trasferì per un anno a Hogwarts e il piccolo si trovò a fronteggiare la furia della madre e del padre. Cominciò a chiedersi perché la colpa fosse sua. Non aveva mai risposto ai suoi genitori, non aveva mai pianto davanti a loro dopo la promessa con Dave, non si era mai permesso di rivolgersi con tono non adatto alla madre o al padre. Eppure la colpa era sua. Doveva essere sua. Lui voleva sapere.
Una mattina raggiunse la mamma che si trovava in cucina per preparare la cena. Il piccolo era ancora in pigiama perché nessuno gli aveva messo i vestiti, o per lo meno preparati. Stava attaccato allo spigolo della parete per paura di far infuriare la madre. Quando lei smise di armeggiare con una pentola e si sedette per riprendere fiato o per ricordare cosa avrebbe dovuto fare, Ace si fece avanti e si fermò a pochi centimetri dal tavolo.
“Mamma?”
Inizialmente infastidita, la madre sbuffò e si rialzò, rimettendosi ai fornelli.
Il bambino, colmo di odio e rabbia, ripeté senza preoccuparsi delle conseguenze.
“Mamma! Voglio sapere una cosa!”
Dottie chiuse gli occhi come per guardare dentro di sé. Aveva promesso ad Alan che non l’avrebbe fatto ma adesso sapeva di non avere molte possibilità. Il suo cuore aveva smesso di piangere da tempo ma, anche così, era comunque troppo difficile l’indifferenza.
Si sedette e disse al figlio di mettersi di fronte a lei. Prima di farlo parlare, lo guardò intensamente negli occhi. Si sentì un vero mostro. Tutte quelle cose non dette, quei segreti. Quelle menzogne, ma soprattutto quell’indifferenza. I suoi occhi si riempirono di lacrime.
Il piccolo, pensando che fosse ancora colpa sua, si alzò e fece per correre via, prima di subire la sua punizione. Invece la madre lo prese e lo abbracciò.
“Scusa. Scusa. Scusa. Ti voglio bene. Sei piccolo, hai bisogno di qualcuno. Perdonami. Perdonami. Quando sarai grande capirai. Scusa.”
Le mille domande del piccolo svanirono e lui si abbandonò a quel momento. Per la prima volta dopo tanto tempo, pianse. Pianse a lungo in quell’interminabile abbraccio.
“Mamma, io..”
La scena fu bruscamente bloccata da qualcuno che bussava alla porta. La madre tornò in sé e nei suoi occhi riapparve la scintilla di diffidenza.
Si staccò dal figlio e gli tirò un ceffone in piena faccia. Il suono di quel gesto cruento rimbombò per tutta la casa. Poi la faccia di Dottie assunse un’espressione di orrore.
“Non.. non dire niente a mio marito! Non provare a dire niente di quello che ho fatto! Non proferire parola! Mostro! Vai in camera tua!”
Il piccolo Ace sentiva le lacrime solcargli il viso, mentre correva nella sua camera. Voleva Dave, il suo fratellone. L’unico che in quel momento l’avrebbe capito. Si sdraiò sul letto e continuò a piangere  fino ad esaurire le lacrime che aveva in corpo. Poi guardò il suo cuscino, completamente bagnato. Quel cuscino, dopo Dave, aveva visto di cosa era capace la sua famiglia. Da quel giorno decise che sarebbe stato il suo confidente. Ogni volta che piangeva, rinchiudeva le sue lacrime in quell’oggetto, che avvertiva come una protezione. Il suo cuscino azzurro.
 
*
 
Gli anni passarono e il piccolo Ace aveva ormai raggiunto i dieci anni. Dave, ormai quindicenne, era tornato a casa per le vacanze di Natale. Era incredibilmente euforico per un voto che aveva appena preso. Ma le sue emozioni furono costrette a spegnersi, quando vide Ace. Sul corpo del piccolo comparivano le ingiustizie inferite dai genitori durante tutto il tempo che era stato via. Dave non poteva assistere a quello spettacolo.
“Eravamo d’accordo che non l’avreste più toccato.”
Aveva iniziato il discorso la mattina di Natale, mentre tutti pensavano che Ace stesse dormendo. Invece lui era lì, come al solito dietro allo spigolo della parete che dava sulla cucina. Stretto a lui, il cuscino azzurro.
“Invece voi cosa fate? Ho visto i lividi che ha sotto la maglietta. Voi non dovete permettervi di maltrattarlo! Aspettate solo due anni e poi mi trasferisco con lui, lontano da voi. Io vi denuncio. Giuro. Non posso più sopportare di vedere Ace così. Non se lo merita. Sarà malato, va bene. Ma tutto ha una cura. Tutto ha una risoluzione. Tutto ha una risposta. Lui non ha ancora avuto problemi. Lui potrebbe essere solo un portatore sano. Siete voi i malati! Se la violenza vi fa star bene, andate in un ricovero. Siete voi i malati, non lui.”
Rimasero tutti e quattro interdetti. Ace scoprì finalmente cosa c’era in lui che non andava. Dave si meravigliò del tono con cui aveva parlato alle persone che fino a qualche giorno prima amava. Dottie  e Alan basiti dal discorso.
“Non possiamo. Lo sai. Farlo stare male è l’unica cosa che tiene dentro di lui il problema. Non ti ricordi di Anderson? Quello che ci disse. Anche papà si trovò d’accordo. Loro sono due guaritori, loro sanno come vanno le cose. Noi non ci possiamo fare niente.”
La madre provò a calmare il figlio ma una risata amara riempì la stanza. Tutti i presenti rabbrividirono.
“Non ci possiamo fare niente. Non ci possiamo fare niente. Un po’ scarsa come scusa, no? Lui non ha i sintomi della malattia. Lui è normale.”
“Allora perché non ha ancora dimostrato di possedere doti magiche? La malattia c’è e noi lo sappiamo. Non solo io e tua madre. Ma anche tu lo sai! Ormai è già passata la soglia dei sette anni ma nessuno l’ha mai visto far volare qualcosa o altre cose del genere! Ho fatto personalmente esami accurati quando era piccolo. Lui è malato. Lui deve soffrire.”
Il padre si aggiunse, uscendo dal suo silenzio di riflessione.
“Lui non è malato. Lui sta benissimo. Gli esami possono sbagliare. Forse la cosa che vi dà più fastidio è di avere come un figlio un magonò.”
A quella parola, i genitori strinsero i pugni; poi Dave continuò.
“Lui è il mio fratellino. Ora vado a svegliarlo e noi due usciamo a farci una bella chiacchierata.”
“Non azzardarti o..”
Petrificus Totalus”
Il fratello fece cadere i genitori a terra come pietre e si avviò verso il corridoio ma uscendo dalla cucina andò a sbattere contro Ace, intento a piangere e ad abbracciare il suo cuscino.
“Vieni con me, piccolo”
Ace si alzò e seguì Dave in camera. Quest’ultimo lo spogliò, fece scorrere il dito sui lividi del piccolo e lo abbracciò forte. Poi gli prese un paio di jeans ed una maglietta a maniche lunghe. Lo vestì e, dopo esserselo caricato sulle spalle, uscirono. Al freddo, nella neve, come quella volta in cui incontrarono Anderson.
Arrivarono vicini ad una panchina e il piccolo scese. Dave si sedette e lo prese in braccio.
“Scusami se non te l’ho mai chiesto. Alan e Dottie ti hanno mai fatto un regalo per Natale?”
Quando Ace fece un impercettibile movimento della testa, sul viso di Dave spuntò un sorriso amaro.
“È arrivato il momento che tu sappia quello che da tanto ti chiedi. Cosa hai sentito prima?”
Al piccolo mancavano molto quelle loro conversazioni. Sentirsi trattato come una persona normale, per lui era una cosa nuova.
“Tutto, credo. Ti ho sentito alzarti e ti ho seguito”
“Va bene, c’è qualche tua domanda a cui non hai ottenuto risposta?”
“In realtà ce ne sarebbero due”
“Chiedi pure”
“Cosa vuol dire che sono malato? E cosa è un magonò?”
“Partiamo dalla più semplice. Un magonò è una persona nata in una famiglia con il gene magico ma che non ha mai riscontrato di avere poteri soprannaturali. Solitamente i maghi iniziano ad avvertire una propria magia a circa sette anni. “ fece un sospiro “Essere magonò non è una cosa brutta. Se lo fossi, saresti  una persona come i babbani. E se senti i genitori di Alan parlare male di questi babbani, sappi che si sbagliano! Pensa ad una vita senza bacchetta magica, dove mamma o papà non possono usare la magia. Come si arrangerebbero? I babbani sono riusciti a costruirsi una vita con quelli che chiamano elettricità, petrolio, gas, strumenti manuali e cose varie. Capito? Anche se fossi un magonò, cosa che non credo, non dovresti provare vergogna!”
“Perché in cucina hai detto che sono un magonò?”
“L’ho detto semplicemente perché volevo dare fastidio a mamma e a papà. Loro non lo sopporterebbero.”
“Ma tanto non sopportano niente di me!”
“Non è vero. Loro si sentono obbligati a trattarti male. E’ un rimedio al tuo problema”
“Ecco! Cosa è il mio problema?”
“Adesso sei troppo piccolo per capire, ma quando avrai almeno la mia età, ti spiegherò.”
“Per favore, dimmi qualcosa”
Dave sospirò. Non gli piaceva trovarsi alle strette. Ma come aveva detto ai genitori, lui avrebbe mantenuto la promessa.
“Pensa se nel tuo corpo non scorresse il tuo sangue, ma il sangue di qualcun altro. E se l’unico modo per tenere a bada questo problema fosse soffrire, cosa faresti?”
Ace si concentrò pensieroso. Gli occhi fissi sulla neve bianca.
Cosa avrebbe fatto?

 
SPAZIO AUTORE
Per fare questo capitolo ho impiegato tre giorni e devo dire che ne sono proprio fiero! Il mio primo vero capitolo! Gradirei molto le vostre recensioni e le vostre critiche, sempre al fine di migliorare! Purtroppo nemmeno questo capitolo parla del mondo magico ma volevo fare in modo di analizzare i primi personaggi prima di Diagon Alley. Ci ho impiegato molto, quindi vi chiedo di lasciare anche solo una piccola recensione! Grazie a quelli che mi seguono e a quelli cui piace la mia storia!
Mason
  
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