XV.
Come
mi ero immaginata, i genitori di Jerome ed Erika risultarono essere una coppia
gioviale e allegra. Furono
molto cordiali, e ben disposti ad accettarmi in casa senza farsi troppe
domande. Era
evidente quanto si fidassero ciecamente delle decisioni del nipote, e questo mi
rincuorò non poco. Sapere
che Duncan poteva contare su persone così fidate, mi tolse un peso dal cuore. L’essermi resa conto di quanto fosse forte il
Consiglio, e ben poco disposto a lasciare a Duncan le redini del comando, mi
aveva angustiato parecchio. Soprattutto, dopo aver constatato quale potere
avesse la Lupa Madre sugli altri membri consiliari. Tutti guardavano a lei con timore e rispetto, mentre
Duncan era visto come un capo, sì, ma non di polso. Niente più che una figura da seguire, finché le cose
fossero andate come loro meglio
credevano. Questo, mi aveva portato a chiedermi cosa avesse spinto
Duncan a consegnare una così larga fetta di potere al Consiglio. Mi era più che chiaro, ormai, che lui aveva doti e
capacità per governare anche senza il loro aiuto. Naturalmente, non potei mettere a parole i miei
pensieri – sapevo perfettamente che nessuno di loro mi avrebbe risposto, per
correttezza nei confronti di Duncan. Il dubbio, comunque, rimase lì, a covare dentro di
me come un tarlo instancabile, deciso a divorare le pareti del mio cervello fino
a farmi impazzire. Feci perciò del mio meglio per non arrovellarmi
proprio in compagnia di persone così care, decidendo di distrarmi il più
possibile per non far notare a nessuno la mia ansia. Con dovizia di particolari, così, raccontai alla
famiglia di Duncan del nostro incontro, mettendo fine alla curiosità di Jerome
e permettendo a me stessa di pensare ad altro. Il racconto suscitò diversi commenti entusiastici, e
parecchie pacche sulle spalle da parte di Jerome ed Erika. Sarah e Johnathan, il padre di Erika e Jerome, si
complimentavano invece con me per la mia presenza di spirito e il mio coraggio.
Duncan si limitò a lanciarmi il suo consueto sorriso
ambiguo, a metà tra l’orgoglioso e il divertito. Fu decisamente un momento pacifico e tranquillo,
specialmente se paragonato alla vita incasinata che stavo vivendo in quel
periodo. Non pensare a quello che mi sarebbe spettato fare,
di lì a poco, mi servì per non avere una crisi di nervi in piena regola. Fin troppo presto, però, dovemmo tornare a casa
McKalister. Duncan era troppo oberato di appuntamenti, per
potersi concedere ulteriori spazi per se stesso e la sua famiglia. Io, invece, ero in attesa dell’arrivo di Lance, che
mi avrebbe spiegato ciò che significava usare il potere latente dentro di me. Dopo essere tornati, e aver lasciato Duncan ai suoi
impegni con la clinica, attesi con impazienza che giungesse Hati per la nostra
prima lezione sull’uso del potere. Era parte di me, dopotutto, e che io avrei dovuto
imparare a imbrigliarlo in vista del novilunio. Mentre aspettavo, preparai qualche sandwich di tonno
e lattuga, quasi sicura che ce ne sarebbe stato bisogno. Pur se in quel momento avevo la pancia piena dei
meravigliosi cannelloni di Sarah, avevo idea che avrei avuto una fame
indiavolata, di lì a poco. Non avevo la minima idea di quel che Lance avrebbe
fatto per risvegliare il mio dono ma, di qualunque cosa si trattasse, sapevo
già che mi avrebbe lasciata basita. Non mi ero ancora abituata a percepire le auree dei
licantropi e le loro sensazioni superficiali, figurarsi il resto. Un ‘resto’
di cui non sapevo un accidente di niente. Quando trillò il campanello, per poco non imprecai
dalla paura. Spazzandomi in fretta le mani in un canovaccio, mi
affrettai ad andare ad aprire. Bello come una mattina d’inverno, si presentò
dinanzi a me Lance in tutta la sua altezza spropositata, fissandomi con i suoi
stranissimi occhi da husky. Lasciatolo entrare dopo esserci salutati, gli domandai:
“Allora, cosa mi devo aspettare?” “Di tutto un po’, credo” ammise, seguendomi in
cucina. In una mano, teneva una borsa di pelle nera. Sorrise, quando vide i sandwich appena fatti e,
sedendosi su uno degli alti sgabelli nei pressi dell’isola centrale della
cucina, celiò: “Hai pensato alla merenda, a quanto vedo.” “Avevo come la netta sensazione che ce ne sarebbe
stato bisogno” scrollai le spalle, accomodandomi vicino a lui. “E hai ragione” ammiccò Lance, poggiando la sua
borsa da medico sul ripiano di marmo grigio. “Duncan mi ha accennato al fatto
che vorresti diventare medico. Con quale specializzazione?” “Immunologia. Mi ha sempre attirato” ammisi con un
risolino. “Anche se, con Duncan, ho aperto le porte anche alla medicina
d’urgenza… chissà?” Con un mezzo sorriso, Lance mi fissò con orgoglio,
asserendo: “Quel che hai fatto per il nostro Fenrir è stato qualcosa di
eccezionale, Brianna. Presto, anche il Consiglio se ne renderà conto, e la
smetterà di pensare alla polizia che ti sta cercando. In seno al branco, sarai
al sicuro.” “Sempre che riesca a carpire i segreti nella mia
testa” brontolai, agitandomi nervosamente sullo scranno. Era molto peggio che trovarsi dinanzi a un
professore per un’interrogazione. “Sono qui proprio per questo, ma vorrei tenerti
monitorata, mentre proviamo. Sto andando un po’ a tentoni, con te, quindi
vorrei avere i tuoi parametri di base per essere certo delle tue reazioni
fisiche” mi spiegò, estraendo uno sfigmomanometro dalla borsa di pelle. “Okay. Mi sembra giusto. Hai bisogno di un’anamnesi
completa, prima di cominciare?” gli chiesi, dubbiosa. “Non direi. Non devo iniettarti nulla, per cui non
ho bisogno di sapere se sei allergica a qualcosa. Piuttosto, hai problemi di
qualche genere?” mi chiese lui, infilando il mio braccio nel bracciale dello
sfigmomanometro. “Tutto regolare… perché?” “Sei nervosa” mi spiegò, toccandosi un orecchio con
un risolino. “Oh, già… le vostre parabole satellitari” commentai,
facendolo ridacchiare. “Hai fatto battute del genere per tutta la durata
del viaggio?” mi domandò divertito, provandomi la pressione. “Sì, direi anche di peggio… perché?”chiesi curiosa,
lanciando occhiate alternate a lui e al mio braccio. La vibrazione dello sfigmomanometro riverberò nella
carne del mio braccio, facendomi il solletico. “Duncan non è famoso per essere un tipo da accettare
le battute di spirito. E’ sempre stato molto serioso, fin da giovane” mi spiegò,
facendomi impallidire non appena udii le sue parole. “Vuoi dire che…?” esalai sconvolta, temendo di aver
sfinito Duncan a forza di battutacce e freddure. Lance mi sorrise, tranquillizandomi, e mi confessò:
“Era divertito, quando ha accennato alla cosa. Quindi, direi che non lo hai affatto
irritato.” Sospirai di sollievo, sentendomi enormemente meglio
alla notizia… forse un po’ troppo. Storcendo il naso, cercai di scacciare quella dubbia
sensazione di languore e chiesi, rivolta a Lance: “Allora, come vado?” “Centoventidue su ottanta. Direi che va benissimo.
Bene, ora possiamo cominciare e, quando finiremo, ti riproverò la pressione” sentenziò
Lance, rimettendo a posto il suo sfigmomanometro. Annuii, prima di chiedergli: “Cosa dovrei fare,
esattamente?” “Per ora faccio io… dimmi quello che percepisci” mi
spiegò a quel punto Lance, fissandomi negli occhi con aria nuovamente
concentrata. Subito, allacciai lo sguardo al suo, lasciandomi
scivolare lentamente all’interno di quelle profondità azzurro ghiaccio. Con mia somma sorpresa, trovai curiosità nei miei
confronti, aspettativa e un misto di confusione e attrazione. Ripetei esattamente tutto quello che percepii, e
vidi Lance annuire soddisfatto. Evidentemente, non mi ero sbagliata. Tornando a concentrarsi, Lance mormorò: “Riprova.” Intrecciando le mani in grembo per trattenere la
tensione che stavo accumulando, tentai di penetrare nuovamente dentro di lui
ma, questa volta, fallii miseramente. Fu come andare a sbattere contro un muro di cemento
armato. Aggrottando la fronte, mi concentrai maggiormente
nel tentativo di sfondare quelle difese ma Lance, sogghignando, asserì roco:
“Non ci sei ancora. Devi immaginare di sbriciolarlo, non solo tentare di
farlo.” “E come?” brontolai, percependo una goccia di sudore
scivolare lungo la mia schiena contratta. “Con qualsiasi cosa, ma devi dare azione al
pensiero” mi spiegò, aggrottando la fronte e stringendo i denti. Forse, per mantenere alte le barriere, stava
faticando più di quanto non mi rendessi conto. Annuii, pensando a un martello pneumatico e, come
d’incanto, mi ritrovai a fissare il muro di cinta eretto da Lance, come se
realmente lo avessi avuto dinanzi a me. Era alto a dismisura, incurvato come una diga a
doppio arco, del tutto privo di scalfitture e maledettamente robusto a vedersi. Armata com’ero del mio martello pneumatico, avrei
provato quantomeno a cercare di creare una falla in quella difesa
apparentemente impenetrabile. Grugnendo, strinsi i denti per scagliare il mio
attacco alle difese di Lance, agendo mentalmente come se stessi davvero tenendo
in mano il martello. Vidi la me stessa mentale gettarsi contro il muro
per fare pressione contro di esso, ma tutto fu vano. Neppure un graffio. Il respiro mi si fece pesante, mentre la pelle
cominciava a ricoprirsi di un sottile strato di sudore. Sentivo nelle orecchie il battere furioso del mio
cuore, neanche avessi corso per chilometri senza mai concedermi una pausa. Confusa, mi chiesi cosa sarebbe successo, se
quell’allenamento mentale si fosse protratto a lungo. Sarei svenuta? O peggio? Lance, dinanzi a me, non era messo meglio. Evidentemente, quel processo di difesa lo sfiancava
più di quanto avessi immaginato. “E’ difficile. Non so come convogliare l’energia. Mi
vedo compiere l’azione, ma non succede niente” riuscii a dire, gli occhi sempre
fissi nei suoi, la mente concentrata sull’immagine mentale del suo muro di
cinta. “Stai andando bene… ti viene naturale…” mi sorrise
lui, la voce un po’ ansante e fiacca “… ma devi crederci di più. Sei troppo
scettica.” Mollai la presa dall’immagine mentale per tornare
alla realtà e, fissandolo bieca, sbottai: “Perché, ti pare normale quello che
stiamo tentando di fare?” Lui scoppiò a ridere e, annuendo, si passò una mano
sul collo come per massaggiarsi i nervi tesi. “Sì, scusa… lo so che ti sembra tutto assurdo, ma
pensavo che ormai ti fossi abituata alle stranezze.” Sospirando, mi spiegai. “Se si tratta di voi, mi sta più o meno bene tutto
ma, quando sono io a fare le cose, mi sento… strana.” Lance, a sorpresa, mi sfiorò il viso con una mano e asserì,
sollevandomi il mento per guardarmi negli occhi: “Tutti ci sentiamo strani, le
prime volte. Non devi avere paura di te stessa, né di quello che sei. L’essere wicca non significa avere una malattia,
è un dono come saper dipingere, o avere l’orecchio assoluto.” “E’ un po’ di più” celiai, facendo una smorfia
ironica. Lance scrollò le spalle e, nel ritirare la mano,
replicò: “Non pensi che Mozart fosse un autentico genio? Creare simili
componimenti, e a un’età così precoce! Probabilmente, tutti lo ritenevano uno
strambo, ma non lo era. Allo stesso modo, tu non sei uno scherzo della natura,
ma un suo emissario. Sei una Figlia della Luna, Brianna, un’accolita della
Madre Terra e una portavoce dei misteri di Colei cui tutti noi siamo
sottomessi.” “Cosa intendi, quando dici questo?” gli chiesi,
turbata. “Puoi…, potrai
parlare con la Madre Terra attraverso la quercia sacra che, da sempre, è il
portale degli spiriti terreni. Essendo tu wicca,
inoltre, sei depositaria dei poteri connessi alla luna. Il tuo dono è strettamente
legato a Lei, perciò il Consiglio ti vuole mettere alla prova durante il
novilunio. Solo le wiccan più potenti
possono parlare con la quercia sacra durante il novilunio, poiché riescono a
sfruttare il potere della Madre Terra senza dover ricorrere a quello della luna,
per farlo. Così, almeno, dice la leggenda” mi spiegò Lance, continuando a
guardarmi negli occhi. “E’ tutto così difficile…” sospirai afflitta. “…
dimmi, tu come sai tutte queste cose?” “Mia madre era una Völva, una veggente. Mi disse che
non sarebbe vissuta a sufficienza per vedermi diventare dottore e mi spiegò
che, per il mio bene e per quello di tutto il branco, avrei dovuto conoscere i
segreti del potere, poiché un giorno quella conoscenza mi sarebbe tornata
utile” mi spiegò, un quieto sorriso sulle labbra. Sgranai gli occhi e, d’istinto, mi gettai tra le sue
braccia, mormorando contro il suo petto: “Dio, mi dispiace tanto, Lance!” Subito sorpreso, Lance accettò e ricambiò
l’abbraccio, sussurrando contro i miei capelli: “Grazie, Brianna. Sai, sei la
prima persona a cui lo dico.” “Neppure Duncan, o Jerome, sapevano?” gli domandai,
continuando a stringerlo a me. Percepivo dentro la mia anima i sentimenti di Lance, una miscellanea di
sorpresa e compiacimento. “No. Per un qualche motivo a me sconosciuto, non
volli mai dire cosa predisse mia madre, prima della mia partenza per
l’università ma ora, con te…” di colpo si fece silenzioso, limitandosi a
carezzarmi la schiena con dolci carezze circolari che rilassarono i miei
muscoli tesi. Mi fissò per diversi secontdi senza dire nulla,
limitandosi a lasciare che il suo sguardo sprofondasse nel mio. Alla fine, però, mormorò: “E’ come se ti conoscessi
da sempre, come se fossi un pezzo di me stesso che ho ritrovato solo ora, e
questo sì che è strano.” Risi divertita e, sciogliendomi dall’abbraccio, ammisi:
“E’ successo anche con Duncan e Jerome. Con voi tre, percepisco questa strana
connessione. Come se vi avessi già conosciuto anni addietro, e ora non ci
fossimo che ritrovati per stare finalmente assieme.” Facendosi pensieroso, Lance tornò a poggiare una
mano sulla mia guancia, sussurrando: “Sento il bisogno insopprimibile di
toccarti, di proteggerti, di tenerti vicino a me perché tu sia al sicuro, e
credimi, non sono proprio un tipo smanceroso con le donne, almeno ultimamente.” Cercando di sopprimere la curiosità che mi divorava,
mi limitai a sorridere, celiando: “Erika mi aveva avvisato della tua avversione
nei confronti del gentil sesso. Dimmi se devo armarmi, prima di uscire, perché
vorrei essere certa non mi facessero fuori alla mia prima passeggiata.” Scoppiando in una risata vagamente risentita, Lance
mi lasciò andare e sbottò aspramente: “Non ti paragonerei mai alle femmine del
branco. E’ facile leggere l’onestà nel tuo sguardo, Brianna, com’è altrettanto
facile leggere calcolo e interesse negli sguardi delle lupe che mi si sono
offerte.” “Suona così… medievale…” borbottai, sgranando
leggermente gli occhi. “Un po’, in effetti” ammise Lance, chetandosi. “Comunque
no, non devi girare armata per causa mia. Ho già espresso da tempo il mio
desiderio di non essere oppresso da loro, perciò ti gireranno alla larga.
Quanto alle lupe interessate a Duncan, non saprei, però. Forse, chiederei a
Erika o Jessie di accompagnarti in giro, casomai ti venisse voglia di fare un
giro per Farley.” Lo disse con una certa ironia, ma avvertii una punta
di preoccupazione nel suo tono, perciò persi del tutto la voglia di fare
battute. “D’accordo, messaggio ricevuto.” Lance mi batté affettuosamente una mano sulla
spalla, confortante. “Non arriveranno a darti fastidio, credimi. Dopo
quello che è successo in seduta di Consiglio, la voce sulla cacciata di
Marjorie si sarà sparsa per tutto il branco e le lupe ci penseranno due volte,
prima di trattarti male.” “Lo spero. Un assalto basta e avanza” mugugnai,
tastandomi distrattamente il cerotto che avevo sulla fronte. “Penso parlerò con Kate in merito alle nostre
sensazioni. Chissà che non sia qualcosa connesso al tuo ruolo di wicca. Più tardi, la chiamerò per
chiedere a lei. In fondo, è lei l’esperta” chiosò Lance, tornando al discorso
originario. “Già, lei è l’unica a cui possiamo appoggiarci per
avere delle dritte” annuii, prima di dire: “Okay, riproviamo?” “Sì. E mettici tutta la forza che hai” mi spronò,
sorridendomi complice. “L’hai voluta tu” lo minacciai bonariamente,
concentrandomi nuovamente sui suoi occhi. Penetrare nel suo subconscio superficiale fu più
facile – sapevo già come fare – ma, questa
volta, non mi armai di martello pneumatico. Mi ritrovai abbigliata con un’armatura di stampo
medievale e un maglio da guerra - lungo quanto il mio braccio - stretto nella
mia mano, pronto solo per essere usato. Non avevo mai saputo di poter concepire idee così
fantasiose. Forse, non ero così dissimile da mio fratello
Gordon, dopotutto. Stringendo i denti e assottigliando le palpebre, mi
lanciai nuovamente contro il muro, attingendo stavolta a tutta la mia forza di
volontà, al fuoco interiore che sentivo dentro di me. Quando finalmente colpii la superficie di cemento,
fu come veder esplodere una bomba. Tutt’intorno a me, un bagliore accecante avvolse
ogni cosa, impedendomi di scorgere alcunché. All’improvviso, i miei piedi persero aderenza su ciò
che mi aveva permesso di sostenermi fino a quell’istante. Con un grido strozzato, cominciai a cadere nel
vuoto, inghiottita dalla mente di Lance, ormai spalancata dinanzi a me. Durante la caduta, scorsi il volto di una donna
bellissima, dai fini capelli color dell’ebano e splendidi occhi nocciola. Sorrideva a un Lance più giovane e dalla barba
leggera, e si stringeva al suo braccio durante una passeggiata in un parco. Mi aggrappai a quelle immagini, perdendo velocità
durante la caduta. Quando, però, li scorsi assieme in un letto, chiusi
ermeticamente gli occhi per non vedere. Fu tutto inutile. Quelle immagini penetrarono ugualmente nella mia
mente, facendomi scorgere il piacere negli occhi di Lance e… Dio, no! Mentre il mio grido mentale si espandeva
tutt’intorno come un’onda d’urto, un pugnale d’argento calò sulla schiena di
Lance. E proprio per mano della donna che lui stava amando
con tutto se stesso. Quel colpo lo paralizzò, permettendo alla donna di
scavalcarlo per approfittare di quel momento di debolezza per dargli il colpo
di grazia. Poco prima che una seconda lama gli dilaniasse il
cuore, la porta della stanza dove si trovavano si spalancò di botto, facendo
entrare di corsa Duncan. Duncan che, senza attendere un attimo, buttò a terra
la donna, togliendole di mano il pugnale e ringhiandole ferocemente contro per
tenerla immobilizzata a terra. Lei lo fissò tremante, e con gli occhi spiritati. Un istante dopo, pur ferito nel corpo e nell’onore,
Lance mutò in lupo e la attaccò, squarciandole la gola con le zanne snudate. Duncan, ansante e con l’odio negli occhi, osservò la
scena senza neppure accennare a fermarlo. Quando la donna si ritrovò riversa a terra con la
gola sanguinante e il cuore immoto, Lance tornò umano. Con le lacrime agli occhi, si sedette angosciato sul
letto, invano consolato da Duncan che, il viso impietrito, gli promise
vendetta. Dietro di loro, Sarah entrò nella stanza, il viso
una maschera di ghiaccio e lo sguardo tranquillo e feroce al tempo stesso. Duncan, sollevando quasi di peso Lance, le disse:
“Lascio tutto nelle tue mani, Freki.” “Sì, Fenrir. Me ne occuperò io” mormorò pacata
Sarah, guardandoli andarsene con passo claudicante. L’ultima immagine, registrata nei ricordi di Lance,
fu la stanza in cui aveva conosciuto l’odio più puro, sgretolarsi sotto le sue
lacrime copiose. “Brianna… Brianna mi senti?!” Quel richiamo accorato giunse alle mie orecchie come
un’ancora di salvezza. Aggrappatami a quella voce, riuscii a fuoriuscire
dal gorgo oscuro che mi stava fagocitando, ritrovandomi a fissare a occhi
sgranati Lance. Preoccupato a morte, teneva le mie mani strette
nelle proprie, mentre il suo viso pallidissimo era chiaro specchio di quello
che avevamo appena vissuto assieme. Cercai invano di parlare, la bocca rinsecchita come
il deserto in agosto, ma Lance scosse il capo ed esalò turbato: “Non dire
nulla. Non ce la faresti, adesso. Pensa solo a calmarti, respira. Respira con
calma.” Sbattei un paio di volte le palpebre prima di
scivolare dallo sgabello, accompagnata a terra da Lance che, tenendomi stretta
a sè, mi fece sedere sul pavimento. “Brianna… mi senti? Stringi le mie mani, se ci
riesci.” Scossi il capo, incapace di farlo e, con un ultimo
disperato tentativo, gracchiai: “Lance… lei… tu…” Mi strinse più forte a sé, cullandomi come una
bambina piccola e, baciandomi i capelli più e più volte, sussurrò: “Sstt, non
pensarci… è acqua passata. Neppure immaginavo saresti riuscita a penetrare
tanto a fondo nel mio animo. Hai dei poteri formidabili.” “Scusa… scusa…” singhiozzai, cominciando a piangere
a dirotto, prima di affondare il viso nel suo torace possente. “E di cosa?” esalò, sorpreso e confuso. “Non volevo… intromettermi… Dio, cosa ti ha fatto….”
sussurrai, la voce ridotta a un flebile sospiro. Dio! Sarah; la dolce, tenera Sarah, era Freki. Forse, più ancora del tentato omicidio di Lance, la
scoperta della vera identità di Sarah mi aveva maggiormente scioccato a morte. “Mi ha solo aperto gli occhi su una verità
incontestabile…” mormorò Lance, sardonico. “…e cioè, che non avrei dovuto
fidarmi così ciecamente dei miei sentimenti. Sono solo dei maledetti traditori.” “Era… un … Cacciatore?” riuscii a chiedere, tossendo
tra una parola e l’altra. Era come se avessi ingoiato fuoco e sabbia, e che
quest’ultima si fosse cristallizzata attorno alla mia gola a causa di un calore
dirompente di cui non conoscevo la provenienza. Lui annuì senza mai smettere di cullarmi, i nostri
due corpi seduti a terra e poggiati contro la consolle della cucina. Sollevando a fatica il capo per guardarlo in quegli
occhi apparentemente così freddi, replicai: “L’amavi davvero.” “Sì. Era una mia collega all’ospedale, durante
l’internato” mi spiegò, la voce piatta e lineare. Il suo potere sfrigolava, smentendo l’apparente
calma, ma io non vi badai. “Aveva una risata contagiosa, e sapeva riempirti le
giornate con la sua voce suadente e calda. E io ci sono cascato come uno
sciocco credulone” mormorò roco. “Come… come sapeva… chi eri?” gli chiesi dopo un
momento. “Purtroppo per noi, i Cacciatori più abili sanno
come riconoscerci. E lei era veramente brava” ammise con rammarico. “Sarah
ripulì la mia stanza a dovere e, in seguito, si occupò del resto del suo
gruppo, che sapeva cosa lei stesse seguendo.” “Chi”
precisai con un mesto sorriso. Lui sorrise di rimando, asserendo dolorosamente:
“Loro non ci reputano affatto persone, Brianna.” “Io sì. E
tu devi credere a me, non a quegli idioti dal grilletto facile” sbottai con
convinzione. La gola sembrava andare meglio. Il fuoco si era
chetato. Aiutandomi a rimettermi in piedi, Lance mi rassettò
la maglia con gesti fraterni, chiedendomi ironico: “Perché dovrei dare retta a
una donna?” “Perché io non sono come lei” dissi semplicemente.
“Non pensare che tutte tradirebbero la tua fiducia come ha fatto quella
disgraziata.” “E’ difficile crederlo, anche se con te le mie
convinzioni sembrano non valere molto” sottolineò Lance, lo sguardo tagliente
come ghiaccio. “Come hai detto tu, sai che non ti farei mai del
male, perché l’hai visto nei miei occhi” gli ricordai con un sorriso. “A volte, vorrei avere i poteri delle wiccan per essere in grado di
riconoscere la menzogna nelle persone” sospirò mesto, tornando a sedersi sullo
sgabello. Fissò lo sguardo oltre la finestra aperta sul
cortile, e mormorò: “Essere uno dei Gerarchi, non è facile. Per nessuno di noi
è facile. E’ come vivere con una Spada di Damocle sul collo.” Nessuno di loro vedeva le reciproche investiture
come doni, piuttosto come disgrazie. Chi per un motivo, chi per un altro, nessuno di loro
era soddisfatto, neppure il tanto gioviale Jerome. Proprio a causa della chiusura di Duncan, si vedeva
precluso la possibilità di aiutare il cugino, rimanendo ai margini della Triade
di Potere senza poter far nulla per alleviare le pene del suo Fenrir. Sospirai, e dissi: “Non perdere la fiducia nel
prossimo, Lance, perché sarebbe davvero un peccato. Sei una così brava persona!
Meriti di avere una compagna che ti stimi e ti voglia bene.” Lance mi sorrise cordiale e, carezzandomi il viso, ammise:
“Forse, se ti avessi conosciuta qualche anno fa, mi sarebbe stato più facile
darti retta.” “Io non demordo. Ti farò cambiare idea” scrollai le
spalle, tenace nel mio intento. “Perché?” mi chiese allora Lance, fissandomi con
occhi che, sul viso di un’altra persona, sarebbero apparsi spauriti. “Perché voglio tu sia felice” asserii con
semplicità. Lui rise, divertito dalla mia risposta e, con fare
professionale, mi richiamò all’ordine, sentenziando: “Forza, siediti e proviamo
la pressione. Mi sa che l’avrai sotto i piedi.” “Dici?” ammiccai, cercando di apparire serena quando,
invece, non mi ci sentivo per nulla. Quanti e quali demoni avevano nel cuore, quei
giovani alfa? Sperai ardentemente che Duncan e Jerome non avessero
sofferto come Lance ma, almeno a giudicare dalle reazioni di Duncan, non potei
proprio giurarci. Era successo qualcosa di tremendo, in questo branco,
ormai ne ero certa. Temevo solo di scoprire cosa. *** Poggiato il viso sul ripiano di marmo della cucina
in disperata attesa del ritorno di Duncan, fissai con aria sonnacchiosa il
piatto di spaghetti al sugo ormai gelidi che avevo preparato. Sicuramente, sarebbero finiti nel cestino
dell’immondizia di lì a poco. Il fatto che lo avessero chiamato per un intervento
urgente, mitigava solo in parte il mio dispiacere per lui. Sapevo che Duncan prendeva sul serio il suo lavoro,
ma mi spiaceva che non potesse godersi neppure un pasto in santa pace. La pendola appesa al muro segnò le dieci e mezza. Distrutta per il massacrante lavorio mentale di quel
pomeriggio, non riuscivo più a tenere gli occhi aperti per il troppo sonno. Ma non volevo crollare prima del ritorno di Duncan.
Volevo sincerarmi con i miei occhi che stesse bene. Dopo quello che avevo visto nella mente di Lance,
ora avevo il terrore che qualcosa di altrettanto violento potesse sconvolgere
anche Duncan. Era sciocco pensarlo, lo sapevo perfettamente, ma
era una paura che non riuscivo a togliermi dalla testa. Quando udii la porta d’entrata aprirsi, mi rizzai di
colpo sullo sgabello. Quel movimento improvviso, però, mi fece tremare per
la reazione nervosa e, passandomi una mano sulla fronte, esalai: “Ahia, che male…” Un principio di mal di testa. Perfetto. Jasmine entrò per prima, subito seguita dal suo
padrone che, trovandomi ancora sveglia e con la cena pronta sul tavolo, mi sorrise
spiacente e mormorò: “Dio, scusa! Avrei dovuto chiamarti. Sono imperdonabile.” Scossi piano il capo, replicando: “Sei abituato a
non avere nessuno in casa, è diverso.” Prendendo il piatto di spaghetti, lo infilò nel
microonde, chiedendomi: “Perché non sei andata a dormire? Stai crollando.” “Volevo… essere sicura… che stessi bene” borbottai,
tra uno sbadiglio e l’altro. “Cosa mai mi sarebbe potuto succedere, scusa?” mi
irrise bonariamente lui, posando la sua ventiquattrore sul ripiano di marmo.
“Com’è andata, oggi, con Lance? Non ho avuto il tempo di chiedergli niente.” “Ho distrutto le sue barriere con un maglio da
guerra…” sussurrai, reclinando il capo a fissarmi i piedi “… e sono finita nel
bel mezzo dei suoi ricordi più brutti.” Duncan impallidì leggermente, bloccandosi a metà di
un passo prima di esclamare: “Quali
ricordi!?” “Quelli che ti hanno fatto impallidire” ammisi,
indicandogli il viso. “E’ stato orribile. Dio, non avrei mai immaginato che i
Cacciatori si potessero spingere a tanto.” Sospirando mentre il campanello del microonde
trillava, Duncan recuperò la sua cena e, fiacco, ammise: “Avevo il terrore che
Lance non si riprendesse più. Aveva amato Diane alla follia, e quello shock
avrebbe potuto distruggerlo per sempre.” “Un po’ lo ha distrutto” replicai spiacente,
appoggiando il capo sul ripiano. “Non si fida più di nessuna donna.” “Lo trovi assurdo?” chiese Duncan, con aspra ironia. “No, lo trovo uno spreco. Lance ha tanto da dare, ma
nessuna se ne accorge. Da quel poco che ho capito, erano tutte così impegnate a
mostrarsi come delle cavalle al mercato del bestiame, che nessuna ha pensato a
capire cosa volesse veramente lui”
sospirai, passandomi una mano sugli occhi stanchi. Sbadigliando, proseguii dicendo: “Ho visto quelle
oche nella sua mente, tanto prese a mostrare le loro grazie senza badare a
quello che, invece, lui avrebbe
voluto vedere.” Non mi accorsi che lo sguardo di Duncan si fece più
attento. Ero troppo insonnolita per notarlo. “E lui, cos’avrebbe voluto vedere?” mi chiese,
avvicinandosi a me. “Amore. Devozione. Sentimento. Purezza” sussurrai,
prima di addormentarmi del tutto. *** “… e stamattina l’ho trovata così.” Quelle furono le prime parole che sentii al mio
risveglio. Se chiamarlo risveglio era la parola giusta. Disastro, esplosione atomica, cefalea a grappolo di
proporzioni bibliche. Ecco, queste cose erano più simili alla realtà. Mi lamentai, portando una mano alla testa, che
martellava come se fosse all’interno di un tamburo di una band heavy-metal. Subito, due mani fresche si accostarono al mio viso,
carezzandomi. “Non ti muovere, Brianna, o potresti…” esordì Lance,
premuroso. Troppo tardi. Un conato di vomito risalì dallo stomaco fino a
raggiungere la mia bocca, arida e amara. Spalancando di colpo gli occhi, sollevai la testa
dal cuscino e la gettai verso il bordo del letto, incurante del dolore atroce
che, quel movimento, provocò al mio sistema nervoso. Una scossa tremenda fece vibrare il mio corpo come
una corda di violino, mentre lo stomaco rifiutava quel poco di acido e acqua
che aveva al suo interno. Per fortuna, Lance aveva agito per tempo, ponendo
sotto di me una bacinella di plastica perché, diversamente, il bel tappeto di
Duncan avrebbe fatto una brutta fine. Una mano di Lance mi massaggiò incessante la schiena,
mentre continuavo a rimettere acidi. Non comprendevo cosa stesse succedendo, ma speravo che
qualsiasi cosa mi fosse accaduta, smettesse presto. Fermo sulla porta, le mani contratte come artigli
d’aquila e il viso terreo, Duncan mi osservava senza saper bene cosa fare, o
dire. Non vi feci caso più di quel tanto. Ero troppo indaffarata a non lasciarci le penne. Dopo un quarto d’ora di quel supplizio, finalmente
il mio stomaco decise di darmi una tregua e così, gli occhi pesti e la gola
bruciata, gracchiai a Lance: “Ma che cavolo ho?” “E’ il potere, Brianna” sospirò, scuotendo il capo.
“Avrei dovuto capire da come ti sei introdotta nella mia testa, che avresti
avuto una reazione di rigetto di questo tipo.” “Rigetto?” esalai, sgranando gli occhi fino a farmi
male. “Il cervello sta lavorando in un modo per lui
inconsueto e si ribella, facendoti stare male. E, visto quanto sei potente,
avrei almeno dovuto darti un antidolorifico da prendere prima di dormire” asserì
Lance, fissandomi spiacente. “Sarebbe stato meglio una dose di quella roba che
Duncan dà ai cavalli” brontolai, facendo sorridere entrambi. Fico. Se riuscivo a fare dell’ironia, dovevo stare
decisamente meglio. Ultime parole famose. Dopo il secondo round, reso traumatico dalle
contrazioni dolorosissime del mio stomaco ormai più che vuoto, tornai a
sdraiarmi sul letto. Il mio viso doveva essere bianco come un lenzuolo, e
avevo la gola in fiamme, oltre che scorticata. Duncan mi osservò turbato, mentre Lance preparava
qualcosa da iniettarmi endovena. Che bello! Prendendo una mia mano tra le sue, Duncan disse
spiacente: “Come faccio a lasciarti qui da sola, sapendo quanto stai male?” “Perché? Dove devi portare le tue chiappe pelose?”
ironizzai, cercando di sorridere. Missione vana. Il suo, di sorriso, non raggiunse mai gli occhi. “Richiedono la mia presenza a Chester, ma dirò che
non posso andare” mi spiegò, stringendo
leggermente la mia mano. “Non se ne parla neanche” sbottai, pur desiderando
con tutta me stessa che restasse. Il solo fatto che fosse titubante a decidere di
andare, mi rincuorò un poco, però non potevo permettergli di venire meno ai
suoi doveri. “Sei Fenrir, non la mia balia. Scommetto che, tra
Lance e Jerome, per non parlare di Erika, non rimarrò sola neppure un minuto,
per cui tu vai pure via tranquillo. Tra un’oretta sarò già in piedi, pronta per
riprendere l’allenamento.” Duncan aggrottò la fronte a quel pensiero e scosse
il capo, sentenziando perentorio: “Oggi niente allenamento, Brianna. Devi
riposare la mente.” “E tu che ne sai della mia testa?” sbuffai. “Già ci
capisco poco io, figuriamoci tu.” Lui ridacchiò senza allegria, prima di dirmi: “Sono
Fenrir, e mi obbedirai.” “Provaci, a costringermi” lo minacciai ironicamente. Lance sogghignò, e disse a Duncan: “A lei non puoi
certo imporre un ordine con la Voce.” “No?” esclamai allegramente, prima di sogghignare:
“Mooolto bene.” “Lance, non potevi tenerlo per te?” commentò ironico
Duncan prima di tornare serio e dirmi: “Ti lascio nelle loro mani, ma desidero
che tu ti riposi almeno mezza giornata. Questo puoi farlo?” “Visto che è un tuo desiderio, lo acconsentirò” annuii
solennemente. “La tua wicca ti
concede questo favore.” “Sei davvero mia?” sussurrò prima di scuotere la
testa, ridendo, e fare un cenno con una mano, come per cancellare quello che
aveva detto. Lo fissai stralunata, sinceramente confusa dal suo
dire. Nel guardarlo uscire dalla stanza mentre chiudeva la
porta alle spalle, mi chiesi cosa avesse voluto dire con quelle parole. Certo che ero la sua
wicca! Non avevo rischiato la pelle con Alec, e quel pazzo
del suo Freki, solo per fare una scampagnata fino a Matlock! Un minuto dopo, sentii il motore della Volvo
prendere vita e allontanarsi da casa. Era partito. Lance mi guardò dubbioso, prima di scuotere il capo
e decretare: “Davvero non ho parole.” “E perché?” gli chiesi, guardandolo mentre infilava
l’ago nel mio braccio, dopo avermi disinfettato a dovere. “Che è quella roba?” “Vitamine. Ne hai un bisogno estremo” mi spiegò,
sorridendomi. “Mi dici una cosa, Brianna?” “Prego, spara pure.” “Cos’è successo, esattamente, con Alec? Duncan non
ne vuole parlare. So solo come hai ucciso il Freki, ma niente di più” mi chiese,
attento a estrarre l’ago dal braccio. “Ma dai!? Davvero non ti ha raccontato nulla?” esalai
sorpresa. “Beh, la vedetta di Alec, Beverly, mi ha beccata mentre facevo il
bagno in un torrente, così è corsa a dirlo al suo Fenrir. Nel giro di un paio
d’ore ce li siamo trovati davanti. Di certo, se Alec voleva starmi simpatico,
non avrebbe dovuto minacciare Duncan.” “Ti ha spiegato perché Alec ce l’ha tanto con lui?” “Sì, Duncan mi ha detto dell’offerta di Alec e del
suo rifiuto” annuii. “Ma quella che mi ha sorpreso è stata Beverly. Ha detto
che io e Duncan eravamo… aspetta… sì, che eravamo legati e che, per quel motivo, io non avrei mai servito Alec, se
lui avesse fatto del male a Duncan. Che significa?” Lance aggrottò la fronte e mormorò dubbioso: “Non ne
ho veramente idea. Non so cos’abbia visto Beverly. E’ una Völva, quindi può
aver visto qualcosa nelle maglie del futuro, osservandovi. Non saprei dirtelo.” “Una veggente? Sbaglio, o ce n’è in quantità maggiore
rispetto alle wiccan?” chiesi un po’
sorpresa. “Un po’ di più, sì, ma anche quel gene, come quello
delle wiccan, è recessivo. Stanno
scomparendo più lentamente, ma anche loro sono destinate a svanire, nei secoli
a venire” mi spiegò Lance. “Per via degli incroci di DNA?” ipotizzai,
rammentando ciò che Duncan mi aveva detto. Lui annuì, dicendomi: “La razza dei licantropi non è
più pura da tempo. La stirpe di Duncan, come quella di pochi altri, è una delle
poche, qui in Inghilterra, a essere di sangue relativamente puro. Nella mia
famiglia, per esempio, ho diversi umani tra i miei antenati. Motivo per cui il
dono di mia madre, almeno per quanto riguarda la mia generazione, non è
ricomparso. Inoltre, nelle famiglie interamente umane ad avere il dono della
preveggenza, il gene è ancor più debole, perciò è destinato a scomparire ancor
prima che tra i clan di noi mannari” Con un sorrisino triste, aggiunse un attimo dopo: “Se
avessi avuto il suo dono, avrei potuto capire meglio cosa ha visto in voi due
Beverly.” “Era davvero triste, sai?” Rammentavo con chiarezza i suoi occhi infelici. “E’
innamorata di Alec, e lui neanche se ne rende conto.” “Questa sì che è nuova” esalò Lance, sorpreso. “Credo me l’abbia fatto scoprire di proposito, per
farmi capire che non mi era nemica, e che stava compiendo solo il suo dovere.
Si deve essere aperta a me come pegno per ciò che era stata costretta a fare”
gli spiegai, ricordando quell’episodio con un brivido nel cuore. “Non ce l’ho
con lei per aver detto ad Alec la nostra posizione, ma…” “Ma quello che è successo dopo, non ti è piaciuto” terminò
per me Lance. Annii, torva. “Alec voleva che andassi via con lui, lasciando che
il suo Freki uccidesse Duncan. Ma non poteva credere davvero che l’avrei
fatto.” “Il senso dell’onore degli umani è diverso da quello dei licantropi” specificò
Lance, amaramente. “Beh, Duncan ha fatto di tutto per mandarmi via con Alec.
Avrei voluto dargli un pugno in faccia, in quel momento, anche se sapevo
benissimo che stava solo cercando di salvarmi. Lui salva tutti” le mie ultime
parole, grondarono ironia. Lance annuì con un risolino, prima di dire: “Tranne
se stesso.” “Già” brontolai, prima di continuare nel racconto.
“Morale della favola, Alec ci ha scatenato contro il suo adorato Freki e,
quando è riuscito a raggiungerci, io sono caduta a terra dopo averlo colpito
sul muso, facendomi male alla caviglia.” Flash di quell’evento mi ferirono la mente,
portandomi a scuotere il capo per il fastidio. Era come essere di nuovo in quel bosco, con Freki a
minacciarci di morte… o peggio. “A quel punto, quel maledetto si è fermato e,
sorpresona, ha fatto capire a Duncan cosa avrebbe voluto fare con me, prima di
divorarmi. I suoi occhi, e le sue emozioni, erano così chiari che non mi ci è
voluta la spiegazione di Duncan, per capire cosa volesse da me” mormorai,
serrando per un momento gli occhi. Quello sguardo infuocato mi avrebbe mai abbandonato? Lance aggrottò la fronte, mentre io reprimevo un
brivido. “Duncan deve avergli detto di andare a quel paese, o
robe simili, perché Freki si è messo a ridere,… sì, insomma, come fate voi
lupi, così ne ho approfittato per gettare la mia catenina d’argento nella sua
gola. Non ti dico il resto, però. Credo tu lo abbia già capito.” Annuendo, Lance mi chiese gentilmente: “Ti senti in
colpa?” “Sì e no. Sì, perché non è bello sapere di aver
ucciso una creatura vivente. No, perché l’alternativa sarebbe stata essere
prima violentata, e poi sbranata viva, o peggio. Avrebbe potuto farmi prima veder
morire Duncan, nel tentativo vano di salvarmi” gli spiegai, stringendomi le
braccia al petto. Il solo pensiero di poter subire una simile sorte,
mi diede i brividi. “Perché eri convinta che avrebbe vinto il Freki di
Alec?” mi chiese Lance. “Duncan sarebbe stato così sciocco da pensare prima
di tutto a difendere me, finendo col farsi ammazzare. E’ legato a un senso
dell’onore autodistruttivo, Lance” esalai sconvolta, sospirando e scuotendo
afflitta il capo. “Lo dimostra in tutto ciò che fa.” Indicai la finestra, come per rammentare a entrambi
la sua partenza. “Si consuma letteralmente per dare tutto se stesso
al branco, non delega mai nulla, forse per dimostrare che è capace di gestire
perfettamente la situazione ma… per tutti i diavoli dell’Inferno, è una persona
sola, e non può fare ogni cosa per conto suo!” A sorpresa, Lance mi sorrise comprensivo e ammise:
“Hai perfettamente inquadrato il difetto numero uno di Duncan.” “Hai visto, prima, no?” sbottai, stringendo le mani
a pugno. “E’ stato lo stesso comportamento tenuto nel bosco. Si sentiva in
colpa per me! Come se non fossi in
grado di prendere decisioni da sola, e pagarne poi lo scotto!” “Ne ho avuto l’impressione, in effetti” assentì
Lance, scuotendo esasperato il capo. “Meno male che non ho le traveggole, allora” sbuffai.
“Ma voi due non riuscite a farlo ragionare?” “Ti sembra che il sole sorga a ovest?” ironizzò
Lance, pur non essendo affatto divertito. “Capito” sospirai, prima di bofonchiare: “Quindi,
continuerà così fino a uccidersi?” “Duncan è un uomo robusto” precisò Lance, anche se non
sembrava molto convinto del suo dire. “Come se non me ne fossi accorta. Tra te, Duncan e
Jerome, mi sembra di essere affogata tra le pagine di GQ” ironizzai,
sogghignando per cercare di sdrammatizzare. Lui ridacchiò, sinceramente sorpreso, ed esalò:“Io?
Scherzerai, spero.” Lo fissai stralunata, ora chiaramente confusa, prima
di chiedergli: “Di’ un po’, da quanto tempo non ti guardi allo specchio?” “Da stamattina, prima di venire qui” asserì,
leggermente sorpreso dalla mia domanda. Sospirando, scossi il capo, passandomi una mano tra
i capelli in disordine e sbuffai esasperata. “Mio caro signor Hati, se non se ne fosse ancora
accorto, è un gran bell’uomo. Anzi, oserei dire che potrebbe buttare giù dal
trono parecchi fotomodelli troppo pieni di sé, e prendere il loro posto. Non
sfigureresti di sicuro, Lance, se prendessi il posto di David Beckham nella
pubblicità dell’intimo Armani.” Fu il turno di Lance per guardarmi allibito. Sinceramente sconvolta, esclamai: “Non ci credo! Debbo
essere io a dover rassicurare un uomo fatto e finito, sulla sua bellezza
fisica… e mentale.” “Quella, poi…” ironizzò Lance, fissandomi sardonico. “Dimentichi che sono stata dentro la tua testa, e so
cosa c’è. E quel che c’è, mi piace” gli sorrisi, sorniona. “Vedrai che, prima o
poi, qualche lupa con ancora un po’ di sale in zucca, salterà fuori dal
baccello e ti sorprenderà.” “Per ora, l’unica a sorprendermi sei tu” ammise lui,
sorridendomi gentilmente. “Hai detto delle cose molto carine.” “Di solito, mi attengo alla verità. Una qualità
scomoda, a volte, ma la preferisco” ammiccai io. “Anch’io la preferisco.” Mi sorrise divertito, prima di scoppiare a ridere e
celiare: “Guarda come mi sono ridotto! Farmi consolare da una ragazza.” “Sì, sei davvero caduto in basso, grande e grosso come
sei” ghignai, fissandolo con aria di sufficienza. Lui ridacchiò. A quel punto, però, non potei
esimermi dal chiedergli: “Potresti accompagnarmi fino al bagno? Ho paura di
crollare a terra, se solo provo a scendere da letto con le mie gambe.” “Sono il tuo dottore. Certo che ti aiuto” mi
sorrise, prendendomi in braccio con una facilità disarmante. Mi accompagnò fino alla porta del bagno laccata di
bianco e lì mi lasciò, perché io sbrigassi le mie faccende. Quando ne uscii, se non altro almeno i miei capelli
erano in ordine. Non potei fare molto per il viso, che risultava
ancora pallido e smunto, macchiato da due stupende occhiaie violacee che mi
facevano rassomigliare a un pugile pestato a sangue. Indicando l’ufficio di Duncan, gli dissi: “Vorrei
chiamare mio fratello.” “Bene” annuì Lance, tenendomi per un braccio mentre
io muovevo alcuni passi sul pavimento, sentendo le gambe molli come gelatina. Ci misi una vita a raggiungere la scrivania di
Duncan ma, alla fine, riuscii a digitare il numero di Gordon sul portatile. Acceso il vivavoce, attesi con pazienza che lui mi
rispondesse. Ero troppo stanca anche solo per provare ansia, il
che la diceva lunga sul mio stato di salute. Non sarei riuscita a combinare un bel nulla, quel
giorno.
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N.d.A.: ecco perchè Lance non si fida delle donne, e le lupe del branco, con le loro mire, non lo hanno certo aiutato a cambiare idea sul loro genere.