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Autore: Msstellina001    10/09/2012    6 recensioni
Vi siete mai chiesti cosa accadde ad Arizona Robbins durante i suoi primi mesi al Seattle Grace Hospital, tutto quello che le accadde sin dal suo primo giorno e che negli episodi televisivi non hanno fatto vedere, ma hanno solo accennato? Ho pensato un po' e mi sono fatta una mia idea!
Ammetto però, che è la prima volta che scrivo, quindi non aspettatevi chissà cosa!
Genere: Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Arizona Robbins, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
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Veramente grazie a tutti quelli che continuano a leggere. Grazie a tutti quelli che hanno recensito, commentato chiedendo di aggiornare. Mi scuso per l’attesa, ma ho avuto da fare con l’università. Grazie ancora a chi ha messo tra le preferite e le seguite questa storiella. Buona lettura e spero vi piaccia, ma vi avverto, è un capitolo un po’ particolare, diciamo.
 

McSteamy 2.0
 
Me ne stavo sdraiata sul letto di quella stanzetta buia, le mani intrecciate sotto la testa, ascoltavo in silenzio i rumori dell’ospedale che cominciava a svegliarsi, era stata una notte tranquilla, nessun cercapersone aveva suonato, nessuno ci aveva interrotto.
Meg si girò su un fianco e mise un braccio intorno alla mia vita, era arrivato il momento di andarmene.
Le spostai il braccio e raccolsi i pantaloni da terra, cercando di fare il più piano possibile, ma il cercapersone cadde dalla tasca con un tonfo sordo.
“Dannazione!” Esclamai.
Meg si svegliò e tenendosi le coperte attorno alla vita si mise a sedere.
“Dove stai andando?” Disse ancora mezza addormentata.
“Vado via, il mio turno di reperibilità sta finendo, me ne torno a casa.” dissi in tono freddo e distaccato.
“Non ci vedremo un’altra volta, vero? ” Disse con un tono sconfortato.
“No, non ci sarà un’altra volta. Ci sarà solo questa volta. Non voglio storie serie, te l’ho detto” Avevo cercato di evitare proprio questo momento.
Stare lì a cercare di far accettare, senza troppi drammi, il fatto che io non volessi storie lunghe, m’infastidiva. Le persone si facevano attese anche solo dopo una notte, ma io avevo i miei progetti, in più la mia voglia di incastrarmi in un’altra relazione disastrosa come quella con Julia era pari a zero.
Tra di noi calò il silenzio, potevo quasi sentire il rumore dei suoi pensieri che lottavano tra di loro, cercavano un modo per farmi rimanere, ma anche volevano convincerla a lasciarmi andare.
Approfittai di quel silenzio per finir di vestire, m’infilai il cercapersone in tasca e mi chiusi la porta alle spalle senza voltarmi, sentii qualcosa infrangersi contro il muro.
Decisi che prima di tornare a casa avrei fatto un giro nelle camere, per vedere se i miei piccoli umani avessero bisogno di qualcosa. Tutti dormivano beatamente, chi aveva tra le braccia un peluche, chi stringeva la mano della mamma o del papà che vegliavano il loro sonno, c’era un bambino che si era addormentato tenendosi le dita dentro le orecchie, molto probabilmente il rumore della macchina che lo aiutava a respirare gli dava troppo fastidio, così andai là e abbassai il volume, ma all’improvviso qualcuno tossì alle mie spalle.
“Scusi dottoressa che sta facendo?”
 Mi voltai a guardare chi avesse parlato e vidi sulla porta un’infermiera che mi guardava con sguardo torvo.
“Non credo di dover dare spiegazioni a lei.” Dissi aspramente.
“No, in realtà mi deve dare spiegazioni, visto che sta toccando il macchinario che tiene in vita il bambino. Ha deciso di cambiare un’altra volta il protocollo di Mich e lo fa nel cuore della notte, senza avvertire me e le mie colleghe che abbiamo il compito di controllarlo?” Aveva detto, continuando a mantenere lo sguardo torvo.
”Sto abbassando il volume del macchinario, poiché, evidentemente” e indicai il bambino con le dita nelle orecchie “da fastidio al bambino!” Le dissi sfidandola a ribattere qualcosa.
Che cosa credeva? Che volessi far del male al mio piccolo umano?
Lei continuò a fissarmi, in silenzio, era appoggiata allo stipite della porta, lo sguardo un po’ stanco, una mano sul fianco, i capelli scuri corti, un po’ spettinati, doveva aver lavorato tutta la notte.
“Allora hanno ragione le altre infermiere, quando dicono che lei si affeziona veramente ai suoi pazienti!” Spezzò il silenzio all’improvviso.
“Perché aveva qualche dubbio?” Le dissi, incerta se mi stesse facendo: o un complimento o una critica per il mio comportamento.
“Bè non può darmi torto, lei ha già la fama di essere un po’ eccentrica!” Alzò le spalle a modo di scuse.
“Eccentrica? Io? Chi mette in giro queste voci?!” Cominciai a chiedere in tono divertito. Neanche un giorno e già avevo la fama di eccentrica, qui e qualche settimana come mi avrebbero chiamato?!
“Credo che sia lei stessa a far di tutto per mettere in giro queste voci! Insomma, se ne va in giro ridendo a destra e sinistra, gli occhi le brillano in continuazione, un bambino si aggrava e lei diventa triste quasi più dei genitori del paziente, in un giorno solo ha cambiato praticamente tutte le procedure dei suoi pazienti e soprattutto” si bloccò incerta se continuare o no.
Mi lanciò uno sguardo per tentare di capire dalla mia espressione, se si era spinta troppo oltre.
Io le sorrisi per tranquillizzarla, sembrò funzionare, infatti, continuò più risoluta.
“Dottoressa, mi scusi, ma è lei quella che va in giro con dei pattini a rotelle ai piedi! Sinceramente da queste parti, non si è mai visto nulla del genere!” Scoppiai a ridere fragorosamente!
Il bambino si mosse scoprendosi, l’infermiera si precipitò a ricoprirlo, e mi ammonì con lo sguardo, rimasi ancora più colpita, essere rimproverata da un’infermiera non mi era mai capitato, anche perché di solito avevo un buon rapporto con loro.
“Già, credo che la cosa dei pattini a rotelle, sia un po’ eccentrica per tutti voi! Ma mi ci trovo così bene che non voglio assolutamente abbandonarli!” Dissi a bassa voce, per non svegliare Mich, continuando a trattenere le risa a stento.
“Per carità, se la fanno lavorare bene, continui pure ad indossarle, ma non si dispiaccia se molto presto la chiameranno tutti pattini a rotelle! Sa qui le voci e i soprannomi viaggiano in fretta!” Un sorriso apparve nel suo volto sempre più stremato. Stavo per risponderle quando si sentì un campanello suonare, lei si mise subito in allerta, mi lanciò uno sguardo di scuse e corse via.
Non ebbi neanche il tempo di fare un passo per uscire dalla stanza che il mio cercapersone cominciò a squillare. Abbassai lo sguardo, sullo schermo le parole “911 camera 15” s’illuminavano a intervalli regolari.
La mente si annebbiò un istante, ma fu subito rimpiazzata dalla solita calma che mi pervadeva nei momenti d’emergenza.
Mi precipitai verso la camera, Jenny era in preda a convulsioni molto forti, sua madre stava ai piedi del letto cercando di mantenere la calma e l’infermiera di prima, stava sistemando bene il cuscino sotto la testa di Jenny.
Prima di intervenire con qualche medicinale, decisi di aspettare qualche minuto per vedere se la convulsione si fosse placata da sola e fortunatamente dopo pochi minuti, tutto tornò alla normalità.
La bimba tornò in sé, spiegai alla madre che quello era un buon segno, infatti, voleva dire che la terapia cui l’avevo sottoposta stava facendo effetto, le feci anche notare che quella era la prima convulsione che aveva dopo un intero giorno ed era durata solo pochi minuti e non dieci o più.
Decisi che per il giorno dopo l’avrei sottoposta a un EEG, così da cercare di capire se fosse o no un caso neurologico.
Uscii dalla stanza seguita dall’infermiera, era completamente stravolta, io avevo dormito poco, anzi per nulla, ma ero stata sdraiata a letto fino ad almeno un’ora prima, lei molto probabilmente ancora si doveva sedere dall’inizio del turno.
“Le posso offrire un caffè?” Le chiesi, cercando di ridestarla.
“Un caffè? No grazie! Tra poco il mio turno finirà e ho già un altro appuntamento! Ho bisogno di rilassarmi un po’! Comunque, dottoressa, mi dia del tu, io son Tia, lavoro nel suo reparto e credo che avremo molte occasioni per prendere un caffè insieme se le va!” Mi disse accennando un sorriso.
Le sorrisi e la salutai con “A presto allora Tia!” e uscii dal reparto dirigendomi verso gli spogliatoi.
Mi cambiai e mi avviai verso casa.
La mia macchina viaggiava tranquilla per la strada semideserta della città, la radio accesa emanava una musica leggera e allegra per tutto l’abitacolo. Una volta arrivata parcheggiai, il bar di fronte al mio palazzo aveva aperto proprio in quel momento, mi ricordai che in casa non avevo nulla da mangiare, così entrai e mi comprai un cappuccino e due cornetti. Stavo per uscire, quando mi sentii chiamare:
“Arizona? Che fai te ne vai senza salutare?!” A queste parole mi girai, avevo riconosciuto la voce un po’ nasale, della mia vicina di casa, che mi aveva fatto compagnia le prime notti che avevo passato a Seattle, pochi giorni prima di iniziare a lavorare al Seattle Grace.
“Mia! Cosa ci fai qui? Non dovresti ancora essere a letto?” Chiesi divertita, molto probabilmente aveva appena scaricato la sua nuova conquista della nottata e a giudicare dall’ora troppo mattiniera, aveva cercato di liberarsene al più presto!
“Lasciamo perdere, mi ero abituata troppo bene con te! Sei sola? Ti va di farmi un po’ di compagnia?” Il suo sguardo prometteva tutto, tranne che ci saremmo annoiate, i capelli corti neri, quasi rasati, molto spettinati, le davano quel tocco di selvaggio che usava come arma segreta, gli occhi verdi brillavano come diamanti. Io a quel punto ero sveglia più che mai, così accettai, lei prese la sua colazione ed entrammo nel palazzo.
Pigiò il tasto del suo piano, di solito eravamo state sempre da me, poiché lei viveva con sua sorella, così la guardai con un’espressione interrogativa. Ci mancava solo che la sorella ci scoprisse insieme e si arrabbiasse, non sapevo in che rapporti erano, ma non avevo voglia di assistere a una tragedia familiare. Lei sembrò leggermi nel pensiero, poiché disse:
“Mia sorella è al lavoro, non so a che ora torna, poi a lei non importa con chi sto o chi non sto, l’importante è che non le tocchi le sue belle conquiste!” La mia espressione dovette essere molto eloquente, perché lei continuò ridendo.
“Non provare a fare strani pensieri su mia sorella, non ho intenzione di fare a metà con lei!” E scoppiammo in una fragorosa risata, mentre entravamo nel suo appartamento.
Non era grandissimo, aveva due stanze, un grande salone con la cucina, le pareti erano colorate di mille colori. Entrammo in camera sua sedendoci sul letto e siccome avevo fame, tirai fuori i cornetti. Lei balzò in piedi, uscì dalla stanza e dopo due secondi era già tornata con un barattolo di cioccolata fusa e la panna montata.
Inizialmente cominciammo a spalmare il tutto sui cornetti, ma poi, ridendo e giocando ci ritrovammo tutte coperte di cioccolato: le mani, le guance, i nasi.
Lei rideva come una matta, il viso sporco di cioccolato, stando sdraiata sulla schiena, le alzai piano la maglietta, le spruzzai un po’ di panna sull’ombelico e mi chinai con la bocca per pulirla. Cominciai a baciarla salendo sempre più, un bacio e uno spruzzo di panna, poi di nuovo un bacio. Le tolsi la maglia e mi girai per posarla lontana dal letto, lei ne approfittò per abbracciarmi da dietro, cominciò a baciarmi delicatamente il collo spostandomi i capelli, sentii la sua mano sulla mia schiena, la mia maglietta venne sfilata, smise di baciarmi e sentii qualcosa di fresco lungo la schiena, poi un altro bacio, l’odore di cioccolato sulla mia pelle si espanse per tutta la stanza.
La feci distendere sul letto baciandola, il sapore della panna e del cioccolato si unì nelle nostre bocche..
Era tutto molto dolce.
Quando mi svegliai, avevo ancora tracce di cioccolato addosso, così mi alzai per andare a fare una doccia, ma quando uscii dalla camera di Mia, ebbi un "incontro" davvero simpatico.
Mi ritrovai faccia a faccia con Tia, che si doveva essere appena svegliata, era in mutande e reggiseno anche lei e nessuna delle due fece grandi sforzi a coprirsi, ma anzi io le sorrisi e lei scoppiò a ridere.
“Allora mia sorella ha colpito di nuovo? Lei lo sa che Mia è un tipo da una notte e via vero? Non vorrei che poi lei se la prenda con me, perché mia sorella non ha richiamato!”
“Non ti preoccupare Tia, so che persona è tua sorella, io e lei vogliamo le stesse cose, quindi non ti preoccupare!” La rassicurai sorridendo.
All’improvviso le porte delle camere si aprirono e da una uscì Mia e dall’altra una ragazza, che riconobbi come quella che ci aveva provato con me la sera prima, mentre ero con Meg da Joe. Ci fu un momento di silenzio, poi Mia scoppiò a ridere e andò a prendersi un caffè, io mi diressi verso il bagno e la ragazza salutò Tia dicendole di chiamarla quando avrebbe voluto vederla.
La doccia mi servì proprio, mi rilassò la mente pronta ad affrontare un altro pomeriggio intenso in ospedale, pensai a Jenny, a Mich, a Jackson, dei cui organi ancora non se ne sapeva nulla, pensai agli altri diciassette bambini che mi aspettavano nei loro letti d’ospedale. Uscii dalla doccia e mi frizionai i capelli con l’asciugamano.
Una volta pronta uscii dal bagno, salutai Mia, Tia mi chiese di darle un passaggio all’ospedale perché anche lei faceva il pomeriggio, chiudendo la porta, notai lo sguardo di Mia, era mediamente gelosa nel vederci uscire insieme!
Al mio arrivo trovai ad aspettarmi due nuovi pazienti: Marie con l’appendice infiammata e Rose a cui avrei dovuto togliere le tonsille.
Il pomeriggio fu molto frenetico, andarono in arresto due bambini a distanza di dieci minuti l’uno dall’altro. Il carrello delle emergenze passò da una camera all’altra in un secondo, le mie rotelle quasi fumavano per quanto le feci correre in quei minuti.
La dottoressa Bailey, ogni ora, veniva a chiedermi se c’erano novità sugli organi per Jackson.
Jenny scoppiò a piangere mentre faceva l’EEG e nemmeno sua madre fu in grado di calmarla, così mi chiamarono disperati, sperando che con me si calmasse. Fortunatamente con qualche parola "dolce" e qualche sorriso riuscii nel mio intento.
La mia specializzanda, Stevens, scambiò le cartelle dei miei pazienti, quasi rischiando di dare degli anticoagulanti a un bambino che aveva bisogno al più presto di fattore ottavo e coagulanti simili. Fortunatamente Tia se ne accorse in tempo per avvertirmi, così in tutto quel trambusto dovetti anche perdere tempo a rimproverarla per la sua incredibile negligenza, con una sfuriata tale che tutto l’ospedale tremò.
Mich continuava a cercare di staccare la macchina che lo aiutava a respirare, poiché il suo suono gli dava fastidio, con il risultato che dovevamo controllarlo di continuo, infatti, i suoi genitori non potevano venire perché dovevano lavorare. Per tentare di risolvere la situazione mi venne l’idea di regalargli dei paraorecchi a forma di elefante, che avevo visto nel negozietto davanti all’ospedale e fortunatamente funzionò. Faceva ridere quel bambino con degli elefanti che gli uscivano dalle orecchie, ma almeno si era calmato e noi potevamo stare tutti più tranquilli.
La sera ero stremata, avevo la testa che mi scoppiava, le poche ore di sonno che avevo avuto cominciavano a farsi sentire. Mi appoggiai al bancone del reparto, ora momentaneamente tranquillo, non avevo voglia di tornare a casa, ero sicura che una volta varcata la soglia del mio appartamento , il mio cercapersone avrebbe cominciato a squillare, quindi decisi che anche per quella notte avrei dormito lì.
Mi avviai verso lo stanzino del medico di guardia, misi la mano sulla maniglia della porta, quando ne apparve un'altra dal nulla e mi cinse il fianco destro, un’altra mano scostò i miei capelli dall’orecchio e poi un sussurro:
“Vuole un po’ di compagnia, dottoressa?”
La donna cominciò a baciarmi dolcemente il collo, mi girai sorridendo, le misi le mani ai fianchi e le diedi un bacio molto lungo. Mi staccai e le aprii la porta facendole un inchino.
Tia entrò, prese la mia mano e mi costrinse a seguirla.
Neanche quella notte avrei dormito molto!

 
 
Lo so, questo capitolo non è il massimo, c’è molta Arizona in versione “Mark-in-gonnella”, poco ospedale e poca Callie soprattutto, ma se avete la pazienza di aspettare e di continuare a leggere arriverà molto presto! Un capitolo così lo dovevo fare, per far uscire il lato da “sciupa - femmine” della mia Arizona. Perdonatemi se non è proprio bellissimo, ma sto cercando di fare del mio meglio. Fatemi sapere cosa ne pensate grazie, è importante per me.

  
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