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Autore: Ely79    11/09/2012    1 recensioni
La notte avvolge il Monte Titano, nascondendo trame silenziose, dove politica e sangue si mescolano fino a divenire una cosa sola nelle fauci di una bestia oscura, venuta da lontano.
Storia prima classificata al contest "Un'Ora e.. la Violenza" indetto da Original Concorsi.
Genere: Dark, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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De ore turris - II
missdark

II


Ore 00:43
Il Montale1

Aveva impiegato più tempo del previsto per raggiungere il luogo dell’appuntamento, per colpa del buio creato da una nube di passaggio davanti alla luna che gli aveva fatto imboccare un sentiero senza via d’uscita. Era tornato di corsa sui suoi passi, salendo e scendendo a perdifiato nell’intrico del bosco, fino a che il piede massiccio e nudo della torre non aveva fatto capolino tra le frasche.
Francesco sentì la gola inaridirsi: trovava il luogo quantomeno inappropriato a un incontro come quello che l’attendeva. Giorni addietro aveva ricevuto una breve missiva, carica di disperazione. Era firmata da una donna, una straniera maritata a un sanmarinese residente nella Repubblica di Venezia che operava nel commercio dei pellami, disperata per le condizioni in cui versava il marito. Il mercante era stato accusato di frode e gettato nelle celle della risorta Serenissima, e lì sarebbe marcito se il governo di cui l’uomo tesseva perennemente le lodi, dove custodiva i propri ricchi averi e cui inviava regolari tributi, non avesse mosso un dito per soccorrerlo. La costernazione della moglie era talmente grande che Francesco, una volta verificata la veridicità dei fatti, si era risolto a offrirle aiuto, acconsentendo all’incontro privato dove chiarire ogni dettaglio dell’intervento.
In particolare, il banchiere era rimasto colpito da due elementi: il primo era la promessa di un cospicuo deposito nelle casse dell’istituto da lui diretto, cui sarebbero seguiti debiti contatti per l’apertura di un’agenzia di credito ove ritenesse maggiormente fruttifero. Il secondo era la veemenza con cui la sposa si rivolgeva a lui quale intermediario con il Consiglio di Stato. Lui e non suo fratello, Capitano Reggente della Repubblica. In più punti, la donna ribadiva la necessità di appoggiarsi a una figura di fiducia del consorte, un patrocinatore della causa, individuato dal detenuto nel proprietario del Banco di Stato Sanmarinese, vista la sua magnanimità e la rinomata capacità dialettica.
«Sarà davvero così disperata o ci avrà ripensato?» si domandò per l’ennesima volta Francesco mentre aguzzava lo sguardo nell’oscurità.
Provava disagio per aver accettato d’incontrarla in un luogo simile, attorno a cui ruotavano da sempre storie di amori torbidi e clandestini. Le pagine dei giornali erano zeppe di articoletti a riguardo, supportati da indizi più o meno attendibili. Sperava di non divenirne protagonista suo malgrado: dalla nascita della bambina si era allontanato dalla famiglia per una serie disastrosa di congiunture lavorative che l’avevano obbligato a trattenersi spesso in ufficio fino a notte fonda. Sarebbe stato fin troppo semplice travisare le cose. D’altra parte, le spie di Venezia avevano orecchie ovunque e la donna non poteva permettersi che la sua richiesta d’aiuto oltrefrontiera venisse udita e ostacolata.
Una figura snella e sottile si stagliava contro le pietre fredde.
«Madame?» chiamò, incerto se si trattasse della sua ospite o di qualcuno a suo nome.
La sagoma si mosse in un cenno d’assenso. Era lei.
Ansimando come un treno per la corsa, Francesco le si avvicinò.
«Madame, le chiedo perdono per il deplorevole ritardo. Purtroppo questo luogo non sembra adatto…»
Le parole gli morirono sulle labbra, mentre seguiva la mano della donna scostare un poco i lembi del mantello mostrando un volto pallido e macilento, dai contorni spigolosi e affilati, selvatici. Tentò di nascondere lo smarrimento che provava riprendendo il discorso.
«M-madame… ho… ho preso visione d-del vostro caso e… e posso garantirvi che f-farò il possibile…»
La mano si mosse nuovamente, passando fulminea dal cappuccio al volto di Francesco. Era ruvida e calda, le unghie tanto lunghe da graffiare la guancia del banchiere. La sgradevole sensazione di quelle dita lo fece incespicare nelle parole ancor di più.
«D… di… dicevo… s-sarà mia p-premura esporre ogni c… ogni cosa al Consiglio p-per… perché si… si giu-giunga alla… alla liberazione di… di vostro marito, un… un c-così illustre… il-lustre c-cittadino…»
La donna annuì, tetra. Il suo silenzio pesava come roccia e fece temere a Francesco che le sue parole fossero intese solo come una vana speranza. O che fosse già troppo tardi.
Lei si nascose rapida tra le ombre, mettendo in allarme Scarito che si guardò attorno in cerca di curiosi o spie. La donna ne approfittò per dargli una spinta violenta che, oltre a fargli dolere una spalla, per poco non lo mandò lungo supino nella polvere. Francesco rimase a fissarla inebetito dal colpo mentre scivolava dietro il Montale, slacciando il mantello che cadde a terra, disegnando un’indicazione che il banchiere seguì spaventato.
Fece il giro attorno al pinnacolo, inseguendo fruscii, abiti e ombre, fino a quando non ebbe l’impressione di aver perso l’orientamento.
«Madame?» chiamò con la voce rotta dal panico.
Rami spezzati.
Ansiti bestiali.
Pietre che ruzzolavano.
«Madame!» gridò, inciampando in una radice.
Occhi tondi e gialli dardeggiarono nell’oscurità, comparendo e scomparendo tra il fogliame nero. Francesco deglutì a vuoto, arretrando di un passo.
«Ma che splendida immagine di cavalleria» lo canzonò una voce, che si accompagnava battendo le mani.
Onofrio Leonardelli, Capitano Reggente insieme ad Antonio, apparve ai piedi del Montale. Era un uomo basso e grassoccio, con la faccia tonda contornata da una barba ispida e scura. I pochi capelli disegnavano un alone impreciso sulle tempie, mettendo in evidenza la prematura calvizie. Il ventre prominente era contenuto a stento dal panciotto, non solo a causa della cena luculliana di poco prima. Si appoggiava ad un bastone a stantuffo, che ammortizzava l’impatto della flaccida stazza con tonfi grevi.
Ma non appartenevano a lui le iridi dorate e fameliche: l’animale balzò fuori dai cespugli dove la donna era scomparsa poco prima, mostrando una mole gigantesca e zanne ferali. Il dorso inarcato era coronato da una cresta di peli ispidi, irti come aculei. Le zampe lunghe e nervose terminavano in artigli lunghi e ricurvi che tracciavano solchi netti nel terreno duro. Dal muso allungato prorompevano bassi latrati e respiri rapidi, eccitati. Da predatore in caccia.
Non era difficile intuire si trattasse di un lupo mannaro: c’era qualcosa nella ferocia del suo sguardo che non aveva assolutamente nulla di animalesco. Per assurdo, ricordava la lucida consapevolezza di un assassino, di una mano umana armata per sottrarre vite altrui.
Francesco tentò di allontanarsi, ma quello, con un balzo, gli sbarrò la strada. Si volse indietro, trovando il governatore immobile dov’era apparso.
Onofrio scosse la testa, gravando con tutto il peso sul bastone da passeggio che protestò cigolando.
«È una faccenda curiosa, se me lo permetti. Meglio che nessun altro sappia della nostra conversazione e della presenza della… signorina» rispose ironico, additando la creatura e camminando a capo chino come se cercasse qualcosa tra le pietre che sporgevano dal terreno.
Osservandolo, Scarito non poté non pensare a quanto somigliasse a un grasso tacchino tronfio e borioso. Persino i pensieri che gli si dipingevano sul volto sembravano renderlo più sgradevole del solito. Le sue riflessioni furono interrotte da una brusca testata alla schiena e lo fece cadere prono. Pietre aguzze gli si piantarono nello stomaco e nelle ginocchia.
«Dimentica la tua proposta d’aiuto, Francesco. E vedi d’accettare di buon grado quella che sto per farti io. Risparmierai molte grane ad entrambi».
Francesco si limitò ad aggrottare la fronte, ancora preso dal disperato tentativo di respirare e contemporaneamente di trovare una spiegazione alla presenza di entrambi in quel luogo appartato.
Onofrio cominciò a parlare, portando le mani dietro la schiena. Così facendo ricordava i ritratti dei predecessori alla carica, appesi nella galleria del Palazzo Pubblico2 appena ultimato. Francesco non poté notarlo: le fauci del licantropo si erano chiuse come una tagliola attorno al suo ginocchio sinistro, facendolo urlare. Le zanne erano penetrate a tal punto che poteva sentirle graffiare le ossa.
«La politica è un affare subdolo e crudele, che difficilmente ammette bontà e purezza d’intenti» declamò Onofrio. «Carità, onestà, senso di responsabilità, buonafede, moralità… eccellenti caratteristiche, che però non si sposano affatto con il mondo spietato in cui operiamo. Specialmente se si cerca di instillarvele restandone al di fuori».
Scarito non riusciva a spianare le rughe di perplessità e sofferenza che gli solcavano la fronte.


1 Il Montale: terza rocca di San Marino, costituita da una singola torre di avvistamento. Fu usata anche come prigione.
2 Palazzo Pubblico: sede del governo di San Marino, costruito tra il 1884 ed il 1894.

   
 
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