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Autore: Ely79    10/09/2012    2 recensioni
La notte avvolge il Monte Titano, nascondendo trame silenziose, dove politica e sangue si mescolano fino a divenire una cosa sola nelle fauci di una bestia oscura, venuta da lontano.
Storia prima classificata al contest "Un'Ora e.. la Violenza" indetto da Original Concorsi.
Genere: Dark, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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De ore turris - I Storia prima classificata al contest "Un'Ora e... la Violenza" (link: http://originalconcorsi.forumfree.it/?f=9826358) indetto da MissDark su Original Concorsi.
Il giudizio è riportato in recensione.

Titolo: De ore turris – Le fauci della torre
Tipologia: a capitoli
Lunghezza: 4.990 parole, escluso note
Genere: Dark, Fantascienza, Horror
Avvertimenti: Angst, Character Death, Non per stomaci delicati, Violenza
Rating: Arancione
Credits: -
Note dell'autore: l’ambientazione è di genere steampunk.
  La mutazione dei licantropi della storia si rifà alla versione medioevale, che implicava la volontà del trasformarsi per mezzo di un artefatto magico. Anche l’aspetto dei licantropi si rifà alla stessa tradizione che li vuole di dimensioni molto maggiori dei lupi comuni e privi di coda.
Introduzione alla storia. La notte avvolge il Monte Titano, nascondendo trame silenziose, dove  politica e sangue si mescolano fino a divenire una cosa sola nelle fauci di una bestia oscura, venuta da lontano.


missdark

I

Ore 00:16
Contrada di Portanova

Il centro della città era un intrico di salite e discese immerse in un buio liquido come inchiostro, dove i guizzi amaranto delle lampade a gas disegnavano i profili di pietra delle botteghe e degli androni.
La campana della Chiesa dei Cappuccini, a pochi passi dalla porta cittadina, aveva segnato la mezzanotte diversi minuti prima, in un miscuglio di stridii di ruote dentate e rintocchi stonati.
Un gruppo di uomini emerse dalla Contrada, varcando l’immenso arco in pietra fortificato. Parlavano fitto tra di loro, alcuni sorreggendosi a vicenda per la stanchezza e il vino che aveva accompagnato le discussioni fino tarda ora. Qualche sbadiglio poco signorile interrompeva il ritmico battere delle suole sul selciato e il fruscio dei mantelli seguiva il dondolio incerto dei cilindri sulle teste.
L’angusto piazzale incuneato tra la cinta muraria e la chiesa era occupato da alcuni mezzi, trabiccoli di ultima generazione con cui le nobili famiglie sanmarinesi si sfidavano in gare di lusso e tecnologia. Piccole nubi di vapore s’innalzavano dai motori dei vari modelli, disegnando un velo denso e pallido sopra il pinnacolo di San Quirino. Il ritmico borbottio delle caldaie somigliava a una litania profana.
Alcuni salutarono e si allontanarono verso i veicoli, altri nelle strade della cittadella. Solo un gruppetto rimase a chiacchierare a breve distanza dal monumento del santo, che insisteva stoicamente a fissare la vallata, senza prestare ascolto agli intrighi politico-economici che sciamavano dalle bocche impastate.
Un paio di uomini rimanevano in disparte, osservando gli altri avviarsi incerti alle macchine sbuffanti.
«Tutto bene?» domandò quello più alto, posando una mano sulla spalla dell’altro.
Questi sorrise vago, aggiustando con mano incerta il bavero della giacca.
«Certamente. Do un’altra impressione forse?»
«A dirla tutta, Francesco, sì. Qualcosa ti preoccupa? La bambina? Tua moglie? Il lavoro?» s’informò.
Il tono apprensivo e teso fece sospirare l’interlocutore, evidentemente a disagio per la domanda.
Squadrò rapidamente l’uomo prima di rispondere.
«No, nient’affatto, Antonio. Va tutto benissimo. Oppure… devo essere più stanco di quanto pensi io stesso. È stato un periodo concitato in banca. Sai, acquisti, revisioni, i documenti per la Repubblica e… devo aver speso troppe energie dietro ad inutili scartoffie. Ci sono state le riunioni con il Consiglio Grande e il Consiglio Generale per lo stanziamento dei fondi per le opere per l’eliporto, per l’ampliamento dell’acquedotto, per i nuovi contrafforti… le cene che le hanno accompagnate» declamò reprimendo a fatica un rutto. «E poi Marina ci tiene svegli tutte le notti: una volta perché ha fame, una volta per il mal di pancia, una volta sa il cielo che; Elisabetta si lamenta di continuo come se avesse ancora le doglie, le da fastidio qualunque cosa dica o faccia; la balia non riesce a far star zitta né l’una né l’altra e si aggiunge alla solfa…» e s’interruppe, riconsiderando quanto detto. «Forse hai ragione. Devo essere uno straccio. Grazie per avermelo fatto notare».
L’altro sorrise nell’oscurità, fingendo palesemente di credere alla bugia.
«I fratelli minori esistono per questo, per ficcanasare e parlare a sproposito. Se non ci fossi, chissà di cosa non ti accorgeresti! Meglio andare ora, il vino mi sta salendo alla testa e non vorrei infilarmi per sbaglio nella camera di uno stalliere. Sarebbe indecente… e nostra madre non approverebbe. Buona notte» salutò, salendo sulla Landaulette1, imitato da Francesco che si avviò al proprio veicolo.
Alcuni mezzi sfilarono lungo la discesa, diretti ciascuno a casa propria, mentre altri poltrivano in attesa dei ciarlieri proprietari, allontanatisi per svuotare le vesciche tra i cespugli. Tra questi, quello del banchiere Francesco Scarito, con l’autista che seguitava a trafficare nel vano posteriore.
Il banchiere attese che i rombi e le voci si dileguassero nel buio, controllando l’orologio da taschino. Era quasi mezzanotte e mezza.
Fece segno al conducente di salire in auto e attenderlo lì, a Porta della Fratta, allungandogli un paio di monete per garantirsi il suo silenzio, casomai ce ne fosse stato bisogno. Questi tornò a coricarsi sul sedile posteriore senza dire nulla.
L’uomo non tergiversò oltre: aveva poco tempo per recarsi all’appuntamento.


1 Landaulette: antenato dell’automobile.
   
 
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