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Autore: BebaTaylor    14/09/2012    1 recensioni
Dal Capitolo Tre
Solo allora si accorse della bara bianca, appoggiata su delle colonne di marmo, anche quelle bianche. La parte superiore era aperta. Lentamente Astrakan si avvicinò. Osservò il coperchio finemente decorato, fece il giro, aspettandosi di trovare la ragazza con il viso sciolto come quello delle altre persone. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
Quando li riaprì e guardò all'interno della bara si pentì di averlo fatto. Il cadavere non aveva il viso deforme come quello degli altri, ma il suo. Gli stessi capelli neri, lo stesso viso ovale dai lineamenti delicati, una tiara fra i capelli.Astrakan fissò il suo cadevere a lungo, incapace di fare qualsiasi cosa. Lo stesso vestito, lo stesso mazzo di fiori.
«È colpa mia! Io l'ho uccisa!» strillò ancora il ragazzo.
Astra si riscosse. Se stava guardando il suo cadavere, allora quello era il suo funerale, e quello che urlava era suo marito.
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Uno -Welcome To New York-

Ci avevano messo cinque anni, ma alla fine, forse, erano vicini alla soluzione dei loro problemi.
I gemelli avevano accesso agli archivi della Terra, e per prima cosa avevano cercato tutte le persone nate venticinque anni prima, nel mese di Maggio, per la precisione il 20. Settimana dopo settimana, mese dopo mese, alla fine erano riusciti a capire che il Catalizzatore si trovava a New York; ma, quando avevano trovato i possibili candidati e stavano per trovare i loro indirizzi, così sarebbe stato ancora più facile trovarli, un improvviso black out aveva oscurato gli schermi dei loro computer, e loro erano riusciti solo a stampare le foto, purtroppo il black out aveva danneggiato irreparabilmente le apparecchiature. Così erano rimasti solo con l'indicazione che il Catalizzatore abitava a New York e quattro foto e nient'altro, nemmeno i nomi.
«Dove siamo?» domandò Joerydan guardandosi attorno.
«Direi... a Central Park.» rispose Astrakan, sbuffò e posò sul prato la valigia verde scuro.
Un'anziana signora passò accanto a loro; il cagnolino, un piccolo barboncino bianco, si mosse in direzione dei due gemelli; annusò le scarpe di Astrakan per poi trotterellare dietro la sua padrona.
«L'hotel è vicino?» chiese Joerydan con lo sguardo spaesato. Non era la prima volta che andavano sulla Terra, ma faticava ancora ad abituarsi alla confusione.
Astrakan prese la cartina dalla borsa e la guardò a lungo. «Andiamo di lì.» disse indicando davanti a sé. Afferrò la maniglia della valigia e iniziò a camminare.
«Sei sicura?» domandò il fratelle seguendola.
«No.»
«E allora come sai che dobbiamo andare da quella parte?» il ragazzo incrociò le braccia al petto e guardò la sorella con aria di sfida.
Astrakan sbuffò. «Siamo a New York. Probabilmente c'è un hotel ad ogni angolo!» fece notare.
«Se lo pensi tu...» Joerydan sbuffò e prese la valigia. «Dove vai? Astra, aspettami!»
«Muoviti, sei lento.» esclamò lei voltando il viso.
«Astra, rallenta, stai andando troppo veloce!» disse Joerydan, accelerò il passo, cercando di raggiungere la sorella.
«Sei tu che sei lento.» gli fece notare Astrakan.
Il ragazzo si fermò e si passò una mano sul viso sudato. «Qui fa troppo caldo, non mi sono ancora abituato a questo clima.»
Astrakan sbuffò, si fermò e guardò il laghetto alla sua sinistra. prese la cartina e la osservò a lungo, mentre suo fratello la raggiungeva. «Quello è The Pond,» disse indicando il laghetto, «stiamo andando verso Sud.»
«E in realtà dove dovremmo andare?» chiese Joerydan.
Astra sbuffo, ancora, piegò la cartina e la chiuse nella tasca anteriore del trolley. «In un albergo.» rispose riprendendo a camminare.
«Sei sicura che sia la direzione giusta?» domandò Joerydan.
Astra continuò a camminare e non rispose. Sapeva che lì c'era un albergo, erano a New York, avrebbero trovato tutti gli alberghi che desideravano.

***

Quindici minuti dopo, i due fratelli erano davanti al bancone della reception del primo hotel che avevano incontrato una volta usciti da Central Park. Astrakan non aveva guardato il nome dell'hotel, al momento non lo riteneva importante.
«Salve.» esclamò una ragazza, una giacca rossa era la parte superiore della sua divisa.
«Ehm... salve. Io e mio fratello avremmo bisogno di una stanza.» pronunciò Astrakan.
La ragazza sorrise e digitò qualcosa sulla tastiera del computer. «Abbiamo una camera con due letti a una piazza e mezzo.»
«Va benissimo!» esclamò con foga Astrakan.
«Quanto vi fermate?» domandò la ragazza alzando gli occhi dallo schermo del PC.
I due fratelli si guardarono per qualche istante. «Una decina di giorni.» rispose Astrakan e ignorò lo sguardo perplesso di Joerydan. «Più o meno.» aggiunse e sorrise, guardò la targhetta, bianca con il bordo color oro, e lesse il nome della ragazza: Lena.
Lena sorrise e continuò a scrivere. «Mi servono i vostri documenti.»
«Documenti?» domandò Joerydan.
«Eccoli.» Astra prese due tessere dal portafogli, sospirò e alzò lo sguardo su Lena. «Ecco i nostri documenti.» la voce bassa e roca. Fissò negli occhi Lena, e sentì il sangue scorrere più veloce, mentre attorno a lei tutto scompariva.
«Vanno bene, sono in ordine.» aggiunse, il tono poco più di un sussurro. Lena sfiorò le due tessere e annuì, e velocemente scrisse qualcosa sulla tastiera.
Astrakan si concentrò su Lena, e Joerydan guardò con poco interesse, ormai l'aveva vista fare una cosa del genere centinaia di volte, gli occhi della sorella cambiare colore, diventando quasi viola, mentre riusciva a convincere la ragazza che quelle tessere fedeltà di un supermercato terrestre che avevano visitato qualche tempo prima, fossero le loro patenti.
«La vostra stanza è la numero centouno, al primo piano.» Lena diede una tessera magnetica ad Astrakan, che la prese, sorrise ancora e si avviò verso l'ascensore.
«Hai visto che avevo ragione io?» esclamò Astrakan quando le porte dell'ascensore si chiusero.
Joerydan incrociò le braccia e si appoggiò alla parete.
Astra guardò la tessera magnetica, scoprendo il nome dell'hotel: Maldron.*
Lena aveva detto loro gli orari della colazione e della cena, aggiungendo che il servizio in camera era disponibile fino alle ventitré.
Pochi secondi dopo entrarono nella loro camera, e i due si guardarono attorno; alla destra della porta d'entrata c'era quella del bagno, Joerydan entrò e guardò la vasca da bagno, bianca, come il resto dei sanitari. Asciugamani bianchi erano riposti, in perfetto ordine, sopra uno dei ripiani del mobiletto in legno di mogano.
Astrakan lasciò il trolley accanto all'entrata e si sedette sul letto, quello vicino alla finestra.
«Perché prendi sempre te il letto vicino alla finestra?» si lamentò Joerydan.
Astra si sdraiò, le mani sotto la testa, e sospirò. «Perché sono una ragazza.» rispose.
Joerydan scosse la testa e si sedette sull'altro letto. «Cosa facciamo adesso?»
«Andiamo fuori in perlustrazione.» rispose l'altra mettendosi a sedere.

***

I due fratelli avevano studiato fin da piccoli le lingue più parlate sulla Terra, oltre alla storia del pianeta. «Ho caldo.» si lamentò Joerydan, che non riusciva a stare dietro a sua sorella, che camminava velocemente sul marciapiede della 5th Ave. «Togliti la felpa.» esclamò Astrakan, fermandosi davanti alla vetrina di un negozio di scarpe. «L'ho già fatto.» Joerydan si avvicinò alla sorella e la guardò fissare incantata un paio di sandali neri, tempestati di brillantini e con il tacco alto. «Ti romperesti la gamba su uno di questi cosi.» «Non è vero.» replicò lei. «Bisogna fare solo un po' di pratica.» «Vorrei ricordarti che non abbiamo molti soldi.» sussurrò Joerydan.
Astrakan sorrise, si voltò e s'incamminò verso un uomo fermo davanti ad un bancomat; si fermò a pochi passi da lui, abbastanza vicino a lui affinché i suoi poteri funzionassero, ma non troppo per non essere inquadrata dalla telecamere. e si concentrò su di esso, sentì il potere scorrerle nelle vene, mentre attorno a lei le persone, le macchine e gli edifici diventavano sfuocati, delle semplici macchie di colore.
L'uomo si voltò, guardò Astrakan, contò le banconote che aveva in mano e le consegnò alla ragazza, per poi allontanarsi. Astra sapeva che avrebbe dimenticato tutto nel giro di qualche minuto.
«Problema risolto.» gongolò Astrakan avvicinandosi al fratello.
«Hai intenzione di spenderli tutti per un paio di scarpe?» il tono del fratello era dubbioso.
«No, non adesso.» rispose lei infilando i soldi nella tasca anteriore dei jeans e riprese a camminare. «Magari più tardi.» aggiunse a bassa voce per non farsi sentire dal fratello.
«Io vorrei... un caffè al ginseng.» esclamò Astrakan, chiuse il menu e lo poso sul tavolino. La cameriera sorrise, prese i menu e si allontanò verso il bancone.
«Sei sicura che qui lo troveremo?» esclamò Joerydan, lui aveva ordinato un caffè macchiato.
Astrakan scrollò le spalle e si rilassò contro lo schienale della poltroncina rossa. «Magari uno di loro viene qui spesso a prendere il caffè.»
Joerydan alzò le sopracciglia, appoggiò i gomiti sul tavolino e posò la testa sulle mani e rimase in silenzio a guardare, attraverso la grande vetrata, le persone che camminavano sul marciapiede di fronte al locale.
«Siamo qui solo da poche ore, sarebbe un grosso colpo di fortuna trovarlo oggi.» Astra sfiorò il braccio del fratello e sorrise. «Credo che sia statisticamente improbabile trovarlo entro questa sera.» s'interruppe quando la cameriera portò quello che avevano ordinato. Astrakan porse una banconota da dieci dollari alla ragazza e le disse di tenere il resto.
Joerydan afferrò la sua tazza e ne bevve un sorso. «È delizioso.» mormorò. «Perché da noi non riescono a farlo così buono?»
Sua sorella sorrise e lo guardò. «Non lo so.» rispose.
«È lei!» mormorò Joerydan, afferrò la mano di Astrakan e le fece un cenno con la testa.
Astra guardò la ragazza seduta a un tavolino poco distante e per poco non urlò. Era la ragazza della foto, gli stessi capelli biondi, lunghi e lisci, lo stesso viso ovale. Più la guardava più era sicura che fosse lei.
«Cosa dicevi a proposito?» mormorò Joerydan. «Statisticamente impossibile?»
«Io pensavo... ero convinta...» balbettò, prese la sua tazza e sorseggiò lentamente il suo caffè. Guardò ancora una volta la ragazza che era in compagnia di un'altra giovane, probabilmente un'amica. Astra guardò il ciondolo che la "candidata" portava al collo, una "M" maiuscola, in argento, alta un paio di centimetri.
Astra guardò il fratello, e immediatamente decise cosa dovevano fare: pedinarla.
«Ma non si è ancora stancata?» mormorò Joerydan. Erano dieci minuti che seguivano la ragazza, Maya, così l'aveva chiamata la sua amica.
Maya si fermò davanti ad un palazzo, frugò nella borsa e prese un mazzo di chiavi; dopo pochi secondi era sparita all'interno dell'edificio.
Astrakan si avvicinò alla porta, e guardò i nomi stampati sui campanelli, sperando che oltre ai cognomi ci fossero scritti anche i nomi. Sorrise quando trovò quello che cercava.
«Abita qui.» disse a suo fratello quando lo raggiunse. «Si chiama Maya Bennet.»
«Bene.» esclamò Joerydan incrociando le braccia. «Ed ora?»
Astrakan piegò la testa di lato e sorrise. «Scriviamo il suo indirizzo, e speriamo che sia lei il Catalizzatore, così finiamo presto questa storia e tutto tornerà alla normalità.»
Joerydan fece una smorfia, riprese a camminare e scansò una ragazza con in mano almeno dieci sacchetti, tutti di negozi diversi.
«Dove vai?»
Joerydan si limitò a indicare un fast food dall'altra parte della strada.
«Pensavo che saremmo tornati in albergo.» Astrakan si mosse velocemente per star dietro al fratello.
«Mangiamo qui.» esclamò lui posando le mani sulle spalle di lei. «Per favore!» aggiunse con un'espressione supplichevole dipinta sul viso.
Astrakan sbuffò e scrollò le spalle. «E va bene.» mormorò.
Joerydan sorrise e trotterellò fino alla porta automatica del locale. Astrakan sorrise e seguì il fratello. Un doppio cheeseburger era quello che ci voleva, pensò.

***

Astrakan posò la fronte sul vetro della finestra. Erano quasi le undici di sera, Joerydan stava già dormendo e ogni tanto russava. La ragazza guardò le luci delle strade e delle abitazioni illuminare il paesaggio. Non era così su Winter, se di notte guardava fuori dalla finestra poteva vedere solo poche luci accese.
Astra scosse la testa, non era quello il momento di farsi prendere dalla nostalgia, anche perché non erano neanche ventiquattr'ore che mancavano da casa.
Si staccò dalla finestra ed entrò nel bagno, spense l'acqua, lasciò cadere l'asciugamano che fino a quel momento le avvolgeva il corpo per terra ed entrò
nella vasca da bagno; appoggiò la testa contro il bordo e chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi.
Dopotutto, come primo giorno non era andato poi così male.

Scusate il ritardo, ma ho avuto alcuni casini -.-. E dove sono non ho internet. Per ora.
Comunque i primi quattro capitoli sono pronti, e in tutto dovrebbero essere una decina, al massimo dodici, più l'epilogo.
L'unico problema rimane la mancanza di internet -.-
a Presto!
   
 
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