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Autore: itsonlyalie    14/09/2012    6 recensioni
Rebecca, una ragazza con una vita disastrata, costellata da morti di persone care, sarà affiancata da un gruppo di cantanti pieni di gioia e carisma, che le faranno tornare la voglia di vivere ed il sorriso. e magari, qualcuno riuscirà a far battere quel cuore gelato da più di quattro anni.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Nonsense | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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Un forte rumore e poi silenzio. Harry stava sistemando la casa,  e con in mano un pile andò ad aprire alla porta: pioveva e lui era solo in casa. Era un periodo in cui non voleva uscire, e la passeggiata con Rebecca lo aveva scombussolato un poco.
Saranno di ritorno.
Pensò poi, e quando aprì la porta si ritrovò davanti la persona che non avrebbe mai e poi mai voluto vedere, pur amandola. Linda era là, infreddolita e bagnata che lo guardava con un sorriso debole, quasi completamente bagnata.
- posso entrare? –
Sapeva perfettamente che Harry non le avrebbe mai detto di no e lui infatti a suo malgrado la fece entrare, guardandola scorbutico.
- cosa vuoi Linda? Perché ti presenti a casa mia così? Non ti trovi più bene con Greg? –
- ho litigato con lui, credo di non amarlo più. –
Quelle parole nel profondo di Harry lo toccarono, sperando che fosse tornato da lui perché si era accorta che amava lui e solo lui, ma ancora più in profondità sapeva che era solo una sgualdrina.
Cercò di mantenere la sua posizione, e con scetticismo le diede delle spugne per asciugarsi. Non disse una parola, ma gli occhi di quella ragazza parlavano da soli: erano pieni di sicurezza, di saper che Harry le sarebbe caduto ai suoi piedi, senza problemi. Ma da quando aveva conosciuto Rebecca, i sentimenti che Harry provava per Linda si erano trasformati, diventando rancore. Quella ragazza sconosciuta aveva molte cose simili a lui, e lo incuriosiva sapere, conoscere qualcosa di quella ragazza così misteriosa.
- Harry – fece una pausa, guardandolo in modo profondo – mi manchi. E tanto. Mi manca tutto di te. –
Lo immaginavo. Non fare il cazzone e fatti valere, cazzo.
- Linda – doveva risponderle, doveva fare il ragazzo cattivo, ciò che non era e non era mai stato – mi hai scaricato come un animale, ma io non sono un animale. E mai lo sarò. E non sono nemmeno il tuo zerbino. E non mi manchi. – mentì, sapeva di aver mentito in cuor suo, ma sapeva anche che Linda era una brutta persona.
- Ah, sì? La pensi così? Che io ti ho sempre trattato come uno zerbino? Bene! Addio Harry. –
Si alzò, si vestì ed uscì, senza fiatare, sbattendo la porta dietro di sé. Harry per un attimo si sentì spaesato e poi si accorse che in mano aveva il suo maglione blu scuro, ancora bagnato. Prese la direzione della porta, ma Linda era già lontana. Quella sera, quando i suoi amici tornarono, Harry rimase nel suo silenzio, pieno di tristezza e frustrazione.
Non ho con chi parlarne, se lo dico a qualcuno dei ragazzi mi uccidono. Odiano Linda, anche se non me l’hanno detto. Lo so. E basta.
Niall notò più volte la completa assenza dell’amico e qualche volta gli dava un paio di pacche sulla spalla per riprenderlo dai pensieri lontani che lo avvolgevano.
- Harry, tutto bene? –
- Io? Mai stato meglio Zayn! –
- non sono Zayn, idiota. Sono Niall. –
Harry non alzò lo sguardo, si limitò ad annuire triste guardando le sue mani.
- Va tutto bene? – riprovò
- sì. –
Niall si accasciò sulla poltrona sconfitto e lo guardò.
Che succede Harry? Perché sei così lontano? Cosa ti spinge ad allontanarti dalla tua famiglia, da tutto ciò che hai attorno, non ti capisco.
Il giorno seguente Harry uscì con Liam e Louis, alla ricerca di qualche vestito, una scusa come l’altra per distrarre il ragazzo da tutti quegli strani pensieri che lo rincorrevano, o che lui semplicemente, si ostinava ad inseguire.
Louis provò più di una volta ad indicargli qualche bella ragazza, ma lui accennava un ‘sì carina’ in modo svogliato. Poi, ad un tratto a Liam tornò in mente la barista, Rebecca. Si era particolarmente interessato a quella ragazza fin da subito, e poteva essere, magari, una buona scusa per distrarlo. I suoi occhi, il suo corpo, e il suo sguardo potevano essere là in quel momento, ma la mente, il cuore e i suoi pensieri sembravano essere lontani anni luce.
Riuscì a rendere l’argomento spontaneo appena passarono davanti ad un bar
- ah, Harry – lo guardò speranzoso, ma lui come al solito girò lievemente la testa. – questa sera che ne dici se fai venire la tua amica barista, quella Rebecca, a casa nostra? Sarebbe un bel modo di passare un bel sabato, dato che diluvierà tra pochissimo e non potremo fare niente in alternativa. –
Liam lo aveva colpito: lo guardò e poi sorrise. Subito dopo si vergognò quasi del suo sorriso e cambiò subito espressione.
- non sarebbe una brutta idea, ma non ho il suo numero. –
- non lavora? – cercò di dire Louis, capendo il pensiero di Liam
Li guardò speranzosi e cominciò a correre. Il bar non distava molto, e la sua speranza e felicità potevano superare anche milioni di chilometri, semplicemente seguendo il cuore.
 
Rebecca era immersa nei pensieri, e le fischiavano le orecchie
Qualcuno mi sta pensando rifletté divertita ma che dico. Rebecca, riprenditi. Sembri una di quelle ragazze super montate. Smettila, e pensa chi sei.
Stava pulendo un bancone quando ad un tratto Freddie, il cassiere, la interruppe
- Rebecca, fuori c’è qualcuno che ti vuole parlare –
Lei lo guardò interrogativa e lui le sorrise. Un piccolo balzo al cuore, e le ritornò in mente il pomeriggio che aveva passato con quel riccio, Harry.
Andò velocemente a riguardarsi e vedendosi allo specchio sorrise
Da quanto non mi soffermavo a guardarmi? Che sorriso finto e privo di emozioni, cazzo. Che persona apatica che sembro. E che sono.
Le fece male pensare quella cosa ma respirò ed uscì, in prede all’emozione. Forse  paura, o magari speranza. Quelle due emozioni si fusero e tremò, appena vide il ragazzo con quel sorriso così dolce e quei occhi verdi.
- ehi, ciao. Mi chiedevo se … se … -
- se? – si sentì tanto tornare bambina, quando il compagno di scuola si vergognava a dire se voleva venire al ballo con lui, o se voleva dividere la merenda con lui, o fare i compiti insieme. quelle piccole cose che la rendevano leggermente importante, che le facevano pensare ‘cavolo, allora grazie a me provano qualcosa di positivo, un’emozione forte benevola.’
- che ne dici se venissi a casa mia e dei ragazzi questa sera e mangi da noi? Qualcosa tra amici, niente più. –
Alzò le mani e le sorrise.
Lei fu in dubbio. Non credeva che un ragazzo conosciuto da così poco tempo potesse darle tanto importanza. O forse la stupiva ancora che qualcuno le dava importanza, dato che lei in primis non si dava importanza.
Doveva prendere una decisione. La testa le si riempì di possibili scuse, ma in fondo non aspettava altro che allontanarsi da quel lavoro così estenuante e monotono
- credo si possa fare, non c’è problema. Darò l’incarico a qualcuno di sorvegliare il bar e gli darò le chiavi. – quelle piccole riflessioni le piaceva farle ad alta voce, per sentirsi sicura di ciò che diceva. Forse era stato il padre che le aveva insegnato a parlare ad alta voce, magari credeva che tutte quelle riflessioni che faceva il padre su di lei  se le fosse sempre immaginate, e che erano solo cose inventate, o che magari diceva senza pensare.
Sarebbe stato giusto rifiutare per paura di apparire in modo sbagliato ai suoi amici e a condizionare l’amicizia tra lei e Harry.
E se non potessi più stare con Harry? Che ne sarebbe della nostra amicizia?
Quel pensiero la colpì.
Amicizia?! Forse non è amicizia. E se non lo fosse, e fosse solo una presa in giro da parte di entrambi?
Harry aveva l’aria impaziente ed imbarazzata. Quell’attesa gli faceva pensare che volesse declinare gentilmente l’invito, e stesse cercando le parole giuste.
 - non sarebbe male. Mi farebbe piacere, a dir il vero – esordì lei.
Il volto del ragazzo s’illuminò: non gl’importava se lei avesse detto sì per pietà o per pura noia. Aveva detto sì, e lui era felice, soddisfatto.
Quando le si avvicinò di scatto per baciarla capì cosa provava per quella ragazza.
Così misteriosa, così seria e così semplice. Quel suo essere così frustrato. O forse semplicemente quel suo essere come nessuno lo è. Ecco cosa mi ha attratto, e poi invaghito. La amo? O ho scambiato l’affetto e la pietà per una ragazza così indifesa con l’amore, questo sentimento talmente forte.
Nel vedere quel movimento, Rebecca si scostò velocemente.
Lui riprese le distanze e si portò una mano tra i capello, evidentemente imbarazzato dal quel gesto poco opportuno.
Harry si permise di accompagnare la ragazza, guidando la macchina di quest’ultima. A parere di Rebecca fu un gesto gentile e carino, e lei si sentì molto lusingata che non poté non scambiare più volte sorrisi con quel ragazzo. Tra loro stava nascendo un fiore, ancora molto piccolo e sarebbe passato ancora molto per vederlo sbocciare, e magari essere uno dei fiori più belli mai visti.
- ti vengo a prendere alle sette, va bene? –
- va bene. a dopo Harry e – si guardò le mani – grazie dell’invito. Era da un bel po’ di tempo che nessuno mi chiedesse di fare una cosa di questo genere. –
Lui sorrise dolcemente e si allontanò, mentre lei si chiuse la porta alle spalle, aspirando.
Oh merda. Non farti prendere dal panico. Non ti piace, chiaro? Stai calma.
Rebecca aveva sempre avuto questo ripudio verso l’amore. Da piccola no, non da giovane. Le piaceva amare, le piaceva essere felice. Le piaceva amare qualcuno a tal punto da stare male, e desiderare passare un’intera vita con lui.
Faceva freddo e pioveva eppure mi sembrava una delle più belle giornate. Eleanor mi aveva detto che girava voce che il ragazzo che mi piaceva, anzi che mi faceva stravedere, mi volesse invitare al ballo di primavera. Era anche uno dei più popolari e belli della scuola. L’anno precedente ero stata invitata dall’amico, sempre con la sua stessa fama: bello ed irraggiungibile. Ero fortunata: mi ero fatta come migliore amica una ragazza bellissima, voluta da tutti e strano da dirsi gentile ed affettuosa con tutti quanti. O almeno, con la maggior parte. Grazie a lei avevo una visione eccellente di tutti i ragazzi, e spesso molti di loro si interessavano a me. Era bello. Ed aspettavo quel giorno da una vita intera. Donny Rut mi avrebbe chiesto di accompagnarmi al ballo.
Rebecca si sedette sul divano, crogiolandosi tra le coperte. Si fece un po’ di cioccolata calda, e aggiunse un paio di marshmellow. Il primo sorso fu accompagnato da ricordi duri ed amari, che le scottarono la lingua.
Eravamo a pranzo. Tutti guardavano me e poi Donny, che di tanto in tanto mi guardava sottecchi. Quando la mensa si cominciò a svuotare si avvicinò sempre di più a me e ad El, mentre il mio cuore batteva forte.
- tranquilla Becky, calma – mi ripeteva spesso. Ad un tratto si alzò e mi lanciò un occhiolino per poi scomparire dalla grande porta. La odiai. Mi ritrovai accanto Donny, con quei suoi occhi verdi e i suoi ricci così perfetti, che avrei potuto contare uno per uno. Erano nascosti da uno dei suoi cappelli di lana sottile e solo qualcuno ne usciva, rendendolo ancora più affascinante.
- ehi – disse soltanto.
Fu il momento più bello della mia vita. I suoi occhi sulle mie labbra, i miei sulle sue, per poi incrociarsi. Il suo sguardo penetrare nel mio, e le nostre bocche le lentamente si avvicinavano fino a toccarsi del tutto.
Mi piacque, di questo ne son certa. Ancora oggi lo accarezzo con un bel ricordo, e come un errore da non commettere mai più. Dopo qualche scambio lungo di baci e qualche, vomitevole al tempo, scambio di saliva, mi guardò, portando una mano sul mio fianco e l’altra ad accarezzare il mio zigomo:
- tu verrai al ballo di primavera con me? Vorresti venire? –
Prima di dirlo con le mie corde vocali lo dissi con lo sguardo, col corpo e col sorriso. Dopo un lungo bacio riuscì a dire –sì –ed uscimmo tenendoci per mano. Non sembrava imbarazzato, tanto che quelli furono i migliori momenti della mia adolescenza, in assoluto. Passammo una settimana insieme stretti l’un l’altro.
Sembravamo stare bene insieme. passò quasi un mese, e fu ad una festa, a casa sua, per celebrare la vittoria della sua squadra di rugby, che facemmo l’amore. Non ricordo bene come fu, ma ricordo che fu bello. Eravamo impacciati e tra uno sguardo e l’altro ci giurammo amore eterno.
Eravamo giovani, pieni di aspettative e sempre pronti a tutto per intraprendere la via dell’amore. Gli dissi più volte ‘ti amo’ tra quelle coperte, tra le coperte di quella camera così accogliente piena di foto dello sport preferito del mio ragazzo. I miei capelli sfiorati dal suo sguardo e le mie mani ad accarezzare ogni suo singolo riccio, che avevo amato con tutta me stessa e che erano finalmente parte di me. Io diciassettenne e lui diciottenne da poco. Era tutto perfetto.
Una lacrima, seguita da altre due uscirono dai suoi occhi e le toccarono tutte le dita ed entrarono dentro la sua maglietta, proprio come fece Donny quella sera. Fu quello l’anno più bello della sua vita, fino a quel momento. L’aveva fatta sentire viva, e il dolore del padre che incombeva perennemente su di lei, lui lo cancellava.
Fui reginetta del ballo di primavera, e lui il mio re. Appartenevo a lui, e lui a me, lo sapevo. I nostri sorrisi, impressi in quella foto accuratamente messa nella soffitta.
- siamo stati scelti! –eravamo al parco e lui aveva appena chiuso una telefonata. Era il capitano della squadra di rugby della scuola, da quando James, il ragazzo di El, non si era rotto un ginocchio giocando.
Gli sorrisi dall’altalena: -per cosa?-
- per le finali contro i Red Buft. –
Mi sorrise. Era il suo sogno. Il nostro sogno. Io tra poco avrei compiuto diciotto anni e mi aveva giurato che dopo ci saremmo sposati e avremmo avuto figli. Dei stupendi figli a parer mio. I nostri erano sogni, destinati a morire in quel campo, in quel pomeriggio. fu due settimane dopo il mio compleanno, esattamente un mese e due settimane da quando aveva ricevuto quella notizia. 1 – 0 per la squadra di Donny e lui stava dando il massimo. La folla inferocita urlava, chi spingeva, chi rideva, chi tifava. Si divertivano mentre io guardavo fissa Donny, immaginandolo accanto a me in sala parto con un nostro figlio in grembo. Era lui il mio sogno, non quel fottuto pub. Eleanor era accanto a me e mi guardava
- sarò felicissima quando vi sposerete Becky. –
- Pure io El. Pure io. –
Pensai a mio padre, se avesse voluto portarmi all’altare e a mia madre che magari avrebbe voluto vedere i suoi nipotini tanto desiderati, sempre accarezzati con un sottile sogno.
Sbattè e cadde. Aveva sbattuto contro degli avversari. Il mio cuore si fermò, con poco dopo la partita.
- Donny! Alzati! Aiutatelo, vi prego! –urlavo.
Era spesso caduto e aveva spesso preso delle botte. Ma quella era diversa. Rimase là fermo, e poco dopo io ero accanto all’infermiere.
All’ospedale respirava a fatica.
Era un incubo: lentamente, nei suoi occhi verdi spenti vedevo il mio sogno, il nostro sogno, dileguarsi, sprofondare, svanire.
- avrò qualcosa di rotto. Non ti preoccupare, scemotta - gli presi la mano e gli sorrisi con le lacrime che grondavano dal viso.
- ti amo Becky. Ti amo tantissimo. con te ho fatto per la prima volta l’amore e sesso. Lo chiamo amore perché tengo a te e al nostro futuro. Con te ho fatto tantissime cose, oltre ad amare fino nel profondo. Ora, e per sempre. Ti amo. –
- ti amo Donny. Quanto un fulmine può amare il cielo, quando una nuvola può amare la pioggia. Non sono i paragoni migliori, ma dato che non sono perfetta, un paragone non perfetto.-
Come i film mi addormentai lì. Con la sua mano tra le mie. Solamente che quando mi risvegliai la sua mano era fredda, e lui privo di vita. Cenerentola aveva trovato il suo principe azzurro, che se n’era andato prima del ‘vissero felici e contenti’. Piansi, in silenzio. Urlai, tra le lacrime. Caddi nel vuoto.
Con lui, col mio amore, i miei sogni se n’erano andato, sotterrati con lui in quel cimitero angusto. Il suo posto è il migliore, vicino ad un salice, sotto il raggio di sole. L’ho sempre pensato. Quel giorno di ottobre mi ha sussurrato che l’amore, la pace, per me non esistono.
La prima volta che facemmo l’amore disse – bene, ora ci rivestiamo, e diciamo che abbiamo fatto una passeggiata. Poi sorrideremo e continueremo a fare la nostra vita, facendo l’amore insieme. –
In quel momento Rebecca ricordò.
Le riflessioni ad alta voce non le faceva il padre, le faceva lui.
Poggiò la tazza sul tavolino e si affacciò alla finestra: vide il riflesso di lei e Donny, in veneranda età, attorniati da bambini piccoli. Lui aveva vicino un ometto sulla trentina e lei una donna giovane che assomigliava tanto al suo amato marito, strappatogli via dalla morte.
Non chiedeva molto. Voleva solo un futuro con la persona che amava. 

in questo spazio vorrei taanto sapere che ne pensate, 
non sono stata il massimo,  lo so cwc
siate buoni lol
#luvya
*recensite vi prego çç*
account twitter:
@ehiharoldo c: 

  
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