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Autore: Mickyivy    17/09/2012    0 recensioni
Nient'altro che me stessa: dubbi di una 19enne nella società moderna. Paure e domande che nascono dalla sua personalità che ancora non sa definire.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Col nuovo inizio scolastico, ricominciano i viaggi in corriera quotidiani. Mentre guardo la pianura e i paesini che attraversiamo non posso fare a meno di pormi delle domande ed analizzarmi a fondo.
Spesso la mia paura più grande è quella di dire cose sbagliate al momento sbagliato, oppure fare gesti non consoni a ciò di cui si sta parlando. Per di più sono nata impacciata:

Quando avevo tre anni ero innamorata di un bambino, si chiamava Nicolas e io lo trovavo il più carino di tutti i bambini dell'asilo. A casa dicevo che da grande mi sarei sposata con lui e prendevo l'asciugamano e facevo finta che fosse un vestito da sposa. A quell'età sapevo già leggere, uscivo di casa sempre con un libro sottobraccio. Già da piccola, nonostante fossi estroversa, ero un po' asociale: preferivo restare in aula a leggere che uscire a giocare con gli altri. Tanto che la maestra doveva spronarmi affinché uscissi, e a volte leggevo ai miei compagni. 
Quando l'anno scolastico finiva, all'asilo si faceva una grande festa: i genitori e maestri recitavano una fiaba (diversa ogni anno) e alla fine ci facevano sedere su delle sedie a nostra misura e cominciava la festa del diploma. Le maestre si trovavano sopra un piccolo palco (bisognava fare alcuni gradini per salirci) dove c'era una scrivania con i diplomi e lecca lecca giganti. A noi bambini ci chiamavano uno alla volta per consegnarci i tesori. Bisognava alzarsi dalla sedia, salire gli scalini, dare un bacio alla maestra e prendere il diploma e il lecca lecca. Era il turno di Nicolas, che si alzò dalla sedia velocemente e corse ad una velocità che mi sembrò incredibile su per le scale. La maestra lo sgridò un po' dicendogli che era pericoloso correre. Io volevo fare come lui, lo ammiravo tantissimo. Così quando arrivò il mio turno mi alzai e mi lanciai sugli scalini scivolando goffissimamente nell'ultimo e cadendo faccia a terra sul palco. Più che il dolore fisico, faceva male la vergogna. Non piansi, non mi ero fatta male. Mi si era soltanto spostato un po' uno dei due soliti codini che mia madre mi faceva all'epoca.

Impacciata ero, tale sono rimasta ancora attualmente. E' bruttissima la vergogna che provo quando faccio figuraccie. In quei momenti vorrei che un vortice oscuro mi si aprisse sotto i piedi così da caderci istantaneamente e non farmi vedere mai più da nessuno. 

Fortunatamente le mie amiche non ci fanno caso, sanno che se non ne combino una delle mie non sono io, e non me lo fanno pesare. Anzi, quando andiamo in giro diciamo che "ci facciamo riconoscere", dopotutto, non tutto il male viene per nuocere.
  
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