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Autore: Christine_Heart    18/09/2012    4 recensioni
Era sereno, e riusciva a respirare un’aria piacevole e carica d’amore.
“Il mio bellissimo, dolce e speciale Balthazar!”esclamò lei accarezzandolo.
“E il mio piccolo e vivace Salomon!” affermò con un sorriso, fermandosi sull’altro figlio.
Balthazar sorrise, e con quelle ultime parole che gli echeggiavano in testa, tra una carezza e l’altra della madre, e il movimento dolce e attivo del fratellino, chiuse gli occhi e si addormentò.
***
[Contest sfida] [AU]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Due fratelli, un solo cuore'
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 “…”: Pensiero del personaggio
“…”: Ricordo
“…” Riflessione del personaggio

____ : Cambio scena
 
 

Un padre violento da temere & un dottore gentile.
 


Non riusciva più a stare in casa!
Doveva andarsene e alla svelta.
Lì, solo con il padre, non era mai al sicuro.
Infondo era già successo.
Aveva il diritto di respirare libertà per alcuni minuti.
Cauto come spesso accadeva, uscì dalla sua stanza.
Si affacciò sulle scale, alla ricerca di Bryan.
Sentì la sua voce tranquilla.
Il tintinnio del ghiaccio in un bicchiere di vetro.
Stava sorseggiando qualcosa probabilmente whisky.
Era in salotto, comodamente seduto con la cornetta del telefono vicino all’orecchio destro.
Lo sentì ridere, e la cosa gli afferrò il cuore.
Sapeva dannatamente mentire come si deve quell’uomo.
Scese piano i gradini della rampa di legno.
Cercò di non fare rumore.
Non voleva farsi sentire in nessun modo.
Sapeva bene cosa sarebbe accaduto se la cosa fosse successa, se il minimo scricchiolio di legno fosse arrivato all’orecchio di Bryan.
E non voleva dargli quella “soddisfazione”.  
Non di nuovo.
Respirò profondamente una volta raggiunto l’ultimo gradino.
Afferrò con attenzione la sua felpa, e l’infilò, chiudendo la cerniera fin sotto il mento.
Nascose il viso sotto il cappuccio scuro.
Respirò di nuovo, e si precipitò contro la porta.
Svelto riuscì a spalancarla, e uscì da quel posto in cui doveva sentirsi al sicuro e protetto.
Per la troppa fretta, il pomello gli scappò di mano.
La porta si richiuse lesta con un tonfo.
Balthazar rimase di sasso.
Non aveva fatto attenzione.
Si era fatto sentire.
“E ora?!” pensò spaventato.
Indietreggiò abilmente e si allontanò di corsa.
Non gli importava se si era fatto sentire.
Non gli importava se Bryan aveva capito.
Non gli importava che quell’uomo sapesse, dove stava andando.
Voleva solo essere libero di vivere per poco tempo.
Corse con così tanto impeto che in breve tempo, malgrado l’aria tiepida della primavera, si ritrovò con il fiatone, e la gola secca.
L’aria gli sbuffava via dai polmoni con troppa fretta.
Ma non voleva fermarsi.
Si sentiva braccato.
E se si fosse fermato per riprendere fiato, poteva essere perduto.
Poteva essere riagguantato e ribattuto in quell’Inferno.
Non voleva.
Doveva prima riscattare la sua forza e la sua energia.
E solo una persona ci riusciva, oltre sua madre.
Lui era l’unico che sapeva e cercava di aiutarlo.
Si fermò davanti al suo ambulatorio.
Respirò con forza, cercando di regolare i battiti.
Aprì la porta e si guardò attorno.
Non voleva che gli altri lo scrutassero.
Non in quel momento.
Non era veramente lui.
Non salutò come spesso faceva.
Non né aveva la forza.
Non gli serviva sapere dove mettersi, per aspettare l’amico.
Sapeva bene dove doveva andare.
Doveva entrare, ne aveva bisogno.
Senza troppa fretta nei suoi passi si avvicinò alla porta.
La sala d’attesa, lo infastidiva, e gli donava troppa ansia.
Si sentiva come in gabbia.
Afferrò la maniglia.
Fece per abbassare quando:
“Ehi, aspetta un attimo…” si sentì dire da una voce semplice e melodioso.
Si sentì come un ladro scoperto con le mani nel sacco.
Provò ad aprì la porta ed ad entrare.
“Devo vedere…” cercò di spiegarsi.
Si sentì afferrare per il braccio destro.
Una fitta di dolore gli attraversò tutto il corpo.
Con così tanta prepotenza da fargli socchiudere un occhio, e sopprimere un gemito.
“Non puoi entrare, il dottore sta visitando.” gli spiegò con dolcezza la segreteria.
“Lasciami andare, ti prego!!!” esclamò con forza, cercando di liberarsi.
“Non si può.”
“Tu…non capisci!!!” esclamò sul punto di piangere.
“Devo vedere il dottore!” esclamò di nuovo.
Era così vicino a lui, eppure…
“Per favore.”
“Ci sono altri pazienti…non puoi fare così.”
Balthazar cercò di divincolarsi con più forza, con l’unico risultato di sentire solo più dolore di prima.
“Lasciami andare.”
Donna, la ragazzina dai capelli lisci biondi – rossicci, dagli occhi verdi chiaro, cercò di allontanarlo dalla porta.
“ Puoi aspettare qualche secondo?!” chiese paziente la signorina.
“No, lasciami andare!!!”
Balthazar fece leva sulla maniglia che non aveva ancora lasciato, nella speranza che la ragazza l’avesse lasciato entrare, come da lui richiesto, e finalmente la porta si aprì.
Brook era lì, ad occuparsi di una bimba di pochi mesi.
“Lasciami…ti prego.” ripete con più forza.
Era sicuro che adesso l’avrebbe sentito.
Infatti il medico alzò lo sguardo, per capire cosa stava accadendo.
“Balthazar!” chiamò subito perplesso.
“Lasciami!!!”
“Lasciami!!!”
Gridò di nuovo Balthazar.
Si stava frenando dal piangere.
“Dottore?” chiese incerta la ragazzina.
Brook si avvicinò alla porta.
“Lascialo stare, ci penso io.” gli disse con tenerezza.
Allungò una mano al piccolo.
“Dai coraggio, entra dentro.” disse con la sua voce calda, con un sorriso timido.
Donna ritornò al suo posto, mentre il dottore chiuse la porta dello studio.
“Finn ti dispiace occupartene tu della piccola?” chiese gentile.
“Come vedi…” e abbassò gli occhi sul Balthazar.
“Io ho un piccolo ospite di cui occuparmi.” scherzò con un sorriso solare.
Balthazar si sentiva così di troppo.
Sapeva di essere stato irrispettoso e precipitoso nei confronti del dottore.
Ma che altro doveva fare?
Era troppo terrorizzato per saperlo.
Il giovane medico annuì con un lieve sorriso.
“Non c’è problema Victor!” affermò tranquillo.
Si alzò dalla scrivania e si avvicinò alla neonata.
“Vieni.” sussurrò con affetto Brook, avvicinandosi al ragazzo e appoggiandogli un palmo della mano sulla schiena gli fece strada.
Entrarono nello studio del dottore.
Balthazar si sistemò al centro della stanza, mentre Brook chiudeva la porta a chiave.
“Balthazar, però così non va bene.” iniziò a dirgli con calma, scuotendo la testa paziente come si fa con un bimbo capriccioso.
“Non puoi arrivare di corsa a lavoro e pretendere di vedermi.” gli disse con affetto.
Gli si accovacciò di fronte.
“Hai capito, piccolo?” gli chiese gentile.
Fece per accarezzargli la guancia, ma Balthazar abbassò il capo per non farsi toccare.
“Che succede Balthazar?” chiese stranito Brook.
“Mi dispiace Brook…” si scusò il bambino.
“…so bene di aver sbagliato…ma…”
“Che cosa è successo Balthazar?” domandò di nuovo l’uomo poggiandogli le mani sulle spalle.
Ma non poteva sapere che una di questa, era malridotta.
Notare il volto del piccolo sfigurarsi per via del dolore, gli fece fermare il cuore.
“Balthazar…” mormorò preoccupato.
Senza chiedergli altro provò a togliere il cappuccio scuro dalla testa.
Balthazar cercò di fermarlo…
“Sta tranquillo, non ti faccio niente.” gli disse sicuro.
“Fammi vedere cos’è successo.” gli disse tranquillo.
C’era sempre così tanta tenerezza nella voce del dottore, quando doveva parlargli.
C’era sempre attenzione e pazienza nei suoi confronti.
Si sentiva sempre protetto vicino al dottore.
“Aspetta un attimo…” gli mormorò il giovane che deglutì appena.
Brook aspettò poi lasciò scivolare la stoffa delicata lungo il collo.
La luce del sole, aiutò a mostrare con più chiarezza i lividi sul volto.
La guancia destra era talmente viola da sembrare irreale.
L’occhio si era arrossato per i colpi presi e le palpebre erano rotte a sangue.
Il labbro tagliato in più punti.
 Il collo graffiato profondamente.
Il dottore resistette all’impulso di scattare fuori dalla stanza e correre a casa del piccolo amico.
Sapeva bene cosa avrebbe fatto se non fosse riuscito a controllarsi.
“Puoi aiutarmi?” chiese Balthazar piano.
“Che cosa hai fatto?” domandò in ansia.
Provò ad avvicinare la mano alla pelle ferita.
La mano gli tremava troppo.
“Sono caduto dalle scale.” affermò il bambino con le lacrime agli occhi.
“Balthazar, sappiamo entrambi che non è così.” gli disse calmo.
“Sono caduto dalle scale.” insistete Balthazar trattenendo i lucciconi.
“Balthazar…”
Voleva solo la verità, ma sapeva di chiedergli troppo.
Era paralizzato dalla paura.
Sempre.
Ogni maledetta volta che accadeva.
“Sono caduto dalle scale.” disse infine.
E una lacrima sfiorò la pelle macchiata di rosso-viola.
“Sono caduto Brook, credimi.” lo supplicò subito dopo.
E un'altra lacrima seguì la prima.
“Sono solo caduto…” disse cercando di trattenere due lacrime.
Il dottore gli accarezzò i capelli con dolcezza e affetto.
“Va bene Balthazar, ti credo.” gli disse calmo.
“Non piangere…” aggiunse.
“…è…stato…solo…un incidente.” disse a denti stretti, sottolineando con rabbia le ultime due parole.
“Sono solo cad…” singhiozzò.
“Ma certo.” rispose Brook con un sorriso incoraggiante.
“Sono…” sembrava che il ripeterlo potesse aiutarlo a superare la cosa.
Ma il solo fatto di sentirlo e risentirlo, irritava ancora di più il povero dottore.
Ringraziò il dio che Bryan non fosse con lui nella stessa stanza.
Altrimenti…
Il diavolo in persona l’avrebbe temuto.
Scosse il capo, per concentrarsi.
“Sta tranquillo.” gli sussurrò paziente.
S’inginocchiò con calma di fronte al piccolo.
E lo strinse forte e con affetto contro di se.
Non poteva fare altro per il momento.
Non sapeva come consolarlo ora.
E sembrava che questo a Balthazar bastava.
Sentì il volto del piccolo nascondersi contro il suo camice bianco.
Poche lacrime gli bagnarono il corpo.
Brook non disse nulla.
Rimase in silenzio.
Lasciandogli tutto il tempo che gli serviva per sfogarsi.
Si limitò ad abbracciarlo per infondergli un po’ della sua forza.
Bryan stava superando ogni suo limite.
E la cosa per il dottore non era più tollerabile.
“Non riesco a proteggerlo, come in verità vorrei!” pensò con ira.
“Sono così maledettamente idiota!” continuò.

Bryan era solo un vigliacco che nascondeva il cuore.
E lo mostrava quando gli faceva più comodo.
I muscoli del medico s’irrigidirono furiosi.
Adesso provava un inspiegabile senso omicida.
___
 
Il dottore sospirò distratto.
Malgrado avesse medicato con premura le ferite di Balthazar, la cosa sembrava non bastargli.
La spalla del piccolo era così terribilmente conciata da credere a primo impatto che poteva cadere appena venisse sfiorata.
Sospirò di nuovo.
Moriva dalla voglia di andare alle autorità, ma aveva promesso.
Si sentì tirare la manica.
Abbassò gli occhi, per incontrare quelli argentei del figlioccio.
“Che cosa c’è?” gli chiese con dolcezza.
Un sorriso dolce si stampò subito sul volto del dottore, rivolto al suo giovane “paziente”.
“Va bene.” gli disse un po’ confuso.
“Possiamo ritornare a casa.” disse titubante.
“Non sei obbligato.” azzardò subito Brook.
Il piccolo deglutì.
“La mamma li noterà?” chiese triste, riferendosi ai colpi violacei.
 
“Perché non mi hai permesso di dirlo a tua madre?”.
Balthazar rimase di sasso.
“Non è il momento.” rispose vago il piccolo.
“Ma ha il diritto di saperlo.”
“No Brook, tu non puoi capire…”
“E’ tua madre, come credi che reagirà appena lo verrà a sapere?!.”
“Brook, ti prego…se la mamma verrà a saperlo, si agiterà troppo, e perderà il bambino…e così anche lei finirà con l’odiarmi… non posso vivere con il suo odio…”
“Balthazar…se la cosa dovesse accadere, tu non ne avrai colpa.”
“Tua madre non ti potrà mai odiare, ti ama per quello che sei, ti ama per come sei, sei suo figlio, e ti adora, non potrebbe vivere senza di te.”

 
Ma anche quelle parole dette con il cuore, non riuscirono a farmi cambiare idea.
Mia madre doveva affrontare gli ultimi mesi nella più completa calma, e questo voleva dire nasconderle le mie crisi, i miei malori, e le violenze subite, e per sopravvivere, appena mi era possibile, nascondermi dall’uomo che mi ha sempre accolto, senza la minima esitazione.
La sola idea di perdere mio fratello, di perdere Salomon per sempre, mi terrorizzava.
 
Brook gli guardò di nuovo il volto.
Di certo quelle orrende ferite, non passavano inosservate a nessuno.
“Fa ancora male?” chiese chinandosi su di lui.
Il ragazzino non rispose. Brook abbassò gli occhi e sospirò impensierito. Avvicinò la sua mano a pochi centimetri dal volto del piccolo. Balthazar trattenne il fiato, e nei suoi occhi si accese una nuova paura. Brook lasciò i suoi occhi chiari inchiodati in quelli del piccolo, e scosse il capo sicuro.
“Non temere…non sentirai nulla.” gli spiegò sereno.
Soffiò sul suo palmo e una piccola luce dorata accarezzò la guancia del bimbo.
Era calda, lenta, piena di vita e delicata, come il tocco di un’entità celeste.
Era davvero piacevole.
 
Di norma non facevamo ricorso alla magia, la medicina andava più che bene!
Ma Brook, ogni volta che era in mia presenza, si lasciva coinvolgere, e veniva meno ai suoi principi. Quando io ero con lui, non c’era più il dottore, non c’era più il tutore, solo un uomo dal cuore sanguinante per la vergogna e il dispiacere.
 
Appena il medico nascose la sua mano in tasca, Balthazar non resistette all’impulso di sfiorarsi la faccia. Gemette appena toccandosi.
“Posso far sparire i segni, ma non il dolore.” spiegò infine tranquillo l’altro.
Balthazar lasciò ricadere la sua mano lungo il corpo.
Gli occhi del piccolo s’illuminarono di gratitudine e apprezzamento.
Gli sorrise gioioso.
“Grazie!” disse sincero e affettuoso.
E di fronte a tanta tenerezza e bontà, Brook pensò che il solo uccidere Bryan, era troppo poco, davvero troppo poco.
Meritava di peggio.
Meritava di essere condannato a vita.
Al supplizio più atroce di tutti.
Si meritava di diventare un’ombra, persa nel nulla.
___
 
Non voleva.
Eppure l’aveva fatto.
Aveva riaccompagnato Balthazar, di nuovo a casa sua.
E stava proprio pensando a questo, a quel suo grande errore, come la sua mente lo stava definendo, fuori dalla porta della sua abitazione.
Sospirò, ormai rassegnato, all’azione che era già stata compiuta.
Inserì la chiave nella toppa e aprì la porta dell’appartamento da poco comprato.
Era tutto così caldo e colorato in casa sua, soprattutto da quando…
“ Tesoro sei tornato!” esclamò felice Katherine.
Da quando…c’era lei.
Gli si gettò tra le braccia come faceva ogni sera, quando rientrava dal lavoro.
Dita soffici gli accarezzavano il collo, mentre il dolce profumo di lei riempiva la stanza.
Era una creatura così piena di vita e solare.
Unica nel suo genere.
Capelli mossi e cremisi-castani, pelle chiara e occhi nocciola-ambrati, così limpidi e chiari da donare tranquillità e conforto.
Almeno tanto riuscivano a fare per Brook, in qualsiasi momento della giornata.
Katherine era il suo mondo.
Era il suo conforto.
E lei era la sua ragione di vita.
Davvero.
Era l’unica donna che gli permetteva di vivere essendo se stesso, senza rischiare la pazzia, per l’orrore che al volte il dottore doveva affrontare.
Era tutto per lui.
La sua migliore amica, la sua amante, la sua ragazza, e sperava sempre che un giorno fosse diventata sua moglie e la madre dei suoi figli.
Sorrise intenerito, di fronte all’affetto incondizionato che ogni sera gli dimostrava.
Con la sua vitalità, Brook riusciva ad affrontare tutto.
Ma in egual modo, quella donna, tanto forte, tanto bella e tanto sensibile, riuscì a notare gli occhi tristi e spenti del compagno.
Fissò quelli occhi che tanto amava, poggiando le mani sulle sue spalle:
“Che cos’hai Victor?” chiese con gentilezza.
Il dottore gli sorrise con affetto.
“Nulla che tu non possa far guarire.” gli disse con garbo, spostando il ciuffo dal volto della sua ragazza.
“Sul serio Victor, che cosa c’è?” chiese di nuovo.
“Kat, ti prego.” rispose calmo.
Si allontanò da lei con passo sicuro.
“Victor…” lo chiamò con dolcezza voltandosi verso di lui.
“Non tenerti tutto dentro…” gli disse avvicinandosi.
“…parlami!” esclamò con tenerezza sfiorandogli un braccio.
Brook posò il volto su quella mano tanto dolce.
Era così confortante.
Sospirò deluso.
“Sono uno stupido.” annunciò serio.
“Vic…perché dici una cosa del genere?” chiese lei confusa.
“Perché sono veramente un perfetto stupido e cretino…”.
Senza aggiungere altro si mise seduto, sotto lo sguardo rattristato di lei.
Sospirò di nuovo, abbassando gli occhi.
“Oggi…mentre ero a lavoro…Balthazar è venuto da me.” confesso
“Balthazar? Quel bambino dai capelli castani che ho visto l’altra volta?” chiese la donna per avere conferma, sedendosi accanto all’uomo.
Brook annuì, guardandola:
“Sì, proprio lui.” affermò con un mezzo sorriso.
“E beh, non è una cosa buona?” chiese Kat con un incoraggiante.
“Non se viene da te, in lacrime.” disse convinto con un che di amaro nella voce.
“In lacrime?” domandò ancora la ragazza sconvolta.
 Brook sospirò di nuovo, quasi con frustrazione.
“Quel bambino è venuto da me oggi, con il solo intento di nascondersi, e di farsi curare.” spiegò.
“Curare?”
“Quel piccolo, era ricoperto di sangue e lividi.” disse il dottore con tono freddo.
Katherine trattenne il fiato di fronte a quell’affermazione.
“Stai scherzando?” osò chiedere lei con un filo di voce.
“Ho forse la faccia di qualcuno che scherza.” rispose minaccioso.
Katherine rimase di pietra di fronte a quello scatto ira.
Non ebbe neanche la forza di dire di no.
Credeva che una persona dolce e buona come Brook non ne fosse capace.
“Perdonami…” sussurrò subito Brook accarezzandogli la mano.
Aveva capito immediatamente che la sua furia l’aveva spaventata e di certo non era quella la sua intenzione.
“Non volevo alzare la voce.” si scusò continuando con quel semplice gesto.
Adorava la mano di Katherine era così morbida e soffice.
“Non dovevo dirtelo.” aggiunse poi scoraggiato.
“Ma non so per quanto riesca a sopportare la situazione.” confessò.
Sentì le dita di lei stringersi tra le sue.
Alzò il volto per incontrare quello di Kat.
“A me puoi dirmi tutto, lo sai.” affermò lei con un sorriso dolce.
“Sì, lo so…ma…”
“Raccontami…” insistette lei, interrompendolo.
“…se la cosa ti può aiutare.” spiegò.
“Io voglio solo fare di più per quel bambino.” precisò Brook.
Non voleva sconvolgere ulteriormente Kat, raccontandogli come Balthazar era stato sfigurato quella volta. Le avrebbe spezzato il cuore, e sarebbe stato costretto a vedere le sue lacrime.
Non voleva ferirla, era troppo per lui.
“Non merita tutto questo.” pronunciò.
“Tu, non puoi fare davvero nulla?” chiese Kat.
“Sono solo un tutore.” disse lui privo di speranze.
“E la madre, non ha mai notato la cosa?”.
“No…ed è tutta colpa mia.”. precisò
“Perché t’incolpi tanto?” domandò lei senza riuscire realmente a capire.
“Perché…” respirò a fondo.
“…ogni maledetta volta…” nascose un groppo alla gola.
“…sono costretto a nascondere quei segni…”.
“…solo per la tranquillità del piccolo.” affermò
“Per quale motivo?”
“Daphne, è fragile…rischia di perdere il bambino…e Balthazar non lo vuole per nulla al mondo… così soffre in silenzio le crudeltà del padre…”
“Lui sta male, soffre…e non si apre con nessuno, per non far soffrire gli altri nel suo stesso modo… accetta la sua pena senza dire niente a nessuno…”“.
“A nessuno tranne a te?” cercò di capire Kat.
“Non può tenersi tutto dentro, è così piccolo…”.
“Ma perché Bryan lo fa?”
“Non.lo.so.” disse con odio il dottore.
Chinò di nuovo il capo, amareggiato.
“So solo che l’alcool, e la fragilità del ragazzo, non valgono più come scusa.”.
“Secondo te…c’è altro sotto?”
“Lui vuole solo un figlio perfetto.” rispose con un sospiro.
“E per ottenere questo, continua a punire ogni minimo errore del ragazzo, quando sono soli in casa, così da assicurarsi il silenzio del piccolo e la tranquillità della moglie.”
Il volto del dottore si adombrò nuovamente.
Kat non l’aveva mai visto così.
“Vorrei solo che quel bastardo, lo vedesse con gli stessi occhi, con cui lo vedo io.” affermò con rabbia Brook.
“Vorrei solo che capisse la gentilezza e la generosità del figlio come ci sono riuscito io.” disse ancora e la sua voce s’incrinò appena.
“Vorrei solo che capisse il cuore grande che ha quel bambino, malgrado la sua età.” concluse con gli occhi lucidi.
Kat rimase colpita e lieta.
C’era davvero tanto amore in quell’uomo.
“Gli sei molto affezionato, gli vuoi davvero molto bene.”.
“E’ solo un bambino, Kat…è quasi normale.”.
“Ed è il figlio della tua prima ragazza…” precisò Kat, arrossendo appena.
Brook sorrise dentro di se, di fronte a quella nota di gelosia.
Ma non ebbe la forza di ironizzarci sopra.
“Ma non è mio figlio.” disse sicuro.
“Se solo lo fosse…” prosegui senza riuscire a finire la frase.
Adesso gli occhi Brook erano più cupi e lucidi di prima.
Kat gli accarezzò la guancia:
“Vic, tu stai facendo il possibile…” lo consolò con affetto Katherine.
“…e sono sicura che questo Balthazar lo apprezzi veramente.” confessò infine.
“Lo spero.” disse il dottore in mormorio.
Non riuscì a dire altro quella sera, rimase lì, seduto, perso nei suoi pensieri.
Mentre Kat, continuava ad accarezzargli il dorso della mano, e di tanto in tanto il volto, nella speranza di vederlo sorridere.
Nella speranza di consolarlo e di tirargli su il morale.
Vedere gli occhi dell’uomo che amava colmi di lacrime, non l’aiutava.
Perché lei sapeva che Brook avrebbe dato la vita per quel bambino, era nella sua natura, ma non gli era permesso, e questo lo feriva nel profondo.
E in verità faceva stare male anche lei.
Il suo Victor era bellissimo, solo quando era in lui.
La depressione e la tristezza, sfiguravano tutto in lui.
Gli distruggeva il cuore.
La luce soffusa della stanza rischiarava entrambi i corpi dei giovani amanti.
 
Ero troppo giovane e spaventato per capire chi stava veramente soffrendo.
 
 
Note dell’autrice:
Sì, lo so è un capitolo orrendamente triste!
Balthazar ormai teme anche solo il fatto di parlare del padre, e Brook, mi fa un tenerezza infinta, mi sento in colpa per lui, per ciò che è costretto a sopportare, senza riuscire a fare quello che realmente vorrebbe.
Ah, per specificare, non vuole solo riempire di botte Bryan, sì, quello è in cima alla sua lista nera, ma infondo zio Brook, non è cattivo! ;)
Ora passo a quelle poche spiegazioni:
-Whisky: Sì, Bryan oltre ad essere un coglione, stronzo e anche un alcolizzato. In poche parole, è un soggetto da prendere in esempio.
- Donna: Mi piaceva l’idea che Brook avesse una segretaria, giovane e carina, dai bei modi, il nome mi è venuto per caso, forse è anche un po’ colpa di Doctor Who, quando ho scritto questo capitolo accanto a zio Ten, c’era Donna Noble…forse ho voluto ricordare la cosa in questo modo simpatico. ;)
-Finn: E’ il vice di Brook, un medico che lavora al fianco del nostro protagonista. Comparirà solo in questo capitolo, perché dopo, molto dopo, lo stesso posto aspetterà ad un Balthazar adulto.
-Katherine: Qui la ragazza, conosce il dottore solo da pochi mesi, ma la sua spontaneità, e la sua semplicità, sono sufficienti a conquistare il cuore e all’amore di Brook.
 
Ah, non mi detestate e soprattutto lasciate stare il piccolo Balthazar, vi è concesso odiarmi nel capitolo successivo, perché sarà peggio di questo.

Grazie di tutto!
Chris.

  
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