Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: Christine_Heart    20/09/2012    3 recensioni
Era sereno, e riusciva a respirare un’aria piacevole e carica d’amore.
“Il mio bellissimo, dolce e speciale Balthazar!”esclamò lei accarezzandolo.
“E il mio piccolo e vivace Salomon!” affermò con un sorriso, fermandosi sull’altro figlio.
Balthazar sorrise, e con quelle ultime parole che gli echeggiavano in testa, tra una carezza e l’altra della madre, e il movimento dolce e attivo del fratellino, chiuse gli occhi e si addormentò.
***
[Contest sfida] [AU]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Due fratelli, un solo cuore'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“…”: Pensiero del personaggio
“…”: Ricordo
“…” Riflessione del personaggio
____ : Cambio scena
 
 

Un cuore di mamma & "una" Punizione.
 

 
Era in ritardo.
In forte ritardo.
E questo voleva dire guai, grossi guai.
Voleva dire che ben presto la pelle del povero ragazzino, avrebbe bruciato come le fiamme dell’Inferno. 
Ben presto sarebbe stato obbligato a serrare i denti e a soffrire in silenzio.
Ben presto non avrebbe più distinto la sua carne, dai suoi lividi e dal suo sangue.
Aveva infranto le regole, ed era compito di suo padre, riportarlo in riga.
“Ho sbagliato di nuovo!” pensò spaventato.
“L’ho deluso ancora!”
“Perché non riesco mai a farne una giusta!”

“Perché non riesco mai a stare fuori dai guai!” rifletté in ansia.

 Non voleva farsi punire di nuovo.
Suo padre gli aveva già assegnato la giusta punizione tre giorni fa, per un compito poco brillante, e il suo corpo ancora ne risentiva.
“Se non mi affretto peggiorerò solo le cose!” decise preoccupato.
Corse il più veloce di quanto in verità stessa già facendo.
Spalancò la porta di casa una volta giunto, e la richiuse lesto, appoggiandosi a quest’ultima per riprendere fiato.
Deglutì un paio di volte, cercando di regolare il respiro.
E si guardò intorno.
Deglutì un ultima volta e avanzò di un passo.
“Ciao amore mio!” esclamò lei felice.
Balthazar alzò il volto sulla donna che l’aveva salutato.
Sorrise con il cuore leggero.
“Sono salvo!” pensò sereno.
Daphne aveva sentito il figlio rientrare, e ora era all’ingresso del salotto, con un bel sorriso sulle labbra.
La madre corse ad abbracciare il figlio, come faceva sempre quando tornava da scuola.
“Ciao mamma!” salutò solare Balthazar.
Accennò un sorriso.
Aveva fatto tardi rientrando da scuola, ma se c’era sua madre, era al sicuro.
Si sentiva più sollevato quando c’era la sua mamma in casa.
“E’ andato tutto bene a scuola?” domandò dolce.
Si sistemò per terra, per essere alla stessa altezza del figlio, e il suo vestito bianco formò per terra un piccolo fiore.
Sorrise con tenerezza.
“Tutto a posto!” mentì il piccolo per non farla preoccupare.
Infondo aveva solo avuto un capogiro, non c’era motivo di preoccuparla.
“Sei rimasto in compagnia di Ethan?” domandò ancora.
“Ero in compagnia!” rispose vago Balthazar, sorridendo con calore.
Daphne gli baciò la guancia, con affetto, come faceva sempre.
Il lungo vestito bianco che indossava per far star comodo il pancione non gli faceva giustizia, era così bella.
Lunghi e di seta capelli dorati, occhi sottili e del color del cielo talmente dolci da sembrare di cristallo, labbra sfumate appena di rosso.
Una mano dolce, accarezzava la vita che portava dentro.
“Vuoi venire a farmi compagnia in salotto?” domandò lei con dolcezza.
“Certo mamma!” esclamò lui felice prendendole la mano.
Una volta in salotto, Balthazar corse ad aggiungere un ceppo al camino per evitare che la stanza si raffreddasse.
“Non voglio che la mamma senta freddo!” pensò sorridendo timido alle fiamme del fuoco.
Sua madre invece si appoggiò alla cornice della finestra.
I suoi occhi incantati a osservare l’orizzonte, e lo spettacolo dell’avvicinarsi della sera.
I colori rosso, rosa,arancione e d’oro, affrescavano il panorama, colorando appena il volto chiaro di quella bellissima donna.
Sorrideva, di fronte a quella meraviglia, e con dolcezza, accarezzava il suo pancione.
“Mamma!” chiamò ammirato Balthazar.
La donna si volse, verso il figlio, e con un sorriso tenero sul volto:
“Tesoro mio!”
Lo invitò ad avvicinarsi, con un gesto garbato della mano.
“Hai visto quanto è bella la neve colorata d’oro?” chiese Daphne solare.
Il ragazzino annuì, stringendo la mano della donna.
“Scusami mamma!”esclamò Balthazar unendo le mani in grembo, e abbassando il capo.
“Per che cosa piccolo mio?”
“Ho fatto tardi…ti ho fatto preoccupare…non volevo!”
La madre gli sorrise con amore.
“Hai tutto il diritto di stare in compagnia dei tuoi amici Balthazar!” affermò comprensiva la mamma, accarezzandogli con affetto la testa ancora china.
Con lentezza si avvicinò al divano.
Balthazar corse in suo aiuto.
Le prese la mano e l’aiutò a sedersi.
“Grazie, ma che gentiluomo!” scherzò buona la madre, accarezzando di nuovo la pancia.
Il bambino tirò un sorriso forzato.
“Tesoro mio…non sono arrabbiata con te!” affermò la donna sfiorandogli il volto.
“Ma…” provò a dire incerto il piccolo.
“Balthazar se non ti diverti adesso…non avrai altre occasioni di vivere!” sorrise buona.
Amava quel bambino senza il minimo sforzo, era così dolce secondo lei, che non poteva farne a meno. Era importantissima la sua presenza. Voleva dargli forza in un attimo, donargli quella forza che il suo corpicino non aveva sempre. Era vitale per lei la sua esistenza, più importante di quella del marito. Era suo figlio, e non c’era niente di più prezioso, per lei.
“Il papà se ti sgrida per i tuoi ritardi, esagera solo…ma non c’è l’ha con te…lo fa solo perché ti vuole bene! Lui vuole il meglio per te, piccolo mio!”
Il bambino annuì, con la tristezza che gli si stampava sul volto.
Gli occhi di Balthazar si riempirono di lacrime.
Moriva dalla voglia di dichiarare tutta la verità alla madre.
Sapeva che se solo avesse saputo, sarebbe stata pronta, ad assorbire ogni suo livido.
Ma non aveva il coraggio, come poteva sconvolgerle la vita, sull’uomo che amava.
Come poteva dirgli che ogni fasciatura del suo corpo era dovuta al padre.
Provò a distogliere quel pensiero sinistro dalla sua testa.
Cercò di trattenere le lacrime e di rilassare i nervi.
I suoi occhi per qualche strano motivo si fermarono ad osservare la pancia della madre.
Con tenerezza, si chinò e accarezzò con entrambe le mani quella rotondità.
“Ciao fratellino!” esclamò contento.
Con dolcezza baciò il ventre materno.
Sorrise sentendo il fratellino muoversi.
Non era ancora nato, ma Balthazar già adorava quella piccola creatura.
“Come stai oggi Salomon?” domandò buono.
Ogni giorno Balthazar gli rivolgeva quella domanda come se la pancia potesse rispondere.
“Salomon?” chiese la mamma stupita.
Balthazar annuì e aggiunse:
“Sì! A lui piace questo nome!” affermò con un sorriso.
“Senti?” disse prendendogli la mano e poggiandola sul ventre.
“Salomon!!!” chiamò di nuovo.
Il piccolino all’interno iniziò a muoversi con gioia.
“Ma sentilo…è come se…si stesse esibendo in una marea di capriole!” scherzò la madre.
“Salomon!” chiamò lei con dolcezza, accarezzandolo piano.
Il piccino sembrò quasi accoccolarsi alla carezza morbida della madre.
“Mamma.” chiamò piano Balthazar.
“Sì tesoro mio?”
“Devi andare oggi via con zio Brook?” chiese nascondendo la sua voce tremolante.
“Purtroppo sì amore mio.” confesso un po’ abbattuta.
“Ma vedrai una settimana passerà presto…” l’incoraggiò la madre.
“…e poi Brook verrà a farti compagnia di tanto in tanto, no?” chiese con fare curiosa.
“Sì…”
“Quando Brook, ti fa una promessa la mantiene sempre, giusto?”
Il giovanotto annuì, lasciando trasparire un timido sorriso.
“Vedrai amore mio, andrà tutto bene, il bambino starà bene, non rischierò più di perderlo, e presto potrai tenere tra le braccia il tuo fratellino.” gli sorrise con affetto la madre.
Balthazar sembrò rabbuiarsi ancora di più.
“Balthazar, amore mio, non è stata colpa tua, non ho rischiato di perdere il bambino perché tu ti sei sentito male, è una cosa che doveva succedere piccolo della mamma, hai capito?”
Balthazar annuì, senza riuscire a dire nulla, la sua voce poteva tradirlo in quel momento.
“Hai un cuoricino debole, ma tu non hai colpe…andrà tutto bene.”
Balthazar accennò un sorriso timido.
“Sì mamma, starete benissimo tutti e due!” affermò ottimista Balthazar.
“E forse dopo riuscirò a dirti tutto, mamma.”
“Riuscirò a dirti del papà che mi detesta e odia, soprattutto da quando ha saputo del mio amato fratello.”
“Riuscirò a dirti che quell’uomo che da prima mi ha cresciuto come un figlio donandomi amore e affetto, ora vuole solo rendere la mia vita, un inferno.”
“ Riuscirò a dirti che quell’uomo mi sta uccidendo pian paino solo perché non sono il figlio che dovrei essere.”
“Riuscirò a dirti che soffro in silenzio…solo perché temo , che possa far del male anche a te mamma…ho paura che possa prendersela con te, e picchiarti…e questo non lo permetterò mai…non permetterò mai che ti tocchi…”
“Non toccherà mai né la mia mamma, né mio fratello!”

La testa cominciò a girare di nuovo.
Balthazar iniziò a sentirsi stanco.
Con cura si sdraiò accanto alla madre.
Sistemò le gambe e con attenzione poggiò l’orecchio destro su quella pancia, a lui tanto cara.
Fece in modo che il braccio sinistro ancora sofferente poggiasse sulla morbida superficie del divano.
“Stai bene tesoro mio?” chiese piano la mamma, accarezzandogli i capelli.
“Sì! Sto bene!” affermò piano, coccolando la pancia.
E per una volta aveva dichiarato la verità, stava davvero bene in quel momento.
Era sereno, e riusciva a respirare un’aria piacevole e carica d’amore.
“Il mio bellissimo, dolce e speciale Balthazar!”esclamò lei accarezzandolo.
“E il mio piccolo e vivace Salomon!” affermò con un sorriso, fermandosi sull’altro figlio.
Balthazar sorrise, e con quelle ultime parole che gli echeggiavano in testa, tra una carezza e l’altra della madre, e il movimento dolce e attivo del fratellino, chiuse gli occhi e si addormentò.
 
Quello stesso pomeriggio mia madre si ricoverò in ospedale, e una parte del mio cuore malato, si unì a lei.
____
 
“Mia madre tornerà presto.” pensò Balthazar fiducioso.
Si accoccolò nel letto, e cercò di rimanere sveglio.
Voleva aspettare Brook.
In quel momento era solo, con suo padre.
E Balthazar sapeva bene cosa poteva succedere in quegli attimi.
Gli occhi si aprivano e si richiudevano rendendo inconoscibile la stanza.
Era tutto così confuso.
Sembrava sotto anestetici.
In quella strana atmosfera, notò che la porta, era rimasta socchiusa.
 
“ Brook, posso chiederti un favore?”
“Ma certo!” ripose sorpreso il dottore.
“Puoi chiudere la porta?”
Il medico guardò prima l’ingresso, poi tornò sul ragazzino con una faccia stranita, come per dire: “Ma Balthazar è appena accostata di pochi centimetri, che fastidio può darti!”

“Per favore!” supplicò il ragazzo, capendo l’espressione dell’amico.
Brook non voleva fare domande, così si avvicinò all’apertura e chiuse la porta.
“Va bene così?” chiese voltandosi verso il piccolo.
“Puoi chiuderla a chiave senza far rumore?”
A quella triste richiesta, Brook capì che il terrore del piccolo nei confronti del padre, era totale.
Fece scattare la serratura con estrema attenzione.
“Grazie mille!” pronunciò infine Balthazar.

 
“Perché non l’ho chiusa!” pensò d’impatto.
Si sottrasse dal caldo delle coperte.
Dolorante, debole e probabilmente con un po’di febbre, si alzò dal letto.
Poggiò i piedi nudi per terra, e iniziò la sua camminata incerta.
La maniglia fredda della porta entrò in contatto con la sua mano caldissima.
La porta si chiuse piano, come tutte le sere.
La mano del piccolo afferrò la chiave, e mentre la stava girando nella serratura:
“Che cosa stavi facendo Balthazar, eh!” esclamò severo.
Balthazar rimase di sasso, paralizzato davanti alla porta spalancata.
Capelli d’acciaio, occhi scuri, pelle chiara.
Paura.
“M-m-mi dispiace…” riuscì a farfugliare.
Era nel panico più totale.
Il ragazzino impietrito e spaventato, indietreggiò atterrito.
Ma era talmente stanco e spaventato, che inciampò tra i suoi piedi.
Cadde a terra, colpendo con violenza il fianco e la spalla sinistra.
Strinse i denti.
Ancora allarmato, si allontanò aiutandosi con i gomiti.
Le gambe gli tremavano troppo per aiutarsi anche con quelle.
“Mi dispiace…non succederà più…”
Gli occhi del ragazzo, erano così vacui e spenti.
Irrigiditi dalla paura.
“….Perdonami…” pronunciò ancora.
Si vide alzare una mano contro.
Ecco lo sentiva.
L’odore della paura, stava inebriando la stanza.
Balthazar stava già annusando l’odore del suo sangue.
Non poteva fare molto, nelle condizioni in cui si trovava.
Affaticato e impaurito, si limitò a proteggere il volto.
“Perché esita così tanto?” pensò Balthazar, non sentendo nulla.
Il dolore attardava troppo, nel venire.
Si sentì prendere con delicatezza una mano.
E qualcuno con la stessa dolcezza gli accarezzò la guancia.
“Stavo scherzando Balthazar…scusami!”
Rimase meravigliato.
Quella voce non era di suo padre.
Abbassò le braccia, e si costrinse a guardare avanti.
Il volto severo di suo padre interferì, con quello dolce e spaventato di Victor.
“Brook!” esclamò il piccolo stupefatto.
“Sì, sono io!” disse il dottore con un sorriso caldo.
La mano del medico scivolò lontano dalla guancia del ragazzino.
“Non credevo di spaventarti tanto!” ammise con tristezza.
Balthazar fece di tutto per trattenersi dal piangere.
Ma la tensione, la paura, e la stanchezza ora erano davvero troppi, non riusciva più sopportarli.
Demoralizzato, si gettò tra le braccia del medico.
Scoppiò in lacrime, con una paura matta nel cuore.
“Balthazar…” lo chiamò piano il tutore.
Odiava vederlo ridotto in quel modo.
Ignorando lo sforzo fisico, l’alzò da terra, e l’abbracciò forte.
Infondo il suo corpo fragile e magro non pesava poi molto.
Iniziò a sperare che almeno quell’abbraccio gli donasse un po’ di conforto e coraggio.
Ma Balthazar non smetteva.
Continuava a stringere il cappotto lungo del medico, senza dare freno alle lacrime.
Brook si lasciò invadere dalla rabbia.
E con quella stessa arrabbiatura, colpì con un calcio la porta.
Il tonfo dell’ingresso risuonò nella casa. Ma Brook ignorò quel rumore.
Un altro gli stava tormentando le orecchie.
Quel pianto continuo gli stava lacerando il petto, come una serie di pugnali, conficcati uno a uno.
Il dottore, cercò invano di consolarlo.
Sembrava che le carezze continue e l’abbraccio protettivo non servissero poi a molto.
“Sta tranquillo Balthazar…è tutto a posto…” cercò di tranquillizzarlo il medico.
Balthazar si stava affaticando davvero tanto e Brook riusciva a sentirlo.
“Balthazar…non dovresti sforzarti così tanto!” gli sussurrò.
Senza lasciarlo, continuando a sorreggerlo, l’accompagnò vicino al letto.
L’aiutò a sedersi, e gli si sistemò accanto.
Ma Balthazar non riusciva a staccarsi da lui.
Continuava ad abbracciarlo, senza smettere di singhiozzare.
Brook lo strinse di nuovo, sfiorandogli con dolcezza la schiena.
“Rivoglio mio padre Brook!” pronunciò piagnucolando.
“Voglio il mio papà!”
“ Lo so Balthazar!” esclamò buono il medico.
“Ti capisco!” affermò poi.
E lo capiva per davvero, anche lui, rivoleva indietro il suo migliore amico, che era stato un tempo.
Chissà cosa era successo per cambiarlo a quel modo?
Il medico con delicatezza allontanò il piccolo da lui e gli sfiorò le guance bagnate.
Il dottore gli coccolò un po’ capelli.
Voleva farlo sentire meglio.
Ora che le lacrime, stava smettendo pian piano, voleva solo calmarlo.
“Ascoltami piccolo…” iniziò Brook alzandosi dal letto.
Gli coprì le gambe, e gli stropicciò il cuscino.
“…Sei troppo stanco per permetterti un’ora così tarda…”.
“…Non ti fa bene alla salute…”
“…Hai bisogno di riposo!” esclamò alla fine.
Balthazar scosse il capo, impaurito.
“No. Non voglio!” disse il ragazzino impaurito.
“Balthazar…!”
“Brook ti prego, ti prego!”
 “No Balthazar! Hai bisogno di dormire!”
Cercò di farlo stendere, ma il ragazzino si ostinava a non mettersi giù, e alla fine Balthazar gli fermò le mani, supplicandolo di nuovo.
“Ascoltami Balthazar…” disse il medico fermandogli il volto.
“Guardami!” disse costringendolo a guardarlo negli occhi.
Schioccò le dita prima di parlare di nuovo.
Entrambi sentirono la porta chiudersi a chiave.
“La porta è chiusa, ed io sono qui accanto a te …sta tranquillo!”
“Ho paura!” esclamò il ragazzo.
“E di che cosa Balthazar?” domandò il medico con sorriso caldo.
“Ci siamo solo io e te in questa stanza…nessuno può farti del male!”
Sistemò le coperte, e l’aiutò a sdraiarsi.
“Hai capito Balthazar?” domandò gentile il medico, accarezzandogli il volto.
Il ragazzino annuì.
“Sì, ho capito!”
Senza dire nulla, Balthazar afferrò la mano del medico.
“Non te ne andare!” sussurrò triste.
“Non vado da nessuna parte!”
“Ti starò vicino tutta la notte!”
Accennò un sorriso:
“Posso rimanere un po’ così, per favore.”
La mano tremò un po’ in quella calda del medico.
“Se ti aiuta, puoi stringermi la mano, tutte le volte che hai paura!” affermò il medico guardandolo con affetto.  Afferrò la sedia della scrivania, e si mise seduto accanto al ragazzino, senza lasciargli mai la mano. Appena si fu accomodato, involontariamente iniziò ad accarezzargli il dorso, con il polpastrello del pollice.
“Dormi tranquillo Balthazar!”
“Ci sono io qui!”
____
 
Ma rimase solo per quella notte. La sua protezione durò solo un giorno, perché quando un medico ha un’emergenza, deve correre qualunque siano le circostanze.
Doveva andare anche se questo voleva dire, lasciarmi solo con…
 
“Ti piace Katherine?” chiese ancora Balthazar.
Brook gli sorrise con affetto, e chinandosi verso di lui, gli mormorò all’orecchio:
“Non è affar tuo, signorino!” scherzò il dottore.
Balthazar sorrise e guardò Brook allontanarsi, diretto nel piccolo salotto.
Si sistemò e chiuse l’impermeabile, compreso di cappuccio.
E rimase lì fermo, a guardare Brook che parlava con la sua ragazza, non capiva cosa stavano dicendo ma comprese che l’argomento era lui, perché Brook, molto spesso indicava il piccolo, voltandosi appena.
Alla fine della chiacchierata, vide la ragazza annuire, e Brook con estrema dolcezza, le accarezzò il capo e le baciò la fronte. Sorrise con amore, apprezzando il fatto che la sua ragazza avesse capito la situazione, e che avesse mostrato buon cuore. Era una ragazza così tenera e carina.
“Torno presto!” gli sussurrò infine.
Le prese le mani, e lentamente gli sfiorò le labbra.
“Fai la brava bimba, va bene?” scherzò Brook sfiorandogli una ciocca di capelli.
Lei arrossì appena, ma con uno sorriso dolce, annuì.
Brook si costrinse ad allontanarsi da lei, con un simpatico occhiolino.
Ritornò in sala da pranzo e si avvicinò all’attaccapanni.
“Vieni Balthazar, possiamo andare!” affermò Brook, facendogli segno di avvicinarsi.
“Brook, posso farti una domanda?” chiese il piccolo, una volta vicino all’amico.
“Ma anche due se vuoi!” rispose Brook, infilandosi il suo d’impermeabile avana.
“Credi  che io sia un incapace e una persona inutile?”
“Oh no, Balthazar…non è assolutamente così!” affermò Brook chiudendo l’ultimo bottone.
Ma il bimbo non sembrava molto convinto, tant’è che abbasso il capo pensieroso.
Brook, si sistemò il risvolto del soprabito, e poi si inginocchiò di fronte al piccino.
“Balthazar ascoltami…tu non sei un incapace…tu sei il bambino più forte e coraggioso che conosco…non c’è nessun’altro con la stessa forza che possiedi tu.”

“Non sei un uomo e non sei ancora adulto, sei solo un ragazzo che ha ancora un sacco di tempo per crescere, e per imparare dal resto del mondo.”

 
Ma purtroppo Bryan, non mi aveva mai visto in questo modo, ero sempre stato inutile, d’intralcio, un peso e uno stupido di fronte ai suoi occhi…
Ed essendo io per lui solo un estraneo debole, e non degno di vita, “meritavo” solo una cosa…
“Meritavo” solo di essere…
 
Quella stessa sera, rimasto da solo con l’uomo che chiamava padre, Balthazar stava combattendo con il suo stesso stomaco.
Respirò a fondo, cercando di ignorare l’amaro in bocca.
Poi si decise a bussare a quella maledetta porta.
Aspettò per un secondo.
“Entra!” si sentì dire con disprezzo.
Respirò un ultima volta, sapendo di essere costretto ad affrontare il suo triste destino.
Entrò in quella dannata stanza che conosceva bene.
Bryan non si accorse neanche della sua presenza, rimase impassibile, davanti alla sua scrivania, seduto al suo posto.
Balthazar non aveva il coraggio di guardarlo, ne tanto meno di confermare la sua presenza.
Non aveva l’ardire di guardarlo in volto.
Non aveva la forza di affrontarlo.
Non l’aveva mai avuta.
Lì, in quella stanza, in quel momento, era solo, privo di ogni speranza.
Lui e il suo eterno terrore.
Lui e il buio che presto avrebbe visto.
Lui e il suo dolore, che presto l’avrebbe avvolto.
 
Aveva, e ha sempre avuto il controllo su di me, ero completamente soggiogato al suo volere, sottomesso ai suoi capricci, incapace anche solo di mentirgli, piegato e obbediente come un cane, impotente di agire e reagire di fronte a lui, senza diritti, e senza la possibilità di decidere, e io stupido, convinto che quel dolore era utile alla mia formazione e alla mia educazione. Convinto che quelle punizioni, erano l’unico mezzo per riavvicinarmi a mio padre, l’unico modo per ottenere il suo perdono, di fronte alle mie continue delusioni…
L’unico modo per avere un po’ di quell’affetto perduto, l’unico modo per credere che quell’uomo mi volesse ancora bene.
 
Solo Brook, dopo troppo tempo è riuscito ad aprirmi gli occhi, e solo dopo tanto tempo, ho capito che tutto quello era sbagliato, che non ero io lo stolto e l’ignorante.
Era quell’altro ad essere folle.
 
Continuò a fissare il pavimento, cercando di frenare il tremore che sentiva dei muscoli.
Le sue mani strette come sempre, le unghie conficcate nella pelle.
Finalmente Bryan alzò gli occhi sul ragazzino.
Sbuffò irritato.
“Io, che cosa devo fare con te?” chiese con rabbia.
Si alzò dalla sua sedia, che strusciò con violenza per terra e si avvicinò al piccolo, che trasalì all’istante. Un grave errore.
“Tks, sei così imbarazzante!” l’offese.
Il piccolo deglutì e annuì con il capo.
“Sì…” mormorò piano.
“Attento a quello che dici…io non ti ho ancora permesso di parlare!” affermò contrariato.
Il ragazzino chinò di più il capo, e si morse il labbro inferiore.
 
Avevo solo quattordici anni, ma di fronte a quell’essere, dimenticavo che stavo diventando uomo, e ritornavo a essere bambino.
Un bambino troppo piccolo e spaventato.
 
“Lo sai perché sei qui? Rispondi.” chiese dopo con fare annoiato.
“Perché ho commesso errori in quest’ultimi giorni, troppi…e non vi ho reso fiero di me…ho sbagliato.”
“E perché hai sbagliato?” domandò ancora seccato.
“Perché non sto mai attento, e non faccio come mi viene detto.”
“Quante volte mi devo ripetere con te?” osò indispettito.
“Non vuoi proprio ascoltarmi?!” osò ancora.
“Mi dispiace padre…non era mia intenzione…”.
“NON OSARE CHIAMARMI COSI’, PICCOLO STUPIDO!!!” tuonò Bryan sdegnato.
Il primo schiaffo bruciò all’istante la guancia destra di Balthazar.
“TU NON SEI MIO FIGLIO, SEI SOLO UN BASTARDO INUTILE!!!” concluse adirato.
Il seguente schiaffo, colpì la guancia opposta, per punire l’errore che la bocca del piccolo aveva commesso. E malgrado il dolore, Balthazar fu costretto a trattenere le lacrime.
Sapeva bene cosa sarebbe accaduto se solo una lacrima avesse sfiorato la superficie del pavimento.
 
Il mio fianco e il mio stomaco ricordavano fin troppo bene i suoi calci.
 
“Dì la verità, ti diverte umiliare me e mia moglie?” lo rimproverò con ferocia.
“No Signore…” cercò di rispondere, frenando il tremore della voce.
“GUARDAMI IN FACCIA QUANDO RISPONDI, NON HAI TUTT’ORA CAPITO COME PORTARMI RISPETTO, PICCOLO IDIOTA?” lo riprese di nuovo.
L’afferrò per la camicia, e con uno strattone, l’obbligò ad alzare il volto.
La stretta ferrea, quasi impediva il respiro a Balthazar.
Gli occhi terrorizzati del piccolo, fissi in quelli rabbiosi del padre.
Se si azzardava a chiuderli, ci avrebbe pensato la mano arrabbiata di quell’uomo a ricordargli che cosa poteva o non poteva fare.
“Allora la cosa ti diverte?” chiese di nuovo con lo stesso tono duro di prima.
“No, signore!” rispose lesto Balthazar.
“Allora ti prendi gioco di me?”
“No…”
“Ti rallegra il fatto deludermi e di mortificare mia moglie?”.
“No signore, dovete credermi…”
“Su che cosa dovrei crederti?” domandò quasi con derisione.
“Perdonatemi, non accadrà di nuovo…”
 “Che cosa me ne faccio io delle tue scuse?” affermò con tono freddo.
“Vi prego… farò più attenzione…m’impegnerò di più…sarò impeccabile…non sarò più fonte di guai…sarò perfetto come voi avete sempre desiderato!”.
“Tu non vuoi ascoltarmi, non vuoi capire, non rispetti me e le mie regole, non rispetti le persone che vogliono darti un minimo di educazione e insegnamento, sei debole e fragile, una vergogna, sei un continuo fallimento, una disgrazia!”
“Ma adesso t’insegnerò io a ritornare al tuo posto.” minacciò con un sorriso sinistro sul volto.
“Vediamo se la prossima volta mi ritorni a casa con una misera sufficienza, e se osi nuovamente tardare nel rientrare a casa, non ti ho dato delle regole perché mi diverto, mi hai capito?”.
 
Solo l’ennesima scusa per punirmi…ero castigato per molto meno.
Il suo limite di pazienza e di sopportazione erano molto bassi.
E per questo il mio corpo e la mia mente soffrivano spesso.
Quasi quotidianamente.
 
“Sì signore…”
“E visto che i normali metodi con te non funzionano, ne utilizziamo un altro!”
“Sì signore.” ripose serio il ragazzo.
Ma dentro di se il cuore aveva smesso di battere, dalla paura.
Bryan prese dalla scrivania l’arma per la punizione del piccolo.
La tese fra le mani.
“Forza non farmi perdere tempo.” affermò con ripugnanza.
“Devo impartiti la lezione che ti meriti!”. Sorrise compiaciuto per quello che stava per fare.
“Sì, è quello che mi merito.” acconsentì in un sussurro.
 
Sì, era la mia frase di circostanza. Perché ero davvero consapevole di meritarmi le lezioni violente che quel maledetto uomo m’impartiva, senza battere ciglio.
 
“Le regole le ricordi, vero?” chiese con scherno.
“Non mi è permesso piangere né urlare, e in oltre mi è proibito supplicarvi di smettere!”
Bryan sorrise soddisfatto.
“Muoviti allora.” gli ordinò ammiccando verso la camicia.
Balthazar annuì, e sbottono il colletto.
Poi i restanti bottoni, fin quando la camicia bianca non scivolò ai suoi piedi.
Deglutì impietrito, mentre poggiava le mani al muro e donava la schiena al suo castigo.
Gli mancava il respiro e i suoi muscoli erano tesi al massimo.
Chinò il capo e attese.
La prima frustata non tardò ad arrivare.
 
Il primo colpo non tardò ad arrivare.
Strappandomi la pelle, lacerandomi la carne che subito prese a sanguinare.
 
E assieme ad essa, una continua sofferenza, soffocata da lacrime e gemiti silenziosi.
 
E quando ebbe finito con me, credetti di sfiorare la morte con un dito.
Rimasi lì, per terra, come l’animale che secondo quell’uomo, io ero privo di sostentamento, raggomitolato tra il mio sangue e il mio dolore.
E quando Brook fu il testimone di quello scempio, fece quello che il suo cuore gli aveva chiesto di fare dalla prima volta.
 
Assistetti alla sua furia silenziosa.
Dicono che c’è una prima volta per tutto.
Io per la prima volta vidi la rabbia del mio tutore e l’odio che provava sfogarsi sul corpo dell’individuo che mi aveva terrorizzato per cinque anni.
 
“Se osi avvicinarti di nuovo a Balthazar, a Daphne o al figlio che porta in grembo, io giuro sulla mia vita, che ti ammazzo con le mie mani”.
 
Quella notte, Bryan, sparì per sempre dalla mia vita, accusato per i crimini commessi.
 
 
Un odore nuovo, che non sapeva di vomito e sangue, invase le narici di Balthazar.
Aprì gli occhi con fatica, solo per guardarsi intorno.
Il letto in cui si era addormentato, era scomodo e duro.
Talmente duro, che il fianco su cui stava riposando si era intorpidito.
E poi le bende erano troppo strette.
Avvolgevano tutto il torace, nascondendo il petto e la schiena, stringevano il collo e le spalle.
In alcuni punti anche le braccia e le gambe erano fasciate.
Appoggiò la mano sul materasso, per provare a mettersi di schiena.
Ma si fermò, perché appena la mano sfiorò il materasso, una fitta di dolore percosse tutto il braccio, raggiungendo la schiena, lasciandolo senza fiato.
Balthazar fu costretto a serrare gli occhi, e a lasciare che l’aria ritornasse con forza nei suoi polmoni per alleviare un po’il male.
“No, non ti muovere!” si sentì dire con premura.
“Altrimenti sposterai la flebo.” gli spiegò.
Un volto dolce, ma terribilmente preoccupato incrociò gli occhi di Balthazar.
 
Fin da quando ne ho memoria, Brook c’è sempre stato.
 
“Brook, lo sai che detesto la flebo.” gli rispose calmo, rimettendosi giù.
“Lo so, ma non c’era altra scelta…oppure…” il dottore non concluse la frase.
In tutta risposta si asciugò l’occhio destro.
Balthazar rimase a bocca aperta, fermandosi ad osservare la scena.
“Che cos’ha, sta male?” si chiese preoccupato.
Ma non ebbe modo di chiederglielo, il primo a parlare fu il suo tutore:
“Come ti senti?” gli chiese poi avvicinandosi al letto.
La mano dolce di Brook gli accarezzò i capelli appena zuppi, spostandoli con affetto dalla fronte ormai tiepida.
“ Mi fa male il corpo…è tutto indolenzito…” cercò di spiegarsi.
Brook sorrise lieve di fronte alla spontaneità del piccolo, anche se i suoi occhi erano terribilmente lucidi.
“Ti do una mano a metterti seduto, vuoi?”
“Sì…per favore.” rispose educato il ragazzino allungandogli la mano.
Il medico gli sorrise di nuovo, anche se dentro di sé si sentiva morire per la colpa.
Balthazar si mise seduto, facendo attenzione nel sistemare le gambe stanche.
“Perché non ti sei ribellato?” chiese Brook cercando di nascondere la rabbia che gli ribolliva dentro, e l’angoscia che provava per il ragazzino.
“Non ce n’era bisogno.” rispose Balthazar massaggiandosi l’addome insonnolito.
“Come hai potuto sopportarlo senza fare niente?” chiese il medico preoccupato.
“Che cosa avrei potuto fare…ero paralizzato…dalla paura.” confessò vergognandosi di se stesso.  Brook ebbe il coraggio di vedere come Bryan aveva ridotto quel piccolo.
Il ragazzino che tanto adorava, era quasi irriconoscibile.
Il volto livido, la fronte ferita all’altezza dell’occhio, il labbro rotto in più punti, il naso che di tanto in tanto si ricordava di sanguinare, vecchie bruciature sulle braccia, e segni irregolari misti ad arrossamenti e tumefazioni sul restante corpo.
La schiena martoriata, dall’ultima punizione ricevuta, talmente dura che ancora sporcava le bende che cercavano di risanare il danno. Brook espirò a fondo per cercare di controllarsi.
“Perché non me l’hai detto Balthazar…sarei rimasto con te.” gli disse accarezzandogli la guancia, per conforto.
“Era giusto così.” rispose sereno Balthazar.
Il cuore del dottore si ruppe.
“Giusto?” chiese senza riuscire a capire.
“Certo Brook, io meritavo di essere punito…”.
Il cuore ormai sfinito del medico si sbriciolò, e la sua anima pianse.
 
“Come si può essere così convinti di questo?”
“Come si può accettare un tale destino senza replicare?”
“Come si può essere così obbedienti, senza reagire?”
 
“Con quale coraggio un uomo può fare questo ad un bambino?”
 
“Tks…un uomo…sarebbe ingiusto anche chiamarlo animale.”

 
“No-no-no Balthazar!” lo fermò il medico, scuotendo il capo.
Gli afferrò le mani chinandosi protettivo su di lui.
S’inginocchiò davanti a lui.
Incrociò gli occhi argenti del giovane e affermò di nuovo:
“Nessuno merita quello che tu sei stato costretto a subire!”.
“Brook…era solo per il mio bene!”
“Non era per il tuo bene!” esclamò nervoso e irritato da quella convinzione che gli avevano messo in testa per forza.
“E se hai sofferto così tanto, è stato solo per colpa mia!” concluse mentre una lacrima abbandonava il suo occhio.
“Non è vero…tu mi hai aiutato... mi hai dato una mano.” gli disse tranquillo il bambino.
“No, è stata tutta colpa mia.” affermò di nuovo stringendo più forte le mani del piccolo.
“Brook, l’hai fatto per la mamma e per Salomon, l’hai fatto per me.” gli ricordò Balthazar.
“Potevo farlo per voi, in modo diverso, potevo fare da subito la cosa giusta, e starti vicino…starvi vicino per affrontare il momento…”. Affermò versando altre due lacrime.
“E invece non l’ho fatto, sono stato un codardo!”. S’insultò alla fine il medico.
Chinò il capo, senza allentare la presa su quelle mani che erano state costrette a parare così tanti colpi, e a stringersi così tante volte per la paura.
“Sono una persona orribile!” singhiozzò disperato.
Brook si strinse nelle spalle, e pianse di nuovo.
“Mi dispiace!!!” urlò disperato.
Il medico nascose il suo volto sulle gambe del bambino, lasciando libero sfogo al pianto.
“Perdonami!!!” gridò di nuovo.
Pianse più forte, bagnando le mani del bambino.
“Balthazar, ti prego, perdonami!!!”
Balthazar rimase impietrito di fronte a quella scena.
Deglutì smarrito.
Appoggiò una mano sulla spalla del medico che continuava a piangere, per lavar via le sue colpe.
“Brook, tu non hai fatto nulla di male, perché mi chiedi perdono?” cercò di capire Balthazar.
Ma non giunse mai risposta, c’erano solo lacrime continue.
“Brook…” sussurrò il bambino.
Balthazar deglutì un ultima volta, prima di stringere in un abbraccio delicato il dottore.
L’avvolse con la speranza di donargli sostegno.
“Non hai fatto nulla di male Brook.” gli disse di nuovo piano.
Il bambino versò solo una lacrima, nascondendo il suo volto mortificato accanto a quello del tutore, distrutto dal dolore.
Aveva causato una sofferenza indescrivibile a quella persona che l’aveva sempre protetto.
 
Quella fu la prima volta che vidi Brook piangere.
E solo allora mi resi conto che avevo chiesto tanto, ad un uomo troppo buono.
Avevo chiesto un enorme sacrificio al cuore di una persona che mi vuole bene per quello che sono.
Gli avevo chiesto di mantenere un segreto più grande di lui.
Brook in quello stesso giorno m’insegnò che le lacrime possono essere versate anche per amore.
 
La mia schiena, riporta ancora le cicatrici di quella tremenda notte.
 
 
 
Note dell’autrice:
ç___ç Lo so…è crudeltà allo stato puro!!!
Ma vi avevo avvertiti…e poi non è colpa mia…T^T…io non farei mai così male al mio angioletto!
Questo capitolo è stata la mia crociata personale…lo detestavo ancora prima di pensarlo!
E una volta concluso, ci ho messo un po’ per decidere di ricorreggerlo!
Ma la cosa brutta, è che nel romanzo, scene di questo genere, ce ne saranno fin troppe, dure più o meno allo stesso modo! Ç_ç Povero il mio tenero Balthy!!!
Ora mi odiate, vero?!?
Ecco io lo sapevo… :(
Ma vi prego, vi prego  <(_ _)>…non odiate Balthazar…cercate di capirlo…Bryan l’ha reso suo schiavo, ed è talmente “mortificato” dal padre, che gli obbedisce senza storie, è sotto la sua completa volta, ma solo per paura…agisce in modo automatico, solo perché ormai conosce già la conseguenze, ed evita di peggiorare la situazione…dai, non ha neanche il coraggio di guardarlo in volto per timore…come potete detestare questo piccino dal cuore grande?! Non reagisce, è vero, ma voi che avreste fatto al suo posto, eh?
E Brook, avrebbe fatto l’impossibile da subito…lo sapete…ma era combattuto tra la cosa giusta da fare e la promessa fatta al suo piccolo amico!
Cercate di perdonarli…non hanno fanno nulla di male! o__O
Ah, dimenticavo le piccole spiegazioni:
- Daphne: Sì, qui per la prima volta compare la madre di Balthy. Non è bellissima? Io l’adoro!!!
E anche se non sa nulla su ciò che succede al figlio, credetemi se vi dico che lei è la prima a voler vedere il marito morto per ciò che ha fatto. Qui non lo dico, ma questo è il periodo in cui lo scopre, e la storia d’amore tra due finisce per sempre! (Anche per la mia felicità)
- Salomon: Sì, il nome del nascituro, è stato scelto da Balthazar. ;)
- Zio: Balthazar dopo aver confessato gli abusi del padre al medico, inizierà a chiamarlo zio, solo per affetto!
- Febbre: Nel romanzo in questa scena Balthazar aveva per davvero la febbre alta, ma qui avendo riadattato il racconto, ho preferito che fosse solo tanta stanchezza, dovuta all’assenza della madre.
- Porta: Balthazar dopo la prima volta che il padre l’ha picchiato, ha preso il vizio a chiudersi a chiave, e anche se qui non lo dico, quelle porta è stata sfondata un paio di volte…ecco perché tanta agitazione quando viene spalancata di getto.
- Brook: Qui purtroppo ha raggiunto il suo limite di sopportazione tant’è che minaccia e “rimette in riga” Bryan…ma tutto questo non serve ad attutire il suo senso di colpa.
- Perdono: Balthazar non riesce a capire dove il tutore abbia sbagliato, per lui è un eroe, che l’ha protetto e tenuto al sicuro.

Nel titolo, una è tra "...", perchè magari fosse stata solo una punizione!

Alla prossima! ;)
Bacio ^3^
Chris


  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Christine_Heart