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Autore: Writer96    23/09/2012    9 recensioni
Si tratta dei Missing Moments (o dei cambi di POV) della storia "10 things I didn't give to you".
Come si sono conosciuti Alice e Louis?
Cosa è successo durante la fatidica telefonata tra Liam e Hayley?
Chi erano i personaggi PRIMA della storia?
Cosa succede dopo l'epilogo?
Non si esclude un possibile seguito.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Liam Payne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '10 Things I didn't give to you'
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La scena si ambienta prima del prologo.
Non vi svelo su che cos'è. ;)




HAYLEY’S POV

Quando incontri una persona speciale, di solito, nemmeno te ne rendi conto.
Quella persona ti entra pian piano nel cuore e solo dopo giorni, mesi o addirittura anni capisci quanto sia importante per te.
Ma quando incontri una persona che non solo è speciale, ma che addirittura è fondamentale per la tua esistenza, beh, allora lì è ovvio che tu te ne accorga.
 
Ero sveglia esattamente dalle cinque meno un quarto di mattina, reduce da una nottata praticamente in bianco e le mie tre ore di sonno spiccavano bellamente sulla mia faccia sottoforma di occhiaie decisamente marcate. Mi spostai davanti allo specchio di casa mia, sospirando e sbuffando perché neanche il correttore più potente, quello verde, che in teoria sarebbe dovuto riuscire a mascherare addirittura un succhiotto, riusciva a coprire la linea violacea sotto i miei occhi e posai il piccolo contenitore circolare sull’orlo del lavandino, mentre afferravo la spazzola sperando almeno di riuscire a dare una forma decente ai miei capelli.
Non avevo idea del perché qualcuno avesse ideato quella gita. Era la cosa più stupida che, in quattordici anni di sofferta vita, ero stata costretta a fare: una gita di una sola giornata in occasione di un nuovo museo sulle valigie –sulle valigie, accidenti!- inaugurato da poco in un paese distante due ore di pullman da Londra. Praticamente, avrei passato tutta la giornata in autobus, salvo quei brevi momenti in cui avrei ammirato la forma delle valigie cambiare attraverso i secoli da dietro un vetro antisfondamento.
Non che avessi qualcosa contro le valigie o contro i musei in generale, ma trovavo che tutta l’iniziativa fosse inutile, a meno che gli insegnanti non avessero come scopo quello di farci sbranare l’un l’altro in preda al sonno e all’irritazione di chi ha dormito troppo poco.
Nell’uscire dal bagno mi scontrai con mia madre, che mi squadrò da dietro gli occhiali da vista che usava quando non faceva in tempo a mettersi le lenti, una mano sul fianco sinistro e l’altra che reggeva la mia giacca di simil-pelle nera con impazienza.

-Prova a indovinare...-cominciò a dire e io annuii, prendendo la giacca e sospirando, mentre tentavo disperatamente di far sparire la macchia di mascara che mi era venuta nel bel mezzo della guancia senza un motivo effettivo.
-Siamo terribilmente in ritardo...- mugolai, completando quello che mia madre stava per dirmi. Lei alzò gli occhi al cielo, ma sorrise anche e io corsi a prendere il vecchio zaino malconcio che usavo per tutte le gite. L’assenza di Sam sarebbe stata pesante, lo sapevo persino prima di partire. Ero abituata alla sua presenza in ogni momento della mia giornata, nonostante non trascorressimo tutto il tempo insieme e il pensiero di dover essere in una città lontanissima da lei e incapace di avere la mia piccola via di fuga personale in caso di pericolo mi mandavano in confusione.
Non avevo particolari speranze di divertirmi quel giorno: conoscevo troppo poco i miei compagni per sapere con quali stare e del resto, anche se l’avessi saputo, dubitavo fortemente che sarei riuscita  a legare con loro in una sola giornata.

Salii in  macchina trascinando i piedi per la svogliatezza e per il sonno e soffocai uno sbadiglio mentre tiravo fuori l’ipod e lo rimettevo nella borsa, troppo stanca e scoraggiata persino per ascoltare quel po’ di musica che mi piaceva. Guardai il paesaggio che filava dall’altro lato del finestrino e mi chiesi se la mia vita sarebbe stata sempre così, un guardare il paesaggio e l’esistenza altrui che scorrevano troppo velocemente perché io potessi seguirli o farne parte. Decisi che detestavo i finestrini e, anzi, che il vetro in generale non mi andava particolarmente a genio. Sapevo benissimo che era solo una reazione di insofferenza, dettata dalla stanchezza, dalla poca voglia e dai complessi adolescenziali che già cominciavano ad afferrarmi prepotentemente, ma se avessi potuto avrei preso un martello e distrutto quel sottile vetro che mi divideva dal mondo là fuori e avrei accolto con gioia la ventata di aria gelida che mi avrebbe sferzato il viso.
-Dormi?- chiese mia madre e io negai, scuotendo la testa, mentre mio padre lanciava una risatina che lasciava intendere quanto poco fosse d’accordo con la mia risposta. Mi capitava spesso di perdermi nei miei pensieri, di isolarmi dal mondo e di lasciare che gli altri si facessero un’idea su di me senza che io facessi niente per condizionarla.
-Tengo il telefono in silenzioso, facciamo che vi chiamo io, va bene?- borbottai e mio padre annuì, guardandomi dallo specchietto retrovisore e strofinandosi una guancia per dirmi di pulirmi. Ringraziai che non avesse fatto commenti sul mio telefono, perché se ne avesse fatti probabilmente avrei potuto iniziare ad urlare istericamente. Da due mesi- e senza che ci fosse una ragione precisa per farlo- il mio telefono aveva smesso di avere una suoneria. Non che prima ne avesse una chissà quanto bella ed originale, ma insomma, intanto esisteva. Ora produceva solo una lunga ed inquietante vibrazione per ogni chiamata e mi era capitato di vederlo finire per terra dopo aver saltellato sul dorso lungo tutto il tavolo.
L’avrei cambiato volentieri, se solo non fosse stato un telefono comprato da appena un anno, perciò me lo tenevo così e con il mondo usavo come scusa che preferivo tenerlo sempre acceso ma in silenzioso.

Non tentai nemmeno di ripulire la macchia di mascara e quando scesi dalla macchina era ancora lì, in bella vista, in mezzo alla guancia, sovrastata da una ciocca di capelli che senza alcuna ragione precisa era arrivata da dietro alla testa fino in mezzo alla fronte e con l’aria di chi voleva essere da tutt’altra parte. Mi sforzai di sorridere mentre mia madre mi abbracciava e mi salutava e mi chiesi ancora una volta cosa ci facessi io lì. Anche i miei compagni avevano la mia stessa aria e più di uno era concentrato sul proprio telefonino o Game-Boy ignorando totalmente gli altri o, al massimo, borbottando qualcosa sottovoce a proposito di scambi di armi o di Pokèmons. Una ragazza bionda mi sorrise e agitò una mano nella mia direzione, prima di tornare a parlare con i suoi genitori, gli occhi che si alzavano periodicamente al cielo e le mani svogliatamente infilate in tasca.
La conoscevo, faceva Francese e Letteratura con me e sembrava essere simpatica, nonostante non avesse quel senso dell’umorismo che tanto apprezzavo in Sam. Mi passai una mano tra i capelli, mentre mi sforzavo di pensare positivamente e di sorridere, benchè fosse qualcosa di alquanto stancante e complicato. Lasciai vagare lo sguardo qua e là e vidi un paio di ragazzi che parlottavano tra loro, tranquilli, con degli zaini poggiati ai loro piedi e l’aria di chi sta benissimo là dove si trova.
I capelli biondo scuro del più alto si mischiavano a quelli neri dell’altro e non riuscivo a vederli bene in faccia, ma nonostante ciò ero certa che stessero sorridendo e fossero gli unici a non essere completamente scontenti tra tutta quella gente.
La voce della professoressa Hadkirk mi distolse dai miei pensieri e la vidi mentre stringeva in mano un microfono collegato all’interno dell’autobus, i piedi divaricati e le spalle cascanti in avanti.
Provavo pena per quella donna che si era sforzata di organizzare tutto con così tanta meticolosità e aveva ricevuto così poca gratitudine o felicità in cambio.

-Ragazzi, sono la professoressa Angela Hadkirk e per questa gita mi occuperò di voi insieme al professore Bascard. Come saprete, dal programma che vi è stato distribuito in questi giorni a scuola, andremo a visitare il nuovissimo museo dedicato alle valigie come mezzo di rappresentazione del fenomeno dell’immigrazione. La gita è stata ideata anche per permettervi di migliorare i rapporti con i vostri compagni, una sorta di benvenuto da parte del nostro Liceo. Sappiate che non saranno tollerati atti di bullismo, fughe, persone che tenteranno di nascondersi e maleducati. Ci aspettiamo da ognuno di voi un comportamento corretto e responsabile. Ora prendete posto in autobus e ricordatevi che è vietato mangiare e bere mentre siete a bordo.-

Una massa di studenti, improvvisamente svegli e vispi rischiò di travolgerla, mentre tutti si accalcavano contro le porte automatiche del pullman e si spingevano l’un l’altro per riuscire ad ottenere una posizione migliore. Io rimasi indietro, semplicemente troppo pigra per provare a conquistarmi un posto. Sapevo benissimo che là dove mi sarei messa io –abbastanza avanti, né nel mezzo, né con il fiato sul collo dell’autista- non sarebbe andato nessuno, perciò non avevo fretta.
Entrai inciampando nella moquette logora che c’era sull’ultimo scalino e puntai direttamente ad una coppia di sedili in quinta fila ancora vuoti. Mi sedetti accanto al finestrino e buttai lo zaino sul posto accanto, iniziando a rimestare nella tasca davanti alla ricerca dell’ipod. Mi infilai solo una cuffietta mentre mi guardavo intorno. Delle ragazze avevano portato smalti e limetta per le unghie e tentavano di non farsi vedere dalla professoressa mentre decidevano quale smalto stesse meglio all’una o all’altra, mentre qualche sedile dietro di loro dei ragazzi –tra cui quello moro che prima sorrideva- avevano tirato fuori le carte e si erano messi in maniera di poter giocare. Una coppia si baciava sui sedili in fondo e io distolsi lo sguardo, mentre ripensavo con malinconia al sorriso di Joshua, che tanto mi piaceva e tanto ignorava la mia esistenza. Il ragazzo dai capelli biondo scuro che prima stava con il moro sembrava essere sparito e fu quasi avendo un infarto che scoprii che, mentre io me n’ero stata girata a scandagliare l’interno del pullman con lo sguardo, lui si era seduto vicino a me e ora stava sorridendo nella mia direzione.
Mi portai una mano al petto e lui scoppiò a ridere, la risata coperta in parte dalla voce di Billie Joe Armstrong che cantava a squarciagola in American Idiot. Tolsi la cuffietta con un gesto rapido e ne approfittai per sistemarmi i capelli, che di nuovo mi erano atterrati sugli occhi senza alcuna causa reale.
-Scusa, non volevo spaventarti!- fece lui, con la voce bassa e gentile che si intonava con gli occhi allungati color nocciola. Aveva un bel viso, tondetto e paffuto e un sorriso contagioso, per niente tirato. Il colletto della camicia sbucava da dietro il giacchetto nero di nylon e lo faceva sembrare molto più grande, nonostante i tratti ancora un po’ infantili.
-Ma no, figurati. Ero io che ero sovrappensiero...- dissi, agitando una mano e rischiando di cavargli un occhio.
-Posso sedermi qui?- mi chiese e io annuii, studiandolo mentre buttava uno zaino quasi completamente vuoto sopra il mio. Non sembrava particolarmente a disagio, ma nemmeno uno di quei ragazzi assolutamente sicuri di sé che vanno in giro convinti di poter possedere il mondo. Una via di mezzo, insomma.
-Quindi... anche tu sei ansioso di fare questa gita, eh?- domandai, accavallando una gamba e guardando con astio la gamba del pantalone che si era sollevata e mi scopriva la caviglia.
-Non vedi che fremo all’idea?- scoppiammo a ridere quasi istericamente e per un po’ nessuno dei due disse niente. Il ragazzo stava con la testa appoggiata al poggiatesta, un po’ reclinata di lato e accompagnata da un sorrisetto appena accennato che gli faceva apparire una microscopica fossetta accanto al mento.
-Comunque sia, io sono Liam...- disse, cogliendomi di sorpresa. Gli tesi una mano e sollevai il busto quel tanto che bastava da permettermi di ruotarmi e guardarlo in faccia in maniera decente.
-Hayley.- borbottai e lo vidi annuire, concentrato sulle mie parole. Un sorriso mi sorse spontaneo, forse a rimpiazzare la poca cortesia con la quale avevo appena sputato il mio nome.
-Sei sporca di mascare sulla guancia, comunque....- disse, improvvisamente e io sbuffai, portandomi una mano lì dove c'era la macchia e poi scuotendola.
-Capita spesso, purtroppo...- commentai e lo vidi sorridere, prima di tornare a guardare per aria.
-Non sono un pazzo psicopatico che va a importunare ragazze desiderose di solitudine, semplicemente soffro il mal d’auto e là dietro tutti urlano e saltano. Le carte sono.... un elemento di esaltazione, credo...- spiegò, senza che gli avessi chiesto niente. Pareva quasi che mi avesse letto la domanda nel pensiero, eppure non mi sembrava impiccione, ficcanaso o fastidioso. Aveva quel che di ingenuo che lo rendeva assolutamente piacevole
-Mi sembra logico. Per non parlare della coppia che sembra volersi risucchiare, eh?- commentai e lui alzò le sopracciglia, sfiorando con esse i bordi del ciuffo che gli arrivava sulla fronte. Odiavo sparlare delle coppiette così, sapevo che la mia era tutta invidia e nient’altro, eppure non riuscivo a fare a meno di guardarle e chiedere perché dovessero sbattere la loro felicità in faccia al mondo. Come al solito, mi sembrava di essere indietro, di essere costretta a guardare tutto solo di sfuggita ed essere per questo obbligata, in un certo senso, ad invidiare chi poteva andare avanti velocemente e stare al passo con il mondo.
-Ti giuro, quando la professoressa ha detto “Sappiate che non saranno tollerati atti di bullismo, fughe, persone che tenteranno di nascondersi e maleducati.” pensavo aggiungesse anche “perché la gita è stata organizzata per farvi migliorare i rapporti con i vostri compagni, non per farvene avere di reali”- sussurrò Liam e io iniziai a ridere, chinandomi e rischiando di rompermi il naso sbattendolo contro il ginocchio. Lui cercò di mantenere un contegno serio, ma tempo qualche secondo era già chinato anche lui, scosso da delle risatine incredibili e tremende allo stesso tempo. Quando ci rialzammo, eravamo entrambi rossi, gli occhi lucidi e i capelli scompigliati.
-Potrei ucciderti per questo, lo sai, sì?- mormorai, in direzione della mia faccia ancor più disastrata del solito. Lui si strinse nelle spalle e io gli diedi una botta sul braccio, sconvolta da tutta quella confidenza. Pensai a tutte le situazioni in cui mi ero trovata a contatto con un ragazzo e mi resi conto che mi ero sempre vergognata persino di stringergli la mano. La volta in cui avevo addirittura chiesto scusa a Joshua dopo essergli finita addosso mi ero vergognata tantissimo e mi ero chiesta per settimane se lui non mi avesse trovata terribilmente patetica. Liam, invece, era un altro conto. Aveva qualcosa che mi spingeva ad essere sicura, perché doveva essere una di quelle persone incapaci di pensare male degli altri –per quanto la battutina appena fatta mi dimostrasse il contrario.
-Perdonami, non ti farò ridere mai più e ti lascerò sempre in un mondo di tristezza.- asserì lui e io soffocai un’altra risatina corredata da sbuffo.

Parlammo del più e del meno per tutto il viaggio. C’era, in lui, una semplice allegria mista a timidezza che mi spingeva a non mandarlo via, a non allontanarlo e a non isolarmi. Non avevo idea di come andasse a scuola, che sport facesse o se avesse una ragazza o un particolare gruppo d’amici. Sapevo però che aveva ucciso un pesciolino rosso mettendogli del vino nell’acquario, che una volta era rimasto chiuso in ascensore e quando era uscito avevano scoperto che aveva scarabocchiato tutte le pareti con una matita ritrovata per caso in tasca, che odiava le carte ma in compenso sapeva suonare un paio di canzoni alla chitarra e che il suo piatto preferito era il roast-beef ai funghi. Io d’altro canto gli avevo raccontato di come fossi riuscita a bruciare un intero pacco di tovaglioli tentando di fare un caffè, di quando ero rimasta chiusa fuori da casa ed ero andata alla panetteria lì davanti, strafogandomi di baguettes per un’ora buona e del fatto che mi piaceva fare atletica ma che detestavo con tutto il cuore i lanci.

Quando scendemmo fu con un certo rammarico che notai come lui si fosse diretto immediatamente verso i suoi amici e faticai a nascondere la delusione sul mio volto mentre mi stiracchiavo pigramente e mi guardavo intorno. Gli altri ragazzi sembravano essere contenti e chiacchieravano tra loro ormai perfettamente svegli, facendo risuonare di tanto in tanto qualche risata o strillo che attiravano l’attenzione dei professori. Mi diressi verso un gruppetto di ragazze e, accodatami a loro, le seguii mentre chiacchieravano allegre a proposito di non so quale nuova canzone appena uscita e la canticchiavano, chiedendomi poi se conoscessi il gruppo. Il museo era in cima ad una salita, un edificio basso e tozzo con i muri intonacati di uno strano color senape e il tetto piatto. Nel complesso, niente di invitante.

-Accidenti se è brutto. Non capisco perché la prof sia tutta esaltata...- la voce di Liam mi colse, ancora una volta, di sorpresa e fu con piacere che me lo ritrovai alle spalle, una giacca a vento ripiegata in mano e un paio di occhiali da sole sulla testa, mentre dietro di lui c’era un gruppetto di ragazzi che parlottavano tra di loro. Sorrisi e scossi la testa, scrollando le spalle per evitare che la scatoletta contenente il panino si rovesciasse in maniera tale da piantar misi fra le costole.
-Ma cosa dici, non vedi l’elevato livello culturale che trasudano quei muri?- chiesi, ghignando e Liam si sporse da sopra la mia spalla per vedere meglio. Era più alto di me di dieci centimetri buoni e perciò doveva abbassarsi leggermente per guardare così come guardavo io.
-Tu dici? No, perché a me, da questa angolazione, sembra semplicemente che quell’edificio trasudi una grande tristezza e decisamente pochi visitatori...- commentò e io risi, alzandomi sulle punte dei piedi per guardare meglio. Ci allontanammo l’uno dall’altra dopo qualche istante e io vidi che le sue guance si colorivano leggermente appena sotto gli zigomi.

Una volta terminata la salita, l’edificio si rivelò essere ancora più basso, sgraziato e piatto di quanto non sembrasse da lontano. Liam, tornato dai suoi amici, mi lanciò un’occhiata svelta e io dovetti trattenere una risatina mentre la professoressa Hadkirk ci parlava di come quel luogo fosse “un importante centro di raccolta di dati storici a lungo non visti, un luogo pieno di cultura che solo qualcuno dotato di una certa sensibilità avrebbe potuto notare”.
Io vedevo benissimo come lei stessa cercasse di rimanere seria, mentre ripeteva quelle parole che evidentemente ogni insegnante era obbligato a dire per conferire alle gite un carattere più scolastico e fu dimostrando un grandissimo autocontrollo che mi impedii di scoppiarle a ridere in faccia mentre la seguivamo all’interno. Il museo era piccolo, buio e decisamente afoso e la guida che ci accolse parlava con un forte accento che non riuscivo ad identificare, a bassa voce, strascicando le vocali, mentre ci accompagnava in giro mostrandoci come le valigie fossero passate prima da un materiale cartonato per poi arrivare alle moderne strutture assolutamente leggere. Mi chiesi se mai uno dei proprietari di quelle valigie avrebbe potuto pensare che sarebbero finite lì, in un museo, a essere guardate e toccate da sconosciuti annoiati e una sorta di tristezza mi pervase mentre mi rendevo conto che era davvero così e che tutti noi avremmo visto solo troppo tardi, magari, il vero essere prezioso di qualcosa.
Avvistai Liam e mi avvicinai a lui, un po’ titubante e in silenzio, mentre la guida borbottava qualcosa a proposito di “cartone ricoperto di catrame per garantire l’impermeabilità”. Osservai la schiena di Liam, il suo modo di tenere le braccia un po’ scostate dal corpo e mi venne spontaneo sorridere mentre lo vedevo dare un pugno scherzoso ad un amico accanto a lui. In quel momento si girò e mi vide e si avvicinò a me con quel passo un po’ balzellato che avevo imparato ad associargli.

-Ne vuoi una? Stavo appunto dicendo a Mike che ho sentito dire che le vendono a prezzi molto scontati...- soffiò, indicando con un pollice la valigia alle sue spalle. Cercai di mantenere un’espressione seria e feci il gesto di aprire il portafogli, mentre Liam mi guardava confuso.
-Quanto hai detto che costa, scusa?- replicai sottovoce:- Sai, non vorrei perdermi il modello della quattrocentultima collezione...-
Il professor Bascard si girò e ci fulminò con lo sguardo e io arretrai, andando a sbattere contro una ragazza dall’aria scorbutica che brontolò uno “Sta attenta!” abbastanza scocciato. Liam si era già di nuovo girato verso i suoi amici e io non avevo voglia di tornare lì a disturbare e a fare la figura della stupida disadattata, perciò me ne tornai là dove ero stata fino a poco prima e aspettai, impassibile, che tutte le spiegazioni fossero terminate. Mentre uscivamo accolsi con felicità il refolo di aria gelida che arrivava dallo spiraglio della porta non ancora intasato di ragazzi ansiosi di uscire fuori e sospirai, soddisfatta.

La discesa fu piena delle chiacchiere che nel museo erano state in parte trattenute e mi lasciai trascinare da esse, mentre la ragazza bionda del corso di Letteratura –avevo scoperto che si chiamava Julie- mi travolgeva con una marea di parole riguardanti il fatto che doveva ancora fare i compiti ma che sarebbe tanto voluta andare a fare un salto nel nuovo negozio di abbigliamento aperto appena vicino allo Starbucks a cinquecento metri da scuola. Una volta arrivati al pullman, Julie si dileguò con un sorriso e mi disse che a scuola avremmo parlato meglio. Mi sedetti al posto di prima, guardando fuori dal finestrino mentre gli ultimi ragazzi ritardatari salivano, infilando con circospezione la lattina di Coca o un pacco di biscotti presi nel bar vicino al museo dentro agli zaini o alle borse. Cercai Liam con lo sguardo e lo individuai che rideva insieme agli amici di prima che si avvicinava all’entrata del pullman. Istintivamente sorrisi e allungai una mano per togliere la borsa dal sedile vicino al mio, sperando inconsciamente che si sedesse di nuovo lì vicino a me. Fu con una certa delusione che lo vidi oltrepassarmi senza neanche degnarmi di un’occhiata e sbuffai, dandomi della stupida e raccogliendo la borsa per cercare l’ipod senza nemmeno tentare di dissimulare la tristezza e infilandomi stizzita le cuffiette nelle orecchie.

-Hai deciso che i Green Day sono più interessanti di me?- chiese Liam, buttandosi con malagrazia sopra la mia borsa e attirandosi un’occhiata stupita e scocciata insieme da parte mia. Scossi la testa e iniziai a tirare il manico della borsa in modo da sfilargliela da dietro la schiena mentre lui si sistemava più comodamente, scrollandosi e buttando la testa contro il poggiatesta.
-Non sono i Green Day, sono i Beatles .- risposi e lo vidi sorridere, mentre mi canzonava con lo sguardo e mi dava una botta sul braccio con una mano. Sorrisi a mia volta e lasciai perdere le cuffiette, mentre mi giravo nella sua direzione e lo guardavo strizzandogli un occhio.
Lui infilò una mano dentro allo zaino e tirò fuori una lattina di Fanta, sventolandomela sotto il naso.
-Sei pazzo?- chiesi, ridendo, portandomi platealmente una mano sul cuore.
-Ho sete!-
-Se ti vedono....-
-...Dirò che dovevo prendere una tachipirina...-
-Ma non sei malato!- la risata mi uscì spontanea, così come tutte le battute che ci eravamo scambiati fino a quel momento. Liam aveva quell’effetto su di me, quello di rendermi felice e allegra, diversa dal solito, priva della mia caratterizzante timidezza.
-Certo che sono malato! Tu pensa che scelgo volontariamente di starti vicino in pullman!- ridacchiò e io sorrisi, sbeffeggiandolo, mentre alzavo gli occhi al cielo con divertimento.
-Che fai, mi offendi già?- chiesi e lui abbassò lo sguardo, facendo pendere il labbro inferiore e poi rialzando gli occhi per guardarmi da sotto in su. Con il tempo avrei imparato a conoscere quello sguardo e a riderci su e basta, ma in quell’attimo sentii la tenerezza che premeva sul mio petto, che prendeva e mi impediva di non sorridere come un’ebete.
Fu un istante e io mi ero già allungata ad abbracciarlo e mi ero ritratta subito dopo con un labbro tra i denti e l’aria particolarmente impacciata.
-Se io ti offendo e tu mi abbracci non voglio pensare a cosa farai quando ti farò un complimento!- ridacchiò lui e io sorrisi, sentendomi abbastanza stupida.
-Quindi sei sicuro che un giorno mi farai un complimento, eh?- domandai e lui annuì con foga.
-Assolutamente. Sono sicuro che continuerò ad offenderti e a farti complimenti ancora a lungo!- esclamò, l’aria sicura e un sorriso adorabile sulle labbra.
-Ne sei così certo?- chiesi, continuando a sorridere e accavallando le gambe cercando di non urtare il sedile di fronte. La lattina di Fanta era ancora in mano di Liam, leggermente inclinata verso il basso e con la condensa tutta intorno all’involucro di alluminio. Spostai lo sguardo da quella e vidi che Liam era concentratissimo, la mascella contratta e le sopracciglia un po’ aggrottate.
Lui si rilassò e mi fissò, sorridente. Aveva l’aria di un bambino felice e pacifico, contento della sua vita e di ciò che vedeva. In tutti gli anni che sarebbero seguiti non mi sarei mai dimenticata di quella faccia, quella faccia convinta e decisa e allo stesso tempo tenera.

-Certissimo. Ti prometto, Hayley, che non ti libererai da me molto facilmente.-
 
 






Writ's Corner
Salve Popolo!
Sapevo di avervi promesso un capitolo su Niall, ma sono una vecchia e lenta bacucca e ho preferito scrivere questo (mettendoci, tra l'altro, secoli)
Spero vi siano piaciuti i nostri protagonisti così piccolini e spaventati.
Ho cercato di renderli più IC possibile, ma mi rendo conto che probabilmente sarò stata un completo disastro.
Ci ho infilato, comunque, anche quella macchitta di mascara che ormai avete imparato a conoscere.
Ho cercato di ricordare come fossi io in primo superiore, ma onestamente è stato un po' difficile dopo due anni ricordarselo perfettamente (lo ripeto, sono una vecchia bacucca).
Comunque sia, non ho niente contro le valigie... piuttosto, contro le gite inutili e imbarazzanti sì.
So che vi avrà fatto schifo e giuro che sarò un po' meno lenta la prossima volta.
Come al solito, spero di ricevere da voi suggerimenti e consigli.
Un bacione 
Writ


Ps: Vi faccio un angolino Pubblicità:
La mia OS Sempre con Liam protagonista:  Disney Addicted
L
a mia OS su Harry Potter e i Malandrini: I don't forget you
L
a pagina Facebook ispirata alla serie di 10 things: 10 Things I Didn't Give To You
   
 
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