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Autore: MrEvilside    26/09/2012    8 recensioni
[ CONCLUSA ]
Dopo la cattura di Loki, il suo scettro è stato affidato a Tony Stark, l'unico che abbia resistito alla sua magia soggiogatrice, e Loki consegnato ad Asgard, dove viene detenuto in attesa di giudizio. Quando fugge, i Vendicatori si preparano ad affrontarlo, convinti che il suo primo obiettivo sarà senza dubbio riappropriarsi dello scettro sconfiggendo Tony, ma quest'ultimo scoprirà che per una volta è Loki ad aver bisogno d'aiuto. Il semidio lo porrà di fronte a più di una scelta: vita o morte, verità o menzogna, amore o qualcos'altro, sullo sfondo di una guerra per garantire la pace sulla Terra.
Non sempre è tutto bianco o nero.
[ IronFrost ]
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Loki, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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... Naturalmente non sono riuscita a mantenere l'impegno di pubblicare dopo due settimane. -__- Ce l'ho messa tutta, ma non avevo messo in conto l'inizio della scuola, la mole di studio, le interrogazioni... Insomma, ho provato a pubblicare domenica ma il capitolo non era ancora completo, perciò eccomi qui, due settimane e mezzo dopo l'ultimo aggiornamento. Ciao a chi c'è ancora, ciao a chi è appena arrivato! :) Con questo capitolo la storia giunge al termine; o meglio, giunge al termine la trama: dopo un lungo dibattito tra me, me stessa e io, ho deciso di conservare un ultimo capitolo, un epilogo in cui dare sfogo a tutti i miei FrostIron feels. Anche perché vi avevo promesso due capitoli in più e non sono ancora pronta (lo ammetto) a separarmi da una storia in cui ho investito un'estate, così tanta passione e sentimento. Però voglio lasciare il momento strappalacrime al prossimo capitolo XD
Per ora mi limito a ringraziare a tutti coloro che hanno sempre recensito, riempiendomi il cuoricino di gioia (???).
Grazie del vostro supporto, come sempre!


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#07: Heroes shattering
 
Who’s gonna fight for the weak?
Who’s gonna make ‘em believe?
I’ve got a hero, I’ve got a hero
Living in me
-Hero, Skillet
 
Quando Thor vide il capitano Rogers rompere i ranghi e avvicinarsi a Thanos, serrò le dita sul manico di Mjolnir e seppe che era solo questione di minuti, forse secondi, prima che la guerra avesse inizio.
La fierezza guerriera ribolliva nel suo sangue asgardiano, fierezza che si rifletteva anche nell’eleganza con cui l’agente Barton brandiva il suo arco, l’agente Romanoff le pistole e Banner il suo stesso corpo.
Quest’ultimo prese la parola con un sorriso che somigliava più a quello di Hulk che a quello mite dello scienziato: «Thor, credo che questo sia il momento giusto per scusarmi di quando l’altro ha preso a calci tuo fratello».
Sebbene Banner non si trovasse a più di due uomini di distanza da lui, Thor udì la sua voce con chiarezza solo grazie all’auricolare fornitogli da Fury, perché tra l’uno e l’altro c’era uno spazio di almeno quattro metri, di modo che ognuno potesse coprire quanto più terreno possibile. Gli spazi vuoti erano riempiti da chi si trovava nelle file dietro e la schiera appariva dunque irregolare, ma compatta.
Il petto robusto di Thor vibrò quando scoppiò a ridere.
In realtà non era il momento giusto, ma non aveva importanza. Forse non avrebbe rivisto lo scienziato, quella sera, perciò era rimasto un solo momento, giusto o meno che fosse.
«Ritengo tu abbia già fatto abbondantemente ammenda per il tuo errore, dottor Banner».
Thor aveva preso parte a innumerevoli battaglie, innumerevoli guerre, aveva visto come cominciavano, lui stesso aveva spesso dato loro inizio, e altrettante volte aveva visto come si concludevano. Mai, però, uno scontro era iniziato senza che nessuno dei due eserciti coinvolti attaccasse.
Quando il sibilare dei proiettili risuonò sul campo di battaglia e i generali dei due schieramenti si scambiarono occhiate incerte, Thor sgranò gli occhi e non si mosse, incerto su come reagire.
Fu il suo corpo a deciderlo nel momento in cui il suo sguardo cadde sulla figura a terra e la identificò come uno jotun: scattò in avanti e si fece largo tra i chitauri mulinando il martello, fracassando crani, spaccando ossa e seminando distruzione tra i nemici, ancora confusi dal duplice attacco.
Alle sue spalle udì il ruggito di Hulk, poi i chitauri si chiusero dietro di lui e si ritrovò solo in mezzo a quell’oceano di corpi e armi e ringhi sibilanti. Poteva solo andare avanti, guidato da una furia cieca, una parola sulle labbra socchiuse.
Loki”.
Chi altri avrebbe potuto convincere i giganti di ghiaccio a scendere in battaglia? Chi altri avrebbe potuto ricorrere a un simile stratagemma?
Abbatté con violenza Mjolnir sul capo di un chitauri che ebbe l’ardire di sbarrargli la strada ed esplose in una risata liberatoria.
Finalmente.
Finalmente, dopo tanta rabbia e incomprensione e dolore, lui e suo fratello combattevano di nuovo fianco a fianco, come era giusto che fosse.
Saperlo, però, non era sufficiente, per questo non era rimasto indietro ad affrontare i membri della Cabala, ma li aveva lasciati agli altri Avengers: doveva vedere, vederlo.
Non avrebbe saputo calcolare quanto tempo avesse trascorso massacrando tutti coloro che si ponevano sulla sua strada quando alla fine lo scorse, a pochi metri di distanza.
La battaglia infuriava ovunque arrivasse il suo sguardo, non era possibile distinguere altro che i nemici, il metallo delle loro armi, l’azzurro elettrico dei loro proiettili, meno che mai avere un’idea dello spazio e del tempo. L’unica forma di misura di cui avrebbe potuto servirsi, se avesse potuto permettersi il lusso di fermarsi, era il numero di ferite che gli decoravano braccia e gambe.
Loki era diverso.
La sua abilità con la magia e il lancio dei coltelli non era mutata: intorno a lui, il terreno era una tomba a cielo aperto, l’erba vischiosa di intestini e sangue, la terra marrone striata di scarlatto e nero.
Era il suo portamento a essere cambiato, più risoluto e calmo, totalmente opposto alla furia disperata con cui aveva cercato di conquistare la Terra. La torque che gli cingeva il collo, il tessuto in filigrana drappeggiato con eleganza sui pettorali e i bracciali sui polsi e sopra i gomiti – i gioielli d’oro che caratterizzavano il re di Jotunheim – gli conferivano un aspetto principesco e minaccioso che non faceva che accentuare l’impressione che fosse maturato.
Loki aveva visto la verità, così come aveva fatto lui durante il suo esilio su Midgard con l’aiuto di Eric Selvig, Darcy Lewis e Jane Foster.
Thor si slanciò in avanti, coprì a lunghe falcate gli ultimi metri che lo separavano dal fratello e si ritrovò schiena contro schiena con lui al centro di uno stuolo di chitauri infuriati.
«Fratello!» lo salutò con entusiasmo.
In mezzo a tanta morte, si sentiva vivo come non gli capitava da mesi.
«Thor». Loki ringhiava, ma se non altro la sua ostilità non era rivolta a lui, bensì ai nemici che li assalivano da ogni lato, nemici tra i quali Thor non figurava più, perché il Dio dell’Inganno non accennò a scostarsi da lui mentre lanciava incantesimi e brandiva l’estremità dello scettro del re come una lama – dovunque arrivasse lo scettro, calava la mano avida della morte. «Dov’è Stark?»
Sul volto di Thor, arrossato dal furore e dal sangue, non solo suo, germogliò un’espressione sconcertata. Di tutto ciò che avrebbe potuto chiedergli, non si aspettava che suo fratello menzionasse proprio Tony Stark.
«Uh» fu il suo primo, ben poco intelligente commento.
Il fratello alzò gli occhi al cielo e con un’abile torsione del polso fece saettare lo scettro contro un chitauri, squarciandogli la gola. «Perdonami se ti metto fretta, ma, nel caso ti fosse sfuggito, preferirei ricevere una risposta di senso compiuto prima che un chitauri mi decapiti».
«Non lo so». Thor afferrò la canna di un fucile, lo strappò di mano al legittimo proprietario e lo spezzò in due. «Avrebbe dovuto unirsi a noi, ma non l’ha fatto e non ci è giunta notizia di…»
«Maledizione» lo interruppe Loki in tono irritato, come se avesse di colpo compreso tutto, quando invece a Thor stesso sfuggivano diverse informazioni. «Gli esseri umani sono così sciocchi». Girò la testa di novanta gradi per scoccargli un’occhiata di sbieco e aggiunse: «Pensi che tu e il tuo esercito di midgardiani possiate resistere per qualche tempo in mia assenza?»
«Oh, sì» assicurò immediatamente Thor, punto sul vivo da quella provocazione che metteva in dubbio il suo valore, ma non ebbe il tempo di chiedere al fratello dove volesse andare, perché lui si era già smaterializzato in una nuvola verdastra.
Thor si affrettò a coprire il punto lasciato scoperto dalla scomparsa del Dio dell’Inganno e quasi all’unisono la voce di Fury risuonò nell’auricolare: «Siamo arrivati con le armi anti-magia».
Il direttore le aveva già menzionate poc’anzi, mentre lui cercava di raggiungere Loki, e il Dio del Tuono provò una stilettata di sollievo al pensiero che i suoi piccoli alleati umani avrebbero avuto delle difese contro gli incantesimi, da quel momento in poi.
Lui era immortale, ma loro no e, al di là dei primi attriti che avevano avuto, aveva davvero cominciato ad affezionarsi a quel popolo così debole, eppure così testardo.
 
 
La cella era del tutto isolata dall’ampio complesso di tecnologia che governava l’Elivelivolo, eccezion fatta per le telecamere che monitoravano i suoi movimenti, che però erano collegate a un computer il cui unico compito era quello di farle funzionare.
In altre parole, sono chiuso in un buco di metallo senza uno straccio di connessione Internet.
Ricordare a Fury che lui era Iron Man e che il direttore sarebbe stato un fottuto idiota a privare il mondo di un supereroe in una circostanza come quella non aveva sortito altro effetto che irritare Nicholas a causa dell’epiteto poco gentile. Il direttore se n’era andato quasi subito, sdegnoso, ma se non altro Tony era riuscito a convincerlo a concedere una possibilità alle armi.
E in che modo ti saresti procurato i campioni di magia necessari a costruire una tecnologia del genere?” Il tono di Fury era scettico, perché i migliori inventori dello S.H.I.E.L.D. tentavano senza successo di costruire una tecnologia del genere dai tempi dell’attacco di Loki.
Venire a sapere che Tony ci era riuscito in pochi giorni non avrebbe favorito la sua causa, perciò aveva accuratamente mancato di menzionarlo.
Non posso credere che Fury mi rinchiuderebbe qui per capriccio, mentre fuori infuria una guerra, aveva pensato mentre dava fondo a tutte le sue abilità persuasive nella speranza di uscire di lì e fare il culo ai nemici. E invece sì.
Non sappiamo se tu sia o meno sotto il controllo di Loki,” si era giustificato Fury, che – aveva osservato Tony – avrebbe avuto anche ragione, se solo i suoi occhi non fossero stati di un fottutissimo marrone scuro anziché blu elettrico. “Non possiamo rischiare,” aveva aggiunto con una scrollata di spalle.
In realtà Tony poteva comprendere i suoi motivi e, fosse stato al suo posto, avrebbe preso la stessa decisione: dopotutto aveva aiutato uno dei peggior criminali che la Terra avesse mai affrontato, aveva ingannato lo S.H.I.E.L.D. e gli Avengers per farlo e l’aveva persino liberato quando era stato messo in prigione.
Nicholas non poteva fidarsi delle sue parole e, finché Loki non fosse tornato a confermarle – se l’avesse fatto, specificava una parte di lui che preferiva mettere a tacere –, non sarebbero state altro che teorie.
Le teorie di un uomo che aveva già dimostrato più di una volta la propria inaffidabilità. Questa volta in particolare, però, aveva oltrepassato il limite.
Però è anche l’unica volta che l’ho fatto per altruismo, cazzo, sbottò tra sé, passandosi una mano sul volto. Non esiste che ci sarà una prossima. Se Tho- The- Than- come si chiama non conquista il mondo e sono ancora vivo quando esco di qui, mi dedico all’egoismo più totale. Fottetevi.
Per il colloquio con Loki aveva persino acconsentito a togliersi i bracciali del Mark VII, onde evitare che il semidio cercasse di usarli in qualche maniera.
Non aveva nulla, era solo, lontano da Jarvis e da Pepper, e Loki era sperduto in chissà quale mondo a seguire di malavoglia il suo consiglio. Forse.
Tony era abituato ai propri piani sconclusionati, ma quello in particolare l’avrebbe fatto impazzire.
Aveva bisogno della sua armatura, di volare in mezzo allo scontro e unirsi ai suoi amici, che erano là fuori a farsi ammazzare mentre lui era bloccato su quella sedia.
Infilò le dita tra i capelli crespi e tirò alcune ciocche per distrarsi, ma era impossibile non domandarsi se la guerra fosse già cominciata, quanti uomini fossero già caduti, se Steve e gli altri stessero bene e se Loki sarebbe davvero venuto in loro soccorso o se avesse approfittato di lui per fuggire dalla Terra e rifugiarsi dall’altro lato dell’universo, il più possibile lontano da Thanos, in attesa che fossero loro a sconfiggerlo.
Se lo fa, ho rovinato tutti quanti.
Era questa la cosa peggiore: per una volta, la responsabilità sarebbe stata solo sua. Non ci sarebbe stata Pepper a coprirgli le spalle o Rhodey a giustificarlo con le forze dell’ordine, né tantomeno gli Avengers a fiancheggiarlo.
Sarebbe stata soltanto colpa sua, se tante persone fossero morte.
Premette il palmo sul reattore arc e sospirò, consapevole che non sarebbe stato in grado di sopportarlo. Finché fosse stato lui a rischiare la vita perché commetteva un errore, sarebbe andato bene; non avrebbe però tollerato di essere la causa della morte anche soltanto di un altro essere umano innocente.
Strappandolo alle sue riflessioni, la porta della cella si accartocciò su se stessa, esplose verso l’interno e finì scaraventata contro la parete, a un metro da dove si trovava lui.
Fossero state tutt’altre circostanze, si sarebbe preoccupato. Forse.
Adesso, invece, scattò in piedi ed era già a metà strada verso l’uscio quando Loki si fece strada tra i resti bruciati della soglia.
Qualsiasi cosa Tony fosse sul punto di dire, gli rimase incastrata in gola alla vista del semidio, la pelle bluastra che riluceva di potere magico, messa in risalto dall’oro dei gioielli e dello scettro che stringeva, e gli occhi scarlatti che scintillavano di un misto di irritazione e un’emozione che Tony non avrebbe saputo definire. Qualcosa che somigliava molto a quello che c’era stato nel suo sguardo quando si erano baciati, oscuro eppure estremamente affascinante.
Loki era glorioso, e per la prima volta Tony si rese conto che era un dio.
«Ehi, sei tornato» fu il meglio che riuscì a mettere insieme quando si fu ripreso da quell’istante di contemplazione.
Il semidio aggrottò la fronte. «Non l’avevo promesso?»
«Beh, ecco, sai com’è…»
Loki sollevò una mano per bloccarlo e annuì stancamente. «Per mia sfortuna, sì, lo so bene. Come puoi vedere, ho mantenuto la parola». Con l’estremità dello scettro ammiccò alla cella in un gesto spazientito. «Thor mi ha detto che sei rimasto qui fin dall’inizio della battaglia. Ciò significa che non hanno le tue armi?»
Tony non rispose subito, indeciso se farlo o sorprendersi perché il semidio aveva rivolto la parola al fratello, poi, allarmato dalla sua espressione cupa, decise di non mettere alla prova la sua tolleranza. «Ho detto a Fury di prenderle. Spero che mi abbia dato ascolto. Tu sei tornato da molto?»
«Avevo già intrapreso la battaglia, quando ho scoperto che tu eri rinchiuso qui» ribatté Loki, senza nascondere un certo compiacimento. «Suppongo tu non abbia con te la tua armatura». A uno sbuffo infastidito da parte del suo interlocutore, roteò gli occhi verso il soffitto e gli tese un braccio. «Temo che non abbiamo il tempo di utilizzare i mezzi di trasporto midgardiani. Dammi la mano».
Tony scoccò un’occhiata incerta alle sue dita, su cui danzavano scintille verdastre, ma era vero, la guerra infuriava e la gente moriva, perciò prese la mano che gli veniva tesa.
La magia gli risalì il braccio, avvolse la testa e scivolò giù lungo l’altro, fino ad attorcigliarsi completamente attorno al busto e alle gambe. Tony si irrigidì, nuovo a quella sensazione, come di aghi che gli accarezzavano la pelle senza ferirlo davvero, e sgranò gli occhi quando la prigione scomparve, inghiottita dall’oscurità.
Non durò più di un secondo, eppure, nel ritrovarsi nel soggiorno del proprio attico, aveva l’impressione di essere appena sceso dalle montagne russe. La tensione della salita, il terrore della discesa e la difficoltà nel tenersi le interiora in corpo condensati in un istante lo lasciarono malfermo sulle gambe, preso tra il desiderio di chinarsi sul water e vomitare e quello di prendere Loki a pugni per non averlo avvertito.
Il semidio gli lasciò la mano e si scostò da lui con una risatina malamente repressa. «Voi midgardiani siete così delicati».
Prenderlo a pugni divenne all’improvviso un’opzione estremamente accattivante.
«Jarvis?»
«Sì, signore?»
Era un sollievo sentire di nuovo quella familiare voce disincarnata, essere di nuovo circondato dalla propria tecnologia, avere di nuovo il controllo. «Nota a me stesso: quando avrò salvato il mondo per l’ennesima volta, Loki mi deve un pugno».
«Sì, signore».
Mentre Tony andava in cerca del prototipo del Mark VII – l’originale doveva trovarsi da qualche parte nelle viscere dell’Elivelivolo, nell’immaginario del suo proprietario al sicuro nell’armadietto di Fury – il semidio inarcò le sopracciglia, ma non fece commenti.
La versione beta dell’armatura era custodita in una cassaforte incassata nella parete della camera da letto, che scattò una volta completati i numerosi protocolli di sicurezza, dallo scanner della retina all’impronta digitale al controllo della grafia.
Il prototipo del Mark VII non era resistente quanto la versione finale e mancava di alcune delle ultime armi, ma rimaneva il miglior sostituto a quello confiscatogli da Fury ed era abbastanza aggiornato per poter sfruttare l’implemento della tecnologia del Progetto Winx.
Infilati i bracciali, più sottili della versione finale, innescò il meccanismo che prevedeva l’attivarsi di due braccia metalliche provenienti da dietro due placche di metallo inserite nel muro che aveva fatto montare in ogni stanza.
I due arti lo rivestirono dell’armatura con gesti rapidi ed efficienti, poi, a un suo ordine, installarono sul retro dell’elmo il chip anti-magia che aveva preparato appositamente per il Mark VII.
«Ehi, Jarvis, che ne pensi?» domandò, orgoglioso, prendendosi qualche momento per rimirarsi allo specchio.
«I sistemi sono in funzione, signore. Il chip è stato installato correttamente. L’armatura è pronta».
L’uomo emise un sospiro abbattuto. «Non era a questo che mi riferivo, volevo sapere se mi trovi affasc-».
«Quando avrai appagato il tuo ego,» commentò la voce fredda di Loki dalla soglia della stanza «fammi sapere. Dopotutto sono sicuro che Thanos acconsentirà a non invadere subito Midgard per dare ad Anthony Stark il tempo di prepararsi».
«Noto un certo sarcasmo». Tony attivò i propulsori degli stivali e si librò a mezz’aria.
Il semidio sbuffò e appoggiò una mano sulla sua spalla rivestita di metallo, volteggiando a sua volta a diversi metri dal pavimento. «Ma davvero?»
Tony faticò a udirlo, trascinato di nuovo dalla forza centrifuga della smaterializzazione, e si riservò di dargli una risposta pungente quando fossero arrivati. Una volta sul campo di battaglia, però, dimenticò del tutto il proprio proposito.
La sua tecnologia stava funzionando: gli agenti dello S.H.I.E.L.D. avevano inserito i chip nelle loro armi da fuoco e, quando un proiettile colpiva un fucile dei chitauri, quello si spegneva di colpo, svuotato del proprio potere magico. Ciononostante, i nemici erano alieni molto più forti, veloci e robusti dei comuni esseri umani e, privati della magia, trascinavano gli avversari in combattimenti corpo a corpo che, nel peggiore dei casi, si risolvevano con un uomo fatto a pezzi dalla loro furia animalesca.
Non c’erano cadaveri sul terreno; solo resti di corpi.
Di fronte a quello spettacolo, Tony ringraziò qualsiasi divinità fosse in ascolto di avergli impedito di riversare l’anima nell’armatura; accanto a lui, Loki dedicò a malapena un’occhiata ai morti, affisse invece lo sguardo su un punto distante del pianoro.
«Stark,» gli indicò una serie di Doombots giganti, simili a quello che il semidio li aveva aiutati a sconfiggere, che stavano seminando il panico tra le fila dello S.H.I.E.L.D., le cui armi non erano abbastanza forti per respingere un simile concentrato di magia «spero per te che la tua tecnologia funzioni contro quelli. Non posso salvarti la vita tutte le volte».
Tony seguì la direzione indicata dal suo dito e imprecò tra i denti, poi si collegò al canale riservato agli Avengers. «Ehi, qualcuno mi sente?»
«Tony Stark!» tuonò la voce di Thor. «Ti unisci a noi?»
In meno di un minuto Tony ricevette una lavata di capo da Steve, un “era ora, stronzo” da parte di Clint, un grugnito di Hulk e un saluto stanco da Natasha. Beh, se non altro significa che non sono ancora morti.
«Okay, Tony, ora che sei qui vedi di renderti utile e va’ a distruggere quei Doombots» ordinò Steve, pragmatico. «Cerca di non farti ammazzare, perché qui noi siamo un po’ impegnati».
«Già» ringhiò Clint. «Mica possiamo salvarti il culo tutte le volte».
Tony provò il brivido di un déjà vu mentre si voltava verso Loki, che era concentrato nel congiurare dell’energia magica sulla punta del suo scettro. «Sei pronto?»
Il semidio aprì gli occhi, che sfolgoravano di un verde più intenso del solito. «A te».
Bene, Tony si aprì in un sorriso furioso e sfrecciò verso i Doombots, apriamo le danze.
Non era certo di come il chip anti-magia avrebbe reagito al Mark VII; quando puntò il palmo aperto verso uno degli automi e sparò una scarica di energia elettrica che lo mandò in cortocircuito e lo fece crollare inerte al suolo, tirò un sospiro di sollievo.
Funzionava.
«Il nemico è stato abbattuto con successo».
«Ne dubitavi, Jarvis?»
Dopo quel primo avversario caduto, gli altri divennero più cauti e astuti, lo attaccarono insieme e non gli risparmiarono un solo colpo, bene attenti a non lasciargli spazio per ideare un piano di contrattacco.
Presto Tony smise di fare distinzioni tra amici e nemici, di riconoscere volti, di proteggere qualcuno che non fosse se stesso: sparava a chi gli sparava, evitava chi invece sembrava sparare con lui e non a lui. Se all’epoca del primo scontro con i chitauri aveva pensato di stare facendo esperienza della guerra, era nulla in confronto a quello che stava succedendo adesso.
Armi, lampi magici, corpi che cadevano, corpi che lottavano, sangue che scorreva come Tony aveva visto scorrere solo lo scotch.
Quella era la guerra, non il ridicolo combattimento dell’anno precedente.
Quella era la guerra, quella in cui non sapeva se il secondo successivo sarebbe stato ancora vivo, quella in cui non riusciva neppure a localizzare i suoi alleati, i suoi compagni, i suoi amici.
Era per questo, realizzò Tony, che spesso, al loro ritorno a casa, i soldati perdevano se stessi: perché questo era troppo, troppo assurdo rispetto alla realtà quotidiana perché potessero sperare di reinserirsi in tale realtà dopo aver fatto esperienza dell’altro.
Anche lui si stava smarrendo, anche lui stava cominciando a dimenticare un tempo in cui non c’era una corsa per la vita e non c’erano uomini che morivano intorno a lui, quando la voce ringhiante di Fury gli esplose nell’orecchio e lo riportò alla realtà. Mai, mai avrebbe creduto che un giorno avrebbe ringraziato Nicholas Fury.
«Che cazzo ci fai sul campo di battaglia, Stark?»
«È un piacere sentire anche te, Monocolo» ironizzò mentre combinava i colpi di entrambe le mani per stendere uno dei robot. «Se ti riferisci al fatto che sono fuori dall’Elivelivolo, beh, non potevo restare là dentro mentre voi qui fuori giocavate agli eroi-».
«Non hai capito» lo interruppe il direttore. «Quello che voglio dire è: perché stai ancora perdendo tempo con gli automi? Sconfiggi Doom, e sconfiggi anche quei figli di puttana. Ti credevo più intelligente di così, Stark».
«Steve aveva detto…»
«Rogers aveva bisogno che qualcuno salvasse i miei agenti, e io ti sto dicendo che, dopo che tu hai decimato quegli affari, se la possono cavare. Chiaro?»
«Chiaro, ma non abituarti troppo a darmi ordini, Monocolo. Rimango sempre più intelligente di te». Tony arricciò il naso, ma, quando il Doombot crollò a terra con un ultimo rantolo metallico, fece un cenno alla manciata di agenti che lo stavano aiutando a tenere a bada i robot e si allontanò, prendendo quota per individuare i membri della Cabala nel caos.
Li trovò più o meno al centro della mischia, insieme agli altri Avengers: Clint e Natasha affrontavano Goblin e Amora, Hulk si occupava di Doom e Steve e Thor si scontravano con Thanos.
Loki non era in vista, ma i suoi giganti di ghiaccio stavano sterminando l’orda dei chitauri.
Scendendo in picchiata verso quelli che se la passavano peggio – Steve e Thor – Tony rilasciò una gragnola di proiettili e una scarica laser in direzione di Thanos: i proiettili rimbalzarono sulla sua pelle rossastra, ma il laser gli colpì la mano su cui fluttuava una sfera di energia violacea e la fece dissolvere con un guizzo.
Il titano sgranò gli occhi, stupito, ma gli fu sufficiente un movimento delle dita per riportare in vita il globo magico.
Figlio di puttana.
Mentre saliva di nuovo in volo, qualcosa crepitò contro il suo piede destro e minacciò di mandarne in cortocircuito il sistema. Abbassando lo sguardo, Tony scoprì che si trattava di una serpe di energia verde scagliatagli contro da Amora.
In cielo era un bersaglio facile, ma era anche la posizione più semplice per aiutare i compagni.
Stava per rispondere all’Incantatrice, quando la voce di Natasha proruppe nell’auricolare per fermarlo. «Di lei mi occupo io, Stark. Tu, Rogers e Thor dovete sconfiggere Thanos: è lui che controlla i chitauri. Tagliate la testa al toro».
Tony annuì tra sé e diresse il colpo preparato per Amora verso il titano, che questa volta era preparato e si gettò di lato per schivarlo.
Thor ne approfittò per mulinare Mjolnir contro il suo fianco scoperto e Thanos ululò di dolore, un suono orribile che echeggiò nell’altoparlante di Tony con la forza delle anime disperate di chi quel giorno era caduto per difendere la Terra.
Malgrado la sua potenza, la martellata non bastò a metterlo fuori combattimento. Per quello sarebbe stato necessario bloccare la sua magia, almeno in maniera temporanea, ma una scarica laser non era sufficiente per riuscire nell’intento.
Avrebbe avuto bisogno di più potenza, e lui aveva qualcosa che potesse produrne il quantitativo necessario – a livello teorico, se non altro.
«Jarvis, credi che il prototipo possa reggere un concentrato di energia del reattore arc?»
Ebbe la strana impressione che l’AI stesse esitando – oppure aveva solo bisogno che qualcuno si preoccupasse per lui. «È possibile, signore, ma c’è anche la possibilità che un simile dispendio di energia, se veicolato in maniera imperfetta come potrebbe accadere con una versione beta, la uccida. Per la verità, la statistica è a sfavore di questa strategia. Inoltre, non posso stabilire con sicurezza se servirà a impedire al nemico di accedere alla propria riserva di magia. Se posso suggerire un’altra linea d’azione, signore…»
«Quante altre vite costerebbe la cautela, Jarvis?» Tony scosse il capo. «Mi basta che si possa fare». Passò al canale condiviso. «Thor, ragazzone, ho bisogno del tuo supporto. Tra poco scaricherò su Thanos tutta la potenza del mio nuovo chip anti-magia: questo dovrebbe bloccare il suo potere abbastanza a lungo perché tu possa attaccarlo. Ci sei?»
Doveva averlo spiegato in chiave abbastanza semplicistica, perché la risposta giunse quasi subito: «Chiaro, Uomo di Metallo. Tu spari, io lo assalgo».
«Perfetto. Steve, tu coprilo».
«Aspetta, cosa significa che scaricherai “tutta la potenza”-?»
Ma Tony non aveva tempo di soffermarsi a chiarire, altrimenti avrebbe perso il coraggio che lo animava e avrebbe finito col deludere tutti di nuovo. Non era mai stato un eroe, non aveva lo stesso spirito di sacrificio di Steve e non era il caso di ricordarselo proprio in quella particolare circostanza.
Chiuse la finestra olografica aperta sul canale condiviso e diede l’ordine: «Jarvis, convoglia l’energia nel reattore».
«Energia convogliata: cinque percento…»
Mentre aspettava che l’AI portasse a termine il proprio compito, Tony usò qualche altro stralcio di potenza per lanciare alcuni raggi di poco conto che distraessero Thanos e non gli consentissero di sospettare quanto stesse tramando.
Era costretto a schizzare ovunque per evitare i colpi che occasionalmente lo prendevano di mira, perché, se uno l’avesse centrato e ostacolato in qualche modo il processo, quella piccola speranza di porre fine allo scontro sarebbe andata perduta e, senza armatura, non avrebbe avuto nessuna opportunità di sopravvivenza.
«Energia convogliata: sessantasette percento…»
Non che questo sia meno mortale, considerò a denti stretti, scoccando una breve occhiata alla barra che si stava caricando sullo schermo, ma se non altro la Terra rimarrà intatta. Credo. Spero.
Dovunque fosse Loki, si augurò che lui e il suo esercito di jotun riuscissero se lui avesse fallito.
Se anche Iron Man fosse morto, lo sforzo condiviso degli Avengers e del Dio dell’Inganno avrebbe dovuto sconfiggere la Cabala.
Il reattore arc al centro del suo petto si stava scaldando così tanto che scottava nei punti in cui era in contatto con la sua pelle.
«Energia convogliata: novantadue percento…»
Era piuttosto deprimente udire e vedere il conto alla rovescia della propria morte, pensò Tony. Faceva tanto film pulp di terza categoria.
Deve funzionare. I cattivi non vincono mai. E poi non possiamo farci battere da un mostro verde in calzamaglia viola o dalla brutta coppia di un dinosauro. O da una strafiga con un corpo da paura…
«Convoglio energia completato. Inizializzazione».
Tony atterrò di fronte a Thanos, chiuse gli occhi e imprecò mentre un raggio blu, denso di potenza, scaturiva dal suo petto e schizzava verso il titano. Sperò che fosse abbastanza, perché ormai su Iron Man calava il sipario.
 
 
Quando il ponte di luce blu che collegava Thanos e Tony come un filo mortale venne meno, Thor non perse tempo a meravigliarsi per quello che l’umano era riuscito a fare. Afferrato il martello con entrambe le mani, si gettò sul titano, che barcollava e si sforzava di rimanere in piedi affidandosi a una magia che non trovava, e fece per sollevare Mjolnir sopra la testa, ma Thanos fu più svelto e lo caricò con una spallata per fargli perdere la presa sull’arma.
Steve ebbe la prontezza di riflessi di frapporsi tra loro e bloccare la mole del titano con lo scudo, che vibrò violentemente sotto quel peso, ma non si spezzò.
«Mortali!» sibilò Thanos, strappandoglielo di mano e scagliandolo lontano in un gesto dettato dalla collera. «Voi non potete vincere né la Morte né il suo umile vassallo! Siete destinati a cadere fra le sue braccia eterne, non ha importanza cosa facciate per evitarlo!»
Steve non si diede la pena di rispondergli, ma si concentrò sulla traiettoria dello scudo, che a breve sarebbe tornato indietro. Doveva fare in modo che Thanos si trovasse ancora lì. «Natasha, Clint, Hulk… chiunque, non lasciate Tony da solo!»
In mezzo al ventaglio creato dai membri della Cabala, Tony giaceva privo di sensi.
Il reattore arc conservava una luce debole che andava spegnendosi.
Loki calcolò che non si muoveva da almeno due minuti, mentre Thanos stava già recuperando le forze. In fretta, molto in fretta. Il tentativo del midgardiano era stato audace, ma, se il Dio del Tuono e il supersoldato non fossero stati all’altezza del compito che Stark aveva lasciato loro, anche inutile.
Doveva agire prima che il titano si riprendesse a sufficienza, ma doveva anche essere cauto, altrimenti il nemico si sarebbe accorto di lui.
Stupido umano. Avresti dovuto aspettare il mio arrivo.
Perché i terrestri fossero sempre così ansiosi di fare gli eroi, non riusciva a spiegarselo. Anziché attaccare d’impulso, avrebbe potuto attendere, pianificare. D’altra parte, poteva immaginare cosa Stark dovesse avere pensato, come il suo cuore avesse tremato dinanzi alla carneficina che si stava consumando, come il suo animo avesse gridato, disperato, che qualcuno fermasse lo scempio.
E quel qualcuno doveva essere proprio lui, perché Anthony Stark aveva un ego da lusingare.
Se soltanto fosse stato un po’ più accorto e un po’ meno impaziente di immolarsi per la causa, forse ora non sarebbe stato steso a terra, agonizzante, e Loki avrebbe avuto il tempo di organizzare l’attacco a sorpresa, di modo da attuarlo nel momento esatto in cui Stark avesse liberato il potere del reattore.
Invece il midgardiano lo aveva colto alla sprovvista e ora poteva solo affidarsi alla fortuna.
Scivolando nel mondo delle ombre e dell’incorporeità, il semidio avanzò verso Thanos. Nessuno poteva mettersi sulla sua strada: se anche accadeva, in quella realtà metafisica si limitava a passargli attraverso senza neppure sfiorarlo.
In quel modo fu semplice attraversare le decine di metri che lo separavano dal titano, quando al contrario nel mondo tangibile avrebbe dovuto farsi largo in una massa di corpi e armi.
Nell’istante in cui mise piede nel cerchio disegnato intorno alla Cabala e agli Avengers, la cui circonferenza era un confine oltre il quale nessuno – chitauri o agenti dello S.H.I.E.L.D. che fossero – osava andare, lo scudo di Rogers colpì Thanos sulla nuca e lo spinse a barcollare in avanti, offrendo al supersoldato l’occasione per affondare il gomito sotto il suo mento, una mossa che avrebbe sfondato la gola di un uomo comune, una mossa che, nel pieno delle forze, Thanos avrebbe deviato con facilità.
Sei mio.
Finalmente, dopo mesi vissuti nel terrore di essere scovato e ucciso, avrebbe potuto prendersi la vendetta che gli spettava di diritto.
Arrivato alle sue spalle, strinse lo scettro con entrambe le mani, ma, prima che potesse tentare un gesto qualsiasi, il titano fece appello all’ira che lo animava e assalì il primo avversario su cui riuscì ad allungare le dita artigliate.
Thor, che non si aspettava un approccio tanto diretto.
Loki lo vide sgranare gli occhi e socchiudere la bocca in un’espressione incredula, e capì che lo stupore lo aveva immobilizzato. Non si sarebbe scostato. Alle sue spalle, ancora immobile e rigido, intravvide Stark.
E la realizzazione di quello che stava succedendo lo colpì con la forza di un pugno che gli tolse il fiato.
Prima il midgardiano, poi Thor.
Thanos gli stava strappando tutto ciò che gli spettava di diritto, tutto ciò che soltanto lui doveva avere il potere di distruggere.
La rabbia lo investì insieme al morso rassicurante della magia, che gli attraversò le braccia e lo scettro e si condensò nell’estremità affilata, pronta a uccidere, a sventrare, qualsiasi cosa lui avesse desiderato.
Non dovette neppure richiamare alla mente le parole dell’incantesimo; si affacciarono nel suo cervello, come se aspettassero quel momento da tempo, e si stamparono a fuoco nei suoi occhi mentre varcava la soglia della realtà fisica e la sua voce si elevava al di sopra di ogni altro rumore della battaglia: «Thanos, io ti esilio!»
Spingere l’Amante della Morte nell’abbraccio della sua Signora a insaputa di quest’ultima sarebbe stato un atto arrogante, impensabile; di conseguenza, c’era un’unica soluzione: costringere il titano il più lontano possibile da quella dimensione, dove non avrebbe potuto nuocergli più.
Mostrandogli universi e nuove forme di magia, Thanos aveva firmato la propria condanna, perché ora Loki possedeva un potere in grado di eclissare il suo, anche se non di annientarlo.
Mentre il portale divorava il corpo del titano, l’attenzione generale si trasferì dal rispettivo nemico a Loki e a Thanos.
Tutti li stavano guardando, senza parlare, senza muoversi.
Il titano spalancò gli occhi e la sua bocca disgustosa si arricciò in un ringhio che non aveva nulla della dolcezza umana o della bellezza trascendentale propria degli Æsir. Il ringhio di un mostro.
Conscio degli sguardi del suo pubblico puntati addosso, il semidio stese le labbra in un sorriso di teatrale compiacimento. Ringhia quanto ti aggrada, sibilava quel ghigno con il veleno di mille serpenti. Il tuo non è che un capriccio inappagabile.
Quando infine Thanos scomparve, Loki non riuscì a rendersi pienamente conto di quanto era avvenuto finché i chitauri non crollarono a terra, privati dell’energia vitale dall’eccessiva distanza da colui che l’aveva loro fornita. Quel clangore metallico lo riportò alla realtà con una spietatezza crudele, rovesciandogli addosso tutta la stanchezza della battaglia e in particolare dell’incantesimo, uno dei più difficili che conoscesse, reso ancora più arduo a causa del suo obiettivo.
Era così spossato che si ritrovò ad aggrapparsi allo scettro per sostenersi.
Intorno a lui, gli altri impiegarono di più a recuperare le capacità motorie.
Thor fu il primo a farlo, gli si avvicinò con lentezza, quasi con timore, ma Loki non gli diede il tempo di fare nulla: lo degnò a malapena di un’occhiata, concentrato nel mettere un piede davanti all’altro per raggiungere la sagoma immota di Stark.
Si lasciò cadere in ginocchio al suo fianco e premette le mani aperte ai lati del reattore arc, la cui luce era ridotta a una debole fiammella. Raccolse le poche energie che ancora gli rimanevano, ma la sua mente pareva incapace di evocare le parole nell’antica lingua che avrebbero dato vita al sortilegio.
Tentò più volte, ma invano.
Quando un mago sta finendo le proprie riserve di magia e sfruttarle ancora potrebbe condurlo alla morte, essa gli viene preclusa dall’istinto di sopravvivenza.
Se Loki vi avesse attinto con la forza, sarebbe morto.
Riemerso dalla dimensione astratta della propria interiorità, laddove si trovava il fulcro del suo potere, il semidio fissò il volto cereo di Stark e socchiuse la bocca, ma non ne uscì alcun suono.
Aveva scacciato Thanos, l’aveva bandito dai Nove Regni, eppure il titano aveva vinto comunque.
E vedi di tornare, prima che quelli ci facciano il culo”.
Alla fine era stato Stark a non tornare.
Una collera senza principio e senza fine si impossessò di lui, diede colore al suo volto pallido e restituì le fiamme ai suoi occhi spenti, ma non c’era forza sufficiente nel suo corpo per sostenere quel sentimento così prorompente, che anziché spingerlo all’azione lo confondeva, lo spossava ancora di più.
Quando la mano grande di Thor gli afferrò una spalla per impedirgli di accasciarsi a terra come una bambola di pezza, Loki sfruttò le ultime stille di energia per voltarsi di scatto in direzione della macchia indistinta che somigliava al viso del fratello.
«Salvalo» ansimò, la voce raschiante e arida come se non bevesse da secoli. «Salvalo».

  
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