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Autore: Giuacchina    28/09/2012    0 recensioni
Fissò a lungo i due correre avanti e indietro. Sembrava una scena davvero comica: il più veloce arrivava ad un certo punto, si guardava intorno e poi tornava dall'altro urlandogli qualcosa.
Candice iniziò ridere talmente forte che entrambi i ragazzi si voltarono verso di lei.
«Candice e John?» domandò quello veloce, Louis, respirando pesantemente. La corsa lo aveva stordito.
Il bambino, John, lo guardò torvo e urlò un «Eh?»
I due ragazzi si fissarono spaesati, quasi disperati. Poi Louis fece qualche passo verso l'amico e gli urlò esasperato: «Harry, ma dove diamine ci hanno fatti venire? Non sono loro!»
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.
Aren't they cute?

 



Il piccolo John strinse subito amicizia con i due ragazzi.
In particolare ammirava l'allegria di Louis, il ragazzo dai capelli lunghi e castani, quello dagli occhi celestissimi. L'altro ragazzo, Harry, era un po' più riservato e pensava più alla guida che al discorso sugli ortaggi che gli altri due uomini presenti in auto tenevano da un bel po'. Di tanto in tanto portava i suoi occhi verdi verso la figura magra di Candice accanto a sé che fissava distrattamente il panorama buio accanto a sé, ridendo ogni tanto delle frasi stupide formulate dal fratellino, rimproverandolo scherzosamente perché non diceva il vero.
«Io alla scuola ho la fidanzata»diceva il bambino.
Louis lo guardava strabuzzando gli occhi. «E come si chiama?»
Il piccolo iniziava a fare il prezioso, facendo si che Louis, con il suo animo buono e scherzoso, gli chiedesse cose del genere. Si sentiva una specie di piccola star.
«Lilian» ammise poi.
«Lilian» ripeteva Louis «ma è il nome della vecchia gatta di Harry!»
Quest'ultimo, appena il suo amico lo nominò, parve scendere dalle nuvole e capire che si stava parlando di gatti, materia in cui era molto più che aggiornato.
«Non farmici pensare, è stata una brutta perdita» sussurrò fingendosi davvero disperato, facendo ridere tutti i passeggeri in auto. Solo che lui ascoltò solo la melodiosa risata della ragazza accanto a lui.
«Candy ama i gatti» urlò John indicando la sorella che si voltò di scatto annuendo veementemente.
Si vedeva palesemente che la ragazza stravedesse per quei piccoli esserini tanto teneri quanto indipendenti, proprio come era lei. O almeno questo pensava l'autista per quella sera, Harry.
Parlarono per la maggior parte del viaggio, poi Harry propose di ascoltare la musica. L'abitacolo del veicolo venne riempito di note allegre e selvagge, qualcosa che i due fratelli non avevano mai sentito, ma che li faceva stare a loro agio.
Candice si rilassò al suono nuovo per le sue orecchie: in realtà non aveva mai avuto tempo per ascoltare la musica. Era stata troppo impegnata tra lo studio e la bada ai suoi fratelli più piccoli, quindi ogni tanto il massimo di trasgressione a quella sua vita era aspirare a leggere qualche pagina la sera prima di andare a dormire.
Harry parve accorgersi dello stato di calma in cui Candice era caduta e non esitò a parlarle, interrompendo il silenzio – a parte ticchettio della batteria e il suono potente e delicato allo stesso tempo delle chitarre – che si era creato da un po'.
«Si chiama Angie» la guardò dritta negli occhi. Lei non parve capirlo al volo, così fu più preciso. «La canzone si chiama Angie»
Lei gli sorrise riconoscente. I tizi che avevano cantato questa canzone così romantica dovevano essere davvero in gamba. si cullò dolcemente tra le note della canzone, trasportata in un mondo parallelo, finendo in dormiveglia.
Venne svegliata dalla voce acuta del fratellino che l'avvisava che erano arrivati a destinazione. E a Candice mancò il respiro non appena mise piede fuori dall'auto.
 
 
 
Era almeno un'ora che sua madre si scusava per non averli aspettati, facendo innervosire la figlia maggiore.
Si trovavano nell'ala posteriore della grande villa in cui erano state ospitate per il nuovo lavoro di Hannah: fare la governante vicino ai suoi figli l'avrebbe aiutata molto. Il loro non era un grande appartamento, ma di certo li soddisfaceva di gran lunga di più di quel posto angusto nella caotica Manchester.
Si trovavano nella campagna, in una zona piena di villette e ridenti prati. Di certo il tempo sempre nuvoloso aiutava a rendere il tutto davvero mozzafiato, sempre colorato.
Dopo l'arrivo nella loro nuova dimora – anche se il termine giusto, secondo il parere del piccolo John, era «palazzo delle principesse» - i due fratelli vennero portati nel loro lato. Passarono per corridoi lunghi e lussuosi, porte decorate in argento, muri candidi e tende lunghe e scure, salirono un paio di rampe di scale, le scesero ancora e arrivarono davanti alla porta dell'entrata secondaria, quella che la loro madre avrebbe usato per assistere i bambini della casa.
Superata la porta in legno pregiato si ritrovarono in un salottino con annessa una cucina abbastanza spaziosa per la loro numerosa famiglia: era, infatti, munita di un tavolo per dieci persone e un piano di cottura grande abbastanza per preparare il pranzo a tutti quanti. Una grande finestra dava verso l'atrio centrale della casa, dove salici piangenti si ergevano dando l'impressione di essere un posto fatato. Sulla sinistra un'altra porta lasciava l'accesso al piano superiore, cioè alle camere da letto. Tre stanze che divisero democraticamente: una andò ai tre maschietti e le altre due andarono alle donne.
A Candice capitò la stanza con Jenna e June, di cinque e nove anni. Sospirò non appena sua madre gliele assegnò: erano le più calme di tutte, quindi non poteva che sentirsi sollevata.
Nella stanza un grande armadio si trovava sul lato senza finestre, mentre i letti, uno matrimoniale e uno singolo, si trovavano sotto le ampie finestre. Un paio di comodini erano stati inseriti tra i due letti, decorati con dei centrini cuciti a mano a dare un'impressione di casa vissuta.
Ma per loro quello era già un lusso impossibile. Erano stati fortunati ad aver trovato qualcuno che potesse ospitarli. O meglio, qualcuno che li avesse aiutati economicamente.
Gli accordi erano chiari: Hannah avrebbe tenuto a bada i loro figli e i padroni di casa avrebbero pagato la retta scolastica agli otto fratelli.
Nonostante a Candice non fosse sembrato uno scambio equo accettò lo stesso: non avrebbe potuto mai trovare una fortuna come quella, quindi meglio tenersela stretta quella opportunità.
«Non ti preoccupare, mamma!» esclamò esasperata Candice portando le mani tra i capelli, poggiando i gomiti sul tavolo.
Non ne poteva davvero più, certe volte Hannah era davvero stressante e petulante. Dolce sì, ma quando voleva riusciva a rendere la vita impossibile anche ai propri figli per i sensi di colpa: non era molto presente nella loro vita, quindi cercava in tutti i modi di restargli vicino, diventando forse un po' troppo ossessiva in certi momenti.
Tutti i bambini erano seduti sui due divani presenti nel salone e parlavano delle impressioni sulla nuova vita.
Fu Jenna a prendere l'iniziativa e cominciò col dire che per lei la cosa migliore da fare sarebbe stata ringraziare i padroni di casa con le caramelle. Paul sbuffava annoiato fissando uno dei tanti quadri appesi al muro, mentre Mark, il secondogenito, scrutava il panorama fuori dalla finestra.
«Io ho già trovato degli amici» John interruppe il vociare della logorroica Jenna.
Lo sguardo interrogativo di tutti, Candice compresa, si riversò su di lui, che ora si era alzato in piedi con un sorriso malandrino. Aveva poggiato le braccia sui fianchi, proprio come Louis aveva fatto in precedenza, e cercava palesemente di imitarlo in ogni modo.
«Sì, anche Candy» sorrise alla sorella «si chiamano Louis e Harry» concluse andando ad abbracciare la ragazza.
Lei strinse di rimando il piccolo, dandogli qualche pacca amorevole alla schiena.
«Davvero?» chiese Hannah.
Annuirono entrambi, poi John ricominciò a parlare. «Hanno più o meno l'età di Candy»
La madre rimase compiaciuta, poi si rivolse a Mark interrompendo i suoi momenti di pensiero – cosa che capitava praticamente tutta la giornata.
«Tesoro, potresti farci conoscenza» sembrava più un obbligo che un consiglio. Effettivamente, però, era risaputo che il quindicenne non amasse tanto la compagnia e che volesse rimanere sempre da solo. Era indipendente, certo, ma a volte non usciva dalla propria stanza nemmeno per cenare perché, come li chiamava lui, aveva dei «momenti filosofici». Ma magari fosse stato un genio, non era nemmeno una cima a scuola, figurarsi immaginarlo come un cervellone.
Il ragazzo annuì annoiato e andò di sopra. Non avevano mai capito cosa non andasse in lui.
Hannah sospirò tornando a cucinare qualcosa per tutti mentre il resto della famiglia andò a disfare le valigie. Solo Candice rimase lì con lei per aiutarla.
«Puoi andare in camera, se vuoi» consigliò la madre.
La ragazza si voltò e fece una smorfia. «Dovere»
Erano rari i momenti in cui le donne di famiglia si incontravano per discutere di qualsiasi cosa, e ancor più rari gli abbracci e i consigli che si regalavano l'un l'altra, e Candice non si lasciava sfuggire nemmeno uno di quegli istanti.
«Allora,» cominciò la madre «vi siete già trovati degli amici»
Annuì.
Lo sguardo malizioso che si era appena acceso negli occhi di Hannah la spaventò e non poco. Non era un buon segno.
«Ed hanno la tua età» continuò curiosa.
Candice annuì ancora, poggiandosi con la schiena rivolta verso il lavello. Si vedeva che sua madre non stava nella pelle dal dirle qualcosa che però cercava di nascondere, sperando che sua figlia, pur evitando quel "discorso adolescenziale", le venisse incontro.
Purtroppo i suoi erano pensieri vani.
«Sono carini?» sputò con un sorriso a trentadue denti.
Hannah non si sarebbe mai smentita: parlare di un uomo con lei sarebbe equivalso al discutere della sua bellezza e del suo amore verso le donne, e a Candice questo dava non poco fastidio.
Sua figlia sbuffò arrossendo, non era abituata a parlare di queste cose. Aveva solo letto dei libri in cui si parlava di uomini bellissimi, incantevoli, pieni d'amore, quindi non era preparata psicologicamente ad affrontare parole così grosse per la sua età.
«Mamma» la pregò. Era imbarazzatissima, ma come biasimarla.
«Lo dico solo perché questa è una buona famiglia»
Candice si voltò verso di lei e strabuzzò gli occhi. «Non so nemmeno se lavorano qui o sono i loro figli! Insomma, non si somigliavano nemmeno, non penso fossero fratelli»
La donna davanti a lei scoppiò a ridere portando la mano sulla pancia. Perché, pensò Candice, che ho detto di male?
Tra una risata e l'altra Hannah riuscì a dire «Anche voi non vi somigliate molto, signorina so tutto io» e le diede un buffetto sulla guancia.
La maggiore delle sue figlie detestava ripensare al fatto che appartenessero tutti a padri diversi, non la faceva sentire integrata nella famiglia, la faceva sentire un'estranea. Così stizzita corse verso la sua stanza, ascoltando da lontano le urla di sua madre.
«Non mi hai ancora risposto: sono carini o no?»
Buttandosi sul letto singolo – quello che le sue sorelle avevano lasciato a lei, mentre loro dormivano beatamente in quello matrimoniale – iniziò a pensare ai due ragazzi.
Non si poteva nemmeno dire che fossero diventati amici, quindi non poteva nemmeno pensare al fatto che fossero belli o meno.
Non era come sua madre, lei aveva dei sani principi: dare il suo affetto solo a chi se lo meritava, evitando quelli che le avrebbero fatto perdere tempo e soprattutto lacrime. Era convinta che le lacrime dovessero cadere solo in caso di felicità assoluta.
Ma non poteva negare il fatto che, in chissà quale modo, era rimasta incantata dal sorriso del riccio: appena aveva chiuso gli occhi e poggiato la testa sul cuscino quei denti perfettamente dritti e bianchi le apparvero lasciandola ancora a bocca aperta. così come lo splendore dei suoi occhi verdi che sprizzavano gioia e giovinezza. Ma non lo conosceva, magari non lo avrebbe nemmeno più visto, magari era solo un autista. Magari, però, le avrebbe cambiato la vita.
Dopotutto nei libri un bel sorriso e degli occhi incantevoli erano segno di amore eterno e fedele.

  
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