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Autore: Mary P_Stark    30/09/2012    4 recensioni
Un incubo. O una premonizione. La giovane Brianna, studentessa modello di Glasgow, si sveglia di soprassalto, nel sangue un obbligo insopprimibile. E, nel modo più impensabile, si scontra con una realtà che non avrebbe mai pensato di scoprire. Né di vivere sulla propria pelle. Per Duncan, fiero licantropo e Alfa del suo branco, avviene la stessa cosa e, dal loro incontro, si scateneranno forze che neppure loro immaginano. Il mito di Fenrir, di ancestrale memoria, tornerà per avvolgere nelle sue spire Brianna, facendole comprendere che neppure lei, contrariamente a quanto pensa, è una comune umana. PRIMA PARTE DELLA TRILOGIA DELLA LUNA.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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N.d.A.: avviso ai lettori. Alcune scene sono un po' cruente.



XIX. 


 
 


 

Con mia grande sorpresa – e ammetto, un pizzico di gioia puramente femminile – Sarah giunse da noi, il pomeriggio del novilunio, con un gran fagotto sottobraccio e un sorriso stampato sul volto.
Fiera, mi disse: “Il tuo vestito per l’Iniziazione, wicca.”
Eccitata come una bambina con un giocattolo nuovo, corsi al piano superiore, seguita più lentamente da Sarah, e poggiai sul letto la busta nera contenente l’abito, aprendo poi la zip che nascondeva il suo interno.
Strabiliata, fissai senza parole il lungo vestito di raso nero in essa contenuto e, con dita esitanti, lo sollevai per ammirarlo alla luce del sole pomeridiano, che filtrava dalle imposte aperte.
Il taglio era semplice; lungo e sfiancato, raggiungeva le caviglie, dove si svasava leggermente a formare quasi una calla capovolta.
Senza maniche, aveva spalline leggere intessute con fili d’oro e, sullo scollo a V , uno stupendo ricamo a forma di luna faceva bella mostra di sé, brillando debolmente alla luce del sole.
Stringendomelo al petto, abbracciai fulminea Sarah, prima di chiederle: “Perché questo dono?”
“La wicca deve avere un abito speciale, il giorno della sua Iniziazione al Vigrond. Non avrei mai permesso che tu andassi là in pantaloni e maglietta” mi sorrise Sarah, carezzandomi delicatamente il viso.
Era difficile pensare a lei come Freki, quando era così dolce e tenera.
Mi fece accomodare allo scrittoio e lì, cominciando a spazzolarmi i capelli, sentenziò: “Mi occuperò io di te, oggi.”
“Grazie” le sorrisi deliziata, indirizzandole un’occhiata grata attraverso il riflesso dello specchio.
Lei ricambiò il sorriso, spazzolandomi teneramente la chioma, prima di informarmi su ciò che mi avrebbe aspettato al Vigrond. “Stasera saranno presenti, oltre al Consiglio, i maggiori Mánagarmr di tutto il clan. E’ una serata importante, questa, poiché ora anche noi avremo una wicca che ci consiglierà e veglierà su di noi.”
“Sempre che superi la prova, e Marjorie non mi ammazzi prima” ammiccai, socchiudendo gli occhi.
Mi aveva sempre rilassato molto, farmi pettinare i capelli.
Mi ricordava i momenti in cui mamma lo faceva, ridendo di questo o quell’antefatto, mentre io le spiegavo ciò che mi era successo a scuola.
Sentivo tremendamente la mancanza di quei momenti e stare lì con Sarah, che si prendeva cura di me come se fossi stata una sua figlia, mi fece percepire con ancora maggiore forza la mia perdita.
Avrei voluto averla al mio fianco, quel giorno. Ma così non sarebbe stato.
“Sciocchezze” asserì Sarah, con un piccolo sogghigno. “Non fallirai.”
“Tu hai mai fallito?” le chiesi, non potendo esimermi dal chiederglielo.
“Come Freki?” replicò lei, pacata.
“Sì” annuii io.
“No.”
Una sola parola. No.
O non voleva parlarne, o Sarah sapeva perfettamente il fatto suo.
Mi sorrise con enfasi, sollevando un sopracciglio con ironia.
Ghignando nervosa, le dissi: “Ti diverti alle mie spalle, facendomi tremare di paura, vero?”
“Un po’, lo ammetto” annuì Sarah, prima di posare la spazzola sullo scrittoio e aggiungere: “Ce l’abbiamo nel sangue, Brianna. Non è come nascere Fenrir, ma il nostro capo-clan riconosce subito chi deve detenere quel ruolo. Duncan mi nominò Freki subito dopo… beh, subito dopo la sua investitura.”
Nel dirlo, aveva esitato un momento. Cosa diavolo era successo, quella notte?
“Duncan mi ha detto che è stato eletto sedici anni fa. Il che vuol dire che aveva appena quattordici anni. Connor era davvero così giù di tono da non poter detenere il potere ancora per qualche anno?” mi domandai a voce alta, cercando di arrivare alle mie risposte in maniera indiretta.
“Connor ebbe un infarto piuttosto grave, Brianna. Per questo, si vide costretto ad abdicare dal suo ruolo. Sapevamo tutti perfettamente che Duncan era troppo giovane per prendere le redini del comando, ma Connor preferì così” mi spiegò Sarah, aggrottando la fronte. “Mi chiedo se le cose sarebbero andate diversamente, se Connor non avesse avuto quel cedimento.”
“Un infarto?”esalai sorpresa.
Sarah ammiccò, venendo poi incontro alle mie domande inespresse. “Non moriamo solo a causa dell’argento. E’ vero che non possiamo ammalarci a causa di virus e batteri, - pur se prendiamo anche noi il raffreddore - ma questo non vuol dire che, in età avanzata, il nostro corpo non abbia dei cedimenti come quello umano.”
“Ah” mormorai sconcertata.“Quindi, se ho capito bene, Connor ha abdicato subito dopo l’infarto, eh?” aggiunsi poi, dubbiosa.
“Sì, perché?” mi chiese, vagamente curiosa.
“Non poteva semplicemente delegare parte dei suoi doveri a Sköll, e continuare a detenere la corona fino alla maggiore età di Duncan?” le chiesi, pensando di dire una cosa ovvia.
Sarah mi fissò per un minuto buono come se avessi avuto le corna e la coda, prima di affilare lo sguardo e sentenziare: “A volte mi chiedo se siamo idioti, o se gli agi del mondo moderno hanno rallentato le nostre percezioni.”
“Ah, vedo che hai capito cosa volevo intendere” ammiccai, adombrandomi in viso.
“Purtroppo sì” sospirò Sarah, sedendosi sul letto mentre io mi voltavo a osservarla. “Eravamo tutti così in ansia per le sue condizioni di salute, che non abbiamo minimamente pensato che la sua decisione di abdicare potesse essere frutto di un qualche tipo di macchinazione. Perché avremmo dovuto pensarlo, dopotutto?”
“Un capo debole può attirare l’attenzione dei clan vicini. Uno giovane, pur se inesperto, ma guidato da un Consiglio forte, non avrebbe portato su di sé le mire di Fenrir senza scrupoli, decisi ad allargare i propri territori” ipotizzai, rimuginando su ciò che Sarah mi aveva appena detto. “Duncan ha lasciato una così larga fetta di potere al Consiglio, per questo motivo? Perché era giovane e ancora impreparato al suo ruolo?”
“Non solo” mormorò torva Sarah. “Se ce ne fossimo accorti per tempo, forse… ma ormai non si può ricomporre un uovo rotto.”
Sospirando, le chiesi: “Sarah, puoi dirmi cosa successe, la notte dell’investitura di Duncan?”
Lei mi fissò con i suoi profondi occhi scuri e, scuotendo il capo, disse solo: “Se la quercia sacra vorrà parlartene, sarà lei a farlo. Io devo rispettare il veto.”
“Duncan ha imposto un veto?” esalai, più che mai sorpresa.
“Sì” disse solo lei, lasciandomi con mille dubbi a cui dare una risposta.

***

Ferma ai piedi delle scale, le mani rese umide e scivolose dal nervosismo, mi volsi di scatto non appena sentii scendere Duncan dabbasso.
Basita, spalancai gli occhi per la sorpresa e l’apprezzamento, quando notai come si fosse abbigliato per quella serata così speciale.
Indossava una magnifica camicia di raso color ghiaccio, che scivolava sul suo petto disegnandone morbidamente i muscoli pronunciati.
I pantaloni, in gessato grigio a righe bianche, fasciavano le sue gambe diritte e flessuose, rendendo ancor più armonico ogni suo movimento.
Ai piedi portava scarpe nere e lucide. Nel complesso, insomma, era uno splendore.
Sbattendo più volte le ciglia, esalai: “Beh, che dire… complimenti.”
“Grazie” mormorò.
Apparentemente incapace di distogliere lo sguardo da me, mi squadrò da capo a piedi, forse sorpreso da ciò che vide.
Oltre all’abito portatomi da Sarah, indossavo anche un leggerissimo scialle di impalpabile seta nera a ricami argentei e un girocollo da cui pendeva un’unica, enorme perla a goccia, sempre dono di Sarah.
Di sicuro, non mi aveva mai vista conciata a quel modo.
“Stasera, comunque la stella sarai tu” mormorò roco.
“Ne dubito” ironizzai, riuscendo in qualche modo a sfuggire al suo sguardo.
Passai nervosamente le mani sull’abito, che mi scivolava sul corpo come una seconda pelle, disegnando le mie forme come se non avessi avuto nulla addosso oltre all’aria che mi circondava.
Non ero esattamente a mio agio, ma Sarah mi aveva assicurato che ero bellissima e, poiché avevo percepito la verità nel suo dire, non potevo neppure accusarla di essere una bugiarda.
A volte, non ero del tutto certa che avere quel potere fosse piacevole.
Distogliendomi a quei pensieri con il suo ingresso in grande stile, Jerome si avvicinò a noi con una mano sollevata e un sorriso stampato sul volto sbarbato.
Sorridendo di rimando, lo ammirai nel suo completo total black prima di vederlo sgranare gli occhi e sentirgli dire: “Accidenti a te, Brie. Sei un’autentica bellezza!”
Ridacchiai, divertita dalla sua espressione basita, e replicai: “Anche tu stai molto bene. Sembri un gangster, lo sai?”
Lui ammiccò come un divo degli anni cinquanta e mormorò con voce sensuale, passandosi svogliatamente le unghie sulla camicia: “Tesoro, io lo sono.”
A quel punto risi di gusto – Jerome aveva sempre quell’effetto, su di me – prima di notare lo sguardo leggermente accigliato di Duncan.
Rivolgendosi al cugino, lo minacciò torvo: “Mi raccomando, stasera. Non voglio che arrivi con l’abito strappato, o i capelli pieni di foglie. Sei tu responsabile per lei.”
“Non le succederà nulla, Duncan. So correre anch’io attraverso i boschi senza fare danni” sorrise bonario Jerome, prendendomi per mano per poi aggiungere: “Il punto è che preferirei andare da un’altra parte, stasera, invece che a quella noiosa pagliacciata.”
Io socchiusi le palpebre, abbellite da ombretto dorato, e mugugnai: “Come ti capisco, Jerome.”
Duncan non si divertì affatto, però, e richiamò all’ordine il cugino dicendo seccamente: “Ora basta. La faccenda è seria, e come tale va gestita. Vai, e vedi di non fare confusione.”
“Signorsì, comandante!” esclamò Jerome, del tutto intenzionato a non lasciarsi scoraggiare dallo sguardo uggioso del cugino. “Vieni, mia bella signora di nero vestita.”
Io mi volsi a salutare Duncan, solo per scoprire che il suo sguardo era fisso sul cugino con un livore tale che, per un momento, temetti di vederlo balzare contro di lui per azzannarlo. Me ne chiesi il motivo.
Subito dopo, non appena sentì su di sé il mio sguardo, si calmò e sorrise, carezzandomi una guancia.
“Non badare alle sue sciocchezze, e non essere in ansia. Non succederà nulla, poiché tu sei pronta e noi saremo al tuo fianco per spalleggiarti.”
“Lo spero” mormorai, sfiorando la mano poggiata sulla mia guancia prima di allontanarmi assieme a Jerome.
L’oscurità quieta della notte ci avvolse con il suo mantello e, lasciandomi prendere in braccio da Jerome, gli avvolsi il collo con le braccia e dissi: “Conducimi verso il mio destino, allora.”
“Come comandi” assentì, cominciando a correre in direzione del bosco, leggero come il vento e altrettanto veloce.
Come Duncan, anche Jerome sapeva muoversi con l’agilità di una pantera e la stessa grazia ferina – se avessero saputo che li paragonavo a grossi gattoni, probabilmente avrei passato un brutto quarto d’ora.
L’effetto, comunque, rimaneva quello.
Scivolammo nel bosco come ombre evanescenti, attraversandolo abbastanza velocemente da non permettermi di riconoscere nulla attorno a me, nonostante un debole bagliore illuminasse ogni cosa.
Sapevo cos’era. L’energia sprigionata dalle creature viventi, che io potevo scorgere come baluginii spettrali simili alla bioluminescenza delle lucciole nella notte.
Mi accontentai di percepire quella forza indistinta che mi avvolgeva come una coperta, dandomi calore e conforto.
Senza badare alla direzione presa da Jerome, ascoltai i rumori del bosco e le voci dei suoi abitanti, consapevoli che, quella notte, avrebbero dovuto tenersi ben alla larga dall’enorme quercia secolare che cresceva nel centro della foresta.
Non appena fummo in prossimità del Vigrond, Jerome si fermò e, posandomi a terra, sussurrò: “Se percepisci anche per un solo momento che qualcosa non va, fermati. Il potere della quercia è enorme, e voglio che non ti succeda nulla.”
Gli sorrisi, lieta del suo interessamento e, rivolta a quel viso in ombra che a malapena riuscivo a scorgere, mormorai: “Non aver paura per me. La sento.”
“Come?” esalò lui, sorpreso.
Non appena i miei piedi avevano sfiorato il sottobosco spugnoso e ricco di vita – avevo preferito non indossare le scarpe, per poter avere un contatto diretto con la terra –, l’energia vitale della quercia mi aveva raggiunto e aveva avvolto la mia mente in un coro di voci e suoni, simili all’eufonica armonia di un’orchestra perfettamente accordata.
Flauti e viole si fondevano a ottoni e pianoforte, il tutto mescolato a voci vecchie di secoli, che mi diedero il benvenuto nel luogo in cui vita e morte si mescolavano in un tutt’uno.
Lì, le memorie di coloro che furono erano in contatto con coloro che ancora camminavano sulla Terra, uniti da un’unica discendenza e da un unico scopo.
Camminai sul fogliame, sapendo perfettamente dove andare nonostante non vedessi a un palmo dal naso.
Solo i contorni indistinti delle piante mi erano chiari, grazie all'energia residua che ne tingeva le forme con sfumature dorate.
Jerome, accanto a me, mi teneva per mano senza dovermi guidare, io già protesa ad ascoltare il vociare sommesso della quercia che, come un’enorme presenza vitale all’interno del bosco, mi chiamava a sé per conoscermi.
“E’ immane, la forza che porta con sé da secoli” sussurrai ammirata.
“Percepisci il suo respiro?” mi chiese Jerome, la voce eccitata.
“Sì” sussurrai, estasiata e incapace di esprimere a parole ciò che stavo provando in quel momento.
Il suono era più forte, ora, e i contorni di un’enorme quercia dalla chioma a ombrello si aprirono di fronte a me ,con toni dell’amaranto e del rame.
Pulsava di vita e, nel contempo, in essa scorrevano ricordi vecchi di secoli, forse millenni, di gente appartenente al mondo dei morti da prima che io avessi esalato il mio primo vagito in questo mondo.
Avvertii vagamente la presenza di altri licantropi intorno a me, tutti raggruppati nell’enorme radura che si estendeva di fronte alla quercia sacra del Vigrond.
Scrutandoli e percependo le loro auree come fari nella notte, commentai: “Un bel gruppetto, eh?”
“Non averne paura” asserì Jerome, prima di indirizzarmi verso Duncan e Lance, giunti prima di noi.
Lance, per quella sera, aveva indossato una camicia scura – non avrei saputo dire il colore esatto – e pantaloni in tinta e, a braccia conserte e con lo sguardo cupo, fissava la folla di licantropi come se fosse stato pronto a dar battaglia al minimo segnale di nervosismo.
Hati era lì per uccidere, quella sera, qualora ve ne fosse stato bisogno.
Li salutai con un cenno, prima di rendermi conto che anche gli altri licantropi erano riccamente abbigliati.
Ergo, era una cerimonia diversa dal solito, visto che nessuno era in forma animale.
Duncan mi fissò per un momento, avanzando poi di un passo per esclamare a gran voce: “Come promesso al Consiglio, la nostra ospite si è presentata qui per renderci partecipi dei suoi doni! Spero che, dopo questo assaggio del suo potere, la faida che avete scatenato contro di lei svanirà come neve al sole.”
Tra la folla di presenti, oltre ovviamente a Connor e Sheoban, scorsi anche Marjorie.
Pur non potendo più presiedere alle sedute del Consiglio, era comunque una delle Mánagarmr più potenti della zona, quindi non avrebbe mai potuto mancare a un evento simile, forse desiderosa di essere presente alla mia sconfitta.
Con mio sommo sgomento, notai quanto fosse elegante e maledettamente bella, nel suo lungo e succinto abito di taffetà bianco, più simile a un’esile camicia da notte che ad altro.
 Provai un profondo senso di inadeguatezza, quando la guardai.
Duncan, però, non la degnò neppure di un’occhiata.
Marjorie rispose a quella totale mancanza di interesse, avanzando di un passo e mettendosi in mostra dinanzi a tutti per replicare ironica: “Dubito fortemente che quella ragazzina sia in grado di toccare la quercia senza morirne ma, se tu sei deciso a ucciderla di tua mano, fai pure, Fenrir. Assisteremo alla sua morte con piacere.”
Duncan assottigliò le palpebre, fissandola rabbiosamente, prima di sibilare: “Non ti è stato chiesto alcun parere, Marjorie. Non costringermi a bandirti anche dal Vigrond.”
Un mormorio di voci sorprese si diffuse tra i presenti – forse non aveva esattamente pubblicizzato la sua uscita dal Consiglio – e Marjorie, avanzando di un passo verso di noi, lo sguardo cinico e sprezzante, aggiunse: “Ti comporti da dittatore, da quando questa ragazzina è giunta tra noi. Mi viene il sospetto che sia lei a muovere i fili del nostro grande Fenrir, non tu stesso.”
Le voci si fecero indignate, mentre Jerome e Lance si facevano nervosi alle mie spalle, e il viso di Duncan si tingeva d’ira a stento repressa.
Marjorie sorrise soddisfatta, forse lieta di aver fatto innervosire il suo Fenrir.
A quel punto, la affrontai verbalmente, rispondendo alla sua tirata con una certa acredine: “Certo che, a dare aria alla bocca, sei davvero brava.”
“Tu, piccola…” ringhiò lei, avvicinandosi di un ulteriore passo e puntando direttamente verso di me.
Io indietreggiai, lesta, per raggiungere la quercia senza mai perdere il contatto visivo con lei e, con voce resa roca dalla rabbia che anch’io provavo, asserii senza mezzi termini: “Mi volevate immolare come agnello sacrificale, al solo scopo di dimostrare che il vostro Fenrir aveva commesso un errore. Beh, in errore siete voi!”
Detto ciò, poggiai una mano sulla nodosa corteccia della quercia, sprigionando il mio potere e lasciando che quello del Vigrond mi invadesse.
Cori sorpresi e volti sgomenti si aprirono tra i licantropi presenti, non appena il mio corpo e quello della quercia si illuminarono come stelle.
Io stessa avrei voluto gridare di paura e sconcerto, quando vidi me stessa splendere come se avessi preso fuoco.
A quel punto, però, ero troppo concentrata sull’enorme quantità di dati che, la quercia, stava riversando dentro di me come un fiume in piena.
Non potei certo badare allo stupore generale, né alla faccia sconvolta di Marjorie che, pian piano, si tinse di furore cieco, alterando i bellissimi tratti del suo viso.
Sprigionando il mio potere, avevo reso noto a tutti anche il mio patto di sangue con Duncan, e  questo la rese letale come un cobra aizzato contro la preda.
Riuscii a percepire con chiarezza l’aura latente di Duncan venire sprigionata dal mio stesso corpo, segno inequivocabile di ciò che io e Fenrir avevamo condiviso.
Sotto i miei occhi terrorizzati, vidi Marjorie farsi sempre più scura in volto finché il suo corpo perfetto cambiò, mutando in qualcosa che non avevo mai visto, se non nei film dell’orrore.
Sgomenta, la guardai mentre sollevava una mano artigliata, in parte coperta dal pelo rossiccio del lupo che era in lei.
Come una furia, si lanciò verso di me gridando: “Ti ha dato il suo sangue, maledetta!”
Incapace di muovermi, immobilizzata com’ero dal potere della quercia sacra, fissai i suoi artigli avvicinarsi pericolosamente a me, mentre tutt’intorno a noi la confusione regnava sovrana, di fronte al gesto insensato di Marjorie.
Fu Duncan a muoversi per primo, impedendole di colpirmi.
Utilizzando la stessa tecnica di Marjorie, mutò unicamente la parte superiore del corpo in quella creatura che non era né lupo né uomo e, con la mano piegata ad artiglio, la intercettò bloccandola al collo.
Senza difficoltà alcuna, la sollevò di peso, incurante del suo scalciare convulso.
Forse mi urlarono qualcosa, ma non seppi dirlo con certezza; il mio corpo era interamente avvolto dal potere del Vigrond.
Esso mi teneva avvinghiata a sé, e solo gli occhi erano liberi di scorgere impotenti ciò che avveniva intorno a me.
Duncan gridò qualcosa a Marjorie, il viso ancora distorto dalla rabbia, prima che lui le squarciasse la gola con gli artigli, lasciandola poi ricadere a terra grondante di sangue.
Rantoli convulsi si espansero intorno a tutti noi, ammorbando l’aria mentre il mio sguardo rimaneva avvinghiato a lei, immersa in un lago di denso liquido scarlatto.
Il suo sangue.
Quella vista mi fece raggiungere un luogo simile, nei reconditi anfratti della memoria della quercia e, quando vidi quelle scene di lotta cruenta, urlai.
Urlai così forte che ogni volto presente al Vigrond si volse verso di me, mentre io mi ripiegavo su me stessa, graffiandomi viso e braccia nel vano tentativo di cancellare quelle immagini spettrali, inondate di sangue fresco e lucente.
Alcune voci si affollarono intorno a me, mentre mani calde mi bloccavano, ormai del tutto incapace di comprendere cosa stesse succedendo.
Solo quell’incubo a occhi aperti aveva senso. Null’altro.
Sentii vagamente la voce di Duncan, ma non seppi dire se apparteneva alla realtà o all’incubo che stavo vivendo quando, finalmente, persi conoscenza.

***

“… non ti permetterò di farlo!” gridò una voce, facendosi strada nel mio subconscio malandato.
“Sono un dottore, Duncan, e non mi interessa un accidente se tu non vuoi lasciarmelo fare! Ha bisogno di tutto il calore possibile, e non del nostro potere. Altra energia psichica la ucciderà!” ringhiò l’altra voce, più vicina a me.
Un grugnito, una porta sbattuta con violenza e un sospiro.
Un fruscio di acqua. Vapore. Caldo.
Sì, avevo bisogno di caldo. Sentivo ghiaccio attorno a me. Ghiaccio e morte. E sangue rappreso. Il suo tanfo dolciastro mi invadeva le nari, inondandomi di ribrezzo.
“Cerca di calmarlo, prima che butti giù la casa con noi dentro” disse la voce, ora stanca e roca, mentre un getto di acqua bollente mi colpiva. Sospirai, forse.
“Sarebbe come cercare di impedire al sole di sorgere. Hai visto com’era ridotto, no?” replicò una terza voce, tesa come una corda di violino.
“Vai, ora. Non voglio che si senta in imbarazzo più di così.”
Una porta venne aperta e richiusa con delicatezza. Altra acqua. E nuovamente l’oblio.

***

Vagavo senza meta in un limbo freddo e cupo, circondata da qualcosa di simile a una foresta priva di vita.
Gli alberi scheletrici la facevano da padrone, e un sottobosco di foglie secche - in procinto di polverizzarsi - scricchiolava macabro a ogni mio passo.
Non sapevo dove mi trovavo, ma osservai avida ciò che si trovava intorno a me, quasi fosse un obbligo.
All’improvviso il vuoto, un grido – forse il mio – e nuovamente una foresta, stavolta rigogliosa e ricca di vita,… e una casa.
La riconobbi. Era quella di Duncan, solo priva della stalla.
Mi avvicinai, desiderosa di capire cosa stesse succedendo e, affacciandomi curiosa alla finestra che dava sul salotto, vidi una graziosa bimba di circa dieci anni intenta a giocare con le bambole.
Il viso era paffuto, circondato da boccoli scuri come pece e due occhi smeraldini brillavano sereni su quel volto angelico.
Con un brivido, rammentai altri occhi in tutto simili a quelli. Duncan.
Sbalordita, fissai la bambina festante fin quando, una donna elegante e bella, entrò nella stanza, la baciò sul capo e le disse dolcemente: “La mia Hope… vuoi venire con la mamma a fare spesa?”
La bimba annuì prima che l’immagine svanisse, lasciandomi stordita e fredda.
Un letto… no, un sudario. E il volto cinereo della bimba, di Hope. Cori di disperazione, pianti. Lutto feroce.
Di lei potevo scorgere solo il viso, perfetto nella morte, ma tutto ciò che prudentemente – e misericordiosamente – era stato coperto con un telo di lino scuro, era informe, del tutto irriconoscibile. Cosa le era successo?!
Mi scostai, inorridita dalla sua sorte, prima di venire inghiottita dal vuoto, ritrovandomi distesa in quello stesso salotto, le voci di tre bimbi che giocavano con alcune macchinine, incapaci di vedermi.
Non me ne stupii; ormai avevo capito, più o meno, cosa mi stava succedendo.
Stavo percorrendo i  ricordi della quercia, solo non sapevo in che ordine temporale.
Mi misi seduta, intenta a osservare i tre bimbi giocare. Uno aveva boccoli biondo oro, tagliati appena sopra le orecchie, mentre gli altri due, apparentemente più piccoli, erano mori e molto simili tra loro.
Un singhiozzo mi salì alla gola. Lance, Duncan e Jerome!
Impulsivamente, mi mossi verso di loro, pur sapendo che non avrei potuto toccarli, quando mi ritrovai ad affondare letteralmente dentro le loro anime pure e incontaminate di bambini.
Percepii un calore improvviso, dopo tutto quel freddo glaciale, e compresi.
Capii che quel riconoscimento istantaneo, quella sensazione di dejà-vu era dovuta al fatto che, effettivamente, io e loro ci eravamo già incontrati, le nostre anime si erano già toccate, accettandosi reciprocamente.
Quando uscii dai loro corpi, invasa da una sensazione d’amore dilagante per loro, li vidi confusi, mentre si guardavano l’un l’altro turbati, solo vagamente consapevoli di quel che era successo.
Fu a quel punto che, la donna del ricordo precedente, apparve nel sogno a occhi aperti che stavo vivendo, chiamando Duncan e ricevendo come risposta un ‘sì, mamma?’.
Madre. Lei. Era. Sua. Madre.
Dio. Quella bimba morta che avevo visto poco prima, era sua sorella!
Contrariamente alla scena precedente, non vidi amore negli occhi della donna, solo aspettativa, e urgenza.
Un’urgenza quasi volgare, che mi spinse a chiedermi il perché di quel comportamento.
Quando percepii che il vuoto era pronto a riavvolgermi tra le sue spire di morte, urlai i loro nomi, scorgendo i loro volti volgersi verso di me in risposta al mio richiamo.
Sorrisi, prima di svanire nuovamente nell’oblio.
Man mano che scivolavo attraverso la memoria secolare della quercia, vidi corpi e ceneri di licantropi sepolti nella terra sacra del Vigrond, percepii le loro anime svincolarsi dai legami con la materia mortale cui erano state legate con il primo alito di vita, e le vidi tornare alla Madre come una miriade di corpi pulsanti come stelle.
A ogni morte, si creavano nuove anime. A ogni nuova nascita, un’anima riempiva di vita il corpo ospite, in un ciclo senza fine.
Sorrisi, nel comprendere che tutti noi non eravamo altro che anime destinate a corpi mortali solo per un breve lasso di tempo e che, rinascita dopo rinascita, tornavamo a nuova vita grazie alla Madre.
Capii anche che il mio spirito, già appartenuto al branco di Duncan, aveva preso contatto con quelli dei tre Gerarchi prima ancora di rinascere in forma umana, scegliendo e lasciandomi scegliere da loro per creare un legame più forte del tempo e dello spazio.
Avevamo accettato di unirci prima ancora della mia nascita, legati dal profondo amore che l’anima - che ora mi dava vita - aveva provato per quegli spiriti, tanto da spingerla a ritrovare il suo antico retaggio.
Un altro balzo, stavolta più violento dei precedenti, e vidi il Vigrond, un giovane trio di ragazzi fermi in mezzo alla radura.
Erano circondati da un Connor sofferente, una Sheoban sorniona e ferocemente soddisfatta, oltre a un uomo e una donna irritati e combattivi. I genitori di Duncan.
Urla si levarono tra i contendenti, mentre un giovane Duncan osservava ai limiti della vergogna i propri genitori, mentre offendevano il neonato Consiglio e Fenrir con le loro pretese insensate.
Vidi Connor levare una mano per difendersi dall’attacco proditorio del padre di Duncan che, senza alcun preavviso, si scagliò contro di lui sotto gli sguardi attoniti del Consiglio.
Duncan urlò, Lance lo bloccò e Jerome si strinse a loro, piccolo bimbo di dieci anni gettato nel mezzo di un’arena in cui la vita e la morte ballavano a braccetto.
Sangue, artigli e zanne.
Tutto questo si fuse insieme, in una danza di spettri cui dovetti fare da spettatrice silenziosa, desiderosa di comprendere ma attonita di fronte a tanta violenza.
 E così seppi.
Seppi dell’odio covato nel cuore di Duncan nei confronti della sua famiglia, che aveva cercato di spodestare il ruolo del neonato Consiglio e di Fenrir stesso per ergersi al di sopra di tutti, sperando a quel modo di governare sul clan tramite il figlio.
Seppi dell’uccisione dei coniugi McKalister, divorati dal branco perché non ritenuti degni di essere sepolti nell’abbraccio della Madre.
Seppi del dolore di Duncan, nato solo per permettere ai genitori di portare avanti il segreto - quanto impossibile - desiderio di guidare i licantropi attraverso di lui.
Poiché la primogenita era morta durante il Cambiamento, prima di poter loro permettere questo, avevano puntato tutto su Duncan.
Seppi così anche dell’orrendo, quanto diabolico, patto con cui Sheoban incatenò Duncan al Consiglio, impedendogli di fatto di essere Fenrir a tutti gli effetti.
Legandolo a loro con l’onta dei genitori a gravare sulle sue giovani spalle, lo destinarono a un futuro di sacrifici, vittima ultima di una follia cui non era stato attore principale, ma solo spettatore innocente, e di cui avrebbe portato le catene giorno dopo giorno.
La rabbia che provai nei confronti di Sheoban per quello che aveva fatto a Duncan, per quello che i suoi genitori gli avevano fatto, mi ricondusse a galla, lontana dal freddo di quei luoghi, più vicina alla luce… alla vita.
Scorsi altri blandi ricordi di vecchie wiccan, dei loro grimori e delle Parole del Potere, ma non vi badai.
Io agognavo a raggiungere la luce che scorgevo sopra di me.
E fu così che riaprii gli occhi. 



_______________________________
N.d.A.: finalmente anche il passato di Duncan è stato svelato e, con esso, i motivi per cui è così legato al Consiglio e al Branco. Da uno a dieci, quanto siete arrivati/e a odiare Sheoban? ;)
Grazie a tutti coloro che hanno letto!

  
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