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Autore: Human Skeleton    30/09/2012    0 recensioni
Secondo libro della saga di Eveline. Nathan ormai conduce una normale vita umana. Ha una moglie. Una figlia. Ma Eveline riuscirà a stare lontana da lui? E quale oscuro segreto nasconde sua figlia?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Dove mi trovo? Mi trovo nel mio incubo peggiore. Dove mi trovo? Mi trovo in un posto che odora di Morte. Dove mi trovo? Mi trovo in un giardino dove le camelie sono colorate con il sangue. Si. Ho capito dove mi trovo. Sono in un giardino d'inverno. 
 

La mia vista era sfuocata come se ci fosse una nebbia leggera che mi copriva l'iride. Era un sogno. Ma ero cosciente. Durante i miei sogni ero  consapevole di quello che facevo. Ma non ero responsabile di quello che facevo. Io ero guidata da qualcun'altro. Ero come un burattino. Occhi inanimati. Pelle bianco latte. Anima vuota. 
 

Mi voltai. E la vidi. Quella donna. Era così simile a me. Occhi color ambra. Capelli color caramello. Ma i suoi occhi non erano vuoti come i miei. No. I suoi occhi erano pieni di lacrime. Lacrime di dolore. Lacrime di terrore. Lacrime che le ricoprivano il viso bianco dalla paura. 
 

Dietro di me sentii dei passi. Avevo paura. Paura di chi avrei potuto vedere se mi fossi girata. Ma in quel momento io non ero io. In quel momento era come se io vedessi questa strana scena da lontano. In un posto sicuro. Sotto le calde coperte di seta del mio letto. Ma io ero lì. E non potevo andarmene. Non volevo.
 

Guardando più attentamente attorno a me notai che la donna era legata con una spessa corda che odorava del sangue ormai rappreso della vittima. La corda legava la donna ad un tavolino in mettalo dipinto di bianco. 
 

I passi dietro di me si fecero sempre più forti. Lui si stava avvicinando. D'istinto mi spostai. Ero terrorizzata. Quando mi voltai per guardarlo soffocai un urlo. Il suo viso era completamente vuoto. Niente occhi. Niente bocca. Niente naso. In nessun modo avrei potuto riconoscere l'anima che era nascosta dietro quel viso vuoto. 
 

L'uomo prese il pugnale che aveva appoggiato sul corpo legato della vittima. Appoggiò la fredda e lucida punta di metallo sul petto della povera ragazza. No. No, ti prego non farlo. Non posso guardare. Ma devo. C'é qualcosa che me lo impedisce. Cercavo di urlare. Ma non ci riuscivo. 
 

L'uomo infilzò il pugnale nel petto della donna trafiggendole il cuore. L'organo non smise di battere. Nemmeno quando l'uomo lo tirò fuori dalla cassa toracica. Le sue mani si ricoprirono interamente di sangue mentre il cuore si spegneva lentamente.
 

Intanto sentii che c'era qualcosa che mi faceva una leggere pressione sulla spalla. Mi voltai. Sulla mia spalla destra c'era una colomba. O era un corvo? No. Ne ero sicura. Era una colomba. Ma non era bianca. Era una colomba nera. Nera come la notte. La luna giocava con le sue piume colorandole con dei riflessi dorati. La colomba sembrò quasi infastida dal fatto che non mi muovevo. Dalla mia immobilità. Spiegò le sue ali. Erano enormi. Sembravano così grandi. Pensavo che il povero uccello sarebbe caduto con tutto quel peso se avesse provato a spiccare il volo. Ma non fu così. L'uccello volò fino alla lama. 
 

La lama? Guardai le mie mani. Tra le mie dita. Le mie dita stringevano il lungo e spesso manico di legno d'ulivo che terminava con la lama. La stessa lama di 10 anni fa. La stessa lama che 10 anni fa mi aveva ferita. La stessa lama che 10 anni fa mi aveva cambiata.
 

Alzai la falce verso il cielo. E la colpii. Avevo colpito un'arteria in modo che avrebbe smesso di urlare e gemere e implorare pietà e chiedere aiuto. Dopo. Solo il silenzio. Il mio viso come le mie mani era ricoperto da sangue arterioso. Rosso. Denso. 
 

Oh mio Dio. Che cosa avevo fatto? Ancora una volta non ero stata io a muovermi. Qualcun'altro l'aveva fatto per me. Ma forse era meglio così. In fondo se non l'avessi uccisa definitivamente quella povera ragazza sarebbe morta in agonia tra pianti e urla. E invece no. Un colpo secco. Diretto. 
 

Che l'ha portata... dove l'avrà portata? L'avrà trasformata in una stella lucente la sua bianca pelle.... in una goccia di rugiada l'ambra che racchiudevano i suoi occhi... In caramello filante le sue ciocche dorate. 
 

Vidi che la colomba aveva appoggiato il fine becco sul petto della giovane donna. Sembrava che avesse appoggiato qualcosa. Quando la colomba volò via Evy lo vide: Un ramo d'ulivo. 

Evy sentì una fitta sul petto che diventava sempre più forte. La sua vista invece di offuscarsi ancora di più di quanto già non lo fosse divenne sempre più chiara e particolareggiata...
 

... Evy aprì gli occhi. Finalmente riusciva ad urlare. Ora non aveva più paura. Era nella sua calda e sicura camera da letto. Sotto le sue calde lenzuola di seta. Ma aveva ancora molto da dire. 
 

Doveva tirare fuori tutto quello che nel suo sogno non riusciva nemmeno a pensare. Ma lì poteva. Lì era lei a dettare le regole. E nessun'altro. Non ebbe più la sensazione di essersi tramutata in un burattino guidato dalle mani di un pazzo.
 

Sì. Un pazzo. Perché quello che il suo burattinaio le aveva appena ordinato di fare era degno solo della mente assurda di un pazzo. O di un serial killer. Evy pensò a quanto una persona potesse spingere la sua mente fino a farla diventare contorta. Fino a farle fare quello che aveva appena fatto. 
 

Le scappò un sorriso. Pensò che fosse un riflesso diretto dovuto dal sogno. Un tic. Ma sapeva benissimo che non era così. Quel sorriso non era un sorriso nervoso dovuto allo shock. Era un sorriso di ammirazione. Ammirazione nei confronti di quel pazzo che aveva avuto la macabra idea di uccidere. Una cosa semplice. 
 

Tutti parlano, pensano ed esprimono la morte come un atto di scatenata rabbia, paura, tristezza. Ma lei si sentiva diversa. Lei non la pensava come tutti. Lei non era tutti. Lei non era come tutti. Lei era diversa. 
 

Fin da piccola era sempre stata affascinata dal rumore, dall'odore e dalla consistenza della Morte. Per questo in molti la consideravano strana. Ma a lei tutto questo sembrava al contrario così normale. Lei non capiva il punto di vista del resto del mondo. Per il semplice fatto che percepiva la Morte come una cosa buona.
 

In fondo che cosa c'é di più bello del fatto di non essere più legate ad una vita terrena, priva di qualsiasi piacere che invece puoi trovare solo dopo la Morte? 
 

In tutti questi anni però, Evy aveva deciso che la cosa da fare era solo una: fingere. Fingere di odiare la Morte. Fingere di amare la vita. Fingere di amare le piccole e piccole cose della vita. Sì. Lei lo sapeva. Sapeva che l'unica cosa grande che sarebbe stata capace di regalargli la felicità sarebbe stato un eternità di tranquillità. niente responsabilità. Niente problemi. Niente complicazioni. 
 

Ma crescendo ormai anche lei si era accorta che tutto questo non poteva essere normale. E così continuò a fingere. Fino al punto che la finzione sostituì la realtà. Lei aveva paura di se stessa. 
 

Evy si alzò di corsa e guardò sotto il letto. Prese il cofanetto e lo aprì. Tolse il doppio fondo. Oh no. Era accaduto di nuovo. 
 

Evy vide che tra le piume ce n'era una diversa. La piuma si era colorata di nero come le piume della colomba del suo sogno. Ma c'era qualcos'atro. La piuma odorava di sangue. Lo stesso odore di sangue rappreso che aveva sentito nel suo sogno. Le gocce si unirono in una vorticosa danza confusionaria che per poco non fece svenire Evy. Si fermarono. Evy rilassò gli occhi strizzati dalla paura. Le gocce si erano unite a formare un nome: Claire Mills.

Evy non aveva mai sentito quel nome in vita sua. Ma sapeva benissimo chi era. Era la sua vittima. 
 

Dopo essersi preparata Evy scese al piano inferiore e corse in cucina per fare colazione. Era già in ritardo doveva fare maledettamente in fretta. "Ciao, tesoro." "Ciao mamma, ciao papà." 

Papà mi fece un leggero sorriso e un cenno con la mano mentre anche lui come me si stava strafogando per non arrivare tardi al lavoro. "Tale padre, tale figlia." 
 

Io e mio papà ci guardammo ridendo sotto i baffi di capuccino caldo, appena fatto. "Tesoro, quante volte ti ho detto che devi svegliarti prima altrimenti ti devi strafogare per arrivare in classe in tempo evitando di essere richiamata?"
 

Papà mi guardò e soffocò un risolino. O forse si stava realmente soffocando con la brioche. "Guarda, che questo vale anche per te, non pensare di essere immune a queste ramanzine solo perché sei mio marito, Nathan!" Io ricambiai la risata guardandolo con aria buffa di disapprovazione per prendere in giro la mamma.
 

Purtroppo lei non aveva ancora capito che io ero ormai maggiorenne e che non ero più una bambina, un pulcino sotto la sua ala protettrice. A volte si scordava addirittura che papà fosse suo marito e lo trattava come un figlio. 
 

Mio padre prese il giornale. "Ma non eri già in ritardo?" "Non si é mai abbastanza in ritardo per non leggere delle atroci notizie di cronaca la mattina che ti attacano il buon umore, no?" Mio padre che cerca di fare il sarcastico. Come al solito. E' inutile tanto non ci riesci, gli dico io con gli occhi. Ma lui continua a tentarci. E continua a caderci. 
 

Tutto d'un tratto vidi che il viso di Nathan divenne cupo e preoccupato. "Pà, stai bene?" Rispose in modo evasivo. "Eh? Ah si, si sto bene..." Io gli rubai il giornale dalle mani che con tutta la forza che ci avevo messo avrebbe potuto strapparsi. "Stai attenta!" 
 

Lessi. Oh no. No, ti prego. E' successo ancora. Era inevitabile. Succedeva tutte le volte. Come poteva sperare che questa volta sarebbe stato diverso? No, nel suo vocabolario la parola speranza non poteva esserci nemmeno nei suoi sogni. per non parlare dell'ombra dell'incubo che la seguiva nel risveglio. Nella consapevolezza che era successo. Che non era solo un sogno. 
 

"E' successo ancora. Evy ho molta paura per te, Tesoro. Ormai la polizia ha deciso che questo assassino doveva rientrare nella lista dei serial killer. Incredibile... lo sai come l'hanno soprannominato? L'Aiutante di Satana. Assurdo." 
 

All'unisono, io e Nathan, Guardammo il riflesso del mio viso nella lucida conca del cucchiaio d'acciaio in mezzo alla tavola. 
 

"Le sue vittime hanno più o meno la tua età. Hanno gli occhi color ambra e i capelli color caramello. Evy lo so che per te é importante uscire e divertirti con i tuoi amici ma voglio che tu stia attenta perché ho molta paura per te, usignolo. Tu corrispondi all'identikit delle vittime di questo assassino e io... Io ho paura. Non voglio perderti." Mi accorsi che negli occhi di mio padre si stava facendo strada una strana lucentezza. Erano lacrime. Lacrime miste a paura. "Papà non ti preoccupare... andrà tutto bene." 
 

Io ero tranquilla. Sapevo che almeno sarei morta sognando un'altra me che mi finiva. Se devi fare bene una cosa allora é meglio che la fai da te.
 

Nathan si calmò. Si fidava di Evy. Ed era anche stranamente fiducioso sul fatto che non le sarebbe accaduto niente di male. Nathan cadde nei suoi pensieri.

Capelli caramello... Occhi ambrati... I suoi capelli lisci come la seta e color cioccolato... i suoi occhi ambrati e le sue labbra sottili e perfette... tutto in quella donna mi ricordava la mia dea: Eveline. 

Quando arrivai a scuola corsi ad abbracciare Kyle. Kyle é il mio migliore amico. E' la persona di cui mi fido di più al mondo che non sarebbe mai capace di tradirmi. Per questo motivo gli ho raccontato il mio segreto. Lui non mi giudica. Bhé... lui nemmeno ci crede, veramente. In realtà fa finta di crederci ed essere interessato ma lo so che lo fa solo perché mi vuole bene. Anche se ogni volta che tirò fuori questo discorso lui é molto evasivo... sembra quasi che abbia paura. Ma di cosa?
 

Oh no. No. Lui ha paura di me. Lui ha paura di me di quello che gli raccontò, di... "Come posso aver paura di te, Evy?" 
 

Mi voltai. Lo vidi. Kyle. Kyle e i suoi occhi color mare calmo. Kyle e i suoi capelli color cioccolato. Kyle e il suo fisico scolpito. Kyle e il suo sorriso perfetto. Kyle e...
 

"Evy? Evy? Ci sei?" "Eh? Ah, si, si ci sono. Ascolta io..." "Si, si lo so. L'ho letto oggi sul giornale. Ma tu come stai? stai bene?" Che dolce. Si preoccupa. Almeno non ha paura. Almeno credo. "Chiariamo subito una cosa. Io non ho paura di te. L'unica cosa che posso fare é ascoltarti e se questo ti fa stare bene allora son disposto anche a crederci..." 
 

Mi buttai. Lo abbracciai. Piangendo. Ero stanca. L'unica persona che ha paura. Che non vuole che i suoi sogni si tramutino in realtà. 
 

Kyle mi strinse a sé. "Forza. Oggi ci prendiamo un giorno libero."
 

Tornai a casa. Io e Evy avevamo passato tutta la mattinata a fare avanti e indietro dalla panchina del parco a Starbucks. Non so quanti caffé avevamo bevuto. Ma almeno evitavamo di parlare troppo. Le parole rovinano sempre tutto.
 

Abbiamo parlato poco. Abbiamo parlato poco perché sapevamo che il discorso che ne sarebbe scaturito non sarebbe stato affatto piacevole. I suo sogni. 
 

Kyle si avvicinò al tavolo in legno di ciliegio situato in mezzo alla buia e fredda stanza dello scantinato. 
 

Prese uno straccio bagnato e pulì il sangue rappreso che si era depositato sul pugnale.

Cazzo. Era pregiato. E ora era completamente sporco e l'odore di sangue rappreso non sarebbe andato via facilmente. "Oh Evy... non bisogna mai avere paura di ciò che si é."

 

   
 
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