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Autore: Jane Ale    01/10/2012    2 recensioni
[Prima storia della serie "Il ciclo di Caterina", ma può essere letta indipendentemente dalle altre storie.]
Caterina e Alessandro sono migliori amici, eppure non riescono ad andare d'accordo per più di qualche minuto. Ma poi Caterina capisce di essere innamorata di Alessandro e tutto si complica. Perché lui è stronzo, ma non ne è consapevole; lei, invece, è isterica, ma non sa come smettere.
Il solito vecchio cliché? Probabilmente (no).
Dalla storia:
-L'avevo capito. Di piacerti, intendo.-
Annuii. -Era piuttosto evidente.-
Si passò le mani sul viso, poi mi fissò di nuovo. -Cate, io mi sento molto attratto da te, non posso negarlo..-
A quelle parole avvampai, ma cercai di restare distaccata. -Ma?- gli chiesi.
-Ma al tempo stesso non riesco a provare quei sentimenti che vorrei. Ti voglio un mondo di bene, ma..-
Ma non sei innamorato di me, conlusi per lui nella mia mente.
Raccolsi tutto il coraggio che avevo e sorrisi. -Non preoccuparti, Ale, non importa. Non è successo niente.-
-Cate, ascoltami.-
-No, va bene così, nessuno si è fatto male.- Sorrisi ancora.
-Tu sì.- disse con semplicità. Ed era vero, io mi ero fatta molto male, più di quello che credevo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ciclo di Caterina'
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Capitolo 1
21 Novembre 2011
Come lei si dichiarò a lui, all'inizio




C'era stata una volta in cui mi ero dichiarata, proprio così, dichiarata a te. Era stato patetico, niente a che vedere con i discorsi romantici dei film.
Chiusi gli occhi tentando di ricordare ogni minimo dettaglio, ma l'unica cosa che mi veniva in mente era la frase di una stupida canzoncina..

"...'cause I hate that you left without hearing the words that I needed you to."
E poi ricordai tutto. Quelle parole mi avevano scaraventata indietro di qualche mese.

Indietro a quando mi aprii a te. 
L'ultima volta avevi detto che ti avevo deluso, non ti saresti mai aspettato che io non avessi il coraggio di dirtelo in faccia. 
E non me lo feci ripetere una seconda volta. 
Quando scelsi di parlarti, l'aula era gremita di persone troppo intente a pensare al loro estenuante ego per fare caso a noi. Erano giorni che ti dicevo di doverti parlare, ma tu rimandavi. Quel giorno non avrei potuto attendere oltre, era un peso troppo grosso per essere sopportato ancora. Ti dissi che era importante.
-Ti prego!- ti chiesi quasi implorante. Ti sedesti accanto a me con fare arrogante.
-Allora?- Volevi che finesse presto, lo vedevo dalla tua espressione. E in quel momento non avrei potuto essere più d'accordo con te. 
Dovettero passare alcuni minuti prima che riuscissi a formulare una frase di senso compiuto. Poi presi fiato, ma senza guardarti in faccia, parlai.
-Ho un problema: mi piaci.- Parole semplici, coincise, persino stupide e insignificanti rispetto a quello che mi era costato pronunciarle, ma non avrei saputo elaborare il discorso in altra maniera.
Sapevo che avrei dovuto alzare la testa per guardarti negli occhi, ma non volevo farlo. Mi costrinsi.
Tu stavi guardando un punto indistinto davanti a te con espressione indifferente, come se quello che stava accadendo intorno a te non ti riguardasse minimamente.
Poi con uno scatto repentino ti alzasti. Pensai che a quel punto ti saresti voltato e mi avresti detto qualcosa, qualsiasi cosa. Invece no. Ti limitasti a fissarti la mano sinistra, inclinando leggermente la testa nella mia direzione. Poi, senza uno sguardo, senza una parola, te ne andasti.
Mi lasciasti lì.
Sentii qualcosa dentro di me spezzarsi. No, non era il cuore. Troppo romantico.
Era tutto quello di buono che c'era in me che aveva fatto le valigie e se ne stava andando. L'amicizia, l'amore, la compassione, il perdono, la pietà, il rispetto, la dignità. Avevano deciso tutti di abbandonarmi.
Era la consapevolezza, la realizzazione del significato del tuo gesto. Non si trattava di un rifiuto, di un abbandono. Era semplicemente l'ennesima dimostrazione del tuo menefreghismo nei miei confronti. 
E, ancora, non riuscivo ad ammetterlo.
Eppure tu mi avevi lasciata lì. 
Mi avevi lasciata sola in quell'aula piena di gente inconsapevole della faglia che si era creata dentro di me. 
Ma, cosa ancor peggiore, era che tu mi avessi lasciata prima di sentire tutte quelle parole che avevo bisogno che tu sentissi. Non me ne avevi dato il tempo. Non avevi voluto ascoltarmi dopo ciò che avevo detto.
"No, è stato meglio così." mi dissi. "A quel punto saresti stata ancora peggio."
Ma, ancora adesso, non riesco ad accettare che tu non abbia sentito quelle parole, che tu non sappia ciò che avrei voluto dirti.
Non voglio pensare che tu non sappia che quelle che mi facevi provare non erano farfalle nello stomaco, bensì calabroni.
Che quando ero con te la mia folle paura della morte veniva sopraffatta dai sentimenti di amore e gioia che provavo.
E che quando mi sussurravi di stare tranquilla, io lo ero già, perché tu eri lì.
Non voglio pensare a quanto vuote fossero le tue parole quando mi dicesti "Io ci sarò sempre per te". 

Perché se ci ripenso adesso, l'unica cosa che riesco a fare è correre in bagno a vomitare quei maledetti calabroni.





Note dell'autrice:

Buonasera! :)
Ebbene sì, sono ancora qui con una nuova storia. Non ho abbandonato "How will I know?", ma i suoi aggiornamenti sono un po' lenti.
Per quanto riguarda questa nuova storia, so che può sembrare strana ed incomprensibile per il momento, ma con il tempo i capitoli si allungheranno, i personaggi prenderanno forma e tutto avrà un senso.

Vi chiedo solo di avere pazienza. :)
Spero di riuscire a conquistarvi e spero che lascerete qualche recensione.

Un bacio,
Jane Ale


  
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