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Autore: GibsonGirl51    05/10/2012    2 recensioni
Agosto duemila. Una donna piuttosto anziana è in una stanza d’ospedale, dormiente. Accanto a lei una bambina che le accarezza la mano, io. Questa è la storia più difficile da scrivere, perché vissuta sulla pelle. Come ho visto il cancro in questi sedici anni, come ci ho convissuto indirettamente. Questo è per te Umi, mi manchi.
Genere: Fluff, Generale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Luglio duemiladodici.
 
Ero appena tornata dalla mia avventura come monitrice in una colonia, facendo una fatica bestia a sopportare i bambini a causa del divieto di fumo, nonna sapeva che fumavo, ormai lo sapevano tutti tranne nonno. Mi ricordo quel giorno. Eravamo a casa loro a mangiare, io e mia mamma. Si mangiava carne e patate, come di consueto cucinava nonno.
Poi qualcosa cambiò. Umi si alzò ed andò in bagno a rimettere, poi quando tornò a tavola piangeva: non riusciva a mangiare più niente.
Mia madre le parlava in tedesco, mentre io e nonno continuavamo a mangiare, testa bassa sul piatto.
Qualche giorno dopo fu ricoverata in ospedale, e ironia della sorte, fu un batterista a soccorrerla. Piccolo appunto; io ho il terrore dei batteristi, però stranamente non mi fece nessun effetto ciò.
Mia madre mi spiegò che nonna doveva fare una biopsia e andava aperta per vedere come stava messo lo stomaco. Fui abbastanza sollevata di quello che mi disse, grazie al cielo non era nulla di grave. Certo, troppo bello per essere vero.
Passarono alcuni giorni prima che la potessero operare, e dopo quella operazione nulla fu più lo stesso.
I giorni seguenti furono di continui pianti e parole in tedesco tra mia madre e mia nonna. Non chiesi nulla, semplicemente rimanevo lì a guardare. Ogni tanto scendevamo in giardino a fumare, e lì cercavamo di far sembrare tutto ok. Succedeva anche di ridere, e spesso per le cavolate più assurde.
Un giorno presi coraggio e chiesi a mia madre perché la Umi continuava a piangere, lei mi rispose che era a causa dello stress, della vecchiaia e dei ricordi della guerra. Non chiesi mai perché piangeva anche lei, non volevo saperlo, perché sospettavo.
 
Era estate, ogni mattina andavo in radio ad esercitarmi nello speaking radiofonico. Non pensavo spesso a mia nonna, tanto ero presa da quel lavoro. Amavo stare dietro a quel microfono a chiaccherare con Aldo, lo speaker ufficiale, lui mi ha sempre fatto scompisciare dal ridere. Ogni volta che qualcuno dello staff mi chiedeva che avrei fatto il pomeriggio rispondevo che sarei andata a trovare mia nonna, e loro assumevano un’espressione preoccupata a cui io cercavo di far cambiare espressione dicendo che non era nulla di grave. Lei mi ascoltava sempre quando andavo in radio, insomma ero la sua unica nipotina e perdipiù un giorno rischiavo di diventare un personaggio pubblico. In effetti, spesso, ci ritrovavamo a pensare a cosa sarei potuta diventare un giorno, perché la radio è un trampolino di lancio, anche se per me era tutto in quel periodo.
 
Andarla a trovare era stupendo, soprattutto se eravamo solo io e lei. Si parlava di tutto, e mi diceva sempre di avermi ascoltata la mattina. Voleva sempre sapere di due mie amiche di chat che abitano a Palermo, Giorgia e Simona, e aggiungeva sempre che un giorno avrebbe voluto scendere per conoscerle. Loro in quel periodo diventarono il mio mondo. Non c’erano altre persone disposte a sostenere il peso che inconsapevolmente portavo. Già, mi ero affezionata a delle persone via chat. E non erano solo loro due, c’erano anche Anna, Margherita, Arianna e Matteo. Già, Matteo. Vi parlerò più avanti di lui, ora non è il momento.
 
Lei si interessava sempre a come stavano, se mi raccontavano cose nuove doveva saperle, perché lei non era solo la mia nonna, lei voleva essere la pure la nonna dei miei amici. Così mi ritrovai la sera, momento in cui mi connettevo più spesso, a parlare ai miei amici da parte di mia nonna. La trovavo una cosa carina, e mi faceva bene, perché spesso il terrore che si stava formando nella mia testa mi sembrava più concreto.
 
E qualche giorno dopo, ebbi conferma: il mio terrore era giustificato.
 
 
 
Ecco qua ragassuole, è un capitolo strano, lo so. Non ho articolato bene, lo so. Ma è un casino semplicemente per il fatto che dovevo spiegare com’era la mia vita allora. Stavo passando un periodo stupendo prima della fine di luglio, e poi puff.. la mia vita era un casino.
Spero che nessuna delle mie amiche si offenda se l’ho menzionata, ma dovevo, loro sono la mia vita. é___é
Grazie a chi legge, e non abbiate paura di scrivere quello che sentite, io l’ho capito ora che è inutile.
Un bacio.
Martih.

   
 
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