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Autore: Dira_    07/10/2012    21 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo I






So when you look in the mirror
Reflecting back at you someone that you don't know
Oh, that's just made your head spin around
(Same Jeans, The View)
 
 
Inghilterra, Londra, Ministero della Magia, Secondo Piano.
Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia, Ufficio Auror
Pomeriggio.
 
“Davvero dobbiamo fare rapporto a quei rompipalle di Cooperazione? Maddai!”
Scorpius alzò gli occhi al cielo suggendo la dose quotidiana, quanto necessaria, di Prince of Wales. Dato che gli era precluso il caffè da quando aveva ricordo – ti rende troppo eccitabile, non pensarci neppure – la chiusura di una giornata lavorativa almeno per lui si concretizzava con lo scolarsi mezzo litro di the mentre Bobby e James si ingozzavano di malvagia caffeina.
Secondo me dovrebbero proibirlo anche a Potty. Lo rende nevrotico.
“È la procedura, ragazzo.” Replicò Flannery mentre riguardava il rapporto stilato da quest’ultimo. Erano tre anni che il buon irlandese affidava quel compito a James, nel tentativo di insegnarglielo. Fallendo miseramente ogni volta. Tirò l’ennesimo frego su una frase sballata e lasciò che l’inchiostro magico la cancellasse prima di riscriverla da capo. “Ogni morte riguardante un mago non-inglese va segnalata all’Ufficio Internazionale della Legge Magica.” Spiegò paziente. “Spediamo loro un rapporto e aspettiamo che dall’altra parte dell’Oceano mandino un agente che ci starà trai piedi per qualche giorno, si prenderà una copia di tutto e alla fine si porterà via la salma. Procedura, come vi ho detto.” Ripeté.
“Sì, però quel che è successo non era la solita procedura.” Si inserì Bobby fissando il fondo scuro della propria tazza. “Quel tipo, Howe … insomma sembrava … Non abbiamo ancora capito cosa diavolo avesse, no?”
“Prima aspettiamo il referto dal San Mungo, poi vedremo come muoverci.” Consigliò saggiamente il sergente, firmando il rapporto e passandolo a James che lo chiuse in una cartellina su cui colò ceralacca e impresse il sigillo del Dipartimento.

“Fatto!” Esclamò con aria palesemente sollevata. Era rimasto in silenzio per tutto il tragitto verso il Ministero e Scorpius non aveva potuto biasimarlo. Rischiare la vita era qualcosa che si doveva mettere in conto quando si prendeva quell’uniforme, ma constatarlo era sempre poco piacevole. “Comunque secondo me al San Mungo lo troveranno pieno di schifezze oscure fino ai capelli e buonanotte. È morto, certo non può più far danno a nessuno!”
Scorpius non disse nulla; aveva pensato e ripensato all’episodio di quella mattina, a pranzo come durante un sopralluogo di rito a Notturn Alley.
Come diavolo ha fatto a rimanere in piedi per tutto quel tempo? Gli abbiamo scaricato addosso qualcosa come una cinquantina di schiantesimi! Senza contare gli occhi … e la faccia. E la puzza di morto.
Che diavolo aveva fatto per combinarsi in quel modo?
“Jordan, porta le prove in archivio.” L’irlandese si stiracchiò con uno sbadiglio. “E controlla che le cataloghino nel modo giusto. Alle volte fan fatica a trovarsi il sedere con le mani, là dentro.”
“Un orologio da tasca, un portamonete con soldi di taglio misto e una ricevuta per una passaporta da Phoenix, Arizona per Inghilterra, Londra. Ricevuto, sergente.” Snocciolò questo con un sorriso. Era famosa la puntualità con cui riusciva a elencare, prendere appunti e fare interrogatori. A detta di James era una cosa che aveva fin dai tempi di Hogwarts.

Quest’ultimo si dondolò sulla sedia che Scorpius aveva avuto la magnanimità di ridargli a fine giornata. “Viene con noi al Finnigan’s stasera?” Chiese all’auror più anziano. “È il compleanno di due nostri amici, ci facciamo un paio di Whiskey incendiari!”
Il mago ridacchiò. “No, ragazzi … bevetene uno anche per me, io torno a casa, sono a pezzi.” Sospirò, alzandosi in piedi. “Comincio a non avere più l’età per l’azione.”
“Ma se ha solo quarant’anni!” Rise James. “Non  vorrà finire a fare il timbracarte come mio padre spero!”
Flannery gli rifilò uno scappellotto sulla nuca. “Il capo ha avuto più cervello di me e te messi assieme, Potter. Dietro una scrivania ci si annoierà pure, ma almeno si rimane interi.” Si voltò poi nella sua direzione. “Mi raccomando Malfoy, quel rapporto dev’essere giù alla Cooperazione entro stasera, mi affido a te.”
“Sissignore!” Proclamò allegramente, strappandolo di mano all’amico. “Lo difenderò con il mio corpo dalle zampe sgrammaticate di Potter!”

 
****
 
 
Ministero della magia, Quinto Piano
Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale, Ufficio Internazionale della Legge Magica

Ora di cena.

Michel Zabini si massaggiò le tempie, notando come la mole di carte ufficiali, relazioni e promemoria non fosse calato che di pochi centimetri dall’inizio della giornata.

Certo, perché per quanto smaltivo, inevitabilmente arrivava altro.
Non era stata una buona giornata.
Occhieggiò la pendola di fronte alla sua scrivania e constatò sconfortato come anche quel giorno avesse accumulato ore di lavoro in più. Non che avesse importanza nel dedalo dipinto di bianco che era diventato la sua seconda casa. Gli orari erano flessibili, quanto erano inflessibili coloro che li redigevano.
E che importanza ha se Michel Zabini, funzionario di terzo livello, rimane oltre l’orario d’ufficio?
Nessuna.
Avere quel posto di lavoro era stato facile, certo. Era bastato avere la raccomandazione giusta, nel suo caso incarnata nella persona di suo padre, Blaise Zabini, vice-direttore, a pari livello con Lord Draco.
Il problema era un altro: salire di grado. Per farlo si doveva sgomitare e calpestare e in generale, combattere con la sottigliezza delle parole.
Non che questo per me abbia mai rappresentato un problema. Non è questo il punto.
Alla sua entrata aveva progettato di compiere quel cursum honorum in cinque anni, ma quei cinque erano arrivati e stavano passando senza che nulla fosse cambiato.  
Non cambierà nulla finché mio padre si rifiuterà di perorare una mia promozione.
I motivi erano sempre i soliti.
‘Non sei ancora pronto, Michel. Abbi pazienza, fa’ esperienza. Sei giovane, hai tempo.’
Non sarò giovane per sempre … e comunque l’esperienza è solo una scusa.
Come se non l’avessi capito. Come se non sapessi perché ritieni sia giusto abbia una posizione di rilievo ma non abbastanza in alto da farmi notare.
È lo stesso, identico motivo per cui ho sempre e solo partecipato ai ricevimenti ufficiali al Ministero, gli unici in cui non potevi non portarmi.
Chiuse gli occhi, sentendo un principio di emicrania mandargli fitte lungo le tempie e la fronte; non vedeva l’ora di salire in superficie e respirare un po’ di aria fresca.
È giovedì. Giovedì vuol dire Londra babbana, Soho, discoteche. Ragazzi.
L’unica nota stonata di quella serata era il compleanno dei gemelli Finnigan, amici di Al, a cui avrebbe dovuto fare una comparsata. Per fortuna solo un paio d’ore, quelle sufficienti a prendere l’amico e portarlo verso una serata più stimolante.
Devo ricordarmi di avvertire Mael per dirgli che faremo tardi … Anche se troverà il modo di lamentarsi comunque.
Fece l’ennesimo sospiro e allungò la mano verso l’ennesima pratica.
“Ehilà!” 
La sua collega di stanza sfarfallò le ciglia chilometriche – dannato mascara magico, faceva più danni della grandine – quando Scorpius ‘Esaltato’ Malfoy entrò fornito di uniforme e sorriso abbagliante.
“Sy.” Lo salutò neutro. “Anche se hai un aspetto splendido devi comunque pulirti le scarpe dal fango della strada. Nessuna eccezione. Questo è un ufficio, non la stalla in cui lavori.”
“Sempre delizioso!” Sghignazzò, salutando poi con un cenno allegro e del tutto disinteressato la strega. “Salve Hilary.” Come riuscisse a ricordare il nome di ogni singola creatura incrociasse sul suo cammino per Michel sarebbe sempre rimasto un mistero. “Come sta tuo marito? Clint?”

Anche il marito. Notevole.
“Bene, caro, bene … Una tazza di the?”
Una sveltina? Morgana, donna, abbi un po’ di decenza.
“No, sono solo di passaggio, ti ringrazio.” Si sedette di fronte alla sua scrivania slacciandosi i primi bottoni dell’uniforme, ignorando del tutto l’occhiata lasciva che gli venne lanciata.
E non da me.
Era sconfortante notare come l’altro non calcolasse minimamente l’universo femminile da quando aveva avuto la disgraziata idea di accoppiarsi con la Weasley.
Sul serio? Eri un dongiovanni notevole, mio Sy, e ti sei trasformato in un devoto cagnolino…
“Con le tue doti da investigatore sopraffino avrai sicuramente dedotto che ho da fare.” Con la piuma indicò la mole minacciosa di carta pergamenata tra di loro. “Perché non vai a disturbare tuo padre? È a solo due uffici da qui.”
“Oh, lo sai com’è fatto, odia vedermi in uniforme. Gli ricorda che lavoro faccio.” Sorrise svagato afferrando la targa con il suo nome e facendola levitare con la bacchetta. “Che fai di bello? Andiamo a farci una birra? In questa bara bianca avete una caffetteria? E una mensa? Vendono Burrobirre?” Sparò in rapida successione.  

Scorpius.” Interagire con l’amico di infanzia era sempre stato come tentare di sedare un bambino strafatto di Piume di Zucchero. Ci voleva polso. Afferrò la targa e la rimise al suo posto. “Posso sapere il motivo della tua visita?”
L’altro fece una smorfietta. “Non sei mai contento quando ti vengo a trovare … Scommetto che se fossi il mini-Potter saresti molto più gentile.”
Michel provò il fortissimo impulso di conficcargli la punta della piuma nel bulbo oculare, ma si contenne egregiamente. “Scorpius.” Ripeté con un sorriso urbano lisciandosi il risvolto dei polsini. Odiava quando per l’irritazione finiva per sgualcirsi la giacca. “Ti posso assicurare che i miei anni come Capitano del Club dei Duellanti non sono finiti nel dimenticatoio quindi, a meno che tu non voglia uscire di qui privo di testicoli, ti consiglio di venire al sodo.”
L’altro gli lanciò un’occhiata attenta. “Oggi siamo di cattivo umore…”
“Felice che tu te ne sia reso conto.”
“Bastava dirlo subito!” Roteò gli occhi al cielo, tirando fuori dal mantello un plico di carta bollata. “Per te!”
Un altro.

Fantastico. Davvero fantastico.
“Dall’ufficio Auror. Mago americano, mago stecchito.” Snocciolò con disinvoltura, ma con un lampo nello sguardo che Michel registrò con curiosità. Era preoccupazione? Non dispiacere, Scorpius riusciva piuttosto bene a separare il lavoro dalle sue emozioni. 
Come tutti i Malfoy del resto. Lui è solo più rumoroso, tutto qui.
Sfogliò il rapporto sommariamente. Era scritto da cani, sia per via della grafia che per le tante cancellature da piuma correttiva. Fece una smorfia doverosamente disgustata prima di posarlo in cima alla pila. “Fammi indovinare, l’ha scritto Potter.”
“È già tanto che non ci si sia soffiato il naso!” Esclamò tutto allegro. “Vabbeh, facci sapere quando arriva l’agente americano per ficcanasare okay?”
“Procedure di cooperazione delicatissime riassunte in una sola, rozza frase. Complimenti Malfoy, sei diventato una testa di bacchetta a tutti gli effetti.”
“Grazie!” Si alzò in piedi, battendo le nocche sulla scrivania. “Mi raccomando Mike, è prioritario.” Soggiunse mentre la sfumatura del sorriso cambiava. Vi lesse un’implicita raccomandazione e maledì la facilità con cui quella ridicola accozzaglia di bestioni in mantello rosso si muoveva tra le maglie della giustizia magica.

Il loro occhialuto capo in primis. Lord Malfoy ha ragione ad odiarlo a morte.
Calpestano le regole come una mandria di Centauri, e noi della Cooperazione dobbiamo aggiustare i cocci. O, preventivamente, cercare di non farglieli rompere.  
“So benissimo come funziona.” Replicò acido con l’emicrania che ormai pulsava a ritmo della sua irritazione.
Era in giorni come quello che Hogwarts gli mancava terribilmente: la spensieratezza, le lezioni semplici, e la lontananza da qualsivoglia decisione o responsabilità.
Incredibile come in un posto che esigeva l’uniforme e l’uniformità di pensiero mi sentissi più libero che qui, come adulto.
“Ehi Mike…” L’espressione di Scorpius si era fatta seria. Era sempre strano vederlo senza uno sciocco sorriso stampato in faccia. “Va tutto bene? Hai una faccia…”
“Sì, certo.” Solo uno come Malfoy poteva fare domande del genere sul posto di lavoro e pensare di ottenere una risposta sincera. “Andrebbe ancor meglio se mi lasciassi tornare ai miei compiti.”
L’altro fece una smorfia. “Okay, umore pessimo, ricevuto.” Sorrise di nuovo, perché era Sy e non poteva farne a meno. “Ti vediamo stasera al Finnigan’s?”
“Certo.” Sorrise suo malgrado. Nonostante si stesse trasformando in un cavernicolo privo di cervello il ragazzo di fronte a lui rimaneva comunque la prima persona che gli era stata amica, per quanto imposta dal volere genitoriale.

Ma nessuno mi ha imposto di essergli amico sul serio.
“Vedi di non sparire subito però!” Soggiunse. “Violet non ti vede da mesi, mi ha detto, e stasera ci sarà. Abitare tutti e due a Londra, com’è possibile che non riusciate mai a beccarvi per un drink?”
Perchè dovremo? Non credo gli manchi qualcuno con cui trascorrere del tempo.  

Non manca a lei, come non manca a te, ad Albus o chiunque altro delle persone che conosco a parte Loki.
Non che Loki sia un tipo da relazione stabile … e non che lo sia io.
“Va bene, ora va’ o rischi di non vedermi davvero stasera.” Lo scacciò con un cenno della mano. L’altro ridacchiò, guardandolo con aperto affetto. Si sentiva meschino quando lo guardava così, perché era in momenti come quello che lo detestava.
Ha un lavoro che ama, è felice della posizione che ricopre e sta per sposarsi. E vuole sposarsi.
Come ci riesce?
Era quel genere di domanda a cui uno come lui non avrebbe mai avuto risposta.
 
****
 
Londra, Diagon Alley
Appartamento di Albus Severus Potter e Thomas Dursley
 
“Ah, sei qui!”
Non pervenne risposta, ma Al sapeva benissimo che la testa nera che spuntava dal divano Chesterfield era quella di Thomas Dursley, al secolo Tom, suo ragazzo e divoratore estremo di libri vista la pila nutrita posizionata pericolosamente sul bracciolo.
Varcò il piccolo ingresso che faceva ambiente unico con il salotto, liberandosi della tracolla e del mantello. Era stata una giornata relativamente buona. Pochi pazienti e Smeth si era limitato a cercare di metterlo in difficoltà con una raffica di domande su un caso anomalo di Nausea da Smaterializzazione.

Certo potrebbe anche cominciare a realizzare che non sono un raccomandato… Sono due anni che lavoro sotto di lui!
Diede una carezza distratta a Zorba, il gatto di casa, che oltre ad esibire un muso schiacciato – secondo la strega che glielo aveva venduto, una certa Figg, era un mezzo Kneazle – aveva una fedeltà devota al suo coinquilino che si manifestava nel stargli sempre nelle immediate vicinanze. Quasi a sposare quel suo pensiero il felino saltò in grembo al suddetto che si limitò ad una carezza distratta in cambio di fusa appassionate.
L’altro gatto di casa. Il capobranco.
“Hai staccato prima?” Tentò di nuovo, ottenendo stavolta una specie di brontolio. Vista che la conversazione non partiva Albus si spostò in cucina e mise il bollitore per il the, togliendo dalla dispensa pane e roast-beef per un pasto leggero in previsione dell’abbuffata alcolica al Finnigan’s. Tornò poi in salotto, controllando che il lucernario che dava luminosità all’intero ambiente fosse chiuso: sia lui che Tom lo dimenticavano sempre aperto, con il rischio di allagare la casa negli infiniti giorni di pioggia che bagnavano la gloriosa terra d’Albione.
E ora vediamo di farsi dar udienza.
Gli si piazzò di fronte e notò che la sopracciglia dell’altro si aggrottarono di colpo.
“Che leggi?”
“Studio.” Fu l’irritata precisazione. “Ciao.” Aggiunse vinto.
Al sorrise, calciando via le scarpe e aggirando il divano. Si chinò sullo schienale e baciò la testa ordinata dell’altro, inspirando odore di cera per bacchette e shampoo. “Guarda che finirai per diventare cieco.”
Questo alzò la testa, rivolgendogli un’occhiata spassionata. “Ti sono passati i pidocchi?”
Al frenò l’impulso di tirargli uno schiaffo sulla nuca. “Se sei steso sul divano, teoricamente infestato dato che ci ho dormito per una settimana, deduco che non te ne importi granché.”
“Ho letto qualcosa in merito.” Stese un sorrisetto deliziosamente stronzo. “A quanto pare è rarissimo che si attacchino ai maghi. La tua solita sfortuna, Potter?”

“Stronzo.” Trovò giusto notificare, anche se accettò di buon grado lo strattone che diede alla sua maglietta e il bacio lento e languido con cui finalmente gli diede il benvenuto a casa. Sentiva il pizzetto dell’altro – geometrico, non poteva esser diversamente – pungergli il mento ma era piuttosto piacevole – almeno sul viso.
Mmh. Si però in questa posizione rischio di slogarmi una vertebra…
Si tirò indietro, ignorando l’occhiata scontenta che gli venne rivolta. “Dai, chiudi quel libro e vieni a mangiare. Tra mezz’ora dobbiamo essere al Finnigan’s!”
Tom si adombrò, mettendo su una smorfia che poteva essere solo classificata come broncio. Davvero non capiva come Rose e gli altri la considerassero inquietante. “Ti ho già detto che non ci vengo.”
“Ed io ti ho già detto che non hai scelta. È il compleanno dei gemelli e ti hanno invitato. E poi stasera suona il gruppo di Meike, non vuoi farla rimaner male, vero?”
“Meike e Louis hanno in programma di fare almeno altri dieci concerti entro la fine dell’estate. Non posso partecipare a tutti e lei lo sa.” Fu la preparatissima risposta. Avrebbe dovuto immaginare che si fosse già messo d’accordo con l’altra per mettersi al riparo da eventuali recriminazioni. Dopotutto la piccola tedesca, ormai quasi sedicenne, passava la maggior parte delle sue vacanze estive nella loro camera per gli ospiti, tranne Luglio, mese dedicato a Putgarten e a sua nonna Cordula.

Mi hanno battuto sul tempo… Del resto, che dovevo aspettarmi da due serpeverde?
“Abitiamo a due case di distanza dal locale.” Tentò di nuovo.
“E quindi?” Si sistemò meglio sul divano, con calcolata indolenza. “Tu comunque lascerai la festa a metà serata per andar dietro a Zabini.”
“Non vado dietro…” Sospirò, arrendendosi all’evidenza che la gelosia del suo ragazzo sarebbe sempre stata parte integrante del loro rapporto. Doveva ammettere che si conteneva, per quanto poteva.

Ma sulle uscite serali con Mike proprio non riesce a frenarsi…
“Guarda che vado solo a fargli compagnia e a ballare. E poi c’è anche Mael.”
“Ovvero il suo amichetto.” Ritorse con un sorrisetto sarcastico. “Uno dei tanti, per giunta.”
“Tom…”
“Dovrei esser contento che ogni giovedì torni a casa ad orari impossibili perché vai in giro con lui e i suoi compagni di letto?” Si tirò a sedere di scatto cacciando così il gatto che si lamentò con un miagolio ugualmente infastidito. Andavano in risonanza, quei due.

Al guardò il proprio ragazzo; non riusciva a capire come  potesse esser geloso – e quindi insicuro - e al tempo stesso estremamente consapevole del proprio fascino.  Persino con un maglione di un colore smorto e in pantaloni scuri riusciva ad essere più affascinante di un modello di StregaOggi.
E non si sforza nemmeno, lo stronzo. Di mattina già è fighissimo, mentre io sembro una specie di ameba con gli occhi gonfi e i capelli a covone di paglia…
Sua attestazione questa.
“Prima di tutto, Mael è anche amico mio.” Si sedette sul ciglio del divano, passandogli una mano sul fianco e subendo paziente lo schiaffo con cui venne allontanata. “… secondo, mi piace ballare e tu lo detesti. Con chi altro potrei andare?”
“Con Lily, per esempio.”
“Con Lily non posso andare per locali gay.” Inarcò le sopracciglia. “Cioè potrei, ma sai quanto è ingestibile. Sarebbe proprio un bel divertimento passare la serata starle dietro!”

“Almeno non dovresti preoccuparti di vederla sparire in bagno in compagnia di qualcuno.” Replicò evitando una cuscinata con un movimento allenato della testa. “Va bene.” Concesse infine. “Verrò alla festa. Ma torni a casa con me.”
“Non posso … lo sai che mi sono già impegnato con Mike.” Gli prese la mano, intrecciandola forzosamente alla sua visto che veniva divincolata come un’anguilla. “Ascolta, sta passando un periodaccio al Ministero e il lavoro lo stressa molto. Ha bisogno di qualcuno con cui parlare.”

“Compagni di letto?” Suggerì ironico. “Servono a questo, no?”
“Servono ad altro.” Replicò con un sorriso stanco. Per Mike i ragazzi con cui faceva sesso erano poco più di una valvola di sfogo di natura idraulica. Era esasperante e allo stesso tempo tenero l’incapacità di Tom di considerare l’intimità con qualcuno inscindibile dalla confidenza.
Non è affatto così nella maggior parte dei casi. Noi siamo fortunati.
L’altro fece una smorfia. “Se non gli piace la vita che fa, la cambi.”
Al sospirò: Tom non poteva capire visto che aveva scelto senza interferenze come entrare nell’età adulta, diventando l’Apprendista di Rupert Stevens, uno dei pochi Fabbricanti di Bacchette ancora operante in Gran Bretagna.
Ha scelto, ecco il verbo. Mike ha sempre saputo che avrebbe lavorato con suo padre, fin da quando era un bambino. È quello che ha sempre voluto, ma credo che la realtà attuale sia un po’ diversa da come se l’era immaginata.
Molto.
“Come sta Rupert?” Cambiò discorso e alla faccia scocciata dell’altro scoppiò a ridere. “Dai, si chiama così. Sei stato tu a non chiederglielo mai, poverino!”
“È evidente che preferisca esser chiamato per cognome.” Replicò pieno di sussiego e quindi imbarazzato. “Sta bene, comunque. Abbiamo in pendenza un ordine da cinquanta bacchette per Brooke.” Comunicò con una punta di sadismo dato che il povero negoziante era perennemente alla loro porta in attesa di ordini che nel migliore dei casi arrivavano in ritardo di mesi.

Poveraccio, avrà pensato che con un Apprendista la bottega avrebbe migliorato la velocità del servizio … Invece da quando c’è Tom è addirittura peggiorata. È già tanto se da là esce fuori una bacchetta al mese.
Gli accarezzò il fianco sotto il maglione. C’era pelle nuda dato che l’estate stava cominciando finalmente a scaldare Londra. Stavolta non si beccò neppure uno schiaffo o un pizzicotto. “Siete due irresponsabili.” Ridacchiò. “Un giorno o l’altro Brooke deciderà di rivolgersi a qualcun altro.”
“Già lo fa, ma le nostre bacchette sono le migliori. Le vende a peso d’oro e ci guadagna il doppio.” Fu la risposta. “Per legni dozzinali sa che deve rivolgersi a Kiddell¹.”

Albus non ribatté perché sotto sotto era felicissimo che il suo ragazzo avesse trovato un mentore – checché ne dicesse, questo Rupert Stevens era per lui. I gemelli Finnigan gli avevano raccontato di averli visti più volte passeggiare per Diagon Alley immersi in conversazioni di cui si evinceva a stento qualche parola.
Almeno un mago adulto, oltre a papà e zia Hermione, che ha la sua stima e fiducia… Non male.
Si chinò su di lui. “Allora, vieni? Per favore?” Gli chiese schioccandogli un lieve bacio sull’angolo delle labbra. Si era di nuovo abbuffato di marmellata di mirtilli, a giudicare dal sapore.
Ah, ecco perché non ha fame… Lui e la sua dieta sballata a base di marmellata, caffè, the e qualche biscotto.
“Solo se posso andarmene prima del tempo.” Rispose passandogli un braccio attorno alla vita e premendoselo contro. “E solo se saltiamo la cena per fare qualcosa di più interessante.” Ad Al non ci volle molto per capire cosa intendesse, non stretto a quel modo.
Sei un Guaritore … devi evitare che l’idiota svenga per aver saltato i pasti principali.

Certo che però se ha tanta vitalità da certe parti, tanto debole non dev’essere…
“Smettila di fare l’educanda coscienziosa.” Gli venne sussurrato all’orecchio, in un tono basso e vibrante che gli mandava scariche di eccitazione dalla colonna vertebrale fino all’inguine.
Sempre, da sempre e per sempre.
“Accidenti a te… Non so neanche cosa sia un’educanda, ma so che è un insulto.” Mugugnò facendolo ridacchiare. “È colpa delle tue fobie da igienista se è una settimana che…”
“Posso rimediare?” Gli passò le dita lungo il fondoschiena e lo fece scivolare a cavalcioni. Al non si lamentò della posizione, come non avrebbe fatto nessun ragazzo gay sano di mente.

“Vedi di rimediare come si deve.” Ci pensò. “Se svieni dalla fame però ti ammazzo.”
“Prendo nota.”


****
 
Londra, Diagon Alley.
Pub dei gemelli. Sera.

 
Lily adorava il Finnigan’s Wake.
Era un pub irlandese e per quanto magico,c’era molto delle radici babbane dei due proprietari. Dalla tv a schermo piatto che trasmetteva partite di calci e rugby – sport amatissimi da Fergus – alle selezioni di alcolici, che variavano da birre stout a Burrobirre aromatizzate.
Era un buon posto in cui passare la sera. Un posto dove eri sempre certa di trovare un viso amico e una consumazione gratis, dove la musica non si fermava neppure con l’avvicinarsi dell’orario di chiusura.
In parole povere, era diventato il ritrovo ufficiale della gioventù magica londinese. Una gioventù nata dopo la guerra, che aveva voglia di divertirsi ed era curiosa del limitrofo mondo Babbano.
Oscillare tra moda babbana e tradizioni magiche come faceva il Finnigan’s era diventato quindi un must, e non era quindi strano trovare chi rispondeva al cellulare mentre scriveva un messaggio sul proprio Specchio Comunicante. Le tuniche erano sparite, in favore di jeans, tacchi e scarpe da ginnastica ed era ormai raro trovare qualcuno che non conoscesse gli Stones o le ultime tendenze in fatto di London look.
A Lily quel mondo fuori dall’universo ristretto di Hogwarts piaceva; a volte le mancava l’aria pulita delle montagne scozzesi, ma certo non ne rimpiangeva l’isolamento e la mancanza di divertimenti.
Sedendosi su uno degli sgabelli del bancone salutò con un sorriso Gail, affaccendata a preparare un cocktail. “Gail!” La salutò. “Sono la prima ad arrivare?”
“Sono tutti nell’altra sala … Lou e il suo gruppo stanno montando gli strumenti.” Le rispose sporgendosi per baciarle la guancia. “Ti faccio il solito?”
“Stasera voglio stare leggera, una Burrobirra.” Stornò facendo scattare la borsetta e tirando fuori lo specchietto per darsi un’occhiata sommaria. Gli incantesimo di Trucco Ventiquattrore erano una manna dal Cielo. “Comunque non dovresti essere a festeggiare?”  

L’amica si raccolse i voluminosi capelli ricci con un elastico che portava al polso in caso d’emergenza. “Sì, certo, ora lascio tutto a Stella.” Una delle cameriere. “È che ci tengo a servire almeno…”
“Guarda che vengo là dietro!” La minacciò facendola ridere. “Dico sul serio!”
“Arrivo!” Le assicurò senza tuttavia smettere di rimestare in zona preparazione drink. “Tu va’ avanti … Tra parentesi tuo fratello ha già chiesto due volte di te.”
“Scommetto Al.” Alzò gli occhi al cielo. “Ce l’ha nel sangue questa cosa di fare la chioccia.”

“Vorrei avere io due fratelli come i tuoi.” Sbuffò occhieggiando verso la sala con aria tra il rassegnato e l’esasperato. “Invece mi ritrovo quello scansafatiche di Gus. E devo pure festeggiare con lui!”
“Meglio scansafatiche che stalker.” Scrollò le spalle. “Ci manca solo che Jamie cominci a pedinarmi e poi siamo a posto.”
“Ora che sei una donna impegnata non si sono un po’ rasserenati?” La prese in giro.

Lily sorrise, scuotendo la testa e prendendo la Burrobirra che l’altra le porgeva. “Penso che rimarrò sempre una cinquenne incapace ai loro occhi. Persino papà si fa meno fisime!”
“Il dramma dei fratelli maggiori…” Scosse la testa. “Comunque pensavo venissi con Scott.”
“Difficile quando lui vive nel Somerset ed io nel Devon. È già arrivato?”
“Certo, sei l’ultima, come al solito.” Le strizzò l’occhio divertita. “Stavolta ti sei contenuta però, solo mezz’ora di ritardo!”
“Ah, la Metropolvere!” Replicò con la disinvoltura di anni di menzogne innocue. “Comunque ricevuto, scappo di là, ma non senza di te.”
“Finito!” Aprì il bancone e la prese confidenzialmente a braccetto. Poteva, perché era davvero una delle poche depositarie delle sue confidenze. Un’amica vera, per capirsi. Sentiva ancora Aimee e Jane, le due corvonero con cui aveva trascorso gli anni scolastici, ma i rapporti si erano molto raffreddati dopo il suo personalissimo e apocalittico Quinto Anno.

Si sono legate al dito il fatto che non abbia voluto raccontar loro per filo e per segno cosa mi era successo. Carino da parte loro.
Abigail al contrario non aveva mai preteso, né fatto una singola domanda. Si era solo assicurata di starle vicino quando ce n’era bisogno e dal suo punto di vista questo l’aveva resa più preziosa del milione di attestazioni di accorata amicizia che le eran state rivolte dalle due.
“Buon compleanno, Galway girl.” Le sorrise stringendo appena la presa. “Stasera Lou te la canterà come se non ci fosse un domani!”
“È un ragazzino.” Sbuffò l’altra arrossendo però sulle guance. Il fascino Veela dell’appena diciottenne era un dato di fatto che nessuna strega poteva negare. “E poi lo sai come se la prende Hugo.”
“Oh, lo so … il ramo geloso di zio Ron è tutto suo. Ma a ben pensarci anche Rosie… Voglio dire, ti ricordi la festa di Natale dell’anno scorso? Quando è venuta alle mani con quella ragazza di Manchester che pretendeva un bacio sotto il vischio da Malfoy?”
Gail convenne con una risatina. “Abbiamo dovuto separarle io e Hugo. Poverino, si è anche preso una fattura!”

“Oh, ma ha avuto un’infermiera sollecita…”
“Ma smettila!” Esclamò non riuscendo a nascondere un sorriso complice. Dopo cinque anni di tira e molla estenuanti alla fine quel tordo di suo cugino aveva imbroccato la strada giusta per il cuore dell’amica e Lily doveva ammettere che formavano una coppia carina, per quanto inusuale.

Lei così concreta e lui sempre con la testa tra le nuvole … Però funzionano.
Immerse nella conversazione, lei e Gail entrarono così nella seconda e ultima sala del locale; era più grande e illuminata rispetto alla prima grazie all’illuminazione elettrica – l’impianto l’aveva montato Hugo. In fondo, davanti ad una parete coperta di vetrate colorate, c’era il palco, una semplice e spartana pedana rialzata.
La sala era già piena, constatò Lily, intravedendo tra la selva di teste multicolore la sagoma familiare dei fratelli e quella alta e allampanata di Tom, l’uomo capace di vestirsi solo in colori cimiteriali. In fondo Louis, Meike e il loro batterista stavano facendo il sound-check. I Banshees, ufficialmente fondati dall’anglo-francese erano stati invece ufficiosamente portati alla ribalta dalla tedesca che da brava serpeverde – ricordava ancora il trionfo dipinto sul volto di Tom alla notizia dello Smistamento, anni prima – era riuscita a toglierli dalla massa di gruppetti amatoriali e fin troppo legati al wrock per farli approdare fino alle frequenze di Radio Strega Network.
È venuto fuori che fare canzoni che parlano d’amore invece che di pozioni e calderoni paga molto di più.
Del resto chi meglio di una ragazza nata e cresciuta con i Babbani può saperlo?
Senza contare tutta l’influenza di quell’autistico musicale di Tommy…
“Scott dovrebbe essere qui in giro.” La avvertì Gail prima di fare un sorriso luminoso ad Hugo venuto ad accoglierle come al solito spettinatissimo e dall’aria imbronciata.
“Ohi, stavo per venire a prenderti, stanno per iniziare.” Borbottò facendo un cenno anche a lei.
“Ci ho pensato io a portartela Gogo, contento?” Ghignò facendolo arrossire mentre scoccava un bacio impacciato alla propria ragazza. “Falla divertire stasera e soprattutto tienila lontana dal bancone, a meno che non sia per versarsi da bere!”
“Lils!” Rise questa dandole una spintarella. “Va’ a cercare il tuo ragazzo prima di combinare qualche guaio!”
“Oh, come se cambiasse la solfa!”

 
“Beh, spero proprio che la cambi!”

Lily si voltò in direzione della voce maschile che l’aveva richiamata all’ordine. Sorrise al giovane uomo in maglione e camicia che le sorrideva di rimando.

“Chi è questo esempio fulgido di bravo ragazzo?” Replicò scherzosa. “Aspetta, mi è familiare…”
Questo inarcò le sopracciglia. “Ti do un indizio, è il ragazzo che ti chiederà di ballare stasera.” Replicò avvicinandolesi e passandole le mani attorno alla vita.

Scott Ross. Il mio ragazzo.
Si alzò in punta di piedi per baciarlo languidamente. Le piaceva come ogni volta l’altro facesse del suo meglio per chinarsi data la differenza d’altezza.
Oh, ci sono molte cose che mi piacciono di lui…  
“Buonasera.” Lo salutò passandogli le mani lungo le spalle. “Mi hai aspettato molto?”
“Il tempo di un paio di birre e un po’ di minacce da parte di tuo fratello. James ovviamente.” Fu la replica pacata. “Il solito direi.”
Lily alzò gli occhi al cielo: per quanto Scott incarnasse le qualità più nobili di un mago (era stato persino un tassorosso come Teddy!) suo fratello maggiore non perdeva l’occasione per investirlo di frecciatine.

Lo frequento da sei mesi e son sei mesi che porta sfiga perché ci molliamo.
“Ho preso un tavolo e spero non ti dispiacerà se è lontano da quello dei tuoi fratelli.” La prese per mano e la riparò da un’orda di amici di Gus in cerca di sistemazione. “Senza offesa, ma mi danno angoscia.”
“Nessuna intesa ed hai fatto benissimo. Andrò a salutarli dopo.”
Scott era il suo ragazzo. Lo era sul serio anche se era la prima a trovare quella situazione sorprendente. Aveva passato cinque anni senza un solo legame e nessuna delle sue storielle era sopravvissuta a qualche settimana. Poi era arrivato Scott. Scott che, come urlavano nome e cognome, era scozzese dalla punta delle scarpe fino a quella dei capelli castano-rossicci. Scott che aveva un accento adorabile e che le ricordava terribilmente la professoressa McGrannitt, di cui peraltro era nipote alla lontana.

“Burrobirra?” Le chiese strappandola ai suoi pensieri. “Zenzero, cannella?”
“Zenzero.” Decise distratta. “È questo il punto in cui dovrei chiederti com’è andata al lavoro?”

L’altro ridacchiò facendo guizzare gli occhi chiari. Aveva sempre l’aria di un bambino quando era divertito. “Immagino che dovrei risponderti nulla di nuovo. La vita di un archivista del Ministero non è piena d’emozioni, il massimo che può accadermi è che mi cada in testa una scansia.”
“Molto sexy.” Gli assicurò con aria serissima, facendolo ridere di nuovo. “Zenzero comunque.”
“Arriva!” Replicò alzandosi in piedi e inserendosi nella calca.

L’aveva conosciuto proprio grazie alla vecchia professoressa. Minerva – ehi, aveva il suo consenso a chiamarla per nome – aveva concluso l’anno scolastico come promesso ma poi era tornata a casa, nella sua sperduta Caithness.
Lei non l’aveva dimenticata. Non aveva potuto quando la donna aveva passato il suo anno di supplenza a vigilare su di lei nel pre e sopratutto nel post.  

Ero proprio incasinata in quel periodo…
Ritornare ad Hogwarts dopo gli eventi trascorsi era stato tremendo. Si era sentita smarrita, confusa e soprattutto arrabbiata perché tutti sembravano vivere una vita aliena alla sua – Tom aveva fatto del suo meglio per starle vicino come promesso, ma era Tom. Minerva l’aveva aiutata, anche solo chiamandola nel suo ufficio per offrirle una tazza di the e dei biscotti di tanto in tanto.
Però sempre quando la notte prima l’avevo passata a fissare il soffitto per paura di addormentarmi.
Quando se n’era andata per far posto ad una nuova, giovane insegnante di Trasfigurazione, Lily non aveva fatto trascorrere molto tempo prima di scriverle e ancor meno per andare a trovarla.
Se le prime volte l’anziana strega si era lamentata delle sue improvvisate, alla fine si era rassegnata ad averla per casa nel fine settimana dedicato ad Hogsmeade.
E sotto sotto son convinta che sia stata felice di ricevermi … Checché brontolasse.
Era durante una delle visite a Minerva che aveva incontrato Scott, allora appena entrato al Ministero dopo un periodo trascorso da parenti in Australia. 
Non era stato amore a prima vista, né alla seconda. In effetti la loro storia aveva avuto una progressione piuttosto classica: partita con un caffè era proseguita con un paio di cene e la visione di una rassegna cinematografica sull’Asia – il cinema era una passione che condividevano entrambi.
Scott aveva tentato la prima mossa solo dopo aver chiarito le sue intenzioni, con una decisione così serafica che Lily non aveva semplicemente potuto dire di no.
Se gli avessi detto di no l’avrebbe accettato. Avrebbe continuato tranquillamente ad essere mio amico.
Niente complicazioni. Me l’ha solo chiesto per sapere se era possibile.
Era stato questo a conquistarla.
Scott era pulito. Non aveva mai dovuto usare il suo essere LeNa con lui, perché le bastava guardarlo per capire cosa gli passava per la testa.  
E poi ha un gran bel sedere.
Per questo quella storia si declinava in mesi e non in settimane.
Sentì il ragazzo tornare e baciarle la sommità della testa. “Ecco qua.” Le porse la Burrobirra bollente. “A te invece com’è andata?”
“Sono stata da Frank e Alice, per quanto Gilderoy mi permettesse di parlar con loro…” Sbuffò divertita. Una visita al reparto Thickley era parte integrante della sua routine universitaria, studiando Psicomagia.
“Non ha tutti i torti ad esser geloso delle attenzioni di una bella ragazza.” Le strizzò l’occhio. “Sei o non sei la sua preferita, tra le studentesse?”
“È ovvio, sarà pure senza memoria, ma ha buon gusto!” Risero insieme prima di scambiarsi un doveroso e gustoso bacio.

Scott si staccò, occhieggiando il palco quando udì le prime note. Era un fan piuttosto accanito della nuova corrente musicale magica che andava sotto il nome di Brock – banalmente, Rock Babbano – rappresentata dai Banshees e altri gruppi sui generis.  
 
When we were younger we thought everyone was on our side
Then we grew a little bit and romanticized the time I saw flowers in your hair

 
Lily si perse con piacere nelle melodie semplici ma accattivanti– nonostante il nome minaccioso, facevano musica essenzialmente romantica. Louis aveva una bella voce e quando cantava quel suo buffo accento francese spariva del tutto. Ricambiò l’occhiolino di Meike, che data la versione acustica del brano suonava il violoncello, e poi si guardò attorno. Riconobbe nella folla un paio di visi conosciuti e rise dell’aria palesemente frustrata di Tom, costretto a dividere il tavolo con Al e Zabini.
Era una buona, tranquilla serata.
 
“Jamie, potresti smetterla di guardare male Scott? Lo metti a disagio!”
Il suo ragazzo fece una smorfia maledettamente incline al broncio, incrociando le braccia al petto. “Tanto mica mi vede … si è nascosto tra la folla, quel furbo!”
“Non si è nascosto, sta cercando di evitare il conflitto.” Sospirò con uno dei suoi sospiri più pazienti. “Più che furbo lo definirei ragionevole.”
“Voi di Tassorosso fate sempre comunella!”
Il quasi-ormai-trentenne Ted Lupin fece un lieve sorriso, ormai vinto all’evidenza che la persona con cui divideva casa e vita era irragionevole come un mulo, e come tale andava dunque trattato.

Carota, più che bastone…
Gli accarezzò una gamba, conciliante. “Non è questione di essere stato un tassorosso.” Anche se certo, era un’incidenza curiosa. “Il punto è che fa bene a Lily e non puoi negarlo. Da quando si frequenta con lui si è molto tranquillizzata.”
James sbuffò, limitandosi a bere un sorso consistente della sua Tennent’s, birra babbana recentemente eletta nell’Olimpo delle preferite.

Non può negarlo perché l’evidenza è sotto gli occhi, sollevati, di tutti.
Lily aveva trascorso quattro anni e mezzo piuttosto turbolenti. Per eufemizzare.
I ragazzi, le feste, il letto perennemente vuoto durante le vacanze estive … Quel viaggio folle in Brasile per i suoi diciassette anni … quanto si sono preoccupati Harry e Ginny!
La più piccola dei Potter era sempre stata affascinata dall’infrangere la routine, ma dopo quel Quinto anno la sua vena ribelle era deflagrata, e solo grazie alle pressioni congiunte degli amici e genitori era riuscita a prendere i MAGO.
Meno male, perché altrimenti avrebbe seguito quel tipo italiano conosciuto ad Hogsmeade. Un pittore di dieci anni più grande di lei del tutto intenzionato a portarla a Roma e farne la sua Musa.
Zio Harry stava per avere un infarto.
Poi nella sua vita era entrato Scott, poco più grande, dalla nutrita cultura e equilibrato. Un Perfetto Bravo Ragazzo che sembrava non avere un solo scheletro nell’armadio.
Nessuno avrebbe scommesso uno zellino su di lui. Troppo tranquillo per i gusti di Lily, e invece…
Non solo si erano messi assieme, ma la ragazza l’aveva addirittura portato in famiglia. Lentamente, ma con costanza, la compagnia del giovane scozzese la stava facendo tornare ad essere la persona spensierata che era stata prima del suo rapimento.
Noi bravi ragazzi siamo terapeutici.
“Cos’hai da sorridere?” Lo scrollò James che a quanto pareva non stava ascoltando la musica come sembrava. “Tutto soddisfatto poi!”
“Niente, niente… Pensieri tranquillizzanti.” Bevve la sua tazza di the con totale dignità nonostante attorno a lui scorressero fiumi di alcool.

Sono troppo grande per continuare a sentirmi inadeguato. Decisamente.
“Giornata buona ad Hogwarts, eh?” Replicò l’altro, fraintendendo. Non se la sentì di smentirlo e si limitò quindi ad annuire. “Beato te, io oggi ho avuto una giornata di merda!”
“Ho saputo da Scorpius di quel mago oscuro…” Convenne ricordando il motivo per cui aveva supplicato il Professor Finch-Fletchley di sostituirlo quella sera. “Ero preoccupato. Perché non mi hai mandato un Gufo?”
James fece una smorfia insofferente. “Per dirti cosa? Piuttosto Malfuretto dovrebbe imparare a tener chiuso quel calderone che ha al posto della bocca…” Borbottò lanciando un’occhiata di fuoco al suddetto seduto al tavolo a fianco. Era preso a cantare a gola spiegata sotto lo sguardo divertito della propria fidanzata e di Dominique e di Violet, ma quando James si voltò squadernò fulmineo una linguaccia e Ted dovette frenarsi dal sorridere.

“Sì, però…” Tentò recuperando contegno.
“Dai, Teddy, è la roba per cui mi danno la paga a fine mese! Si è trattato di un mago che ha pisciato fuori dal vaso e che per questo è morto. Tutto qua. Non si è fatto male nessuno!”
Ted si mordicchiò appena il labbro ma lasciò perdere. James non aveva tutti i torti, tuttavia la facilità con cui parlava di morte lo metteva a disagio.

Io non sono diventato Auror proprio per questo … Non sarei riuscito a veder morto nessuno, neppure per salvarmi la vita.
“Capisco.” Si limitò a dire. “Verrà aperta un’indagine? Il mago era americano, no?”
James si strinse nelle spalle. “Già, ed è un casino perché ci troveremo sia quei rompipalle di Cooperazione sia gli americani trai piedi.” Vuotò la propria birra e si dedicò a strapparne l’etichetta lanciandogli un’occhiata imbarazzata. “Però sai che non te ne dovrei parlare … Sono indagini ufficiali.”
“Lo so, è solo che…”

Mi preoccupo. Da morire. Specie perché so di cosa preoccuparmi.
Ed ho anche l’impressione che Scorpius non mi abbia raccontato tutto.
L’altro si sporse nella sua direzione, sia per sentirlo meglio – sapeva di aver borbottato – sia per cingergli le spalle con un braccio. “Qual è il problema mio Teddy?” Gli sorrise. “Hai fatto anche tu questo lavoro … beh, quasi. Sai come funziona.”
“Certo, lo so.” Convenne. “Sta’ attento, okay?” Si risolse a raccomandargli un po’ inutilmente.
“Quello sempre!” James si sporse a baciarlo e Ted sentì la lingua allapparsi al gusto del malto della bocca dell’altro. Prolungò il bacio finché non si sentì risarcito dello spavento che si era preso.

James si staccò ridacchiando. “Ripensandoci, Malfuretto può raccontarti tutto quel che vuole, se il risultato è questo!” 
 
My minds not perfect but it's sincere
You'd be amazed at what you can achieve in some years
And I know you try so hard but your hearts on a switch

 
 
****
 
America, Massachusetts, Boston.
Sera.

 
Jay Massari era sempre stato il genere di mago non in regola. Non in regola con la famiglia, con la scuola, con gli affari. Soprattutto con gli affari.
Per questo quando si era ritrovato un cadavere in casa per colpa di quello psicopatico del suo socio aveva pensato bene di darsela a gambe con la sacrosanta intenzione di non far più ritorno.
Sfortunatamente non aveva messo in conto che i vicini avevano occhi e orecchie e lui non era esattamente quello che poteva essere definito un tipo sottile.
Quindi correre, correre verso il più vicino punto di materializzazione e lì urlare il nome di una qualsiasi città oltre il confine messicano.  Il piano era questo. Rozzo, ma efficace.
Il punto di materializzazione a West End² – qualsiasi bostoniano lo conosceva, era dietro il Garden, lo stadio dei Celtics – era ormai vicino e Jay già pregustava il sole e il sapore acidulo della cerveza che avrebbe trovato in Messico quando impattò a muso duro sull’asfalto. Le gambe avevano smesso di funzionargli, prese in un dannato incantesimo di Pastoia.
Solo le teste di latta lo usano! Merda!
Facendosi forza dei suoi riflessi diede un colpo di reni, si voltò e scaricò la maledizione peggiore che riuscì a pensare contro la figura scura che era apparsa sulla strada.
Lo stronzo mi si è Materializzato dietro!
Il lampo viola andò ad infrangersi in una miriade di schegge senza che sfiorasse neppure il suo aggressore.
“Arrenditi.” Per un attimo Jay rimase instupidito, notando come non ci fosse un solo punto di colore nei vestiti dell’altro. Ecco perché non l’aveva visto. Aveva lo stesso colore delle ombre del vicolo da cui era spuntato.
Oppure, semplicemente, è vestito di nero ed ha i capelli neri.
“Ehi stronzo!” Cercò di mantenere contegno, tentando di sciogliere l’incantesimo. Inutile, sembrava che le sue gambe fossero state prese nella morsa più stretta del mondo. “Se non sei della polizia molla il colpo!”
L’altro aggrottò le sopracciglia. “Sono della polizia.” Attestò, scoprendo un lato del trench per mostrargli il distintivo. Jay impallidì. Un’aquila che reggeva una bacchetta su uno sfondo pieno di frecce.

La SAGITTA? Questi tizi si occupano di maghi Oscuri. Oscuri sul serio! In che cazzo di casino mi ha infilato quel figlio di puttana?
“Ehi, ehi! Io non ne so niente di quel cada…”
“Ogni parola potrà essere usata contro di lei in sede di giudizio.” Lo interruppe il tizio, facendo scaturire dalla propria bacchetta una lama di luce che gli serrò i polsi. Manette magiche, quanto le odiava! “Le consiglio quindi di aspettare l’arrivo di un…” Si fermò, guardandolo con espressione vuota.

“Legale?” Gli suggerì, pensando fosse un completo idiota. Idiota sì, ma sufficientemente forte da tirarlo in piedi come se non pesasse nulla – e non era così. Gli sciolse la Pastoia alla gambe e lo afferrò sotto il gomito, nella classica presa da pulotto. 
“Legale, sì.” Convenne. “La prego di seguirmi.”
Sono stato fottuto da questo fesso?

Era umiliante. Però, se fosse stato abbastanza svelto di testa – che era evidente l’altro non lo fosse - forse sarebbe riuscito a seminarlo, manette o meno. A quelle avrebbe pensato dopo.
Fece qualche passo per convincerlo delle sue buone intenzioni e poi si voltò, tirandogli un calcio nello stomaco con tutte le proprie forze. L’agente, non aspettandoselo, si piegò in due con un lamento.
Grande Jay!
Scattò in direzione dell’agognata Passaporta, ma non fece che pochi centimetri prima di sentire una fortissima scarica di dolore alla schiena. Con orrore si accorse che adesso non solo aveva le gambe immobilizzate, ma anche il resto del corpo.
“Non mi piace ripetere le cose.” Lo informò la voce dell’agente, di colpo gelida come un bagno nel Charles a Capodanno. Jay sentì il sudore congelarglisi sulla schiena e pregò di non averlo fatto incazzare troppo, perché gli aveva arpionato il collo con una mano scaricandogli magia direttamente lungo la spina dorsale.
Magia senza bacchetta. Pulotti di merda, da quando la sanno usare?
Comunque. Qui finisce che passo il resto della mia vita a sbavarmi addosso!
“Mi … arrendo?” Biascicò. “Okay? Mi arrendo amico, sono tutto a tua disposizione!”
“Bene.” Gli lasciò il collo e si voltò in direzione di un repentino stridio di freni. Dalla sua posizione da statua greca Jay intuì soltanto che si era accostata un’auto. A giudicare dalle fusa del motore modificato sia magicamente che meccanicamente nel vicolo era appena entrata una Ford Crown Victoria. Usata sia dalla polizia Babbana che da quella magica – sebbene quest’ultima la usasse senza lampeggianti o colori riconoscibili – era il segnale universale che eri fottuto, ti avevano beccato.

E addio Messico.
Jay vide entrare nella sua visuale un giovane ispanico dall’aria agitata. Questo lo guardò e poi schioccò le labbra soddisfatto. “L’hai beccato, grande! Scusami guey³, ti avevo proprio perso per questi cazzo di vicoli!”
L’agente dalla presa mortale scosse la testa. “Agente Estevez.” Lo salutò formale. “Mi sono materializzato. Supponevo che il sospetto sarebbe venuto qui, era il punto di Materializzazione più vicino.”

Ma come minchia parla? Sembra un libro stampato!
“Già, ma ad arrivarci in macchina con il traffico che c’è a quest’ora … stasera giocano i Celtics, questa zona è un macello.” L’ispanico si rivolse poi a lui, lanciandogli un’occhiata sardonica. “Andiamo bello, si va a fare una chiacchierata in centrale. Gli hai letto i suoi diritti?” Non aspettò la risposta. “Certo che l’hai fatto … muoviamoci che non voglio perdermi la fine!”
Presa Mortale aggrottò le sopracciglia verso lo stadio. “I Celtics sono quelli che giocano con quel pallone arancione?”
Cosa?!
L’altro agente alzò gli occhi al cielo, quasi fosse abituato a sentirsi rivolgere domande simili.
“Prince, basket. Si chiama basket. Per tutte le streghe di Salem, voi europei!”
 
****
 
Note:

Dai, ci ho messo praticamente tutti!
(Credo)
Quindi, insomma, si entra ufficialmente nel primo capitolo di spero non moltissimi (meno di AUL, dai)
La canzone all’inizio del capitolo e alla fine della scena al Finnigan’s è questa, che volevo utilizzare da tipo un anno. Incarna l’Inghilterra magica e cazzara che mi immagino, ecco.
La canzone cantata dai Banshees ovviamente è una canzone vera e non inventata da me, ma di uno splendido piccolo gruppo chiamato The Lumineers. Eccola (tra l’altro rispecchia la formazione dei Banshees. Tra l’altro.)

Per chi vuole vedere il distintivo del SAGITTA (tutto sarà spiegato, promesso) è questo qua.
 
1.Kiddell: Altro fabbricante di bacchette, quest’ultimo, si suppone meno capace rispetto a Olivander in quanto nel libro nessuno dei personaggi ha una sua bacchetta. Tom la pensa allo stesso modo, pare.
2.West End: è un quartiere di Boston, delimitata da Cambridge Street a sud e dal fiume Charles a nord. La zona è molto conosciuta per lo stadio Boston Madison Square Garden (detto anche Garden) dove giocano le partite le squadre di hockey e basket locale.
2. Guey: letteralmente la versione di ‘dude’ (amico, fratello, tipo) in spagnolo/sudamericano.
 
Riguardo al cast dei volti, mi son fatta furba ed ho creato una cartella ad hoc su facebook. Questo link dovrebbe funzionare dopo avermi chiesto l’amicizia (specificate tramite messaggio privato chi siete!)
Altra curiosità: ho fatto una piccola mappa dei “luoghi magici”, un po’ curiosando sul Lexicon un po’ inventandomeli di sana pianta (nel caso dei miei, di sicuro). Volta per volta aggiungerò posti e strade che uso nella mia storia. Sì, sono idiota. Enjoy!
  
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