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Autore: S t r a n g e G i r l    09/10/2012    3 recensioni
Twilight senza mostri e magie.
Jacob, affidabile e onnipresente amico d'infanzia. Edward, dolce e romantica ancora di salvezza. Fin qui niente di strano, no?
E poi c'è Bella, o meglio Beauty, come non l'avete mai vista.
Dal primo capitolo:
“Nella vita che conduco io, maglioncini a collo alto e pantaloni zebrati sono solo decorazioni inutili. Quel che importa davvero è ciò che c’è sotto. Le persone che frequento per lavoro non si preoccupano che io sia ben vestita e abbia accostato in modo decente i colori. Quello che a loro interessa è che, una volta tolto il cappotto, io sia appetibile. Come una caramella avvolta in una bella carta luccicante, per intenderci. Ed ecco un’altra cosa che odio. Anzi, a dirla tutta, è in cima alla mia lista, scritta in rosso e sottolineata tre volte: essere ciò che sono."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Jacob Black, Jessica, Renèe | Coppie: Bella/Edward, Bella/Jacob
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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(Not) Enough.

A Emi, che mi ha fatto sfornare questa follia e che mi aspetta quando tardo.
E' per te, sorella mia, questa storia in cui c'ho messo un piccolo pezzo di cuore.

One . Things I hate.


Ci sono decine di cose che odio.
Se stilassi un elenco, probabilmente, non mi basterebbe la parete intera della mia stanza.
Odio l’odore e la vista del sangue.
Odio i pizzi ed i merletti della lingerie francese, succinta e velata, che lascia ben poco all’immaginazione.
Odio i tacchi a spillo, perchè quando li indosso sembra che cammini su dei carboni ardenti, incespicando nel tentativo di arrivare su un terreno freddo e sicuro.
Odio il profumo vanigliato di Jess, che se ne spruzza sempre a quintali prima di un appuntamento, impregnando le tende del suo letto a baldacchino accanto al mio, cosicchè, poi, mi solletichi e graffi l’olfatto tutto il giorno. Secondo me lo fa di proposito.
Odio le sue unghie laccate di rosso vermiglio, sempre perfette e curate –le è venuta una crisi isterica l'ultima volta perchè sono inciampata e finita addosso mentre si applicava lo smalto, facendoglielo sbavare.-
Odio le sporadiche uscite con mio padre. Ci incontriamo in un bar in centro più o meno una volta al mese da quando sa della mia esistenza. Lui ordina sempre un hamburger a cui aggiunge una vagonata di ketchup, io una semplice insalata che nemmeno tocco. Quando vedo lui ed i suoi baffoni da bravo cittadino rispettabile il mio appetito si suicida fuori dalla finestra, assieme alle parole che non ci diciamo.

Come stai.
Che bel tempo/che tempo di merda.
Non hai fame nemmeno oggi? Devi pur mettere qualcosa nello stomaco.
Ho letto sul giornale un nuovo fatto di cronaca interessante.
Stasera c’è la partita e Sue mi ha promesso una torta di consolazione in caso di perdita.
Questi gli argomenti principali, ripetuti fino alla nausea, in un insulso tentativo di instaurare un rapporto padre-figlia da sempre inesistente.
Lui finge di non conoscere la verità riguardo la vita che conduco ed io assecondo i suoi sforzi, appiccicandomi un sorriso tirato in faccia quell’oretta che gli serve per convincersi che io, Isabella Marie Swan, sono una ventenne come tante.
Una di quelle che frequenta un college prestigioso, colleziona una sfilza di ottimi voti e che di sicuro avrà un posto fisso ed una vita agiata. Una di quelle interessate alla moda, all’ultimo film in uscita al cinema, alle calorie nelle patatine fritte e al make-up. Una di quelle con un bravo ragazzo accanto, che porta fiori e cioccolatini a San Valentino ed è adorato dai genitori.
Ma io non ho idea di che vita sia una come quella.
Posso giusto sognarla di notte, inserendo nelle mie fantasie anche un bel principe azzurro.
Tanto per dirne una, non so più nemmeno se i jeans a zampa d’elefante siano ancora in voga oppure siano stati sostituiti da quelli a sigaretta.
La moda, in fondo, mi serve a ben poco.
Nella vita che conduco io, maglioncini a collo alto e pantaloni zebrati sono solo decorazioni inutili.
Quel che importa davvero è ciò che c’è sotto.
Le persone che frequento per lavoro non si preoccupano che io sia ben vestita e abbia accostato in modo decente i colori. Quello che a loro interessa è che, una volta tolto il cappotto, io sia appetibile.
Come una caramella avvolta in una bella carta luccicante, per intenderci.
Ed ecco un’altra cosa che odio.
Anzi, a dirla tutta, è in cima alla mia lista, scritta in rosso e sottolineata tre volte: essere ciò che sono.
Una prostituta.

< B.? C’è Jacob al piano di sotto che tamburella le dita sul tavolino sgangherato e mangiato dalle tarme da dieci minuti buoni. >
Jessica entra in camera nostra aprendo la porta con un calcio, lasciando sul legno il segno del tacco dei suoi zoccoletti bianchi firmati.
Soffia sulle unghie appena verniciate e mi getta un’occhiata di disapprovazione, osservandomi mentre mi lego i lunghi capelli in una coda di cavallo sfatta, con ciocche ribelli che schizzano in aria e ricadono affrante sulla fronte.
Le sorrido dallo specchio, afferro il giacchetto e la mia copia di chiavi e corro giù, scendendo i gradini due alla volta.
Per la mia goffaggine quel gesto è un tentativo di suicido bello e buono, ma non me ne importa molto.
Voglio solo buttarmi tra le sue braccia e affondare la testa nel suo petto, dimenticando per qualche ora chi sono.
Quando sto con Jake, infatti, non sono più Beauty –il nome d’arte affibbiatomi da Jess-, sono Bella.
Solo Bella.
Lui mi fa sentire diversa...
Normale.
Fa emergere la me stessa adolescente, seppellita sotto metri di terriccio molle assieme a mia madre, con una facilità disarmante.
Mi fa illudere di essere ancora la ragazzina con i capelli corti tagliati da Renèe con le forbici della cucina; quella con chiazze d’inchiostro sul viso per le penne esplose nell’astuccio; quella con i palmi delle mani perennemente sbucciati ed i lividi sulle ginocchia.
Aggrappata a Jacob mi sembra che il tempo non sia trascorso; che, chiudendo gli occhi, possa ancora veder comparire mamma dalla cucina con i mobili in noce, mentre si pulisce le mani con una pezza già sporca e butta i cartoni del ristorante accanto, cercando di farmi credere di aver cucinato lei, quando in realtà non sapeva nemmeno bollire il latte senza far danni.
< Ehi! > mi afferra per i fianchi sull’ultimo gradino, sollevandomi in aria.
Tempismo perfetto il suo: i lacci delle scarpe si erano sciolti e, se non mi avesse preso, avrei di sicuro avuto un incontro ravvicinato del terzo tipo con le mattonelle del pavimento.
Jacob mi sorride, poggiandomi a terra, e mi bacia la fronte.
< Dove mi porti oggi? > gli domando, precedendolo fuori da quel palazzo fatiscente in cui abitano tutte quelle come me, ripescate sotto un ponte dal padre di Angela.
Alcune di loro fanno questo... “mestiere” per vocazione, quasi avessero ricevuto una chiamata divina; altre ancora lo trovano un lavoro semplice e soddisfacente...e poi ci sono quelle della mia stessa razza, costrette a vendere il corpo pur di tirare avanti.
Dei soldi che guadagno, però, non tocco quasi nulla.
Accumulo tutto in un conto unico, cointestato con Jacob.
Risparmiamo per potercene andare da Forks il prima possibile e poterci permettere una vita senza troppi problemi, rispettabile e possibilmente in Europa.
< Alla discarica. Mi servono dei pezzi per il furgone di un amico di papà. Paga bene! > risponde lui, arrivando di fronte la sua moto nera e passandomi il casco.
Mi chiude il cinturino e poi appanna il vetro davanti ai miei occhi, disegnando sopra l'alone del suo fiato un cuore storto e tremulo.
Rido e gli tiro un pugno giocoso, sbrigandomi ad arrampicarmi sul telaio lucido.
Jake sgasa eccessivamente, tanto per fare il figo, e poi sfreccia via, lontano dal grigiore di quella vita insapore ed opprimente.
Stasera, al mio ritorno, le pagine consunte dell’agenda degli appuntamenti saranno ancora lì, piene di nomi scribacchiati da Jess in fretta, tra una telefonata e l’altra.
Persone importanti, gente ricca e bisognosa di un passatempo piacevole per tappare i buchi che la loro esistenza troppo perfetta e sfarzosa si lascia in giro.
Quando programmi ogni singolo secondo della tua giornata e hai qualcuno che si ammazza di fatica al posto tuo, capita di ritrovarsi spesso a girarsi i pollici fissando il soffitto.
Perciò cercano una scappatoia, un qualcosa di gradevole e appagante che li soddisfi e gli infonda nuova voglia di fare.
Questo è il mio compito: essere il loro giochino per un paio d’ore e lasciare che, infine, si dimentichino anche della mia faccia.
Chiuderanno gli occhi mentre godranno, artiglieranno con le unghie le costose lenzuola di seta e, dopo l’orgasmo, si rivestiranno in fretta, buttandomi i soldi accanto, quasi schifati dal mio corpo.
E’ sempre la stessa routine.
Sempre lo stesso lurido sudiciume che mi serra la gola giorno e notte e da cui cerco inutilmente di liberarmi, lavandomi con la freschezza dei respiri di Jacob.
Lui è la mia dose di normalità, di tranquillità e benessere.
E’ la cura contro la bile che mi si riversa nelle vene ogni volta che resto sola e nuda in un letto matrimoniale anonimo.
E’ il mio angolo di cielo limpido personale. Il sole contro le nubi che mi offuscano la vista ad ogni nuovo appuntamento preso.
E’ il mio migliore amico. L’unica ragione per cui vivo.

< Ehi B. dove hai messo le manette? Non quelle ricoperte di pelo rosso, eh?! Le altre, quelle che uso quando mi vesto da poliziotta. >
Jessica si affaccia al bagno, sfoggiando il suo berretto da agente e la sua camiciola azzurra, sbottonata e allacciata sotto il reggiseno in pizzo nero.
< Io non le ho viste. Controlla nell’armadio, sotto la tua divisa da crocerossina. > replico, aggiustando di nuovo le calze a rete.
A Jess sono sempre piaciuti i giochi di ruolo.
Ogni suo cliente ha una fissazione, una fantasia perversa che lei soddisfa con piacere, calandosi nei panni di Catwoman, Cappuccetto rosso e persino Barbie all’occorrenza.
Io, a malapena, riesco a infilarmi in un babydoll rosa confetto e a mettere delle autoreggenti.
Lingerie di merletti e frustini non sono proprio il mio genere, ma devo adattarmi.
All’età di quindici anni mi sono trovata a dover recitare la parte della donna vissuta, conoscendo appena le basi del sesso.
Renèe mi ha fatto “il discorso” poco prima di morire, soltanto per mettermi in guardia su gravidanze indesiderate e malattie veneree.
Ho imparato presto, comunque.
Ho noleggiato alla videoteca dei genitori di Mike Newton decine di film porno e mi sono piazzata davanti la tv con un blocco degli appunti in mano.
Ho appreso presto come accavallare elegantemente le gambe e ad assumere pose sexy, anche se i primi tempi sembravo un po’ un pesce rosso in agonia fuori dalla boccia stracolma d’acqua.
< Allora, com’è questo Cullen? Un altro vecchio attempato che ha un’erezione di mezzo minuto e soltanto grazie al Viagra? >
Jess si siede sul letto, chiudendo la zip dei suoi anfibi con la suola a carrarmato, e poi si appoggia con i gomiti sul materasso molle che cigola sotto il suo peso.
Mi guarda in attesa, indicandomi con la mano il rossetto rosso sul lavandino che ha lasciato lì appositamente per me.
Mi stringo nelle spalle, indifferente, sciogliendo i capelli e pettinandoli alla svelta.
< Non lo so. Ho solo sentito la sua voce al telefono. Sembra piuttosto giovane. Magari, per una volta, mi dice bene ed è un bel ragazzo! > esclamo, facendole l’occhiolino.
Lei emette un risolino frivolo e si copre la bocca con la mano.
Io e Jessica non siamo propriamente amiche.
Diciamo, più che altro, che trovandoci a vivere sotto lo stesso tetto, gomito a gomito da ormai cinque anni, si è instaurato un rapporto stabile.
Non è una vera amicizia, in quanto lei non conosce alcun dettaglio di me.
Parliamo di cose superficiali e di lavoro perlopiù.
Jess è il tipo di persona che potrebbe parlare per ore di una banalità, trovando sempre nuovi spunti interessanti.
Quando siamo insieme e ho voglia di riempirmi la testa di fandonie senza senso, che mi aiutino a non cadere nell'autocommiserazione, mi basta darle un input.
Lei risponde in automatico e intavola un discorso infinito, in cui la partecipazione richiesta è minima: un commento ogni mezz’ora e dei cenni d’assenso ogni dieci minuti più o meno.
< Allora per un bel ragazzo ci vuole un profumo adatto. > lei si alza e apre il comodino, estraendo il suo Bulgari: il profumo odioso che mi fa prudere il naso.
< No, grazie Jess. Sono a posto così. > indietreggio, barcollando sulle decoltè di vernice lucida.
Lei non si fa abbindolare. Avvantaggiata da scarpe più comode delle mie, mi inchioda in un angolo e sparge una nuvola vanigliata sui capelli e sul mio corpo, che si copre di goccioline appiccicose e dolciastre.
Starnutisco e le cado addosso, schiacciandola col mio peso.
< B. sei proprio un caso irrecuperabile. > sbuffa lei, ridendo sotto i baffi.

Incespico nuovamente nei tacchi a spillo, appoggiandomi ad un albero per non cadere con la faccia a terra e, con la fortuna che mi ritrovo, rompermi il setto nasale.
Ma dove diavolo abita questo tizio?
Su un albero? Dorme a testa in giù, come i pipistrelli, appeso ad un ramoscello secco?
Se così fosse, ha sbagliato. Doveva chiedere di vedere Jess: lei si sarebbe mascherata volentieri da Jane, aspettandosi di trovare quel Cullen con un gonnellino di pelle simile a quello di Tarzan.
Conoscendola sarebbe anche andata a comprare una scimmietta di peluche, tanto per entrare meglio nella parte.
Sbuffo e arranco sul sentiero disseminato di ghiaia fine e decido impulsivamente di chiedere il doppio del compenso, vista la fatica per raggiungere la casa.
L’autista del taxi si è fatto pagare profumatamente –anche più del dovuto, secondo me- solo per scendermi all’imbocco di questa stradina quasi invisibile, nient’altro che una lingua sottile di terra battuta più chiara, cosparsa di sassi e radici sporgenti dall’aria minacciosa.
Quando ormai comincio a credere di aver letto male l’indirizzo –cosa capitata diverse volte in passato a causa degli sgorbi di Jessica- intravedo una costruzione bianca in lontananza.
Un po’ più rincuorata accelero il passo, stringendo convulsamente la cinta del cappotto pesante che indosso.
Non è particolarmente freddo, ma il clima di Forks è imprevedibile ed instabile, peggio dell’umore di una donna con le mestruazioni.
Un attimo prima può splendere il sole tra soffici nuvolette bianco latte; un secondo dopo il cielo può rovesciarti addosso secchiate d’acqua gelida senza nemmeno darti tempo d’aprire l’ombrello.
Man mano che mi avvicino, noto che la casa è rivolta a sud e sembra verniciata con panna montata.
L’architetto che ci ha messo mano deve avere la passione per lo stile moderno, poichè l’edificio è piuttosto sobrio e squadrato, con un piano interamente vestito di vetrate lucide, su cui la luce si riflette in un caleidoscopio di colori iridescenti che mi accecano.
Il patio è sgombro di foglie secche, come se qualcuno meticolosamente lo spazzasse ogni giorno.
Mio padre dovrebbe prendere ripetizioni da questa persona: il vialetto d’ingresso a casa sua sembra situato in una giungla con piante viscide, insetti striscianti che lo attraversano e foglie tutt’attorno.
Salgo i gradini a disagio, alzando gli occhi sull’entrata, nient’altro che l’ennesima vetrata che si affaccia su un salotto arredato con semplicità e mobili bianchi.
I Cullen devono essere fissati con quel colore.
A saperlo prima mi sarei adeguata, vestendo con il corpetto e le autoreggenti avorio.
Busso timidamente, dispiacendomi per l’impronta delle mie nocche su quel vetro lindo, e vedo qualcuno scendere la scalinata che conduce al piano superiore in fretta.
Quando mi apre, il suo viso si illumina e la sua bocca si torce in una specie di sorriso obliquo.
Un sorriso sghembo ma affascinante.
Alto, magro –forse un po’ troppo-, con lineamenti spigolosi, zigomi pronunciati e vivaci occhi verdi, deve avere più o meno la mia età.
< Ciao! > esclama cordiale, passandosi una mano tra i capelli ramati leggermente mossi.
La sua voce è la stessa che ho sentito al telefono. E’ davvero lui che ha preso appuntamento con me?
Avevo supposto fosse suo padre, poichè i ragazzi giovani solitamente non hanno problemi a trovare compagnia per una notte, soprattutto grazie all’ausilio di una bella dose di alcol nel sangue.
< Ciao. > rispondo titubante, arricciando una ciocca di capelli attorno al dito.
Lui si fa da parte per farmi entrare e mi indica il divano.
Mi siedo rigida sulla fredda pelle e lo vedo sparire in corridoio, probabilmente diretto in cucina.
La parete che ho di fronte è interamente affrescata con motivi geometrici bianchi e neri che attirano il mio sguardo, ipnotizzandomi e rilassandomi.
Per qualche attimo smetto di pormi dubbi sulla mia presenza in quella casa enorme, in cui sembra mancare il calore e la fantasia di una presenza femminile, e mi tolgo una scarpa, massaggiandomi la pianta del piede dolorante.
Vedo il ragazzo tornare con un vassoio in mano, così mi affretto a ricompormi.
Aggiusto il bavero della giacca e alzo gli occhi su di lui, che si siede accanto a me mettendo tra noi ciò che teneva tra le mani.
Mi serve una tazza di thè caldo e dei biscotti profumati al limone e poi mi osserva di sottecchi, mentre tuffa un cucchiaino di zucchero in quella che sembra tisana.
Vago con lo sguardo altrove, a disagio, e mi scotto la lingua con la bevanda bollente.
Non mi piace essere fissata a quel modo.
Anzi, non mi piace essere fissata e basta. E’ un’altra delle voci della mia lista chilometrica.
Le persone mi scrutano con sdegno, con commiserazione e pena e poi passano oltre.
Nessuno che si fermi a chiedere < Ehi! Perchè fai la prostituta? Cosa ti ha spinto nei letti di sconosciuti di ogni età? >.
Fondamentalmente la gente è menefreghista e non s’impiccia non per rispetto, ma per paura di contagio.
I problemi che hanno bastano loro. Non vogliono correre il rischio di essere infettati anche dai miei.
L’unica occhiata di cui riesco a reggere il peso è quella di Jake.
Lui sa la mia storia.
Mi ha vista trasformarmi da Bella in Beauty, torturando me stessa affinchè chinassi la testa, gettassi orgoglio e dignità in un angolo remoto e polveroso del mio animo e trovassi il modo di sopravvivere.
Lui c’è sempre stato, non mi ha mai voltato le spalle schifato.
Era ad aspettarmi sotto la casa del primo cliente; a tenermi stretta tutta la notte, mentre piangevo sulla sua spalla la perdita definitiva della mia innocenza.
Continuo a sorseggiare il mio thè in silenzio, stringendo le dita attorno alla tazzina in ceramica fino a farmi illividire le nocche.
C’è una tensione elettrica, sospesa nell’aria, che mi paralizza.
Sono abituata a trattare con uomini adulti, che sanno cosa vogliono e non mi offrono da bere.
Il tempo di essere in casa loro, al riparo da occhi indiscreti, che subito mi svestono e mi prendono con fermezza.
Mi agito inquieta e alla fine poso la tazza con un sospiro, decidendo di porre fine a quel clima d’angoscia per prima.
< Uhm...come ti chiami? > gli chiedo la prima cosa che mi passa per la testa e lui mi sorride di nuovo.
< Edward. Edward Masen Cullen. > risponde con una punta di orgoglio nella voce profonda.
Annuisco e mi ravvivo i capelli con una mano distratta, iniziando a sbottonare la giacca.
< Allora...Edward. > sottolineo il suo nome col tono sensuale che mi ha insegnato Jess. < Cosa vuoi fare? >
Mi sporgo verso di lui, che si affretta a togliere di mezzo il vassoio, e gli infilo una mano nei capelli traendolo a me.
Lui si dà una spinta e fa stendere sul divano, puntellando le braccia ai lati della mia testa.
Avvicina con lentezza il suo viso al mio e mi morde le labbra.
Sospira e m’infila la lingua in bocca con prepotenza.
Poi si sposta leggermente, sfiorandomi col fiato caldo la guancia, il collo e, infine, mi lambisce il lobo dell’orecchio destro con i denti.
< Mi piace il tuo sapore, Isabella. > sussurra lieve, facendomi tremare.
Mi sollevo appena, vigile ed attenta.
Come diavolo fa a sapere il mio vero nome?
Apro bocca per domandarglielo, ma lui è più svelto.
Mi zittisce con un dito sulle labbra e mostra ancora quel sorriso sghembo così particolare.
I suoi occhi verdi brillano, come le foglie bagnate dalla rugiada mattutina.
< So chi sei. Conosco la tua storia. Io ti amo, Isabella. Da sempre. >

Angolo di un'autrice che è decisamente uscita fuori di testa:
Se vi state chiedendo se quando ho scritto questa long avevo preso un palo in faccia, beh è probabile che abbiate ragione.
E' una storia folle. L'avevate mai pensata come una prostituta di professione, Bella? Io no, mai...almeno fino a quando non ho scritto questo primo capitolo.
Se vi siete incuriosite e avete voglia di scoprire insieme a me questo mondo alternativo, siete le benvenute.
Lasciate un commentino, anche insulso o offensivo, ma mi farete felice. E' un'opera buona, dai <3
Un immenso abbraccio.
Strange

Piesse: il concorso a cui "(Not) Enough" ha partecipato, piazzandosi terza s'intitolava "Si sarebbero amati in qualunque storia fossero andati a finire" e le storie che si sono classificate prima e seconda sono assolutamente da non perdere.
Correte, correte!

Pipiesse: un abbraccio speciale alla mia Ellina e Michela che hanno sopportato le mie seghe mentali per tutta la stesura di questa assurdità.
   
 
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