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Autore: Whatadaph    09/10/2012    3 recensioni
Te l'ho detto, Albus. Noi non siamo come gli altri. Come noi ci siamo solo io e te, sarà sempre così.
Un ragazzo prodigio e un'estate che sembra il concentrato di tutti i suoi peggiori incubi. Un incontro inaspettato, che cambierà ogni cosa. Dove c'è molta luce, l'ombra è più nera: qual è allora il confine tra bene e male?
Gellert aveva sete di potere, Albus di giustizia. Insieme, avrebbero potuto fare grandi cose.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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- Questa storia fa parte della serie 'Licht und Schatten'
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Capitolo 11

“Proponimenti”

 

“Non mi piace.”

Albus trasse una lunga sorsata dalla sua tazza colma di tè. Deglutì con calma, per poi sollevare su Aberforth i suoi occhi chiari e penetranti. Quest’ultimo sostenne lo sguardo del maggiore con uno identico al suo.

“Di che cosa stai parlando?” rispose, serafico.

“Non dirmi che non lo sai,” replicò l’altro in tono caustico.

Albus strinse le labbra. “C’è qualche motivo in particolare per cui Gellert non ti piace?”

Abe fece una smorfia, storcendo la bocca. “Non mi ispira fiducia.”

Le sopracciglia fulve del maggiore si inarcarono nette. “Che cosa intendi dire, Aberforth?” ribatté, imprimendo nella propria voce quanto più gelo possibile.

Con quale coraggio quel ragazzino veniva a parlargli a quella maniera? Come poteva pensare di sottrarre a lui, suo fratello, l’unica consolazione rimastagli in quei giorni eterni di eterne case grigie?

Aberforth avrebbe dovuto volere la sua felicità, pensò.

“Non intendo dire una cosa in particolare.” Il quindicenne sbuffò, seccato. “Voglio dire che mi dà l’impressione di essere un... un falso. Come se facesse il doppiogioco.”

“Gellert non è un doppiogiochista,” affermò Albus con decisione.

“Se almeno mi lasciassi spiegare!” Aberforth batté la mano aperta sul piano del tavolo, esasperato.

“Fai piano,” lo rimproverò lui freddamente. “Che svegli Ariana.”

Abe parve ferito. “Non voglio svegliare Ariana.”

C’era qualcosa che Aberforth aveva ereditato da Kendra in maniera tanto evidente da incutere quasi spavento. Era quel modo di dire una cosa e allo stesso tempo comunicarne un’altra, con tanta palese e decisa onestà da lasciare interdetti, lì per lì. Un’affermazione come questa... Non voglio svegliare Ariana, aveva detto Abe, e al contempo tutto – la sua espressione, il dolore che si leggeva nei suoi occhi, la sua postura tesa e guardinga – aveva trasmesso anche qualcos’altro: Non voglio che Ariana soffra o che le accada qualcosa di male.

“Non si sveglierà,” decise Albus, perentorio, soffocando la rabbia innaturale che sembrava averlo aggredito dall’interno. “Spiega, allora. Su!”

“Mi sembra che la sua non sia un’amicizia disinteressata,” disse in fretta Aberforth.

Albus rimase impassibile. “Hai informazioni fondate su cui basare questa tua deduzione?”

Abe scosse la testa. “Te l’ho detto,” fece, stizzito. “Più che altro è una mia sensazione.”

“Credi che io debba interrompere un’amicizia sulla base di una tua supposizione?” il tono di Albus suonò severo.

“Lo vedi che non mi ascolti?” sbottò Aberforth. “Volevo solo dirti di fare attenzione. E poi lo conosci da neanche un mese. Io sono tuo fratello da quindici anni. Non credi che io sia più meritevole della tua fiducia?”

“Mi è passata la fame.” Albus allontanò bruscamente la sua tazza di tè e fece per dirigersi al piano di sopra.

“Si vede che sei in difficoltà,” sibilò Abe. “Altrimenti non te ne scapperesti così.”

Albus rimase immobile, dando le spalle al fratello minore.

“E si vede che ho ragione,” proseguì l’altro, “proprio perché sei in difficoltà.”

Non poteva continuare a ignorarlo: si volse di scatto. “Chi sei tu per pensare di potermi dare consigli?” mormorò, rabbioso.

Sul volto di Abe fece capolino di nuovo quella strana smorfia contratta. “Sono tuo fratello.”

 

 

****

 

“Aberforth diventa sempre più maligno,” si sfogò Albus.

Gellert lo osservò con aria meditabonda. Poggiava il gomito sul muretto a secco che limitava il giardino di Bathilda. Doveva aver dormito poco la sera precedente, poiché i suoi occhi erano cerchiati e la pelle del suo volto pallida persino più del solito.

“Suppongo sia per questo motivo che ti sei precipitato qui alle nove del mattino,” osservò con voce arrochita.

Albus lo guardò, dispiaciuto e anche appena amareggiato. “Non vorrei averti disturbato.”

“Figurati.” L’altro sorrise, anche se stancamente. “Vederti è sempre un piacere.”

Il giovane Dumbledore si crogiolò nello strano calore che si era diffuso improvvisamente all’altezza del suo stomaco. Per un momento temette di aver gorgogliato dalla contentezza, ma a giudicare dall’aria impassibile di Gellert doveva essere riuscito a contenersi.

“Forza,” riprese Grindelwald. “Che cosa è accaduto?”

Albus lo soppesò con lo sguardo per alcuni istanti, esitante. “Non vorrei metterti a disagio,” lo avvisò. L’altro fece un gesto con la mano, come a dire che non aveva importanza, quindi Albus proseguì. “Abe crede che tu non sia degno di fiducia.”

Uno strano silenzio ristagnò per una frazione di secondo, poi Gellert scrollò le spalle. “Avevo avuto l’impressione di non essere fra le sue simpatie,” assentì, tranquillo.

Albus quasi sospirò di sollievo.

“Ha detto su cosa basa questa sua supposizione?” domandò poi l’altro, sempre serenamente.

“Dice di avere la sensazione che la nostra amicizia non sia... disinteressata, da parte tua.”

Gellert sorrise, di quel suo sorriso che coinvolgeva anche il resto del volto e tutto il suo corpo. “Aberforth non manca d’intuito,” commentò. “In un certo senso ha ragione.”

Albus non era sicuro se stesse o meno scherzando. Probabilmente no: Gellert non aveva mai scherzato – o se l’aveva fatto, nelle sue parole c’era sempre stato un fondo di verità.

Tacque, attendendo che l’altro proseguisse il suo discorso.

“Non esistono amicizie disinteressate, Albus.”

Nel frattempo, il villaggio aveva iniziato ad animarsi. Lungo la via sulla quale si affacciava la casa di Bathilda – anche quella dei Dumbledore, a dire il vero – gli abitanti di Godric’s Hollow si muovevano in lungo e in largo. Il continuo cicaleccio da loro provocato arrivava sino alle orecchie dei due giovani.

Albus non aveva fatto in tempo a metabolizzare le parole di Gellert che questi proseguì.

“In tutte le amicizie si dà e si riceve,” proseguì. “Ricordi quando abbiamo parlato del concetto di amicizia?”

Albus lo ricordava perfettamente. Gellert si riferiva al loro primo scambio epistolare realmente significativo, che risaliva a neanche venti giorni prima.

Sembra che siano trascorsi secoli.

Annuì.

“In quell’occasione, mi hai scritto che essere amici significa non chiedere nulla in cambio, ma ricevere qualcosa in cambio comunque.” Gli rivolse un sorrisetto sghembo. “Non è forse questo un concetto di amicizia in qualche modo interessato? Se consideri qualcuno tuo amico, confidi nel fatto che quella persona ti darà qualcosa in cambio anche se tu non chiedi alcunché.”

Albus non trovò nulla da obiettare.

“Ti sei rivelato d’accordo anche sul fatto che due amici hanno bisogno l’uno dell’altro. Non si tratta forse dello stesso concetto? Se due amici hanno bisogno l’uno dell’altro, quel qualcosa che si daranno in cambio sarà l’uno all’altro. Aberforth ha ragione, in un certo senso. La nostra è un’amicizia interessata perché io ho bisogno di te e tu di me.”

Il cuore di Albus prese a battere furiosamente. Più di quanto avrebbe dovuto.

“I tuoi sofismi sono eccezionali, Gellert,” si complimentò. “Sapresti vendere bacchette magiche alla Morte in persona.”

Sul volto dell’amico si aprì un sorrisetto enigmatico. “La Morte in persona, hai detto?”

Albus scrollò le spalle. “Solo un vecchio detto.”

Gellert annuì distrattamente. “Ti va di entrare? Bathilda sarà lieta di vederti.”

“Se non è di troppo disturbo...”

L’altro rise. “Ma figurati!” Afferrò il gomito di Albus e se lo trascinò dietro all’interno dell’abitazione. Dumbledore non poté fare a meno di notare quanto apparisse improvvisamente allegro.

Senza lasciare il suo gomito, Gellert zigzagò rapidissimo da una stanza all’altra. Infine fece capolino dalla porta di una di esse, parlando ad alta voce: “Zietta, Albus è qui!”

Quest’ultimo faticò un po’ a trattenere un risolino nel vedere come Gellert vezzeggiava Bathilda, che d’altro canto pendeva dalle sue labbra.

“Oh, che piacere!” sorrise Bathilda, sinceramente lieta, sollevando il naso dalle pergamene che stava esaminando e togliendosi il paio di occhialetti dalla montatura dorata che indossava. “Come stai, caro? E i tuoi fratelli?”

Albus sorrise. “Oh, si può dire che tutto procede bene.”

“Mi fa piacere, mi fa piacere...” la voce di Bathilda si affievolì, mentre la sua proprietaria gettava uno sguardo anelante alle pergamene appena abbandonate. “Ragazzi, vi dispiace se...”

“Oh, no, assolutamente!” Gellert si avvicinò alla zia e le pose un bacio sulla fronte. “Non avevamo intenzione di disturbarti.”

“Ma non mi avete disturbata affatto,” sospirò la donna, scrutandoli con affetto. “Questo libro sarà un successo, vi assicuro. Ho anche pensato al titolo.”

“Su cosa è ricaduta la scelta?” domandò Albus, non solo per cortesia: riteneva gli studi storici di miss Bagshot davvero interessanti.

Storia della Magia!” annunciò loro Bathilda con una certa soddisfazione. “Semplice, ma di effetto!”

“Non c’è che dire!” si complimentò Albus. “Davvero appropriato!”

Gellert parve agitarsi, in piedi lì dov’era. “Non ti distogliamo oltre, zietta,” annunciò, ammiccando. Quindi afferrò di nuovo il gomito di Albus, trascinandolo fuori dalla stanza. La risata divertita di Bathilda si udì anche in corridoio.

“Perché mi hai trascinato via?” protestò Albus senza essersene rammaricato affatto. “Poteva anche darsi che fossi interessato a ciò che–”

Gellert lo azzittì posandogli due dita sulle labbra, giocoso. “La parte del complimentoso ti si addice, Albus!”

“Non facevo la parte del complimentoso,” rise lui. “Lo trovo davvero un titolo semplice, d’impatto e appropriato!”

Gellert rise a propria volta, e Albus si sentì bene.

 

 

****

 

Per il giorno successivo avevano in programma di tornare al campo di grano, dove non si recavano ormai da qualche giorno, ma un diluvio inaspettato ostacolò i loro piani.

La pioggia cadeva scrosciante su Godric’s Hollow, tamburellava i tetti delle case e ingrigiva gli angoli delle strade. Gellert Grindelwald sostava in piedi di fronte alla finestra della propria stanza, rimuginando su torbidi pensieri. D’un tratto, oltre il vetro rigato di pioggia, gli parve di scorgere una figura che procedeva lungo la via, sollevando piccoli schizzi con le suole dei suoi stivali. La figura – misteriosa e irriconoscibile in quella cortina di pioggia – virò con decisione in direzione della casa di Bathilda. Proprio mentre si accostava alla porta, Gellert udì il trillo del campanello.

Le sue labbra si incurvarono automaticamente in un sorriso. Aveva capito chi fosse ancor prima di vederlo fermarsi di fronte a casa Bagshot.

Era felice di vederlo. Ogni volta che vedeva Albus Dumbledore, il Bene Superiore si avvicinava di un altro passo.

O forse sono io che assieme a lui riesco a camminare più rapido verso il mio obiettivo?

Non l’avrebbe mai creduto possibile, ma il suo infallibile istinto da prescelto gli suggeriva che fosse così.

Gli suggeriva di passare più tempo possibile con Albus, glielo suggeriva continuamente.

“Gellert!” la voce della zia riecheggiò dal piano di sotto. “C’è Albus!”

Si mosse dalla finestra, uscì dalla stanza e scese in fretta le scale, giusto in tempo per udire Bathilda rivolgersi al giovane Dumbledore. “Sarai tutto infreddolito, povero caro. Da pazzi uscire di casa con questo diluvio! Lo sai, vero?” Il tono era di affettuoso rimprovero.

Ma, come Gellert poté constatare, i capelli di Albus erano perfettamente asciutti: rossicci e raccolti nella solita coda, cui alcune ciocche sfuggivano sfiorando zigomo e mascella del ragazzo. L’unico indizio del fatto che avesse camminato nella pioggia fitta fino a quel momento erano i suoi stivali bagnati, che Albus stava educatamente sfregando sullo stuoino. Emanava odore di pioggia, fresco e lievemente pungente.

“Un Impervius perfettamente svolto, suppongo,” disse, e non appena ebbe parlato la testa di Albus scattò nella sua direzione, come quella di una volpe che coglie una pista inaspettata.

Gli occhi azzurri e penetranti di Albus si colmarono di gioia improvvisa. Gellert rimase lì dove si trovava, la mano ancora poggiata sul corrimano delle scale.

“Buongiorno anche a te, amico mio,” parlò Albus con la sua voce pacata. Ringraziò educatamente Bathilda e lo raggiunse sulle scale. Gellert, quasi senza pensarci, gli gettò un braccio attorno alle spalle e lo strinse brevemente a sé.

Quando sciolse l’abbraccio, gli occhi di Albus brillavano.

I due amici si diressero verso la stanza di Gellert, dove quest’ultimo si accomodò alla scrivania. Con naturalezza – perfettamente a proprio agio – Albus si pose accanto alla finestra. Per una frazione di secondo scrutò il cielo bigio e tempestoso che si intravedeva appena oltre il vetro, quindi volse il capo in direzione di Gellert.

“Anche ieri hai studiato fino a tarda notte?” gli si rivolse.

“No,” ammise Gellert. “Ho messo il punto all’ultima lettera che ci siamo scritti e ho fatto appena in tempo ad affidarla a Giselle prima di addormentarmi di sasso.”

“Un po’ di riposo non può che farti bene,” osservò Albus.

Gellert gli scoccò un’occhiata a metà fra l’esasperato e il divertito. “Sembri zia Bathilda.”

Albus alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, teatralmente afflitto.

Grindelwald lo squadrò per alcuni istanti, prima di decidersi a parlare. “Qual’è la tua fiaba preferita, Albus?”

Interiormente gli pareva di conoscere la risposta, e desiderava con tutto il cuore che fosse quella in cui confidava.

Sul volto di Dumbledore passò appena un’ombra di perplessità, prima che il ragazzo facesse un mezzo sorriso. “La storia dei Tre Fratelli.”

Gellert dovette trattenersi per non sorridere trionfante. “Come mai?” tentò di soffocare la trepidazione che si avvertiva nella sua voce.

Albus gli scoccò un’occhiata penetrante. “Mi piace l’idea che tre maghi siano stati abbastanza accorti e capaci da essere in grado di sfidare la Morte in persona. Apprezzo l’audacia del primo fratello, la capacità di amare del secondo e l’arguzia del terzo.”

Gellert gli rivolse un sorrisetto storto. “Sarebbe bello, eh? Sei Doni della Morte esistessero davvero.”

Un bagliore bramoso parve attraversare gli occhi di Albus.

“Potrebbero essere l’arma che cerchiamo,” gli fece notare Grindelwald, sicuro di essere sulla strada giusta. “I Doni della Morte potrebbero aiutarci a raggiungere il nostro obiettivo. La convivenza pacifica fra Babbani e maghi.”

Albus annuì. “Sarebbe bello. Peccato che sia una fiaba.”

Gellert levò gli occhi su di lui. “Il terzo fratello si chiamava Ignotus Peverell,” buttò lì.

L’altro aggrottò le sopracciglia. “Questo è un nome che mi sembra di avere già udito.”

Gellert gli lanciò un’occhiata sbiega. “Viveva a Godric’s Hollow,” disse. “Tanti e tanti anni fa.”

 

 

****

 

Gellert,

credo che sia opportuno dirigersi come prima cosa al cimitero, non appena farà bel tempo. DOBBIAMO trovare la tomba di Ignotus. Se davvero lui e i suoi fratelli sono stati in grado di fabbricare artefatti del genere – dubito dell’intervento della Morte stessa – sulla sua lapide DEVE esserci qualcosa. Un segno, un indizio, qualcosa che riconduca ai Doni.

Non sei d’accordo?

A.

 

 

Albus,

sono pienamente d’accordo con te.

Ci pensi? Pensi a dove potremo arrivare, io e te, con i Doni della Morte?

G.

 

 

Il pensiero mi esalta, devo ammetterlo.

Spero che questa pioggia si plachi presto! Nonostante l’Impervius, temo di essermi buscato un raffreddore.

Albus

 

 

Riguardati, come direbbe zia Bathilda.

Non vedo l’ora di vederti.

G.

 

 

 

 

 

Note dell’Autrice

Mi scuso per l’indecente ritardo negli aggiornamenti, ma la scuola mi sta seriamente tenendo sotto torchio. Oggi riesco a postare perché ho deciso di non studiare. Mi sono autoprescritta un pomeriggio di riposo XD

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ne sono abbastanza soddisfatta, ma mi rende anche un po’ insicura.

Bisous!

Daphne

   
 
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