Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Ryo13    09/10/2012    8 recensioni
Erin Knight ha un solo obiettivo nella sua vita: da quando ha perso lo zio Klaus, ucciso dall'uomo che amava, non vive che per trovare colui il quale possiede il potere complementare al suo, ovvero quello di manovrare il tempo. Tuttavia la sua missione è ostacolata da Samuel Lex — adesso capo dei ribelli e conosciuto col nome di 'Falco' — e dai capi dell'esercito reale che la osteggiano, minacciando la sua carica di Luogotenente. Unica donna in un mondo di uomini e senza alleati, sarà costretta a forgiare nuove alleanze in luoghi inaspettati...
❈❈❈Storia in revisione ❈❈❈
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Eccovi, come promesso, il capitolo del "dopo battaglia" XD Anche se lo chiamo così non per questo è un capitolo meno importante... diciamo che si chiariscono un bel po' di cose, soprattutto si chiarisce quali conseguenze avrà il legame di Chev con Drogart tramite il Giuramento di Sangue. Ebbene, Erin ha fatto in modo da non farsi ammazzare durante il loro incontro XD però non ha fatto abbastanza per rompere quel pericoloso legame... quindi cosa le rimane da fare ora? Lo scoprirere con questa lettura e mi auguro che molti di voi apprezzino l'andazzo della situazione *io gongolo*
Ringrazio tutti coloro che si sono innamorati di questa storia e che la seguono con interesse ^w^
Aspetto come sempre i vostri commenti perché mi incoraggiano un sacco ;)

Rita <3
 

Capitolo 10 - Contrastare un Giuramento

 

«Ragazza, ce l’hai fatta!»
La grossa mano callosa di Calis si abbatté con forza sulla mia spalla, facendomi traballare sulle gambe malferme.
«Ouch! Cal, perdio, stai un po’ attento! Sono ferita su questa spalla!» con una smorfia di sofferenza la circondai con la mano, spostando la stoffa incrostata di sangue ormai essiccato che la nascondeva.
«Oh, è vero! Scusami tanto Violet.» arretrò di qualche passo. «Ora faccio venire qualcuno a controllarti.»
Si precipitò fuori dalla tenda e lo sentii, in lontananza, abbaiare degli ordini.
Mi abbandonai pesantemente su una panca, mandando fuori un lungo sospiro, un misto di sollievo e soddisfazione. Intanto avevo stracciato la stoffa del mio vestito – ormai malandato – per controllare più da vicino le mie condizioni.
Un leggero spostamento dell’aria mi fece improvvisamente ricordare di non essere sola.
Chev, l’ormai ex Campione di Stenton, se ne stava ritto, in perfetto silenzio, davanti all’entrata del tendone riservato a Vasil. All’esterno ancora si udivano gli schiamazzi della folla che stentava a disperdersi dopo gli emozionanti incontri della giornata. Sentivo ancora qualcuno invocare il mio nome e commentare che non c’era sorpresa nel risultato della Sfida dato che era stata proprio la famosa Violet a scendere in campo.
Ignorai le voci e mi concentrai sul nuovo, gradito ospite. Non aveva nemmeno un graffio se si escludeva l’incisione al polso destro che gli avevano praticato per scopi magici; mi ero impegnata parecchio per non manometterlo e non provocargli danni, dal momento che mi avrebbe dovuto servire. La battaglia, prima di finire per recitarla, era stata difficile anche senza quella limitazione. Avendo saggiato in prima persona la lama affilata del Cavaliere, potevo apprezzare la sua forza ed il suo controllo: non avevo dubbi che sarebbe stato un valido aiuto per la mia causa. Tuttavia, tra di noi aleggiavano troppe cose non dette e sentivo sulla pelle la sua diffidenza. Anche io, nonostante la mia buona volontà, non sapevo fino a che punto fidarmi. Il fatto che un ragazzino fosse il suo punto debole mi faceva ben sperare: non perché avessi alcuna intenzione di ricattarlo, come aveva fatto il perfido Stenton, ma perché ciò indicava una gentilezza d’animo – del tutto inaspettata per un guerriero del suo calibro e della sua fama – che avrebbe dovuto appartenere ad una persona per bene. Dunque, forse anche solo per riconoscenza, non mi avrebbe tagliato la gola nel sonno. Almeno questo era ciò che speravo.
«Siediti e bevi un po’ di vino, ti farà sentire meglio.»
Gli indicai una sedia e gli porsi la brocca.
In un primo momento tentennò e passò lo sguardo tra me e la brocca, come a valutare che non avessi intenzione di avvelenarlo. Decise che non c’era pericolo e molto lentamente si avvicinò al tavolo.
Dopo una prima sorsata, ingollò il resto del bicchiere con avidità. Quando lo riabbassò sul tavolo, vuoto, glielo riempii nuovamente fino all’orlo.
«Buono, vero?» commentai, «Vasil sa che il vino messo a disposizione dall’arena fa schifo e si è premurato di farmene trovare uno proveniente dalla sua scorta personale per il dopo gara.»
Anche io scolai la mia parte e mi sentii subito meglio. Il vino speziato si fece strada nel mio corpo, fino allo stomaco, e parve rinvigorirmi le membra.
«Grazie», mi disse con la sua voce bassa e profonda.
«Non c’è di che, Chev.»
Ci guardammo per un lungo momento. Nessuno dei due sapeva da dove cominciare.
Poi fu il mio ospite a prendere parola.
Si schiarì la voce, con un cipiglio incerto. «Come… voglio sapere come hai fatto a disfare il Giuramento di Sangue che mi ha imposto Drogart. Pensavo che romperlo fosse una cosa impossibile, altrimenti il Toro avrebbe trovato un modo per svignarsela.»
«Come ti ho già detto, Chev, non l’ho proprio spezzato. Nel bere il sangue di Drogart ti sei legato irrimediabilmente a lui. Io, a mia volta, ho preso il tuo», indicai il taglio che gli avevo fatto sul labbro con un morso, «e ho fatto in modo di trasmetterti quel tanto di potere che bastava a diminuire la presa che lui aveva su di te. Hai sentito più debole il comando impartitoti e questo ti ha permesso di agire di tua propria volontà, allontanando l’istinto di uccidermi. Ma non ti illudere, si tratta di un effetto temporaneo. Per stanotte, comunque, credo che possiamo stare tranquilli.»
Rifletté sulle mie parole. «Ciò vuol dire... che non sarò mai libero? Tu mi hai vinto, i documenti sono stati firmati e ufficialmente appartengo a Vasil, ora. Ma di che utilità potrò mai essergli se risponderò ai comandi del suo rivale? Non potrei combattere nell’arena, o comunque non contro il Toro, senza perdere ogni incontro e rischiare di farmi ammazzare…»
«Mi pare di averti già spiegato che non rimarrai in questo posto, Chev. Vasil è solo una copertura. Presto sarai libero e, spero, alle mie dipendenze.»
«Il problema non cambia, è sempre lo stesso. Non posso servire nemmeno te se rispondo a Drogart. Hai detto che l’effetto del tuo potere è temporaneo, no? Ne deduco che presto sentirò di nuovo la pressione dei suoi comandi. E non credo di poter resistere a lungo nel contrastarli.»
«In effetti è così, non posso darti torto, però ci sarebbe un modo…»
«Quale?» chiese con una nota di supplica che non seppi se avevo immaginato.
«Ecco, io…» cominciai titubante. «Senti, Chev, voglio parlare chiaramente. Non voglio che ci siano questioni irrisolte tra noi.»
Fece un cenno affermativo ed io continuai.
«L’unico modo che conosco per rompere definitivamente un Giuramento di Sangue è quello di imporne un altro più forte. Ti posso assicurare che è raro trovare qualcuno che abbia in sé un potere sufficiente a forgiare un simile legame, quindi sappi che lo è ancora di più trovare qualcuno che ne abbia a sufficienza per romperlo.»
«Mi stai dicendo che tu non sei in grado di contrastarlo del tutto?» mi chiese.
«No, sto cercando di farti capire quanto tu sia dannatamente fortunato ad avere me, perché probabilmente solo l’unica in tutta Orvo in grado di spezzare il vincolo che ti lega.»
Sgranò gli occhi, un po’ sorpreso.
«Dunque sei così forte?»
«Lo sono.»
«Però, ciò significa…»
«Esatto.» confermai, intuendo il percorso dei suoi pensieri.
«Potresti rompere il vincolo con Drogart, ma mi ritroverei legato a te… forse in un legame ancora più coercitivo del suo?» disse l’ultima frase come se fosse una domanda.
Dunque presi un respiro e gli diedi la mia risposta.
«Sì», sussurrai. «Questo deve essere ben chiaro: c’è il rischio che tu non possa neanche tentare di opporti ad una mia parola.»
«Prima ho cercato di oppormi al comando di ucciderti con tutte le mie forze, ma non sono riuscito a non puntarti la spada contro.» considerò pensierosamente. «Se ciò che mi imponi tu è più forte, non avrei nessuna opportunità di essere… di rimanere… me stesso.»
Concluse il ragionamento con un tono di voce cupo, segretamente disperato.
«Io non vorrei importi nessun comando che vada contro i tuoi principi… Cercherei di non farlo, almeno. Ma… ecco, queste sono solo supposizioni, non so dirti con precisione, ed in maniera assoluta, cosa possa accadere. Io non ho mai stretto un Giuramento di Sangue.»
«Allora come sai di essere in grado di sostituire il legame?»
Mi fissò perplesso, forse un po’ seccato perché iniziava a credere che non fossi così potente come gli davo a credere.
«Se non lo fossi, non avrei potuto nemmeno indebolire ciò che vi legava. La sua magia avrebbe prevalso sul mio tentativo, respingendomi. Invece sei qui, e per te è relativamente facile, al momento, trattenerti dall’eseguire il comando impostoti… o sbaglio?»
Scosse il capo, negativamente.
«Tuttavia, anche senza questa dimostrazione, sarei stata certa delle mie capacità.»
«Per quale motivo?»
Agitai il capo, abbassando lo sguardo sulla mia coppa semi vuota e bevendo un altro sorso di vino.
«Perché ho sentito l’estensione del suo potere. Nel momento in cui hai versato il tuo sangue e hai bevuto il suo, c’è stato un riverbero delle forze in atto, l’ho sentito sulla pelle e mi ha stordito. Però so anche fino a dove si estende il mio. Credimi, sono il pesce più grosso. Tanto più che non so ancora quanto lo possa accrescere.»
«Suona come una cosa spaventosa.» sussurrò dopo un lungo momento di silenzio.
«Potrebbe esserlo.» dissi, enigmatica. Ma non ero disposta a fornirgli ulteriori delucidazioni su quel particolare argomento.
«D’accordo», dichiarò dopo un altro attimo di stallo, «diciamo pure che ne sei in grado, però non sono sicuro di volermi gettare ad occhi chiusi in questo burrone.»
«Quale altra scelta ti è rimasta?» chiesi più a me che a lui.
«Forse…» cominciò, «…potremmo lasciare le cose come stanno.»
Mi accigliai. «Vuoi dire che sei disposto a cederti a Drogart ormai che ti ha in pugno? Rinunci alla possibilità di essere libero?»
Rise amaramente. «Libertà? Che libertà pensi che sia farsi legare in un vincolo ancora più forte di quello cui sono soggetto?»
«Ma io non…» replicai con veemenza, salvo poi essere interrotta da lui.
«“Tu non mi costringeresti a fare nulla che non voglia”» parafrasò, «Balle! Se davvero entrassimo in conflitto pensi davvero che non prevarrebbe la tua volontà sulla mia? Senza contare il fatto che non ti conosco e quindi sarei uno stupido a crederti sulla parola, specie su una questione così importante. Una volta fatto il danno, non si può tornare indietro, correggimi se sbaglio!»
Stetti zitta perché non potevo dargli nessuna vera garanzia del contrario.
«Comunque non era questo il punto…», continuò. «A dispetto delle mie parole, ammetto di fidarmi un poco di te. Sei riuscita a vincermi, proprio come avevi promesso e, anche se ancora lo devo vedere con i miei occhi, non penso nemmeno che tu abbia mentito a proposito di Rob. Sarebbe difficile nascondere il fatto che sia morto, dopotutto.»
«Allora, cosa…?»
Alzò la mano per trattenermi. Gli diedi la possibilità di spiegarsi.
«Ciò che volevo dire, in definitiva, è che sono disposto a concederti la mia fiducia. Voglio che le cose rimangano come sono per ora. Non romperemo il legame con Drogart, ci limiteremo a contrastarlo, come hai fatto poco fa, in campo.»
«Vuoi dire che dovrò… cosa? Domare ad intervalli regolari la sua presa su di te soffiandoti dentro un po’ del mio potere alla volta?»
«Esatto. Pensi che si possa fare?»
Pensai freneticamente. «Io… non lo so, forse sì…»
«Allora tentiamo in questo modo.»
«Però… non sono sicura che continuare in questo modo non avrà ripercussioni su di te. Ti rendi conto che… il tuo corpo, o meglio, la tua anima diventerebbe un campo di battaglia tra il potere di Drogart ed il mio che lo contrasta? Sarebbe come essere dilaniato… senza contare il fatto che non saresti mai veramente in pace con te stesso! Dovresti lottare costantemente col potere di lui, senza un attimo di tregua. Certo, io potrei darti il mio aiuto regolarmente… ma chi ci garantisce che questo non ti consumi dall’interno?»
«Non abbiamo nessuna garanzia, hai ragione. Ma non mi sembra che, nell’altro modo, io ne abbia poi molta di più. Corro un rischio in ogni caso, questo mi sembra il minore.»
Scrollò le spalle.
Mi alzai e feci qualche passo per la stanza, cercando di valutare attentamente la sua proposta.
Proprio mentre stavo percorrendo lo stretto spazio per la ventesima volta, la tenda all’entrata si scostò e Calis ritornò seguito da un’ancella che recava in mano una bacinella d’acqua calda e delle bende.
«Eccoci qui!» disse contento l’omone. «Ora, ragazza, lasciati curare come si deve, senza fare storie. È stata una giornata faticosa, senza dubbio.»
Presi posto sulla panca, lasciando che la donna di mezza età facesse il suo lavoro. Lavò delicatamente ogni ferita – per fortuna non erano molte – ed in un attimo le fasciò strettamente. Si voltò brevemente verso Chev che se ne stava nell’angolo in silenzio.
«Signore, posso curare anche la vostra ferita?» domandò con voce fievole.
«Quale ferita? Io sono a posto…»
«Il vostro labbro, signore, perde un po’ sangue.» gli fece notare.
Chev sollevò una mano a toccarsi la bocca. Si era completamente dimenticato del morso che gli avevo dato. Allontanò le dita macchiate di sangue.
«Non è nulla.» minimizzò.
«Prego, signore, mettetevi questo.» Gli tese un panno terso di acqua. Il Cavaliere lo accettò senza fare storie e si tamponò il labbro, distrattamente, lavandolo del sangue.
Assolto il suo compito, l’ancella lasciò la tenda.
Nel frattempo anche Calis si era messo comodo e si era versato un po’ di vino.
Mi costrinsi a distogliere lo sguardo – che avevo fissato insistente – dalla bocca di Chev. Ripensai improvvisamente al bacio che gli avevo dato sul campo. Pur nella foga del momento, non avevo potuto non notare quanto fossero morbide e calde le sue labbra. Mi ero presa addirittura un momento per assaporarlo, prima di ricordare il motivo per cui mi trovavo aggrappata a lui. Un brivido mi riscosse, rievocando quel ricordo. Tentai di nasconderlo ma non seppi evitare di arrossire. Era passato molto tempo da che mi ero avvicinata così ad un uomo… un uomo che non fosse il mio nemico giurato, Samuel. Il brivido di eccitazione che avevo sentito si trasformò, repentinamente, in uno di pura repulsione.
Mi distrassi rivolgendomi a Calis.
«Cal, come è andata la missione di Rob?»
«Molto bene, Violet. Non ha avuto nemmeno bisogno del mio aiuto.»
«Missione?» intervenne Chev, dall’altro lato del tavolo. «Avete mandato il ragazzo ferito a svolgere qualche compito pericoloso?»
Sembrava arrabbiato ed incredulo.
«Ma no!» minimizzò l’omone con un gran sorriso di complicità. Complicità con chi, poi?, mi chiesi. «Rob sta benissimo, non è così Violet?»
Aprii la bocca, ma non feci in tempo a proferir parola che Calis aveva già ripreso a parlare. «E poi il ragazzo voleva rendersi utile! E non c’era poi tutto questo pericolo…»
«Insomma, dove lo avete mandato? E come fa ad essere già guarito da quella ferita? Avrebbe dovuto rimanere steso almeno per qualche settimana…»
«Oh, non chiederlo a me! È stata Violet a fare tutto, non so dirti come. Siamo rimasti tutti sorpresi, ma qualsiasi cosa abbia fatto ha funzionato. Il ragazzo è come nuovo.»
Chev mi fissò dubbioso ma si trattenne dall’esprimere il suo scetticismo.
Calis, intanto, andava a ruota libera. «È stato molto facile, in realtà. Grazie alla tua idea, ragazza, avevamo studiato prima tutti i turni di guardia. Sapevamo quanti sarebbero stati, e conoscevamo il posto. Attendere il cambio di guardia e neutralizzarne due è stato un gioco da ragazzi.» Era tutto contento ed evidentemente compiaciuto.
«Come avevi intuito, non c’era solo la chiave di Stenton. Quel tizio che si occupava dei pasti… ne portava una al collo, identica. Abbiamo usato quella per entrare nella cella.»
«Bene, allora immagino che siano già arrivati a destinazione…»
«Proprio così. Li ho lasciati davanti al palazzo delle Guardie.»
Gli occhi di Chev erano stretti in due fessure e ci scrutavano, cercando di capirci qualcosa ma non osando chiedere delucidazioni.
Sospirai e mi rivolsi a lui. «Stiamo parlando del piano per salvare Finn.»
Alla menzione di quel nome si drizzò e si mise sull’attenti. Quasi sporgeva dal seggio dove si era adagiato poco prima. Nella mano, abbandonata, giaceva la stoffa decorata con qualche macchiolina del suo sangue.
«Finn… sta bene?»
Mi voltai verso Calis che era l’unico che poteva rispondere a quella domanda.
L’uomo sorrise, tranquillizzandoci, prima di rispondere. «Il ragazzino sta bene. È con Rob in questo momento. Era un po’ spaventato dalla nostra intrusione ma si è ripreso in fretta. È bastato fare il tuo nome perché ci seguisse senza fiatare… beh, forse è un po’ troppo fiducioso, ma dal suo punto di vista tutto sarebbe stato meglio che rimanere rinchiuso in quella cella.»
«Si trovava in una cella?» chiese preoccupato.
«No, no… per gli standard di quel tirchio di Stenton, anzi era sistemato benino. Si trovava in un’abitazione controllata da alcune guardie. Il ragazzino era chiuso a chiave in una stanza spoglia.»
«Come avete fatto a trovarlo?» si informò Chev.
In breve gli raccontammo del piano che avevamo messo a punto la settimana che aveva preceduto la grande Sfida. L’unica cosa che sapevamo per certo, secondo quello che mi aveva raccontato Rob, e l’accenno che vi aveva fatto lo stesso Chev, era che Stenton permetteva a quest’ultimo di incontrare il ragazzino una volta a settimana, giorno più o giorno meno. Questo al fine di dimostrare al suo Campione che stava bene, per poterlo così tenere sotto controllo. Il piano immediato fu, pertanto, di tenere d’occhio l’abitazione del vecchio Signore, in attesa che si presentasse alla porta la nostra preda. Non avevamo dovuto aspettare molto: già il giorno successivo all’avvenuta guarigione di Rob, le spie di Vasil avevano individuato una piccola scorta di guardie, assieme ad un uomo più anziano e ad un ragazzino. Avevamo intuito che si trattasse di Finn, durante la sua visita settimanale al prigioniero, per cui seguimmo la scorta fuori dal palazzo di Stenton, una volta che stesse tornando in qualunque luogo lo tenessero prigioniero. Scoperto così il nascondiglio, era bastato rimanere ad osservare, nei giorni successivi, i movimenti delle guardie che lo presiedevano. La missione che avevo affidato a Rob e a Calis era appunto quella di liberare il giovane prigioniero, proprio durante lo svolgimento della Sfida, nel momento in cui Stenton fosse stato impegnato altrove e anche la sorveglianza sarebbe stata più lenta, dovendosi concentrare sul controllo degli schiavi che venivano portati all’arena.
Calis colmò i miei vuoti raccontandomi che avevano ottenuto la chiave della cella, sottraendola al custode del ragazzo – l’unico che avesse una copia della chiave –, il vecchio che aveva il compito di scortarlo durante le visite a Chev e che si occupava dei bisogni di Finn.
«È svenuto con un colpo netto alla nuca e lo abbiamo abbandonato legato in una delle stanze lì vicino. A quest’ora lo avranno già trovato, assieme alle guardie che abbiamo messo KO, ma è troppo tardi perché qualcuno possa intervenire.» concluse soddisfatto.
«Ora dove si trova Finn?» domandò irrequieto il Cavaliere.
«Ho dato disposizione che fosse accolto nei miei alloggi al Palazzo delle Guardie», gli spiegai. «Dopo aver capito dove si trovava ed avere messo a punto il piano per liberarlo, mi sono preoccupata di portarlo in un luogo dove potesse essere al sicuro dai complotti di Stenton. Non potevo farlo portare qui da noi, sarebbe stato troppo pericoloso. Esposto e vicino al maggiore pericolo. Così ho pensato che il luogo più sicuro fosse quello presieduto dalle guardie del re. Stenton non potrebbe arrivare sin lì, persino se sapesse per certo che vi si trova il ragazzo.»
«Quindi le tue guardie lo tengono al sicuro?»
«Io non ho più guardie, ricordi?»
«Sì, ma a chi lo hai affidato? Per farlo entrare all’interno devi avere giustificato in qualche modo la sua presenza, no?»
«Ecco, veramente… nessuna delle guardie sa della sua presenza, né di quella di Rob, se è per questo. Ho pensato che non fosse saggio far sapere in giro che avevo un ospite… specie se non fossi stata là a proteggerlo.»
«Proteggerlo? E da chi? Non lo hai portato lì perché fosse al sicuro?»
Distolsi lo sguardo un po’ in imbarazzo.
«L’ho portato lì perché era il luogo più adatto per tenerlo al sicuro da Stenton… però non sono sicura che lo sarebbe altrettanto se gli altri luogotenenti sapessero di questa storia.»
«Spiegati meglio» mi ingiunse in un tono così cupo e teso che somigliò molto ad un ringhio.
«Parte delle complicazioni che ho evitato di riferirti durante il nostro primo incontro nella tua cella, è che non posso davvero fidarmi di nessuno tra i soldati. Come ti ho spiegato mi serve aiuto, ma ti ho anche detto che nessuno si è offerto volontario per seguirmi, e questo non è solo perché sono una donna e non potrebbero rispettarmi come loro superiore; ci sono non pochi luogotenenti che mi osteggiano e non dubito che alcuni di loro potrebbero arrivare al punto di fare del male a chi mi circonda pur di indebolire la mia posizione.»
«Ti trovi proprio in una posizione scomoda.» mi fece notare.
Annuii rassegnata. «Non ti sembrava strano che un luogotenente delle guardie reali, si abbassasse a cercare aiuto tra gli schiavi-gladiatori?»
«Era uno dei motivi per cui diffidavo di te, all’inizio.»
«E ora?»
«Ora credo a ciò che dici ed intuisco anche che le cose sono ben più complicate di quanto tu non abbia detto.»
«Mi aiuterai?»
«Mi costringerai?» mi ritorse.
Sbuffai e mi strappò una risata. «No, Chev. Ti avevo detto che non l’avrei fatto, è quella è ancora la mia intenzione. Se preferisci provare a contrastare il Giuramento con un po’ del mio potere, ma senza legarci tra noi, allora sono disposta a provare, nonostante i rischi.»
Espirò, sollevato che avessi acconsentito alla sua proposta.
«Allora che si fa?»
«Che intendi dire?»
«Voglio sapere come mi fornirai il tuo potere. Hai detto che avrai bisogno di farlo regolarmente per tenermi sotto controllo, no?»
Ora che lo domandava e mi costringeva a pensarci… una vampata di calore mi imporporò le guance e battei le palpebre ripetutamente, un po’ confusa dalla risposta che avrei dovuto dargli. Valutai in fretta e furia se c’era un altro modo, ma non ne trovai. Così mi costrinsi ad affrontare direttamente l’argomento.
«B-bhe… ecco, tu… io…»
«Cosa?»
«Io ho già preso il tuo sangue… per cui…»
«Che vuoi dire? Che per far funzionare questa cosa dovrai berlo regolarmente?»
«N-no, non proprio…» accidenti, che situazione!
«Che significa?»
Le sue domande, lungi dal farmi calmare, mi gettavano ulteriormente nell’agitazione. Mi accorsi di essere imbarazzata e questo perché, in fondo, ero attratta da quell’uomo. Lo guardai si sottecchi, studiandolo. Mi aveva colpita sin dall’inizio per la sua forza, ma anche per la sua avvenenza. Che si trattasse solo del fatto che ero a digiuno di contatti con l’altro sesso, in ogni caso ora non riuscivo a non apprezzare i lunghi capelli dorati che gli incorniciavano il viso squadrato e virile. Aveva degli occhi incredibili, penetranti, e la sua bocca… quelle labbra… se pensavo che avrei dovuto toccarlo, più volte, sentivo il battito cardiaco accelerare e un calore farsi spazio dentro di me, fino in fondo al ventre e lì concentrarsi. Venivo investita da un desiderio soffocante, che diventava sempre più difficile da gestire, di momento in momento. E certo che poi la situazione in cui ci trovavamo non mi aiutava affatto! Tentai di nuovo di scacciare quei pensieri molesti e mi costrinsi di pensare a mente fredda e controllata.
«Erin?»
Chev mi richiamò all’attenzione, un sopracciglio sollevato in eloquente incertezza. Aspettava ancora che gli spiegassi.
«Devi prendere o no del sangue da me, Erin?»
Sospirai, chiusi gli occhi e mi feci coraggio. «Chev… in questo tipo di contratto magico, giocano un ruolo fondamentale sia la lama rituale, con cui viene inferta la ferita, sia la parte del corpo in cui viene aperta.»
Indicai il suo polso.
«Drogart ha usato un pugnale di qualche tipo, non è vero? Hai notato che anche il Toro ha un taglio come quello, sul suo polso?»
«Sì, è stato un pugnale. Non sapevo che anche il suo Campione avesse questa ferita, però.»
«Beh, del resto, tutti voi schiavi siete pieni di cicatrici da battaglia un po’ ovunque… è normale non averlo notato.»
«Quindi questo cosa significa per me?»
«Se tu fossi diventato, come nelle loro intenzioni, il burattino di Drogart, gli sarebbe bastato toccarti di tanto in tanto con quel pugnale per rinforzare il suo vincolo con te. Questo perché il contatto tra l’oggetto magico e la vecchia ferita, riapre un canale di comunicazione… è come se si rivivesse il ricordo del Giuramento. Ovviamente se questo contatto non avviene, non per questo il legame formato si indebolisce. Non è una questione di tempo o di spazio: potreste trovarvi a miglia di distanza l’uno dall’altro e non farebbe differenza. Però, a volte, ci si serve di questo metodo per punire il servo, qualora lo si sentisse lottare contro il vincolo. È l’ennesimo modo per ridurlo all’impotenza, privandolo della voglia anche solo di contrastare gli ordini.»
«Nel nostro caso, allora, a che servirebbe?»
Andava sempre dritto al punto.
«Noi abbiamo già formato un altro vincolo simile ma di minore forza. Io ho preso il tuo sangue, anche se non ti ho dato il mio. Significa che, nel rituale, i miei denti equivalgono alla lama e la tua ferita…»
«La mia ferita è sulle labbra.» concluse per me. Sgranò leggermente gli occhi, sorpreso. Ora capiva le implicazioni del mio discorso.
Nel silenzio imbarazzato che era calato, esplose la tonante risata di Calis che aveva ascoltato in silenzio fino a quel momento. A quanto pare, aveva sentito abbastanza da tirare le sue somme.
«Ah ah ah! Bene, ragazzo! Sei proprio fortunato, in più di un senso! Hai la scusa perfetta per baciare la nostra ragazza ogni volta che ti aggrada! Ci saranno non poche persone che ti invidieranno da morire!»
Si era sollevato dalla sedia e ora torreggiava su Chev, che lo fissava a bocca semi aperta. Gli diede qualche pacca di incoraggiamento sulla spalla. Pacche forti abbastanza da scuoterlo e rischiare quasi di buttarlo per terra.
«Non credo proprio che sia necessario farlo ogni volta che gli viene lo sghiribizzo» replicai un po’ irritata. E molto imbarazzata.
«Ah, no?» Calis si finse dispiaciuto.
Chev continuava a rimanere muto, ma ora mi guardava serio, più padrone delle espressioni del viso. Aveva nascosto lo sbigottimento iniziale.
«No. Staremo a vedere in quanto tempo il comando di Drogart tornerà a farsi sentire più forte. Poi valuteremo ogni quanto sarà necessario rinsaldare il nostro vincolo.»
Mi rivolsi direttamente al Cavaliere, ignorando le battutine di Calis. «Avvertimi quando ti sentirai sopraffatto.»
Con un cenno secco, acconsentì alla mia richiesta.
«Vedrai quando lo racconterò a Vasil!» sghignazzò alla fine Cal.
Sbuffai e gli lanciai un’occhiata storta.
«Va bene, va bene, non dirò nulla di compromettente, lo prometto!» sollevò le mani come a difendersi da un attacco immaginario. «Intanto che ne dite di andarcene a casa? Si è fatto molto tardi e avete bisogno di una buona dose di riposo.»
«Finalmente dici qualcosa di sensato!» sbottai. «Forza, andiamo! Quasi non sto più in piedi.»
Così abbandonammo la tenda. La casa di Vasil non era molto grande e non aveva un’altra stanza per ospitare anche Chev, così si decise che avrebbe dormito con me. Vasil sembrò contrariato, specie dopo che venne informato della necessità di un contatto fisico tra noi per porre rimedio al vincolo che gli era stato imposto. Calis, nemmeno a dirlo, continuò imperterrito con le sue battute; battute che sia io che Chev ignorammo di buon grado.
Per me non aveva senso cercare di sistemare da qualche altra parte il nuovo ospite, dal momento che, se avesse accettato di servirmi, avrei comunque dovuto dividere con lui i miei alloggi al Palazzo delle Guardie. Il suo servizio presso di me era quantomeno irregolare perché lui non faceva parte della milizia, e non potevo pretendere che gli venisse fornito vitto e alloggio. Ero stata abbastanza furba da aggirare l’ostacolo postomi innanzi dagli altri luogotenenti, ma non avrei potuto forzare ulteriormente la mano: ogni spesa di mantenimento sarebbe stata una mia responsabilità, così come la sua sistemazione. Anche Finn e Rob sarebbero stati un problema, ma per quel giorno ero troppo stanca per pensarci.
I servi prepararono in fretta un giaciglio di paglia accanto al mio letto. Trovammo persino dei vestiti puliti per Chev con cui avrebbe potuto sostituire la toga consunta che indossava.
Mi parve un lungo attimo, ma infine mi distesi nel letto accogliente e mi abbandonai felice ad un sonno ristoratore.

 

   
 
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Ryo13