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Autore: mythilen86    03/05/2007    1 recensioni
Streghe e Cacciatori. Una ragazza sola. Un ragazzo solo. Insieme contro ciò che sono.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1 Driiin…sono le sette… Anche quella mattina Kennedy sollevò la mano sinistra per poi farla ricadere pesantemente sulla sveglia che non voleva saperne di smettere di suonare. Possibile che il tempo passasse così in fretta? Aveva già dormito nove ore? Driiin…sono le sette…driiin… Spalancò gli occhi e si sollevò facendo cadere a terra il pesante piumone azzurro cielo. Si alzò lentamente dal letto caldo, si stiracchiò e si diresse verso il grande specchio che le si trovava di fronte; fissò per un po’ l’immagine riflessa finchè non riuscì a metterla bene a fuoco: una ragazza dalla pelle chiarissima, gli occhi grigi e ancora arrossati per il sonno, le labbra screpolate e i lunghi capelli scuri che ricadevano ribelli sulle spalle magre. Prese la spazzola e iniziò a districare i nodi camminando per la stanza illuminata dalla finestra senza tende. Il cielo era senza nuvole ma l’aria era fredda e umida. Kennedy aprì l’armadio, prese un paio di jeans scuri, una maglietta bianca, un maglioncino verde acido e avvicinandosi al calorifero posto dietro la porta cominciò a vestirsi. "Kennedy sei sveglia? Sbrigati tesoro o farai di nuovo tardi e ti toccherà correre a scuola con quest’aria gelida" Zia Amanda era sempre stata così, premurosa e autoritaria. Era diventata la sua tutrice quando i suoi genitori erano morti in un incidente aereo quando lei aveva solo tre anni. Kennedy adorava Amanda, la stimava perché non cercava di entrare nella sua vita privata e di esserle amica, ma sapeva ascoltare e consigliarla quando le confidava qualcosa. "Buongiorno signorina…" "Ciao zia! Ancora spremuta d’arancia? Non sarebbe possibile avere del latte per colazione, magari con dei cereali, sai… come in tutte le famiglie normali?" "Uhh…siamo di buon umore oggi!" Kennedy non osò alzare lo sguardo, sapeva di aver esagerato e sapeva che zia Amanda non si meritava di subire la sua luna storta. Prese una fetta di pane tostato e iniziò a spalmarvi della marmellata di ribes, leccò lo spalmino e addentò la fetta croccante. Zia Amanda stava sistemando i piatti nella credenza e il rumore tintinnante delle stoviglie era l’unico suono che rompeva il silenzio tra le due. La radiosveglia sistemata accanto al fornetto iniziò a lampeggiare: erano le 7.45 e Kennedy era in ritardo. Si alzò lasciando ricadere nel piatto metà fetta di pane addentata, bevve d’un fiato la spremuta dolciastra e corse in bagno. Si lavò faccia e denti, raccolse i capelli in una coda bassa e si mise il burrocacao alla camomilla. "E’ mai possibile che tu non finisca mai la tua colazione Kay?" "Scusa zia ma sono in ritardo…" "Tutte le mattine sei in ritardo!" "Ok, hai ragione, domani mi sveglio prima, promesso!" "Lo dici sempre…" Ma le ultime parole della zia non raggiunsero Kennedy che stava già correndo lungo il viottolo verso la fermata dell’autobus. Arrivò appena in tempo e il signor Stuart, che ormai si era abituato a quel rito, lasciò la porta aperta in modo che potesse salire senza sfracellarcisi contro. "Buongiorno Kennedy!" "Salve signor Stuart! Grazie per avermi aspettata" "Non c’è di che cara" Il bus si mise in moto e Kennedy si guardò in giro per vedere se c’era qualche posto libero. Si mise in settima fila, sola, e si sistemò accanto al finestrino. Gli alberi correvano veloci fuori dal finestrino e il paesaggio era prevalentemente bianco e grigio. Quella notte era caduta un po’ di neve che aveva subito ghiacciato a causa della bassa temperatura creando una sottile lamina trasparente sull’asfalto. Gli alberi spogli sembravano non sentire il freddo pungente e i camini delle case già fumavano. Il cielo era pallido, senza ombra di sole e nuvole; solo grigio. Kennedy adorava l’inverno nonostante soffrisse parecchio il freddo e le si arrossassero guance e naso non appena usciva di casa. Fermata dopo fermata il pullman si riempì ma nessuno andò a sedersi vicino a lei. Ci era abituata, nessuno la prendeva molto in considerazione forse per via di quella carnagione tanto chiara e i capelli scuri che la facevano sembrare sempre malata. A scuola, poi, i suoi compagni di classe la evitavano come se fosse invisibile, e le rivolgevano la parola solo per prenderla in giro e affibbiargli stupidi nomignoli. Da sempre lei per loro era numb ed ogni occasione era buona per prendersi gioco di lei. Dopo quasi cinque anni passati con loro finalmente questo era l’ultimo durante il quale avrebbe dovuto dividere la sua vita con loro. L’autobus rallentò e si fermò con quel suo classico rumore “a sbuffo” come se dopo la lunga corsa stette riprendendo finalmente fiato. Tutti si alzarono dai posti che ormai sembravano aver assunto la forma del corpo sopra adagiato e si spingevano per scendere per primi. Come se ci fosse fretta pensò Kennedy; il pullman era sempre in anticipo rispetto all’orario di entrata e non c’era bisogno di spingere tanto soprattutto al lunedì quando era semivuoto. Molti ragazzi e ragazze amavano infatti allungare il week-end di un altro giorno soprattutto se quel giorno coincideva con il lunedì, normalmente dedicato alle interrogazioni mirate a verificare lo studio nel fine settimana. Come al solito i furbi la facevano franca e riuscivano comunque a mantenere un’ ottima media scolastica. Non che a Kennedy interessasse più di tanto visto che era una di quelle persone fortunate che riuscivano a ricordarsi di qualsiasi cosa dopo una sola lettura al riguardo. In classe, però, a volte le capitava di non spiaccicare parola dato che la presenza dei suoi compagni sghignazzanti alle sue spalle la facevano stare male, così preferiva che la classe fosse semideserta. "Ehm, ehm! Hai intenzione di scendere o vuoi vegetare su questo trabiccolo?" Kennedy tornò tutto d’un botto nel mondo reale e si voltò come se fosse stata punta da un ago nascosto nel sedile. "Io…" Il ragazzo alto e moro fermo in mezzo al corridoio tra le due file di coppie di sedili si stava rivolgendo proprio a lei. Probabilmente doveva essere la prima volta che prendeva l’autobus del signor Stuart altrimenti avrebbe saputo che Kennedy era sempre l’ultima a scendere dopo che tutti avevano smesso di spingersi e urtarsi. Lui continuava a fissarla con i suoi occhi blu cobalto, pacato e calmo come se si stesse rivolgendo ad una poveretta che non sapeva nemmeno dove si trovasse. Questo suo sguardo a metà tra il compassionevole e il pietoso innervosì tanto Kennedy che senza pensarci due volte prese la sacca color verde militare e si affrettò a scendere senza voltarsi indietro. Era furibonda ma allo stesso tempo stupita che qualcuno le avesse rivolto la parola. Mentre camminava verso l’entrata della scuola si strinse la sciarpa intorno al collo e l’alzò fin sotto il naso, abbassò lo sguardo e procedette veloce fin sotto il portico. Vari gruppetti di studenti erano intenti a raccontarsi le avventure del week-end e i loro fantastici pomeriggi passati a sciare; alcuni fumavano, altri mangiavano caldi croissantes presi poco prima al bar interno della scuola. Kennedy superò l’entrata e salì veloce le scale fino ad arrivare al terzo piano dove si trovava l’aula di francese. Era deserta dato che erano solo le otto. Entrò, alzò le tapparelle e si sistemò nell’ultimo banco nell’angolo accanto alla finestra. Non si tolse il cappotto perché in classe si gelava e probabilmente i riscaldamenti non sarebbero partiti prima dell’orario di uscita da scuola. Tipico, pensò, paghiamo cara l’iscrizione e poi rischiamo di morire di freddo. La porta si aprì lentamente ed il primo gruppetto di ragazze si sistemò nella prima fila di banchi senza salutarla. A poco a poco l’aula si riempì di voci e gridolini di ragazze entusiaste delle loro conquiste invernali finchè finalmente non apparve sulla soglia la signora La Croix, insegnante madrelingua. Indossava uno dei suoi tipici maglioncini anni ’20 color rosa pallido e un paio di pantaloni blu infilati negli stivali di gomma neri. I capelli a caschetto color paglia erano fissati con piccole forcine ai lati del viso e gli occhiali dalla montatura rosso fuoco erano appoggiati sulla punta del naso. "Bonjour!" "Bonjour Madame La Croix!" ripeterono in coro le ragazze della prima fila ricevendo uno sguardo d’ammirazione da parte dell’insegnante. La lezione passò in fretta e, nonostante il francese non fosse proprio la sua materia preferita, Kennedy aveva ascoltato la signora La Croix dalla prima all’ultima parola. Era sempre andata bene in francese e poi era uno di quei corsi facoltativi che gli alunni potevano scegliere di frequentare o meno. Era stata l’unica della sua classe a sceglierlo e questo la sollevava molto dato che poteva parlare ed essere interrogata tranquillamente senza che i suoi compagni si prendessero gioco di lei. I corridoi erano affollati di persone che si spostavano da una classe all’altra tanto che impiegò ben cinque minuti a raggiungere il suo armadietto. 12, 1, 86, 4 il lucchetto scattò e Kennedy poté riporre i libri di francese e riempire la sacca con quelli di filosofia e letteratura. Stava chiudendo l’armadietto quando alle sue spalle sentì una voce familiare: "Ah! Ecco qui la nostra cara numb; passato bene il week-end? Dai tuoi vestiti non si direbbe: porti ancora quell’orrendo maglioncino. A no, che sbadata, questo è verde acido quello di venerdì era nero" Lavinia Jordan era la rappresentante di classe nonché principale responsabile dell’organizzazione di feste e incontri tra scuole della provincia. Era alta e ben proporzionata dato che praticava danza praticamente da quando era nata; bionda i capelli lunghi fino ai fianchi, indossava un abito diverso ogni giorno e non perdeva mai l’occasione di mettersi in mostra per ricevere lodi e complimenti. Con lei le sue due grandi amiche Paula Brown e Jasmine Crowl. Erano le tre ragazze più popolari della scuola e da quando avevano frequentato la prima erano riuscite ad ottenere sempre posizioni di rilievo all’interno dell’istituto. Kennedy fece finta di non averla sentita e si incamminò velocemente verso l’aula di filosofia. Lavinia irritata ripeté la frase a voce più alta tanto che molti ragazzi e ragazze si fermarono a osservarla; Kennedy si sentì sprofondare e si mise a correre cercando di trattenere le lacrime che le offuscavano la vista. Entrò sempre correndo nell’aula di filosofia e la signora Giacobini la guardò stupita. "Mi scusi!", le parole le uscirono a stento e roche. Si sedette come al solito in fondo alla classe e si mise ad osservare il faggio spoglio i cui rami quasi toccavano la finestra. La classe si riempì in fretta ma il brusio non cessò anzi sembrava crescere…ma cosa succedeva? Kennedy si voltò verso la cattedra e vide la signora Giacobini in piedi (cosa strana dato che sembrava non potesse vivere separata dalla sua sedia) e accanto a lei un ragazzo alto che osservava un po’ smarrito la classe con gli occhi blu cobalto.
  
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